Meringata alla fragola

601257-Meiringen-MeiringenC’è un piccolo paese nell’Oberland Bernese che non è molto diverso da tutte le altre località della Svizzera, dove le case hanno i tetti aguzzi perché di neve ne cade molta e le piste, d’inverno, si riempiono di sciatori dalle coloratissime giacche, mentre d’estate  i ripidi sentieri  ospitano  i tanti  turisti, con il loro Alpenstock in bella evidenza, che si aggirano per le montagne  in cerca di frutti di bosco, di funghi, di torrenti che rotolano di pietra in pietra e  perchè no…anche di cascate! Eppure questo piccolo paese non è Maria Leszczynska, kopia XIXw.un posto  come tanti altri perché  si chiama Meiringen, ed  è qui che la sorte ha voluto che si verificassero alcuni eventi, all’apparenza disparati e molto distanti nel tempo, ma di interesse così rilevante che hanno finito per fare il giro del mondo.

Attorno al 1720 veniva a villeggiare a Meiringen, una giovane, bionda, dall’aspetto dolcissimo e un velo di malinconia  sempre stampato sul viso. Sembrava una ragazza come tante, quando  si vedeva in giro per le strade del paese, ma era in realta una principessa, la figlia del, sia pure deposto, re di Polonia Stanislaw Leszczynski, le cui agitate vicende politiche e il continuo peregrinare per l’Europa, avevano  profondamente inciso  sulla vita dei suoi familiari. Si diceva che fosse la promessa sposa del Principe di Condè, ma ciò non impedì al giovane pasticciere del paese di innamorarsene perdutamente. Quando la vedeva passare davanti al suo negozio il giovane Gasperini si turbava e arrossiva, ma non poteva fare a meno di sognarla ad occhi aperti… e di sperare. Per lei avrebbe fatto di tutto e le avrebbe adagiato il mondo ai piedi, ma era solo un pasticciere e, tutto quello che potè fare, fu di adagiarle fra le mani … un dolce. Ma che dolce! Il ragazzo con un’estrema semplicità di mezzi si era inventato  qualcosa dall’aspetto veramente regale, dal gusto friabile e dalla consistenza spumosa: la Meringa. Appena si metteva in bocca il calore del palato faceva sciogliere il guscio come la neve di Meiringen quando  veniva lambita dal primo sole primaverile e, ciò che rimaneva, era la dolcezza euforizzante dello zucchero. La ragazza, Maria, ne fu profondamente colpita e turbata, ma tutto quello che poté fare fu di portarsi a Versailles la meringa, perché nel frattempo anzichè da un principe, era stata chiesta in  sposa dal re di Francia in persona, Sua Maesta Luigi XV. Non fu, il suo, un matrimonio felice, con il re che la trascurava e la  tradiva in continuazione, lasciandola alla solitudine delle sue stanze dorate. Forse chissà, se i tempi fossero stati diversi, le sarebbe convenuto sposare il suo pasticciere che  le avrebbe reso la vita sicuramente più dolce. L’unica che veramente ci guadagnò fu la Meringa che acquistò fama di corte in corte e fu adorata anche da Maria Antonietta, la regina che venne dopo, anzi l’ultima…ZZzzzZSherlock Holmes at Meiringen, Switzerland.

Parecchio tempo dopo, nel 1881, fece la sua apparizione a Meiringen uno strano personaggio, dallo sguardo acuto e penetrante, il naso sottile e aquilino che gli conferiva un’aria vigile e decisa e il mento prominente e squadrato, tipico dell’uomo di azione. Prima di avviarsi incontro al suo destino in quelle perniciose acque delle cascate di Reichenbach, poco lontane da Meiringen, l’uomo lasciò scritto:

“Mio caro Watson, Le scrivo queste poche righe grazie alla cortesia del Signor Moriarty che gentilmente aspetta  che io abbia terminato prima di discutere circa le questioni in sospeso fra di noi. Mi ha illustrato brevemente il modo in cui ha evitato la polizia inglese e si è tenuto al corrente dei meiei spostamenti, confermandomi così l’altissima opinione che mi ero fatto delle sue capacità. Sono lieto di pensare che potrò liberare la società della sua presenza, anche se, temo, a un prezzo che addolorerà i miei amici e specialmente Lei mio caro Watson. Comunque Le ho già spiegato che la mia carriera era arrivata a un punto critico e che nessun altra conclusione potrebbe andarmi meglio di questa. Anzi per dirLe tutta la verità, ero sicurissimo che la lettera da Meiringen non fosse che un trucco e la lasciai andare solo perché ero convinto che ci sarebbero stati degli sviluppi. Dica all’Ispettore Patterson che i documenti che gli occorrono per mandare in galera tutta la banda, si trovano nel casellario M, dentro una busta azzurra su cui é scritto “Moriarty.” Ho lasciato precise disposizioni circa i miei averi prima di lasciare Londra… Il Suo affezionatissimo Sherlock Holmes”

4495832-rheinbach-falls-a-meiringen-svizzera-autunno-sherlock-holmes-muore-nel-konan-doyleSi sa come andarono le cose!  Il quell'”Ultima Avventura”, il grande investigatore  affrontò il suo mortale nemico Moriarty a viso aperto e insieme precipitarono nelle turbinose acque delle cascate… In seguito, a furor di popolo,  Harthur Conan Doyle fu costretto a resuscitare il suo eroe… Ma questa è un altra storia.

Meiringen fu così grata a Sherlock Holmes! Dopo poco tutto il mondo seppe di quello sperduto paesino delle Alpi Svizzere e di quelle  tragiche cascate di Reichenbach e tantissimi furono i curiosi e i turisti.. Quelli delle catastrofi, che  cominciarono a visitarla. E non hanno più smesso! Così decisero di costruire un Museo in onore del grande investigatore… Benefattore della città.

Ma una domanda era rimasta  nell’aria…La cui risposta sembra si possa trovare esclusivamente  nel Museo. Se lo girate tutto, ad un certo momento troverete una stanza che riproduce esattamente  lo studio che Sherlock Holmes aveva a Londra. Caminetto, libreria, ricchi tendaggi, giornali, una lampada dorata e tutti i mille orpelli dell’arredamento vittoriano. Poi  guardando tutto con attenzione, potrete osservare come sul tavolo ci sia una tazza da te (una seconda è più lontana) e due piattini, sui quali restano, a memoria di un dolce consumato, un tovagliolino spiegazzato e un coltello. Se a questo punto  vorrete applicare alla situazione il metodo deduttivo così caro a Holmes vi renderete conto che :

A) – Sherlock Holmes a Londra  prendeva il te accompagnandolo a un dolce;

B) – A Londra  quasi certamente  questo dolce potevano essere i biscottini, per cui gli inglesi vanno famosi;

C)- Anche fuori di Londra è lecito supporre che Sherlock Holmes mangiasse dolci  con il te.

Ma se i famosi biscottini inglesi, all’estero, sul finire del XIX secolo era sicuramente  difficile trovarli, cosa pensate che avrebbe mangiato a Meiringin Holmes? Ma, ovviamente, la Meringa! E a questo punto è lecito anche supporre che fosse arrivato nelle Alpi Svizzere con il preciso intento, lui sempre così curioso e amante delle sensazioni più raffinate, di assaggiare quella fantastica specialità… E così forse abbiamo risposto alla domanda  rimasta in sospeso, la cui  soluzione può unire fra di loro eventi lontani un secolo e mezzo.

Col tempo la meringa ha fatto una grande strada. Anzi ne ha fatte diverse. Si è colorita al cioccolato e all’arancia, si é riempita di mandorle o di panna, ha voluto nel suo morbido cuore anche le pere  e  talvolta le ciliegie. Spesso, a contatto con tutti questi doni della natura … e della pasticceria è diventata  “Meringata”, di cui offriamo la versione color rosso con le fragole al suo interno e  al suo esterno, queste ultime  come raffinata decorazione.

MERINGATA ALLA FRAGOLA5700330350_7d01db2851

INGREDIENTI CHE SERVONO PER TUTTO IL DOLCE: 1 limone, 250 grammi di albume, 500 grammi di zucchero, sale, 110 grammi di acqua, 550 grammi di fragole, 40 grammi di zucchero a velo, 100 grammi di crema pasticcera, 250 grammi di panna fresca.

INGREDIENTI PER LA MERINGA ( 2 dischi e meringhette per farcire): 80 ml. di acqua,  qualche goccia di succo di limone, 1 pizzico di sale, 200 gr. di albume, 400 gr. di zucchero.

INGREDIENTI PER LA FARCITURA: 30 ml di acqua, 100gr. di zucchero, qualche goccia di succo di limone, 1 pizzico di sale, 50 gr. di albume, 250 ml di panna fresca, 40 gr. di zucchero a velo, 100 gr. di crema pasticcera, 250 gr. di fragole.

INGREDIENTI PER GUARNIRE: 300 gr. di fragole.
PREPARAZIONE:
Per prima cosa dovete preparare la crema pasticcera e la meringa per i due dischi e le meringhe per completare la torta, la sera prima di  assemblare il dolce.
MERINGA PER I 2 DISCHI E LE MERINGHE PER LA FARCITURA:

In un pentolino mettere l’ acqua con lo zucchero sul fuoco.

Nel frattempo montare gli albumi, a neve ferma, con un pizzico di sale e qualche goccia di limone. Portare lo zucchero con l’ acqua a ebollizione  a 120° quindi, versare a filo questo sciroppo sopra gli albumi continuando a montare finché il composto non si sarà raffreddato completamente.
Create due dischi di meringa abbastanza spessi con la sacca da pasticcere su carta da forno, segnando con una matita il cerchio che servirà da guida per formare i cerchi di uguale misura che sarà la base per la torta e tante piccole meringhe per completare il dolce.
Mettere in forno a 60-70 gradi e lasciare “asciugare” per almeno 4 ore a forno leggermente socchiuso.

PER LA FARCITURA

Lavate e tagliate le fragole a piccoli pezzi, quindi sbriciolate grossolanamente le piccole meringhe che avrete precedentemente cotto insieme ai due dischi.

Prendere poi altri 50 gr. di albumi a temperatura ambiente,  100 gr. di zucchero,  30 ml di acqua, un pizzico di sale e qualche goccia di succo di limone per preparare dell’altra meringa, come fatto per i dischi, montate anche 250 ml di panna fresca e a pochi secondi prima di terminare di montare, aggiungete 40 gr. di zucchero a velo.
Frullare con il minipiner 50 gr. di fragole.
Mescolate la panna montata con la crema pasticcera ben lisciata e fredda, quindi la meringa  (morbida e non cotta), e metà dei 250 gr. di fragole  tagliate a pezzetti.

