El Pavon de las Indias

montezumaIn Europa non li conosceva  ancora nessuno quando in Messico, alla corte di Montezuma, se ne consumavano  1000 al giorno, di cui una parte era destinata ai dignitari e l’altra agli uccelli rapaci che il sovrano allevava. Il popolo, invece, come sempre accade, si doveva accontentare di poco e per lo più mangiava qualche schiacciatina di mais. Comunque era già una lunga conoscenza, quella che i messicani avevano con il tacchino, perché risaliva ormai a più di 1000 anni prima. Da animale selvaggio che scorazzava liberamente nelle praterie e nei boschi, l’avevano reso domestico per ammorbidirgli le carni e tenerlo a portata di mano quando, con le  sue colorate piume, dovevano adornare copricapi e lance.

Sembra che il primo a portarlo in Europa sia stato Colombo nel 1511, ma già pochi anni dopo, nel 1525, columbus_ships_1992era stato  oggetto di un dotto “Summario de la Historia Natural de las Indias Occidentales”, scritto direttamente dal Governatore di Hispaniola. Certo che quell”animale dava da pensare un po’ a tutti, per quanto era strano! Dormiva sugli alberi e somigliava di sicuro a un grosso pollo, ma faceva anche la ruota, come fosse stato un pavone. Più tardi avrebbero anche scoperto che  i maschi si disinteressavano della prole mentre le madri erano tenerissime e  spesso rischiavano di morire di fame per non allontanarsi dai piccoli che tenevano sotto le ali come in un’incubatrice. Comunque per non far torto a nessuno, in Francia lo chiamarono “Le Coq d’Inde” e in Spagna  “El Pavon de las Indias”, convinti ancora come erano che glielo avessero portato dall’India.

In ogni caso  la diffusione era stata rapidissima e già nel 1524 lo troviamo in Inghilterra sulla tavola di Enrico VIII  mentre, nel 1565, i monaci di Bourges, in Francia, aprirono  un grosso allevamento che gli dovette andar subito a gonfie vele, perchè pochi anni dopo, il tacchino fece il suo ingresso a corte, ospite d’onore alle nozze del Re Carlo IX con Elisabetta d’Austria. E Carlo, da quel momento lo dovette tenere in grande considerazione perché, quando si trattò di fare un dono di riguardo al Papa Gregorio XIII, gli inviò 12 tacchini.

tacchino[1]Pur essendo arrivato  trionfalmente in Europa, il tacchino non si era dimenticato della sua terra di origine e seguitava  ad essere il pranzo di gala per i nativi americani, che, secondo la leggenda lo fecero conoscere ai “Padri Pellegrini” con i quali generosamente lo spartirono il giorno che questi riuscirono ad ottenere il primo raccolto e ne vollero rendere grazie a Dio.

Fino al secolo XIX il tacchino fu cucinato in modo abbastanza semplice, intero, arrosto o allo spiedo, poi considerato che era il cibo delle grandi occasioni, e a Natale era d’obbligo, qualche famoso cuoco pieno di inventiva e di complicanze come Escoffier e Ali Bab pensarono di adoprarlo come uno scrigno, racchiudendovi dentro  i più complicati, fantasiosi  e stravaganti ingredienti: era nato il “tacchino farcito”. E furon prugne, castagne, erbe provenzali, carni miste, mirtilli  e chi più ne ha più ne metta  tanto, “Semel in anno licet insanire ” e Natale viene una volta sola.

Tacchinella arrosto ripiena alla frutta

Ingredienti per 4 persone

1 tacchinella  di circa 2 kg già svuotata, 100 grammi di burro fuso, 2 cucchiai di olo di oliva extra vergine, 200 grammi di mollica di pane casereccio raffermo, 2 mele renette, 120 grammi di prugne secche snocciolate, 60 grammi di gherigli di noce, il succo di un limone, 1 cucchiaio di pepe verde secco, salvia,rosmarino, timo, sale, pepe, .

