Di sicuro alla nascita non fu fortunata, perché i suoi genitori morirono quando aveva pochi mesi. Allora fu giocoforza affidarla alle cure degli zii, i quali, buona parte della sua infanzia gliela fecero trascorrere a Roma, da dove loro poco si potevano spostare perché, sia Leone X che Clemente VII, a Roma ci stavano per fare il Papa. La giovanissima Caterina si trovò a vivere in una delle Corti più raffinate di tutto il Rinascimento e sicuramente ne assorbì la cultura, l’arte e il clima festoso di cui, più tardi, si farà ambasciatrice in terra di Francia. Già perché quello, inevitabilmente, doveva essere il suo destino, considerata l’alleanza sempre più stretta fra Clemente VII e Francesco I. Si proprio lui, quello che dopo la battaglia di Pavia, aveva scritto alla madre, raccogliendo i frammenti della sua dignità, “Signora tutto è perduto, fuorché l’onore”. E doveva essere vero, quello che aveva detto, perché il motivo fondamentale delle nozze, fra il suo secondogenito Enrico e la nipote del Papa, era la necessità di colmare l’immane debito delle esangui finanze francesi. Lei, l’ultima dei Medici, si trovava a Firenze, quando le comunicarono di recarsi a Marsiglia, dove già l’aspettavano il Pontefice e lo sposo. Lì fu accolta con entusiasmo e le fecero grandi feste, probabilmente perchè ci misero parecchi giorni a scaricare tutte le ricchezze e i soldi che Caterina portava in terra francese.
Ma, ciononostante, a corte fu relegata in un angolo, fino al giorno in cui morì l’erede al trono e per lei, che adesso era la moglie del futuro re, ci fu più considerazione. A 28 anni Caterina divenne regina di Francia, ma sicuramente non fu una donna felice, con il timore di essere ripudiata, che si trascinò appresso per 10 anni, perché i figli non venivano, mentre suo marito, nel frattempo, esibiva e onorava in pubblico la sua bellissima amante, Diana di Poitiers, come una costante sfida a Caterina che bella non era. Lei, invece, a quel marito doveva voler bene perché, oltre a dargli, appena le fu possibile, un figlio l’anno, seguitava ad avere per lui piccoli pensieri, come quello di fargli arrivare spesso il profumo da Colonia, dato che sua Maestà, il re Enrico II, pare che puzzasse un po’. Quando poi Enrico mori lei indossò neri abiti da lutto che non si tolse più, ma il giorno dopo era già al fianco del figlio a condividere le sorti della Francia. E questo, pur senza avere incarichi ufficiali, lo fece per i trenta anni successivi. Erano tempi difficili, in una Francia sempre impegnata nelle guerre esterne e nelle lotte di religione interne, dove si dilaniavano Ugonotti e Cattolici. Caterina per lungo tempo fece mediazione e dimostrò grande tolleranza, ma ciò non le servì a niente perché, dopo la “Strage degli Ugonotti”, le fu attribuita completamente la colpa e il marchio d’infamia se lo portò appresso per secoli. E, come se non bastassero gli storici, ci si misero pure i famosi scrittori di Francia, come Alessandro Dumas e Honoré de Balzac a rinforzare la leggenda della “Regina nera,” con i romanzi gossip sugli ultimi dei Valois.
Peccato, perchè Caterina, nonostante i suoi guai, era la persona più gaia e ottimista di questo mondo e voleva veramente bene alla Francia. Donna di grande cultura creò una biblioteca fra le più ricche del Paese, ampliò il Louvre, fece costruire il Castello di Monceau e iniziò Les Tuileries. Le piacevano anche le feste, memore di quelle fastosissime a cui aveva partecipato nella Roma della sua prima giovinezza e la buona tavola, che aveva imparato ad apprezzare durante gli anni della sua ricercata formazione. Quando le fu ordinato di trasferirsi, non fidandosi di ciò che avrebbe trovato in quella terra di Francia, ancora un p0′ selvatica e non uscita, con entrambi i piedi dal Medioevo, – figuriamoci, le avevano detto, non usano neanche le forchette – si era portata appresso un’equipe di tutto rispetto. cuochi, scalchi, pasticceri e perfino un gelataio che veniva da Urbino, tutti professionisti che mise immediatamente a disposizione della corte e con i quali aprì una scuola di gastronomia. Dai palazzi dei Medici, la cucina toscana si stava trasferendo, tout court, ai castelli francesi! E così la “Salsa Colla” fu rielaborata e si chiamò “Bechamel, la Zuppa di Cipolle,” “Soupe d’Oignons, le familiari “Pezzole della Nonna” divennero le più raffinate “Crepes” e, le modeste “Frittate,” acquistarono il più altisonante nome di “Omelettes,” mentre Popelini, uno degli Chef toscani celebrò il 1540 con l’invenzione del “Paté a Choux”.
E neanche il “Papero al Melarancio,” il piatto preferito di Caterina, rimase indenne dalla cucina francese, quando un aiuto cuoco di Corte, non trovando in giro paperi, riuscì ad agguantare un’anatra nello stagno di Palazzo e corse in cucina, dove, il capocuoco, la servì in tavola trasformata in “Caneton a l’Orange”.
Ma, per un attimo, lasciamo che a prevalere sia l’orgoglio nazionale e prepariamoci questo superbo piatto nella versione toscana, sia pure con qualche piccola variante, mettendolo a centro tavola, proprio come merita, il giorno di Natale.
Per 4 persone occorre un papero (oca giovane) di circa 1,5 kg, tagliato a pezzi.
In un largo tegame si fanno fondere 100 grammi di burro e appena è tutto sciolto vi si fa rosolare il papero tagliato a pezzi. Quando è ben dorato si sala e ci si versa sopra il succo di tre arance. Si fa sfumare e si riprende la cottura che dovrà durare circa un’ora e mezza o fino a quando il papero diventi tenero. Si aggiunge durante la cottura qualche mestolino di brodo per non farlo bruciare. Al termine si versa mezzo bicchiere di cognac mischiato a due cucchiai di zucchero e si lascia sul fuoco per qualche altro minuto fino ad assorbimento. Per dargli un tocco di maggior di attualità, si può aggiungere, mentre cuoce, una spruzzata di pepe e una foglia di alloro.
Si serve guarnito con spicchi d’arancia a cui è stata tolta la pelle e spinaci appena scottati.
E per finire il punto sulle ricerche degli ultimi 30 – 40 anni! Gli storici hanno completamente rivalutato la figura di Caterina, mettendone in risalto soprattutto la grande opera di mediazione fra le opposte fazioni, fatta nella consapevolezza che al di là di ogni credenza religiosa, la cosa più importante fosse evitare alla Francia, conflitti e guerre interne.
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