ASSEMBLAGGIO DEL DOLCE

Prendere un disco di meringa, spalmarci metà della crema, spargere sopra  una parte delle fragole a pezzi tenute da parte, alcune meringhette sbriciolate e metà delle fragole frullate. Coprire con l’ altro disco di meringa e ricoprire con il resto della crema, le fragole a pezzi ,quelle frullate rimaste e  lealtre meringhe sbriciolate.
Mettere il dolce a riposo nel freezer per 3-4 ore.
Al momento di servire guarnire  con fragole tagliate a spicchi adagiate  sopra lo strato di crema e rifinire con delle meringhe sbriciolate e  intere a piacere.
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A New York… Waldorf Salad!

Waldorf-Astoria_1904-1908bSe non avesse litigato con sua zia, probabilmente non ci sarebbe stato nessun hotel. Ma il nipote  sapeva che per la Signora Caroline Webster Astor, sarebbe stato un grosso dispiacere. avere  proprio  vicino alla sua aristocratica residenza, un albergo… con tutto il traffico e il rumore che si sarebbe tirato dietro. Così William dopo la lite, volle farle un dispetto e si affrettò a demolire il palazzo del padre, tanto che, nel 1893, il Waldorf Hotel era già una visibile realtà sulla 5° strada, proprio nel cuore di Manattan. Poi 95b32/huch/1377/14ci pensò John, il cucino di William, a raddoppiare la dose costruendo proprio a due passi un altro albergo, l’Astoria Hotel. Alla zia Elizabeth non restò altro che andarsene per non vedere quello che sarebbe successo. Il Sig. Boldt, un noto albergatore di Philadelfia rilevò le proprietà dei due cugini e riuni  le due strutture tramite il “Peacock Alley”, trasformando quello che diventò il 1° Waldorf Astoria, nell’albergo più grande del  mondo. Certo con tutto quello svettare di cupole e torri e quegli arredi opulenti  tipicamente nell’eclettico stile “Grand hotel”  doveva fare un certo effetto  e i clienti ricchi e gli John-Jacob-Astor330avvenimenti storici non tardarono ad arrivare. Qualcuno da ricordare in particolare?

Il 1912 che fu tragico anche per il Waldorf Astoria perchè nel naufragio del Titanic morì John Jacob IV il  cugino costruttore della 2° unità, l’Astoria Hotel e a Mr Boldt, il proprietario dell’Hotel sembrò giusto che  la Commissione d’inchiesta si tenesse   proprio nelle sale dell’Albergo.

Poi fra principi e duchi del vecchio continente e grandi imprenditori del nuovo, negli anni a ridosso della 1 ° guerra mondiale, si installò al Waldorf Astoria, Nikola Tesla l’eccentrico scienziato  della “corrente alternata” ,colui che  “inventò il XX secolo”, secondo i suoi  maggiori  ammiratori, lo”scienziato pazzo”, secondo i più, che al Waldorf Astoria cenava sempre da solo, nei tavoli più appartati, piegava i tovaglioli dodici volte e faceva tre volte il giro dell’isolato prima di entrare. Lasciò un grosso debito, ma era un genio, inventò anche l’elicottero e i principi del “radar  che nessuno  ai suoi tempi seppe utilizzare.

Nel 1926, la Nbc trasmise il primo programma radiofonico dalla Sala grande del Waldorf Astoria…Ma a quel punto tutti cominciarono a pensare che l’albergo più grande del mondo stava diventando improvvisamente piccolo e  questa volta – ormai  si era alla svolta degli anni ’30 e i tempi erano maturi – costruirono un grattacielo a pochi centinaia di metri di distanza, su Park Avenue.  Del vecchio edificio la moglie di Boldt voleva farne una specie di centro sociale, ma invece – e fu un peccato – venne demolito per fare spazio a un altro titolatissimo edificio “L’Empire State Building.”

La nuova sede è li da vedere  con i piani “a vista” Deco e quelli successivi in un’ uniforme divisione di pieni e di vuoti appena percepibili, nel loro insieme, se si traversa la strada e si guarda in alto. Gli interni sono Waldorf Astoria New York-1sontuosissimi, ma un pò vecchiotti e senza eccessi di fantasia, anche se ad arredarli vennero chiamati i migliori.

Le storie  strane e i personaggi particolari non sono mai mancati e spesso seguitavano ad arrivare a ritmo serrato. Lucky Luciano, assieme a Frank Costello passò per il Waldorf nel 1935, negli ultimi mesi di libertà prima di essere arrestato. Chissà cosa avrebbe pensato la zia Elizabeth di  certe presenze…Sicuramente  avrebbe esclamato “Io ve l’avevo detto!”

I principi di Galles, nel loro eterno peregrinare attorno al mondo – ormai gli era rimasto solo quello da fare – venivano spesso a New York, ospiti, loro e i cagnolini, naturalmente del Waldorf Astoria, l’unico luogo di New York e forse di tutti gli States, all’altezza del loro nome.Waldorf Astoria New York

Fare entrare il Presidente Franklin Delano Roosvelt era un pò complicato, ma ci si riusciva. Proprio sotto l’albergo c’era dei  binari di derivazione della  Central Station, un luogo sconosciuto ai più chiamato Track  61. Li sotto facevano fermare il treno   e il Presidente che si faceva scrupolo di mostrare troppo spesso in pubblico la sua infermità, veniva caricato su ll’auto  a seguito che scendeva direttamente dal treno e fatto un breve percorso si poteva immettere in un ascensore  che saliva direttamente al garage dell’Holel. Di lì un altro ascensore meno segreto e più confortevole portava direttamente il Presidente nella sua  suite. Prima che cadesse in rovina e fosse chiuso, il Track 61 ha fatto in tempo a ospitare parecchi convegni e un originale e celebre party che quì tenne nel 1965, quell’eccentrico di Handy  Warhol!

La storie non hanno fine al Waldorf Astoria! Nel  1954 un archeologo Israeliano negoziò negli scantinati dell’albergo l’acquisto segreto di 4 rotoli  dei ” Manoscritti del Mar Morto”, antichissimi documenti di storia e religione che la sabbia del deserti orientali avevano conservato per millenni.

Nel 1955 al Waldorf Astoria c’era Marylin Monroe, ma se ne dovette andare perchè la Fox gli interruppe il contratto e il conto per lei diventava troppo salato. E a proposito di cinema, la passione per il Waldorf Astoria è di vecchia data da  Ginger Rogers  che  gira nel 1945, Weekend  al Waldorf  a Jack Lemmon e Sandy Dennis  che  in Out of Towners  del 1970, trascinano verso il Waldorf  i sacchi di spazzatura per cercare di capire dove è finita la loro prenotazione. Memorabile poi l’arrivo del re di Zamunda all’Hotel in cerca del figlio in “Il principe cerca moglie” del 1988. Nel 1992 è la volta di un colonnello cieco in “Profumo di donna” mirabilmente interpretato da  Al Pacino e senza elencare tutti l’ultimo film che è stato girato al Waldorf Astoria e del 2009, The Taking of Pelham 123.

Qualche personaggio più recente? Paris Hilton ha passato la sua infanzia  al Waldorf  perchè  nel frattempo la proprietà era passata alla sua famiglia.  Qualche evento ricorrente? Il ballo internazionale delle debuttanti! Il fatto più curioso? L’amnistia concessa due anni fa  ai numerosi “ladri d’albergo” che negli anni erano stati scoperti a portarsi via cucchiai e bicchieri come suovenir.

Oscar_TschirkyIl personaggio più importante, il più famoso, il più eccentrico di tutti? il Maitre d’Hotel Oscar Tschirky, più noto come Oscar del Waldorf, anche perchè quell’impossibile cognome non  lo sapeva pronunciare nessuno. Lavorò 50 anni al Waldorf dove vi entrò nel 1893, facendo carte false e divenendone un’Istituzione. A quel tempo lavorava al Ristorante Delmonico, ma quando seppe del Waldorf Astoria che stava aprendo, sembra che sottrasse la carta intestata del ristorante e sui suoi fogli si fece firmare le referenze dai ricchi clienti del locale. Non sapeva cucinare o forse molto poco, ma è passato alla storia come Oscar l’Epicureo perché  con lui lo stare a tavola e il ricevere è diventato un’arte, dalla formazione dei camerieri alla preparazione di menù pieni di armonia, di colori, di leggerezza, dall’accoglimento  personalizzato dei clienti alla discrezione  più assoluta. In tanti l’hanno lodato e acclamato  e fra le tante testimonianze c’è quella di un affezionato quanto attento frequentatore dell’Hotel che disse di lui”Chi lo studia da vicino presto arriva alla ferma convinzione che avrebbe potuto fare  in modo altrettanto perfetto il Generale o l’Ammiraglio.

Oscar non è mai stato nelle cucine, perché si è sempre occupato di amministrazione e direzione. Ma la cosa più sorprendente è che, ciò nonostante, grazie alla sua fantasia ci ha lasciato alcune ricette che in insalata_di_puntarellemolti hanno definito  “sublimi” di cui la più nota e  la semplicissima, delicatissima, inarrivabile “Waldorf Salad”. La celebrò anche Cole Porter, ospite dell’albergo per diversi anni, che nel 1934 ,lanciano la sua canzone “You are the Top”,scrisse “You are the top, you’re a Waldorf Salad”.

WALDORF SALAD

INGREDIENTI (per 4 persone): sedano rapa 200 grammi, succo di limone 2 cucchiai, sale q. b., mele 200 grammi, noce a pezzi 50 grammi, maionese 150 ml, panna acida o yogurt 2 cucchiai, pepe bianco macinato a piacere.

PREPARAZIONE: sbucciare il sedano rapa, lavarlo e tagliarlo a julienne, farlo scottare 3 minuti in acqua salata, scolarlo e asciugarlo con carta assorbente. Sbucciare le mele, levare il torsolo con l’attrezzo apposito, tagliarle a julienne, poi metterle in una ciotola e spruzzarle con il succo di limone per non farle scurire. Spezzare grossolanamente le noci, poi un una larga ciotola mischiare la maionese con un cucchiaio di succo di limone,2 cucchiai di panna acida o yogurt e pepe bianco macinato. Versare nella ciotola le mele e il sedano rapa e amalgamare il tutto. Alla fine aggiungere le noci e servire.