Per legare la salsa: 1 cucchiaio di burro e un cucchiaio di farina.

Si lavano le prugne e si mettono in acqua calda sino a quando si ammorbidiscono.

Si sbucciano le mele, si tagliano a piccoli pezzi e si cospargono di limone per non farle scurire

Si taglia a pezzetti il pane e si cosparge di burro fuso, mescolandolo in una ciotola.

ricette-natale--tacchino-ripieno-arrostoAlla mollica di pane si aggiungono le mele, le prugne a pezzi, le noci tritate, un’abbondante spolverata di pepe, un cucchiaio di sale  e si mescola.

Si lava e si asciuga la tacchinella, si insaporisce all’interno con sale e pepe e si riempie con la farcia. Si cuciono i due fori praticati nella tacchina con l’apposito filo bianco resistente  e si legano  ali e cosce aderenti al corpo.

Si tritano insieme pepe verde, gli aghi del rosmarino, 6 foglie di salvia e 1 cucchiaino di timo e si fanno aderire sulla superficie esterna della tacchina, unta completamente di olio extra vergine di oliva.

Si pone la tacchinella  in una teglia possibilmente ricoperta di una griglia interna e si pone nel forno già scaldato a 180°.

Dopo circa 1/2 ora di cottura è necessario coprire il petto della tacchina con carta di alluminio che verrà poi tolta durante l’ultima ora di cottura.

Complessivamente la tacchina dovrà rimanere in forno circa 3 ore e 1/2 e durante questo tempo andrà inumidita spesso con il fondo di cottura e, se la teglia non ha la griglia, occorre rigirarla ogni mezz’ora circa.

A metà della cottura si spolverizza di sale.

Dopo la cottura si trattiene la tacchinella  nel forno caldo, ma spento sino al momento di portarla in tavola.

Si toglie il fondo di cottura dalla padella e lo si sgrassa, eventualmente dopo averlo raggelato, per fare in modo che la parte grassa affiori in superficie, si aggiunge ad esso il cucchiaio di farina, il burro e si fa amalgamare a fuoco caldo.  Al termine si aggiunge 1/2 bicciere di cognac e uno spruzzo di salsa Worcester che si fanno sfumare sul fuoco.

Si adagia la tacchinella sul piatto da portata e si porta in tavola, dove si affetta in presenza dei commensali. Su ciascuna fetta si versa infine qualche cucchiaio di salsa.

TenochEstrella

11 thoughts on “El Pavon de las Indias

  1. Como siempre, muy interesante. Entendí más en italiano que con el traductor, así que no estoy muy segura de lo que dices de Moctezuma y los mexicas (aztecas). Quiero comentarte que en México lo llamamos (en castellano/náhuatl) “guajolote” y en náhuatl es: “huaxolotl”, aquí en México, en las grandes fiestas de los pueblos se guisa en “mole poblano”, el platillo se llama “mole con guajolote” y es una delicia, el mole también se puede comer en casa o en restaurantes de cualquier ciudad, pero en las fiestas pueblerinas, como bodas y bautizos, es indispensable. Ojalá publicaras algo al respecto, junto con la historia, pues también la tiene, ya que es un platillo ideado por monjas españolas, siguiendo lineamientos autóctonos. Saludos

      • Sí, tienes razón. A menudo escribir la historia de una receta nos centramos en uno de los ingredientes, y también fue interesante descubrir cómo el pavo llegó a Europa. Incluso para bolas de arroz seguimos “el viaje” de azafrán!

      • Muy interesante, la verdad no me parecía que tuviera una historia, salvo que es originario de América y enterarme de su llegada a Europa me agradó mucho, voy a tener que aprender italiano, porque me interesa mucho lo que escribes, el sesgo culinario que le das a la historia, la hace, además, sabrosa, jajaja. 🙂

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