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NEW HAVEN…PEPE’S STYLE WHITE CLAM PIZZA!

mystic4La baia davanti al mare  non solo era bellissima ma aveva il valore aggiunto del porto naturale che avrebbe permesso grandi commerci con le città d’Europa che a metà del 17° secolo erano ancora avide di tutto ciò che si produceva nel Nuovo Mondo. Così quel gruppo di Puritani  in fuga, prima dall’Inghilterra e poi dal Massachussets, nel 1638  finì per fermarsi  nella terra dei Quinnipiack. Erano molto religiosi, ma avevano senso pratico. Si fecero subito consegnare  il territorio dai nativi e pianificarono la loro città  250px-Patent_for_Cotton_Gin_(1794)_-_hi_rescon una rigida griglia rettangolare, che fece di New Haven la prima città di tutta l’America del Nord, concepita con criteri moderni. Da allora e per tutto il periodo coloniale  New Haven si è più volte distinta per la sua opposizione  sempre piuttosto evidente agli Inglesi. La cosa era risaputa anche in Inghilterra perché dopo la restaurazione monarchica nel 1661, i giudici che avevano condannato a morte il Re Carlo I, per sfuggire alle persecuzioni del nuovo re, si andarono a rifugiare a New Haven e per non farli trovare dalle guardie regie il Sindaco mise a loro disposizione un’ampia grotta nelle colline di West Rock, che è ancora li da vedere con tanto di targa ricordo. Durante la rivoluzione  americana tale fu la furia della città contro gli inglesi che rischiò seriamente di essere rasa al suolo.h2_1995.336

Per fortuna che ciò non avvenne perchè così la città riuscì a salvare il suo impianto coloniale e la sua nascente industria che  verso la fine del 18° secolo diventèrà una delle più particolari aree di sviluppo degli States, grazie alle invenzioni e alle fabbriche impiantate da Heli Whitney. Strana e beffarda vita, quella di Whitney. Come inventore  è passato alla storia per la famosa “sgranatrice” una macchina industriale che separava la fibra dai semi di cotone, ma che in realtà non aveva inventato lui, ma una sua amica che, essendo donna, non aveva la possibilità giuridica di  brevettare l’invenzione. Come  imprenditore è da tutti ricordato per la sua fabbrica d’armi che però acquistò fama mondiale  solo in seguito e per merito di  Samuel Colt che vi siluppò la famosa pistola automatica che da lui prese il nome.

Eppure l’industria non era il vero destino di New Haven  perché  nella seconda  metà del XX secolo, la città è entrata in crisi economica e ha spopolato il suo centro soprattutto a causa dei conflitti sociali e dell’eterogeneità delle sue etnie.

Per fortuna che New Haven ha avuto sempre il suo asso nella manica e seppure il  modello cittadino  e la vocazione industriale sono entrate in crisi ha  finito per diventare il Centro Servizi  di una delle più prestigiose università del Mondo.  Yale, che porta il nome del suo principale benefattore, non potè nemmeno usufrire  del patrimonio che  Elihu Yale gli aveva lasciato per testamento. Successe infatti che, per una spaventosa commedia degli equivoci, il Sig. Yale lasciò i suoi averi al Collegiate College, morendo prima di sapere  che il Collegiate non esisteva più, avendo cambiato il  suo nome in  Yale College. Ma ciò nonostante, oggi Yale ha beni per 22,5 miliardi di dollari, 12,5 milioni di libri distribuiti su 12 biblioteche, più di 3000 docenti e 11.000 studenti fra laureati e laureandi. E c’è di yalepiù! Se  qualcuno  sta programmando di diventare presidente degli Stati Uniti, o giù di lì, la cosa migliore che possa fare è quella di andare a studiare a Yale. Già una decina di anni fa un’autorevole rivista  ha scritto in proposito ” Se c’è una scuola che può proclamare di educare i miglior leader della nazione, dai tre decenni passati, quella scuola è Yale” E come contraddirla se da Yale  sono usciti i due Presidenti Bush, Gerald Ford e Bill Clinton  e a scendere, ma nemmeno tanto, John Kerry, Gary Hart e Hillary Clinton?

Intanto da una decina di anni  la città si sta veramente riqualificando, forse anche per non sfigurare di fronte a tutti i futuri presidenti che oggi sono solo  studenti… Vita notturna, librerie, centri informatici, nuovi condomini, nuove linee ferroviarie e un incoraggiante ritorno della popolazione nel centro storico.

Ma dove la vita non è mai mancata, anche nei momenti più bui dell’ultima storia di New Haven è nei servizi di ristorazione. Se è vero che più di 120 ristoranti si trovano nelle zone centrali, è anche vero che tutta la città è  pepesoutside3old300la massima espressione dei ristoranti etnici che includono le cucine più  svariate del mondo, la malese, l’etiope, la messicana, la thailandese, la vietnamita e naturalmente l’italiana. Perché New Haven è stato  fra la fine del 19° secolo e i primi decenni del 20° uno dei poli di maggior attrazione dell’emigrazione dall’Italia meridionale e  oggi si calcola che nei quartieri di East Haven, West Haven e  Hamden, la percentuale di quelli che ormai sono italo – americani arriva al 50%. E qui gli italiani  hanno dato o ridato vita a quello che pur essendo uno dei piatti più noti e sfruttati della cucina italiana, qui rivisitato in veste mix, è diventato un  cult : “Sua maestà la Pizza” anzi come tutti qui dicono “Apizza”. Il suo debutto? L’anno 1925 da Frank Pepe Pizzeria Napoletana. La sua cottura? In un  forno di mattoni, una volta a carbone, oggi a legna. I suoi colori? Rossa pomodoro o bianca, ottenuta con solo aglio, olio d’oliva e scamorza o pecorino. Chi vuole la mozzarella la deve chiedere! La sua base di pasta? un po’ bruciata in cottura! Una ricetta particolare? Quella con le vongole che si può mangiare da Pepe a da Sally Apizza. Ma se andate a New Haven non vi dimenticate nemmeno di  Modern Apizza. E’ li dal 1934!

La storia di Pepe, colui che per primo ha portato la pizza a New Haven è emblematica dell’emigrazione italiana. Viene da Maiori, un piccolo paese della costa amalfitana, e quindi di pizza se ne doveva già intendere, ma quando arriva  a New Haven  va per diversi anni a preparare gli spaghetti nei ristoranti degli altri. Solo nel 1925 ha il coraggio di mettersi in proprio e apre un panificio che ovviamente diventa l’anticamera della Pizza. Riunisce la famiglia e 10 anni dopo è già famoso e apre un nuovo locale, andando ad abitare al piano sopra la Pizzeria. Le sue pizze sono bianche e rosse, tonde e grandi, con alcune caratteristiche anche un po’ strane come quell’impasto  più simile al pane e un pò bruciato in cottura, il cui  sapore un po’ forte si andava a smorzare col pomodoro o col formaggio!

Poi nel 1960 l’ultima invenzione, la pizza con le vongole. Le guardava sempre al banco  del bar dove le servivano con gli aperitivi, tanto che una sera se le portò in cucina e le rovesciò sopra la pizza.

frank-pepe-pizzeria-napoletanaEra nata la PEPE’S STYLE WHITE CLAM PIZZA

INGREDIENTI (per una pizza da circa 35 centimetri): Per l’impasto: 3 cucchiai di farina, 2 cucchiai di farina di mais, 1/2 bustina di lievito istantaneo, 1 tazza  di acqua calda,1/2 cucchiaino di sale, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva. Per il top della pizza: 36 vongole, 1/2 tazza (circa 100 grammi) di pecorino romano grattugiato,2 spicchi di aglio tritati, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 2 cucchiai di origano secco.

PREPARAZIONE : Far aprire le vongole fresche mettendole sul fuoco in una padella con l’aggiunta di qualche cucchiaio di acqua. Non appena si saranno aperte sgusciarle e metterle da parte.  Nel frattempo pre – riscaldare il forno a circa 250°C.

Preparare l’impasto della pizza con tutti i suoi ingredienti e stenderlo su una superficie liscia dandogli un altezza di circa 1/2 centimetro. Spolverizzare la teglia con un po’ di farina di mais e poggiarvi sopra l’impasto. Distribuire le vongole sull’impasto in modo uniforme lasciando circa un centimetro di bordo vuoto, poi cospargere di aglio, formaggio, origano e infine versare sopra l’olio. Cuocere in forno per 30 minuti.La crosta, nel migliore stile Pepe, deve essere ben dorata, ma non bruciata. Servire calda accompagnata  con la tipica bevanda  Foxon Park o in alternativa con una  birra  ghiacciata o un vino Sauvignon Blanc.

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A Comacchio: Riso all’Anguilla!

image.phpQuando  sta per arrivare  al mare, il Po perde la sua identità di grande e solenne  fiume e diventa un  groviglio di canali e di paludi dove quasi a perdita d’occhio, affiorano isole e isolotti ricoperte di canne. Ci pensarono gli abili mercanti  Etruschi  circa 500 anni prima di Cristo a insediarsi nella zona. Una questione di convenienza, perchè i commerci con la Grecia erano molto  più rapidi dall’Adriatico piuttosto che dal Tirreno. La città  famosa era Spina, su cui  però fiorirono presto le leggende perchè si interrò e eelse ne persero le tracce, fino a pochi decenni fa. Comacchio era più piccola e meno importante, ma riuscì a difendere dalle acque e dagli uomini quelle 13 isolette unite dai ponticelli, che sono tutta la sua essenza ormai millenaria.  Nonostante la caduta dell’Impero Romano, sino al secolo IX se la cavò benissimo  con i Longobardi e  il commercio del sale, di cui il mare gli riempiva le terre, penetrando nei mille anfratti della laguna.  Ma non aveva fatto i conti con Venezia, una rivale emergente, anch’essa, dalle acque  e troppo gelosa della flotta di Comacchio per lasciarla in pace. Così distrussero la città parecchie volte, ma Comacchio miracolosamente tornava a vivere perché oltre le saline aveva un’altra risorsa, l’Anguilla, una pesca miracolosa!

Stranissimo destino quella dell’Anguilla! Un’animale dalle grandi avventure marine di cui nessuno è riuscito a capire la  commovente e misteriosa vicenda. Sono  ancora  piccole larve, quando lasciano, senza girarsi nemmeno una volta indietro, le calde acque del Mar dei Sargassi dove sono nate e, come una tribù nomade in cerca della terra promessa, traversano tutto l’Oceano Atlantico e si vanno a infilare nelle nebbie  umide della Val Padana. Li nelle acque  di Comacchio trascorrono l’ adolescenza e la prima giovinezza, poi dopo quasi 15 anni se ne rivanno e col loro istinto infallibile lasciano il casoni-di-valleMediterraneo e tornano a ritroso nel mar dei Sargassi. Solo li si  accoppiano, si riproducono e, quasi subito, muoiono.

Ma solo una parte ce la fa a uscire dalla palude perchè  la gente della Valle ha da secoli bisogno dell’anguilla per sopravvivere e ha inventato  trappole di straordinaria efficacia per impigliarle e catturarle, proprio nel momento in cui raggiunta la maturità e pronte per la fuga hanno carni sode e saporitissime. Si chiama “lavoriero”  quell’insolita freccia di pali e canne affondata nella laguna che caratterizza  con le sue forme triangolari tutto il paesaggio, studiata per far entrare i  pesci ma impedir loro di andarsene.  Ce ne ha lasciato  una vivacissima descrizione  il Tasso nella “Gerusalemme Liberata” “Come il pesce colà dove impaluda/ nei seni di Comacchio il nostro Mare/ fugge da l’onda impetuosa e cruda/ cercando in placide acque riparare/ e vien che da se stesso ei si rinchiuda/ in palustre prigion né può tornare/ che quel serraglio é con mirabil uso/ sempre all’entrare aperto, a l’uscir chiuso.”

Poi la storia per Comacchio si fa drammatica alla fine del 13° secolo quando passa sotto il dominio della Casa Estense. Pochi decenni dopo  i comacchiesi non sono più liberi di pescare perchè gli Estensi si valli.comacchio-800prendono il Monopolio. Qualcuno lavora per loro come “Vallante”, ma  la maggior parte viene esclusa. C’erano poche alternative. O morirsi di fame o pescare di frodo E così fu. Le cose non cambiarono di un centimetro nemmeno quando il Ducato degli Estensi alla fine del 16° secolo passò in proprietà dello Stato della Chiesa e lì ci rimase fino all’Unità d’Italia del 1860. Monopolio era e monopolio rimase. Ma il pescatore di frodo,” Il Fiocinino,” è rimasta una figura mitica, un personaggio sfuggente, che nell’oscurità della notte e della nebbia, pescava con la sua barchetta leggerissima, soprannominata “saltafossi” che, in caso di guardie in vista, si caricava sulle spalle e passava da un argine all’altro, nascondendosi fra le canne e l’erba. Ci sono pochi mesi freddi  per pescare l’anguilla e il “Fiocinino” esce quando il tempo è  più brutto perchè è il momento in cui le anguille escono dal fango in cerca del mare aperto.Poi la mattina, ” il Fiocinino” quando torna in paese, spesso deve dividere  la pesca col Grisolino, l’addetto al lavoriero, che gli ha lasciato … qualche falla aperta. Spesso lo catturano le guardie inviate dal monopolio e sono guai.Il “Fiocinino” finisce  spesso in prigione. Per fortuna qualche volta i sorveglianti chiudono un ‘occhio, anzi tutti e due perchè di notte il pescatore di frodo esce dal carcere, pesca, vende le anguille e torna in carcere sul far dell’alba.

Ma non era partcolarmente facile la vita nemmeno per il Vallante, quello che lavorava “in regola ” per il Consorzio. Per quei mesi invernali in cui  si pescava andavano a vivere in comunità nei “casoni,” quei bassi  rettangoli rossastri dall’alto camino, appoggiati sugli isolotti sperduti, che oggi i turisti  vanno a visitare come esempi di archeologia industriale. Stavano  lì in mezzo al freddo e all’umido con turni di circa un mese e quando tornavano a casa erano talmente abbrutiti che si fermavano  prima  in un isolotto  da quelle  parti, che spiritosamente chiamavano “Fattibello” dove c’era acqua e barbiere per 0063_BZ_030rimettersi un po’ in sesto.

Che fine faceva la grande pesca del  Monopolio? Una parte  veniva caricata su barche con doppiofondo pieno d’acqua e, ancora vive, le anguille  arrivavano nei porti dell’adriatico e del Tirreno, anche fino a getp.cgiNapoli.Il resto,veniva portato a Comacchio nella grande “Sala del fuoco” dove le anguille venivano selezionate, tagliate a pezzi e infilzate in lunghi spiedi sospesi a un girarrosto che ne sosteneva sino a 12. A cottura ultimata, disposte in barili con una speciale salamoia erano pronte per la distribuzine.Oggi adoperano anche scatole di latta di piccole dimensioni ,ma  la tecnica della conservazione a Comacchio è perfetta da parecchi secoli. Per il resto dell’anguilla non si buttava niente. Il grasso che colava durante la cottura veniva raccolto e serviva per l’illuminazione,  la pelle essiccata serviva fer fare lacci alle scarpe, le teste e le code restavano alle famiglie dei fiocinini, le trippe d’anguilla erano una prelibatezza e le lische del pesce si mangiavano fritte e croccanti.

Cos’è rimasto oggi di quel mondo ancestrale? Una vita più umana per i pescatori e un’industria conserviera, che con poche innovazioni distribuisce in tutto il mondo. Un paesaggio che ha del miracoloso  nella sua varietà e nella sua dolcezza infinita, con i casoni che fanno la guardia  al territorio e gli uccelli, ancora 300 speci che qui svernano o ci restano anche tutto l’anno come i fenicoiteri.

Poi ci sono le memorie, quella di Garibaldi  che sfugge agli sbirri del Papa e si rifugia nella palude con la moglie morente, quelle dell’Agnese, la partigiana del romanzo autobiografico di Renata Viganò, che in uno dei casoni aveva casa,  i drammatici  personaggi   di “Ossessione” e ” Il Grido”, i film che quì  girò Michelangelo Antonioni  nel grigio inverno della laguna e,  infine a contrasto, la prorompente bellezza di  una giovanissima  Sofia Loren che ne “La Donna del Fiume” issa la scatola delle anguille come una bandiera.

Oggi  Comacchio è bellissima e intatta con i suoi ponti, i suoi canali i  palazzi antichi e un favoloso Carnevale. Da queste parti bisogna proprio  venirci!  Cè una bellezza nelle cose e una gentilezza nelle persone che toccano entrambe il cuore …e una cucina gustosa e leggera al tempo stesso, dove il pesce e soprattutto l’anguilla, cucinata in mille modi, la fa da padrona. Fra le tante ricette della zona abbiamo scelto ,una fra le più rappresentative e delicate:risotto-allanguilla

RISOTTO CON L’ANGUILLA

INGREDIENTI (per 4 persone): 250 grammi di riso, 2 anguille da 350 grammi ciascuna, 70 grammi di formaggio grana padano, 20 grammi di pecorino, 1 cipolla, 1 fettina di lardo di circa 50 grammi, noce moscata, sale, 1 carota, 1 zucchina, 1 gambo di sedano.

PREPARAZIONE: si fissano le anguille su un’asse di legno con un punteruolo, si aprono e dopo aver estratta la lisca e tolte le interiora, si sciacquano sotto l’acqua corrente. Si eseguono poi dei tagli trasversali che consentono di staccare meglio la polpa dalla pelle. Si prepara un brodo  con 1 litro abbondante di acqua immergendovi la pelle, le teste e le lische e unendo il sedano, la carota e 1/2 cipolla. Si schiuma anche più volte nelle prime fasi della cottura e si lascia sulla fiamma a calore moderato per circa 3/4 di ora. Se è necessario, durante la cottura si aggiunge altra acqua.

In una teglia a parte si fa soffriggere l’altra mezza cipolla con il lardo tagliato a tocchetti, aggiungendovi un po’ di brodo a cui si aggiungerà, una volta che il lardo si sia appena colorito, la polpa sminuzzata delle anguille, (lasciando da parte 4 tocchetti della lunghezza di 2 cm ciascuno che serviranno per la decorazione) e si fanno cuocere per circa 20 minuti. Dopo si aggiunge il riso, si copre con il brodo e lo si fa cuocere   seguitando  a coprirlo con poco brodo per non farlo bruciare. Verso la fine si aggiunge un pizzico di sale.

A parte si grattugiano i due formaggi insieme alla noce moscata e qualche minuto prima del termine della cottura si aggiungono al riso. Si serve caldo decorando ogni piatto alla sommità con una striscia arrotolata di zucchina grigliata e un tocchetto di anguilla.

Ponte-di-Comacchio

Escoffier: le “Ostriche Cocktail” di un Grande di Francia!

McFadden-Auguste-Escoffier

Chissà come gli era venuta la passione per l’arte in quello sperduto paesino della Provenza e in quel rude contesto operaio! A tredici anni George Auguste passava tutto il tempo a disegnare  e intanto sognava…da  grande  sarebbe diventato uno scultore. Ma la cosa dovette innervosire parecchio suo padre, lo stimato fabbro del villaggio che temeva che quel figlio diventasse uno sfaticato buono a nulla! Così, prima che il ragazzino prendesse una brutta piega lo mandò a Nizza dallo zio, in trattoria, per imparare a fare 562316nil cuoco… Un mestiere sicuro! Ma non ci fu niente da fare. L’arte di Escoffier cacciata dalla porta principale… rientrò dalla cucina! Svelto, attento, pieno  fantasia e con la vena dell’imprenditore capì che saper cucinare non era sufficiente … anzi forse veniva dopo… E  comincia a studiare l’arte del servizio e la scienza degli acquisti. Lascia presto la trattoria dello zio per un ristorante di  classe a Nizza ma a  19 anni lavora già a Parigi, a “Le Petit Moulin Rouge”. Comincia a studiare salse, menu e organizzazione, mentre lo promuovono prima  Commis Rotisseur  e poi Saucier, ma poi scoppia la guerra Franco-Prussiana e lui parte per il fronte. Una battuta d’arresto?  Macchè! Escoffier ormai ha il suo destino e non basta una  guerra per cambiar mestiere. A Metz, sul Reno è acquartierato il Generale Mac Mahon … che lo promuove, all’istante, Chef sul campo! Ma a Escoffier  il titolo non basta…  prevale la curiosità, la ricerca e l’innovazione. Gli basta un attimo per capire che la  maggior debolezza della Francia è la rete ferroviaria. Del tutto insufficiente. Sui rifornimenti  ci si conta poco… scarsi  e intermittenti, con una parte del cibo che si perde per strada e l’altra, quando arriva, è già andata a male. Organizzare la distribuzione del cibo, fra un rifornimento e l’altro, diventa la sua ossessione e per limitare i danni punta tutto sulle tecniche di conservazione. La Francia, in effetti, aveva cominciato a occuparsi del problema già all’epoca di Napoleone, con tutte quelle guerre in paesi lontani… Ma poi non aveva approfondito. Ci penserà Escoffier  a far diventare le sue remote cucine da campo un gioiello di efficienza e, dato cheun tocco di raffinatezza non fa mai male, scelse le bottiglie vuote dello Champagne degli ufficiali per  conservare la salsa di pomodoro con cui preparava il rancio della truppa. Più tardi  scriverà un libro “Memorie di un cuoco dell’Armata del Reno” tutto incentrato sui problemi bernard4dell’alimentazione in zona di guerra e un articolo in cui proponeva uno stufato disidradato, facile da trasportare e conservare.

Passata Sedan, sconfitta la Comune, quando riprende la vita della nuova Repubblica, Escoffier torna a Parigi. Prima è  Chef al Petit Moulin Rouge frequentato ormai dal Gotha dell’Europa, da Sarah Bernardt al Principe di Galles e al Generale Mac Mahon, che appena torna dalla prigionia corre a incontrare il suo amico Chef. Poi Escoffier apre un ristorante tutto suo a Cannes, senza abbandonare Parigi. Anni  di grande lavoro in cui vengono fuori tutte le sue innovazioni. L’intuizione  più geniale fu capire quanto il mondo stesse cambiando e come  a una società aristocratica si stava sostituendo una nuova classe imprenditoriale borghese. I ritmi lenti dell’Ancien Regime stavano scomparendo e con l’industrializzazione, che marciava a ritmo serrato, anche la cucina doveva cambiare. Nei contenuti e nel modo di cucinare scelse forme più semplici, valorizzando il contenuto e il nutrimento dei cibi, ma con l’occhio vigile alla loro digeribilità e leggerezza per renderli adatti allo stile di vita di chi ormai, di tempo da dedicare ai piaceri  della tavola, ne aveva poco. Nell’organizzazione della cucina fu ancora più radicale. Non trascurò nessuno dei principi dell’organizzazione scientifica del lavoro, spingendo al massimo sulla specializzazione e sulla divisione delle mansioni, come se si stesse lavorando in fabbrica. Tempi di lavoro dimezzati, guadagni più alti e maggiori risultati sotto il profilo della qualità, in cui ogni fase di lavoro era attentamente studiata dal mago Escoffier prima di diventare la routine dei suoi aiutanti. Il suo discepolo Herbodeau cita come  esempio,”Le uova alla Messicana,” una pietanza semplice, ma di gran classe in cui  le uova  a “occhio di bue” sono dentro i pomodori rossi appena scottati e contornati alla base, di riso. “La realizzazione,- dice Herbodeau –  che una volta veniva  eseguita da un’unica persona, è ora  suddivisa  fra   il “potager” che cuoce il riso, il “Saucier” che prepara la salsa e l'”Entremetier “che si occupa di uova e pomodori e  monta il piatto.

César_RItzA quei tempi era già il massimo a cui il ragazzetto venuto dalla Provenza pensava di arrivare, considerato che nel frattempo pubblicava anche libri di successo  e una rivista famosa come “L’Art Culinaire”. Ma non aveva ancora  incontrato Cesar Ritz,  forse  il più grande albergatore di tutti i tempi. Ritz dirigeva il Savoy di Londra e a Escoffier offrì le sue cucine. Per entrambi fu un successo internazionale, a dir poco strepitoso e, per il mondo che allora contava, la coppia  Ritz – Escoffier divenne il più importante simbolo di tutta quell’età felice che fu la Belle Epoque, prima di essere travolta dalla guerra 1915  – 1918.

“Il Re degli Chef ” e  “Lo Chef dei Re” fu definito  e l’imperatore della Germania, quando andava a cena  al Ritz,  alzava il tiro, dicendogli “Io sono l’Imperatore della Germania, ma tu sei l’imperatore  degli Cesar20Ritz2520dinner_j_480_320Chef”.

Qualcuna delle sue ricette?  La delicata “Insalata di riso Rejane”  o la celebre “Pesca Melba” in  onore della famosa cantante lirica Nellie Melba, di cui lo stesso Escoffier scrisse “Ripensando al maestoso cigno mitico che apparve nel primo atto del Lohengrin, le feci servire, al momento opportuno, delle pesche disposte su di un letto di gelato alla vaniglia, all’interno di una coppa d’argento incastrata tra le ali di un superbo cigno scolpito in un blocco di ghiaccio e ricoperto da un velo di zucchero filato”.

Ma una delle passioni di Escoffier,da buon francese, erano le  ostriche, che per lui rappresentavano l’antipasto per eccellenza, adatte a pranzi e cene, correttamente aperte e sempre ghiacciate. Fra le tante  Rutabagas-and-Shooters-037versioni proposte dal Maestro proponiamo le:

OSTRICHE COCKTAIL

INGREDIENTI (per ogni persona): 6 ostriche,2/3 gocce di Salsa Tabasco, 1 cucchiaio di Tomato Ketchup, qualche goccia di Salsa Worcester, succo di limone. 2 fettine di pane nero, una noce di burro, aceto 1 cucchiaino, pepe nero appena macinato, 1/2 scalogno tritato, mezzo limone, sale q.b., 1 spicchio di limone, paprika q. b.

PREPARAZIONE DELLE OSTRICHE: in un bicchiere di tipo schooter, il cui bordo è stato immerso nella paprika, mettere 6 ostriche appena aperte, senza lavarle. Aggiungere 2 o 3 gocce di Tabasco, un cucchiaio di Tomato Ketchup. qualche goccia di salsa Worcester e un filo di succo di limone. Decorare la sommità con 1 spicchio di limone

PREPARAZIONE DELLA SALSA: in una piccola tazza si mescolano lo scalogno tritato, il cucchiaino di aceto, una punta abbondante di pepe nero e un pizzico di sale.

PRESENTAZIONE: Accanto al bicchiere con le ostriche si pone un piatto di media grandezza su cui vanno adagiate due fettine di pane nero imburrate e  la salsa allo scalogno. Si decora con il mezzo limone tagliato a spicchi.

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Stinco di maiale all’Oktoberfest!

926hippodromForse perché la vita si sta allungando, ma i suoi duecento anni  non li dimostra affatto. Si chiama Oktoberfest, ma  si svolge a settembre e il mese di ottobre al massimo lo sfiora, perché da quelle parti sta già arrivando il freddo. Sull’immenso  prato un grande Luna Park e 6 enormi padiglioni, i Festhalle, dove di mangia si suona e si canta, ma soprattutto dove  la birra scorrerà a fiumi. Il primo sabato, quando la festa è già dichiarata, tutto in realtà è sospeso, fermo, in attesa della “Sfilata dei carri” che, dalle varie birrerie, traspostano i fusti di birra verso il luogo della festa. Suona la banda e il  Sindaco, in testa, guidaludwig1864 la parata. La festa può iniziare solo quando il Sindaco inserisce un rubinetto nella botte inaugurale e spilla la  prima birra. Poi pronuncia la frase magica: “E’ stappata! ” e  subito cominciano due settimane e tre weekend durante i quali Monaco di Baviera impazzisce. Qualche numero per rendersi conto?  6 milioni di persone in 16 giorni, negli enormi tendoni che  ne contengono ciascuno dai 3 mila ai 10 mila per volta, 7,5 milioni di boccali di birra e tutti da un litro, perché  se si chiede il bicchiere più piccolo c’è il rischio che ti guardino male e ti mettano a disagio.

Ma come è cominciato tutto questo?  Era l’anno di grazia 1810. Napoleone  allora si divertiva a ridisegnare l’Europa, dopo ogni battaglia vinta. Così grazie ai suoi buoni auspici, la Baviera, da secoli un po’ Contea e un po’ Ducato, proprio da poco era diventata un Regno e le nozze dell’erede al trono, che sarà poi Ludwig I di Baviera, furono particolarmente grandiose. Ai festeggiamenti, bontà reale, invitarono tutti i cittadini di Monaco e fu giocoforza  svolgerli  all’aperto, su un prato  fuori  città che, da quel momento, in onore della sposa, fu chiamato Theresienwiese.  Quell’anno ci fu una corsa di cavalli e l’anno successivo, visto il successo rifecero la festa, aggiungendoci la fiera dell’agricoltura.

ImperatriceSissiFortuna che Therese di Sachsen-Hildburghausen ebbe una bella cerimonia di nozze perchè,  pressappoco, fu tutto quello che potè avere dal suo volubile marito preso da ben da altri interessi. Donne a non finire, fra cui  la famosa ballerina straniera Lola Montez,  e la passione per le statue greche e romane, per  le quali, quasi svuotò le casse dello Stato.

Suo figlio Massimiliano era indubbiamente più saggio, ma poi arrivò il nipote Ludwig II, che aveva la passione  per i castelli. E’ il più famoso sovrano bavarese, il più controverso e il  più amato. Sale al trono che ha appena 18 anni, bellissimo con gli occhi azzurri e perdutamente innamorato del suo aiutante di campo e forse di sua cugina Sissi, l’imperatrice Elisabetta d’Austria Non riesce a star fermo a Monaco, ma ogni volta che si sposta ha bisogno di un castello dove andare ad abitare e così se lo fa costruire. Ha lasciato dietro di sé il drammatico Neuschwanstein, il castello rococò di Linderhof, già illuminato all’epoca con l’elettricità e il lago sotterraneo, dove  i cantanti lirici si esibivano con le opere di Wagner. L’ultimo castello è quello  di Herrenchiemsee che, appena si guarda, fa venire in mente Versailles. Sicuramente Ludwig aveva un po’ di megalomania con cui all’epoca distrusse le finanze dello Stato, tanto che alla  fine lo sbalzarono dal trono e probabilmente lo uccisero. Eppure, oggi, una bella parte dei redditi della Baviera viene dal turismo che si muove attorno a i castelli di Ludwig, nel ricordo di un Re forse troppo solo e la cui vita, fuori dall’ordinario e la tragica fine, gli hanno creato attorno tutti gli elementi della leggenda.

Da allora, di tempo, sulla Baviera ne è passato tanto, i re sono scomparsi e il XX secolo più di una volta ha colpito duramente Monaco, semidistrutta dalla II guerra mondiale  e colpita al cuore dall’attentato terroristico delle Olimpiadi del 1972. Ma Monaco è città che non si arrende, si è ricostruita  i suoi palazzi e la sua ricchezza, con determinazione e un impegno senza limiti.

Ma una volta l’anno la città  si spoglia di tutta la sua serietà e va a recuperare le sue forze e la sua allegria nella festa più grande del mondo, quell’Oktoberfest a cui Monaco ha rinunciato pochissime volte, soprattutto negli anni delle due guerre mondiali, perchè tutti sanno  che  fra la città e la  Festa c’è un legame talmente forte che nessuno dei due potrebbe sopravvivere a lungo se non ci fosse l’altro. All’Oktoberfest si beve birra si canta e si balla, ma ovviamente si mangia, soprattutto wursteln e stinco di maiale, che è diventato parte integrante della festa stessa.

STINCO DI MAIALE AL FORNOUmido_di_Stinco_019

INGREDIENTI (per 6 persone): 3 stinchi da 1 kg circa l’uno, 1 bicchiere di vino bianco secco, 3 manciate di sale grosso, 5 o 6 foglie di salvia, 2 rametti di rosmarino, 3 rametti di maggiorana, 4 o 5 rametti di timo, pepe nero q.b., 20 bacche di ginepro, olio extravergine di oliva q.b.

PREPARAZIONE: lavate le erbe e sistemarle su un tagliere con le bacche di ginepro, poi tritate il tutto. Mettete in un tegame gli stinchi con poco olio, il trito di erbe e spezie, il sale grosso, un po’ di pepe tritato al momento. Coprite con la pellicola trasparente e mettete in frigo per almeno 12 ore.

Trascorso questo tempo fate rosolare gli stinchi con poco olio, su tutti i lati facendo attenzione a non bucarli. Ponete gli stinchi e il loro condimento in un tegame da forno e infornate a 180° e cuocete per 1 ora e mezza circa.

Estraete il tegame dal forno e aggiungete un bicchiere di vino bianco. Proseguire la cottura per un ulteriore ora e mezza circa.

18 bellotto - monaco di baviera

DETROIT PIZZA STYLE: da gustare sul lago!

DetroitSunrise“Rivière du détroit”chiamò la località il suo primo esploratore bianco Padre Hennepin. Qui dove i laghi Huron ed Erie sembra si vogliano dividere, lasciando solo uno stretto passaggio per le acque, sorse nel 17o1  un insediamento fortificato. I francesi lo chiamarono pomposamente Fort Pontchartrain du Détroit, ma in seguito, quando gli inglesi, nel 1763 ne presero possesso, col loro senso pratico, lo ridussero  più sbrigativamente  a Detroit. Entra  bustling-detroit-19102ufficialmente negli Stati Uniti nel 1796, ma è solo nella seconda metà dell’800 che la città viene alla ribalta come una delle più ricche e fiorenti di tutta la Confederazione. Chi poteva sospettare all’inizio il destino d i Detroit? Il luogo dove sorgeva il Forte era stato scelto a fini militari perchè consentiva lo sbarramento a tutti i nemici, dalle acque del sud e da quelle del Nord e invece la città  finì per emergere come centro nevralgico  della rete dei trasporti, che dai Grandi Laghi e lungo il fiume San Lorenzo, arrivavano all’Oceano. Poi dai trasporti si passò ai cantieri navali ehenryford1_200-e9c70398def6d6a9fd6bc0d145b42603e7868cd8-s6-c10 all’indotto…  e, presto, fu Gilded Age. In quel periodo  la città veniva chiamata la “Parigi dell’Ovest”, per le sue  grandiose ed eccentriche  architetture e perché di notte  risplendeva tutta per la sua modernissima illuminazione stradale elettrica. Come una falena ne fu attratto Henry Ford che, arrivato in città nel 1888, andò subito a lavorare alla società elettrica  di Thomas Alva Edison. Certo nel tempo libero inseguiva i suoi sogni  e il primo “quadriciclo” usci in strada nel 1896. Gli mancava ormai solo  la costruzione di un impero, ma per quello si inventò la catena di montaggio con cui lanciò la produzione in serie. La mitica Lizzie usci nel 1908, ma nel  1927  ne erano stati costruiti 15 milioni di esemplari.

Detroit con l’arrivo di Chrisler e General Motors  seguitò a collezionare primati, prima città al mondo nell’industria automobilistica, prima al mondo a costruirsi un’autostrada, la Davison e un’eccezionale successo nella riconversione dell’industria bellica.

Ma intanto… erano arrivati i conflitti sociali e quelli razziali, con l’emigrazione in massa dei neri dalle città del sud. Nel momento di massimo splendore, negli anni ’50 e forse anche un po’ prima, la città cominciò a covare la sua rovina. La parte Sud Est si spopolava e si degradava, le piccole attività commerciali dei bianchi chiudevano in massa, le entrate fiscali diminuivano. Un declino ancora lento che negli anni ’70  divenne esplosivo, con la crisi petrolifera.Troppo costoso mantenere le grosse cilindrate americane, meglio le piccole utilitarie europee .. .E la città finì in ginocchio.

Decenni per  tirarla sù, renderla più sicura, eliminare le bande di strada, convertirla al terziario, ai Casino, al turismo.  Un po’ di fantasia e ora  si vanno a visitare i Distretti, quelli con le memorie e gli edifici storici, come il Lafayette Park e  il Mies Van del Rohe…  e  tutto il resto che si è salvato dall’incuria e dalla desolazione ! Mid Town per fortuna è rimasta viva, ci sono ancora molti 02bp-hulkresidenti, i musei, i centri culturali e così la gente arriva. Alcuni sono di sicuro quelli del “Turismo post – catastrofi”, ma tanti   vengono per il Festival of Arts.

Poi quando nessuno ci credeva più, l’industria automobilistica ha un revival e fa un balzo in avanti!  Ford e General Motors si riprendono, Chrisler chiude il 2012 con un utile netto di un miliardo e mezzo di dollari! Forse se qualche anno ancora andrà bene, ricominceranno a pensare anche al grande sogno incompiuto di Ford, l’auto ecologica!

Ma nella disgrazia dei tempi qualcosa non ha conosciuto mai crisi: La musica e… la Pizza!Madonna

La musica ha dominato le notti di Detroit dagli anni ’40, con i locali “live” e i teatri… E chi suonava  o cantava  a Detroit  era già  un big o lo sarebbe diventato. Nel Blues degli anni ’40 c’è John Lee Hooke,  il Jazz invade tutta la città negli anni ’50.  Dal ’70 il Rock porta sui palchi Alice Cooper, Glen Frey, Bob Seger  mentre  i Kiss cantano”Detroit Rock City”.

Ed è sulla musica nera che  si forma Madonna che, solo a 19 anni, se ne andrà a New York… Ma a Detroit, intanto, nascerà la Techno Music e negli anni ’90 il “Garage Rock”… e poi verrà Eminem, il rapper che celebra Detroit nel film “8 Mile.” Festival, concerti, Music Conferences… Detroit è sempre in testa!

E la Pizza? Spessa, corposa e nel segno del formaggio, la Pizza comincia  a Detroit il suo cammino trionfale. Correva l’anno 1946 e Gus Guerra, un ristoratore di origini siciliane, si arrovellava il cervello in cerca di qualcosa di nuovo. Tutti  i ristoranti e i take – away sfornavano ” Fish and Chips” per i soldati che stavano tornando dalla guerra, ma Gus  capiva che lì c’era troppa concorrenza e quel piatto  di pesce e patatine fritte in fondo… Proprio non gli piaceva.” Ci pensò la nonna, siciliana verace, a risolvere il problema, -racconta Jack, il figlio di Gus.- Tirò fuori una ricetta per l’impasto e mostrò a mio padre come prepararlo. Lo ricoprì di formaggio e salsa di pomodoro…e Pizza fu! Una cosa allora quasi sconosciuta. C’era solo un altro ristorante che la preparava, ma era tonda. Mio padre la volle “quadrata” e  quello fu l’inizio della tipica Pizza di Detroit, quadrata, con la crosta spessa, ricoperta di formaggio e rifinita di salsa di pomodoro”. Col tempo la pizza si arricchì di varianti, con l’aggiunta di carni o di verdure a piacere, ma, con il sapore – ricordo, del “made in Sicilia,”la  “Detroit Pizza Style” è una delle più apprezzate negli States.

012112pizza2DETROIT PIZZA STYLE

INGREDIENTI: 1/3 di cucchiaino di lievito secco attivo, 3/4 di tazza di acqua calda,1 cucchiaino di sale,  1 cucchiaino di zucchero, 1 cucchiaino di basilico tritato fresco,un cucchiaino di origano, 2 spicchi di aglio tritati finemente, 1/2 cucchiaino di aneto, 3 tazze di farina, 1/2 cucchiaio di olio extra vergine di oliva, carni e verdure a scelta, 450 grammi di  pomodori  a pezzi, 450 grammi di mozzarella, olio extra vergine di oliva per ungere .

ATTREZZATURA: una grossa ciotola, un cucchiaio di legno, coltello e tagliere, una padella di ghisa, pellicola trasparente.

PREPARAZIONE: nella ciotola mettere il lievito e l’acqua e far riposare il composto per 5 minuti. Aggiungere il sale, lo zucchero, l’origano, il basilico, l’aglio e l’aneto e mescolare. Aggiungere a poco a poco la farina, mescolandola prima con il cucchiaio di legno e poi impastarla con le mani. In alternativa si può usare anche un miscelatore elettrico. Ricoprire l’impasto con un filo di olio e seguitare a impastare con le mani su un superficie liscia, finché l’impasto non diventa elastico. Riporre l’impasto nella ciotola lavata, ricoprirlo con  la pellicola e porlo in frigo per 24 ore.

Tolta l’impasto dal frigo deve seguitare a riposare per circa un’ora a temperatura ambiente, poi deve essere nuovamente impastato, ma con molta delicatezza per non rovinare l’effetto della lievitatura.

Distribuire l’impasto nella teglia di ghisa premendo con le mani nella sola parte centrale  e in modo irregolare così che, a cottura effettuata, la pizza abbia i bordi più alti e possa agevolmente contenere tutto gli ingredienti. Poi lasciare nuovamente riposare la pizza per circa due ore.

Cuocere la sola pasta in forno pre – riscaldato a 160° C per circa 12 minuti. Ritirarla dal forno e ricoprirla con gli ingredienti a piacere, carne o verdure, poi aggiungere il formaggio. Ricoprire ulteriormente con la salsa di pomodoro,ma solo nella parte centrale della pizza. Cuocere in forno per altri 20 minuti circa sino a quando il formaggio sia fuso.La pizza è pronta!

N.B. Nel tempo si sono aggiunte altri varianti: si può provare la ricetta con un mix di formaggi oppure se si vuole una crosta più spessa si può usare la farina integrale. Qualcuno aggiunge maionese all’impasto e qualcun’altro ancora spalma la pasta, prima della cottura con burro. A voi la scelta.

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Arancini di riso: Sicilia in bocca!

zafferanodef“Oltre la Persia dei Re, sui primi contrafforti calcarei delle montagne dell’Oxiana, cresce un piccolo bulbo, il Croco Sativo. Per tutta la ventosa primavera e per la secca estate non fa che vivacchiare…. Poi con le prime piogge d’autunno apre il suo fiore, a volte turchino, a volte violetto…E’ un fiore con cinque petali che si uniscono in un delicato calice; nel calice 4 lunghi stami, sottili come pagliuzze, maturano dal giallo acceso all’arancio…. Le ragazze dei villaggi   sparsi sull’altopiano intraprendono la raccolta dello zafferano, Zahfran, la chioma degli angeli.” (da “La Chioma Disadorna di Maurizio Maggiani,1999)

Head_PoetiCi pensavano poi i mercanti a smistare lo zafferano nei grandi centri commerciali del  Medio Oriente. Da lì finì per arrivare anche in  Sicilia dove, tutti i popoli che si sono succeduti, hanno contribuito ad arricchire la cucina di nuovi usi e di nuovi gusti. Quando arrivò lo zafferano, in Sicilia c’erano gli arabi che già avevano l’abitudine di accompagnare il loro pasto con il riso condito di verdure e carni. Gli Arabi erano veri cultori delle spezie che si procuravano soprattutto con i viaggi in India e in Cina e non tardarono quindi molto a a innamorarsi anche dello zafferano, che col suo colore dorato, riusciva a dare, al pallido riso, il senso della gioia e dell’allegria. C’è da dire che l’usanza si è mantenuta nei secoli perché anche oggi, in tutto il mondo  arabo, il riso è d’obbligo, soprattutto nel pasto di mezzogiorno.

Federico_II_di_SveviaQuando gli Arabi se ne andarono dalla Sicilia, cacciati dai Normanni, il riso arabo invece, che aveva già inventato gli “arancini,” quelle pallottoline allo zafferano ripiene di ogni ben di Dio, rimase in Sicilia, ben accolto da quei rudi mercenari Normanni estasiati dai colori e dalla varietà dei cibi. Col tempo  i Normanni si fecero più civili tanto che l’Imperatore Federico II, sotto il quale si erano riunificati i Regni di Germania, di Gerusalemme e di Sicilia, preferì di gran lunga rimanere nella raffinata Sicilia che andarsi a sprofondare nelle brume del Nord o negli aridi deserti. Tutto rifiorì sotto di lui, le arti, la poesia e…l’economia. Dopo quattro secoli si rivide  perfino in circolazione una vera moneta d’ oro!

E come svaghi di un tempo felice all’Imperatore piaceva andare in barca a recitare le sue poesie o cavalcare nei boschi per lunghe battute di caccia. Le assenze dalla corte potevano durare anche alcuni giorni e fu allora che i suoi cuochi progettarono un cibo da asporto, che si conservasse più a lungo e si potesse mangiare facilmente. Dato che all’imperatore piacevano tanto gli “Arancini”  si inventarono la panatura croccante, che impediva al riso di sgretolarsi e gli Arancini potevano quindi  essere mangiati anche senza piatti e posate.

Andrea Cammilleri  2Poi come tutte le cose belle, finì l’età dell’oro anche per la Sicilia, che seguitò a passare per lunghe e diverse dominazioni straniere senza trovare più pace, nemmeno, sembra, dopo la riconquistata Unità d’Italia! La cucina invece è sempre splendida e ha superato indenne tutte le tragedie che si sono abbattute sull’Isola. Quanto agli Arancini poi… Il Commissario Montalbano, l’investigatore di Vigata, creato dall’inesauribile fantasia di Camilleri, ha restituito loro, ammesso che ce ne fosse stato bisogno, una seconda vita, elevandoli a fama nazionale e internazionale. Montalbano è uno che sa mangiare e preferisce farlo preferibilmente da solo o per lo meno in silenzio, per non togliere nulla al piacere del cibo. Gli Arancini sono una delle sue più folli passioni e nel racconto “Gli arancini di Montalbano”  per essi rinuncia a un viaggio in Francia per andarli a mangiare, nel posto migliore della città, la casa della sua “cammarera” Adelina. Un’altra volta, ne “Il gioco degli specchi” si trascina, nella  piccola casa di Adelina, una signora della buona borghesia, per una memorabile abbuffata di arancini. “Ogni arancino era grosso quanto ‘n’arancia grossa. Per una pirsona  normale dù arancini avribbiro costituito ‘na cena perigliosamente abbundanti. Montalbano sinni sbafò quattro e mzzo…Le paroli che si scangiaro foro arridotte all’essenziale. Non era possibili ‘nfatti parlari. I sapori e l’odori dell’arancini erano tali che ognuno sinni stava a mangiari sopraffatto dall’estasi, l’occhi mezzi chiusi, un sorriseddro biato sopra alle fauci…”

montalbanoA un certo punto di una storia, Montalbano  che è un purista e un terribile esigente, denigrando quelli della nave, che traversa lo Stretto, esclama “Mica ti crederai  che sono gli arancini del traghetto !” Eppure lui non sa cosa può provare lo “straniero” che viene  fatto scendere  dal treno a Villa S. Giovanni. Assiste al povero treno fatto a pezzi, scomposto  in tanti vagoni  che a fatica, lentamente e sferragliando, vengono fatti salire sulla nave in tempi che, sembra, non  debbano mai  finire e intanto sta lì a chiedersi se riuscirà mai a sbarcare in terra di Sicilia. Poi all’improvviso e quasi per miracolo qualcuno ordina ai passeggeri di salire a bordo. E mentre la nave esce lentamente dal porto  si corre al bar e…ci sono gli arancini. Beh non saranno quelli di Montalbano, ma ti scaldano veramente il cuore mentre li assaggi e  non ti senti più straniero mentre stai finalmente per arrivare in uno dei più bei luoghi che lo spirito umano potesse inventare. Speriamo che non facciano mai il  Ponte sullo Stretto perché, in quel caso, addio arancini del traghetto!

Di Arancini ce ne sono tanti tipi, con la carne e senza la carne, col  prosciutto e la mozzarella, qualche volta con la besciamella, col sugo  e/o con lo zafferano …e non finisce quì. Quelli che mangia Montalbano sono della Sicilia Meridionale e chissà in quali varianti… Ma per andare sul sicuro e non fare un torto agli Arabi e Federico II,  la ricetta è quella più vicina a Palermo!

Piatto-pronto-forchetta-arance-piatto-calici_dettaglio_ricette_slider_grande3ARANCINI DI RISO

INGREDIENTI  PER IL RISO (per circa 15 arancini): 1 bustina di zafferano, 500 grammi di riso, 3 tuorli d’uovo, sale q.b., pecorino o parmigiano grattugiato 100 grammi,30 grammi di burro.

INGREDIENTI PER IL RIPIENO: sale q. b., pepe nero macinato q.b., 1/2 cipolla, 100 ml di vino rosso, 80 grammi di piselli freschi o pisellini “Primavera” surgelati, 40 grammi di concentrato di pomodoro, 100 grammi di scamorza fresca o mozzarella a dadini, 25 grammi di burro, 150 grammi di carne bovina tritata, 1 cucchiaio di olio extra vergine di oliva.

INGREDIENTI PER IMPANARE: pan grattato q.b.,2 uova.

INGREDIENTI PER FRIGGERE: olio extra vergine do oliva.

PREPARAZIONE: lessare il riso, lasciandolo al dente, in circa 1 litro di acqua, in modo che venga completamente assorbita e l’amido resti in pentola. Nel frattempo sciogliere lo zafferano nei tre tuorli d’uovo sbattuti. Unire il riso quando è cotto unitamente al formaggio grattugiato e al burro. Mescolare bene per amalgamare, poi stendere il riso su una superficie piana e farlo raffreddare.

In un tegame far soffriggere la cipolla tritata con 2 cucchiai d’olio e il burro,poi unire la carne macinata e farla rosolare a fiamma alta.quindi aggiungere il vino e sfumare.Versare sulla carne il concentrato di pomodoro diluito in un bicchiere d’acqua,aggiungere sale e pepe e far cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio.

In un altro tegame porre  i piselli con poca acqua e 1 cucchiaio di olio. Mentre i piselli cuociono accertarsi che l’acqua sia sufficiente e in caso contrario aggiungerla. Nel frattempo tagliare a cubetti la scamorza (o mozzarella).Quando i piselli sono cotti aggiungerli al ragù.

Dopo circa due ore,nelle quali il riso siè completamente freddato ,chiacciarne un po sulla mano un po’ concava in modo da poter appoggiare sul riso un cucchiaio circa di ragù e piselli, un po’di formaggio a tocchetti, poi richiudere con un altro strato di riso. L’arancino può essere modellato sia in forma completamente rotonda o a forma di pera. Proseguire allo stesso modo sino a esaurimento degli ingredienti.

Passare tutti gli arancini nelle uova sbattute e poi nel pan grattato.Friggerli in abbondante olio e in un  pentolino stretto dai bordi alti in modo che siano completamente coperti durante  la frittura. Scolarli su carta assorbente, quando appaiono dorati e servirli caldi.

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Moqueca de Peixe

VascodagamalandsatCalicutBahia, nel Nord Est del Brasile era una bella terra, tutta fiumi e foreste che arrivavano quasi a lambire le lunghe spiagge bianche. Da Bahia cominciò l’0ccupazione portoghese, quando Francisco Cabral approdò  nel 1500 nelle vicinanze di Porto Seguro. Peccato che per i Tupinanba che, in quella zona ci abitavano da più di 700 anni, di sicuro rimase  ben poco. Molti furono fatti schiavi, mentre altriimages morirono solo per il contatto col temibile uomo bianco, che trasmise loro terribili  e sconosciute malattie, come il raffreddore. Se avessero saputo che stavano arrivavando i portoghesi, forse  i nativi si sarebbero fatti un po’ di anticorpi…! A quelli che rimasero, poi, mandarono i Gesuiti a convertirli!

Ma sono stati proprio i Gesuiti, con i loro resoconti sempre a metà fra lo stupore e la pedanteria, a lasciarci qualche notizia  sui Tupinanba che oggi, ridotti a sole tremila persone, hanno persino dimenticato la lingua Tupi. Il resoconto più antico, trovato per caso mezzo ammuffito in un archivio portoghese, risale al 1554 ed è  francamente un pò horror!  Il gesuita, Padre Luis de Gra é spaventato  dagli indios ” Quì è l’inferno – scrive al re del Portogallo – Sono esseri maledetti, arrostiscono (moquecan) carne umana mescolata al pesce! E pensano che la nostra carne bianca sia una specialità! Per questo vi supplico di poter tornare in Portogallo prima possibile!”

Meno orrifica la descrizione di Padre Fernando Cardim che nel 1584  conferma l’uso delle griglia, ” Ci hanno dato la loro grigliata povera di pesci, ma con patate, patate dolci, mangara e altri frutti della terra…” Forse non erano così cattivi i Tupinanba! Pare infatti che il mangiar carne umana fosse limitato ai soli nemici morti in guerra.

C’è da dire che la grigliata antica poco ha a che fare con la Moqueca moderna, perché allora si trattava di “avvolgere i pesci con foglie di alberi o di piante erbacee e di metterle sotto la cenere calda,” secondo una cronaca del XVII secolo, mentre oggi e, chissà perchè, si è trasformata in uno stufato.  Forse tutto  ha a che fare con gli schiavi neri che i portoghesi, non a caso i maggiori trafficanti di schiavi dell’epoca, portarono in Brasile. La prima sosta era proprio a Bahia e molti li ci rimasero. Sembra che appunto gli africani fossero soliti chiamare “Mu’keka” uno stufato o zuppa di pesce, tipica della loro cucina. E, se questo piatto fosse un derivato dalla cucina indigena o una ricetta che avevano portato dall’Africa, non è facile assodare. In ogni caso,nell’attuale Moqueca c’è il pesce dei Tupinanba e lo stufato dei Neri.E poi si sa,il Brasile è il Paese dove tutto si mescola e, a volte, con risultati sorprendenti!

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A proposito “Moqueca,” secondo il dizionario è qualunque tipo di stufato a cottura lenta, quindi comprende anche  tutte le carni… ma il discorso ci porterebbe lontano ed è meglio  racchiudere l’argomento alla “Moqueca de peixe” che è già ambbastanza complicata… E come poteva essere diversamente, considerata la fantasia e lo spirito indipendente dei brasiliani? In ogni regione c’è un modo diverso di cucinare il pesce e diversi sono i pesci da sciegliere e le spezie da aggiungere. C’è poi anche da tener conto che, delle due più famose versioni, la Moqueca Capixaba o di Espirito Santo, influenzata dagli Indios, prevede l’aggiunta di Urucum, mentre quella di Bahia, più debitrice alle etnie africane, va giù forte con il peperoncino e il coriandolo. L’augurio per tutti? Riuscire a gustarle entrambe.

MOCHECA DE PEIXE BAHIANA (per 4 persone)img-moqueca_02

INGREDIENTI  PER IL PESCE: 800 grammi di pesce bianco a tranci come cernia, dentice, spigola; 400 grammi di frutti di mare come gamberi, calamari, cozze e vongole: 1 peperone verde senza semi tagliato e rondelle; 1 cipolla tagliata a rondelle; 2 pomodori rossi tagliati a rondelle; due spicchi d’aglio tritati; alcuni rametti di coriandolo o prezzemolo; 100 ml  di olio di palma; 100 ml di latte di cocco; 2 peperoncini freschi verdi o peperoncino secco; 1 pezzo di zenzero lungo 3 cm, fresco, sbucciato e tritato; 2 cucchiaini  di curcuma; 2 cucchiaini di paprika; sale.

INGREDIENTI PER IL RISO DI COCCO: 150 grammi di cocco fresco grattugiato che può essere anche quello che si trova in commercio secco purché non sia del tipo dolce; 5 tazze da te di riso di tipo patna, evitando in ogni caso tipi di riso profumati; sale; 10 tazze da te di acqua bollente:

INGREDIENTI PER IL PIRAO DE PEIXE:1 Kg di teste di pesce o pesce comune; un pomodoro tagliato a pezzi; 1 cipolla tagliata a pezzi; 1 mazzetto di prezzemolo; 1 1/2 litri di acqua; 2 spicchi d’aglio schiacciati; 3 cucciai di olio di oliva extra vergine; il succo di 1 limone; farina di manioca torrada; sale; 1 peperoncino fresco o secco.

PREPARAZIONE DELLA MOCHECA: In una padella larga sistemare  uno strato di pomodori, peperoni e cipolle, un successivo strato di pesce e frutti di mare, salare e aggiungere un poco di coriandolo o prezzemolo e aglio; poi spolverare con una parte di curcuma, zenzero, peperoncino e paprika. Ripetere  allo stesso modo per gli strati successivi sino a esaurimento degli ingredienti. In ultimo versare il latte di cocco e l’olio di palma.

Coprire e cuocere a fuoco alto fino al bollore, poi abbassare la fiamma e cuocere per altri 15 minuti senza mescolare.Aggiungere i gamberi e cuocere per altri 5 minuti.Quest’ultimo accorgimento è importante perché una cottura più lunga indurisce i gamberi.

SERVIRE BOLLENTE ACCOMPAGNANDOLO CON  RISO AL COCCO E PIRAO DE PEIXE

PREPARAZIONE DEL RISO AL COCCO: friggere il cocco nell’olio finché prenda un po’ di colore, aggiungere il riso e il sale e far tostare girando con un cucchiaio, aggiungere l’acqua bollente un poco alla volta,coprire abbassare la fiamma e attendere che tutta l’acqua sia stata assorbita.Spegnere il fuoco e attendere qualche minuto prima di srvire in accompagnamento alla Mocheca.

PREPARAZIONE DEL PIRAO DE PEIXE. bagnare il pesce con il succo di limone e lasciar riposare per alcuni minuti. In una pentola fae riscaldare l’olio e far prendere un leggerissimo colore all’aglio e alla cipolla poi aggiungere il pomodoro e il peperoncino. Aggiungere il pesce e friggere leggermente. Aggiugnere l’acqua,il prezzemolo e il sale e far bollire coperto a fuoco medio per circa 30 minuti. Quando il pesce è cotto scolare il brodo e poi rimetterlo sul fuoco aggiungendo la farina di manioca a poco a poco, al fine di non formare grumi. Mescolare sino a formare una crema non molto spessa e trasparente. Cucinare per altri 3 o 4 minuti e poi servire caldo  in accompagno alla Moqueca e al riso al cocco.

Bahia_Moqueca_5MOQUECA CAPIXABA o di ESPIRITO SANTO

Udite, udite! Questa è la ricetta di Dona Flor del romanzo di Jorge Amado dove la protagonista la descrive con dovizia di particolari e con continui nostalgici riferimenti al suo defunto marito. Quindi quanto ad autenticità fa sicuramente concorrenza alla ricetta di Bahia! Le principali differenze sono dovute al fatto che questa ricetta deve essere ofsqasassolutamente preparata in un tegame di terracotta di cui la città di Espirito Santo è grande produttrice, poi altro  aspetto importante sono le spezie, molto influenzate dalla cucina indigena e poco  da quella africana e infine l’olio extra vergine di oliva  come retaggio della cucina portoghese in sostituzione dell’olio di palma Concludendo, ad ognuno la sua Moqueca!

INGREDIENTI:  ( per 4 persone) 1Kg e 200 grammi di pesce ( cernia, dentice, spigola,orata), 1 mazzetto di coriandolo, 1 mazzo di cipollotti, 1 cipolla media, 3 spicchi di aglio, 4 pomodori rossi, chili, olio extra vergine di oliva, 3 cucchiai di urucum, olio di soia.

PREPARAZIONE: Squamare il pesce, togliere le interiora, passare sotto l’acqua fredda e poi tagliare a fette di 5 centimetri. Ricoprire con succo di limone e  lasciare riposare in un piatto coprendolo di acqua appena salata. Schiacciare l’aglio, tagliare la cipolla a grossi anelli cipolla,tritare il mazzetto di coriandolo tritato e il mazzetto di cipollotti e aggiungere il sale. Strofinare il fondo del tegame di terracotta con due cucchiai di olio di soia e 1 cucchiaio di olio extra vergine di oliva. Porre nel tegame una parte del trito di aglio, cipollotti, coriandolo e cipolla e porvi sopra il pesce scolato e poi ricominciare con il trito e successivamente con il pesce sino a esaurimento degli ingredienti. Irrorare con olio extra vergine di oliva e limone e lasciar riposare per circa 40 minuti. Far sciogliere in un poco di olio 3 cucchiai di urucum e versarlo sul pesce che si porrà subito a cuocere. Quando comincia il bollore, controllare  il sale e senza rigirare far cuocere a fuoco alto e a tegame scoperto per 20 minuti circa. Si abbina con riso bianco o porridge.

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Saint Louis Style Pizza

603px-Missouri_quarter,_reverse_side,_2003Lì convergevano, come fosse un cuore umano, le grandi vie di comunicazione fluviali  quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti centrali. E questo perchè é era proprio lì che  il Missouri va incontro al grande  Mississipi. Nella seconda metà  del 1700 Léclede, un commerciante di pellicce francese, aveva capito che quello era il punto strategico  più favorevole e che da lì si sarebbero potute spedire le merci in tutte le direzioni del Grande Paese. Certo, oggi che  la maggior parte dei trasporti via terra si fa con i tir e i treni, è difficile immaginare l’importanza della navigazione fluviale, che si perde nella notte dei tempi. Ma già in Europa, tanti secoli prima, aveva avuto la sua grande realizzazione nel sistema fluviale Reno Rodano Ticino, la cui sorgenti, situate a poca disatanza l’una dall’altra, avevano consentito l’interscambio delle merci in tutta l’ Euoropa, prima ancora che arrivassero i Romani a fare le strade.murphybuilding16

All’inizio Saint Louis, nonostante lo spirito commerciale che animava i suoi  fondatori, era una città raffinata, dalle eleganti costruzioni  per la borghesia emergente  e tale restò fino a quando, all’inizio dell’800, con un atto di vera e propria compravendita, -” il Louisiana Purchase”-  fra lo scandalo di tutti i penpensanti,  la Louisiana passò dai  francesi agli Stati Uniti d’America. Allora lo sviluppo in pochi anni divenne  frenetico e la città ne uscì trasformata. Grande stoccaggio delle merci, sedi delle  compagnie commerciali… e poi banche, le assicurazioni e infine le industrie, un crogiolo  insomma di quello che era il convulso, agitato sogno della  ricerca della  felicità. Saint Louis ne fu veramente un simbolo, un crocevia per tutti gli avventurieri in cerca di fortuna, ma anche un passaggio obbligato per le spedizioni scientifiche come quella di Lewis e Clark  nell’Oregon  e di Pike verso Santa Fé.

Poi  dalla seconda meta dell’800, le grandi migrazione dell’Europa  e la città divenne la nuova patria soprattutto  dei Tedeschi e degli Italiani. I primi  hanno caratterizzato  Saint Louis con una grande birra, la Budweiser che oggi è una prestigiosa multinazionale, ma non hanno mai dimenticato il loro luogo di origine, tanto che, negli anni 7o, l’originaria fabbrica  di Saint louis è entrata a far parte del Patrimonio Storico Nazionale. I secondi, gli Italiani, si sono invece imposti nel campo della cucina, portando due distinte tradizioni, quella del Nord Italia e  quella del Meridione. Erano così diversi  in tutto questi i immigrati  italiani che a lungo ebbero due diverse chiese.

Saint Ambrose Roman Catholic Church, in Saint Louis, Missouri, USAChe dire dell’inizio del ‘900?  La città era al top  della  notorietà e del prestigio quando fu scelta come sede della  Grande Fiera dove si svolsero i festeggiamenti per il centenario del “Louisiana Purchase” nel 1903 e i “Giochi olimpici del 1904, ma poi non resse molto e  verso la metà  degli anni ’50  conobbe un cambiamento  così profondo che fece pensare alla sua autodistruzione. Fu un fenomeno di dilatazione e di rarefazione in cui le attività produttive, i servizi e la popolazione cominciarono a distribuirsi nei dintorni, mentre nel centro abbandonato cresceva l’erba, il silenzio e  cominciava la lenta erosione degli edifici. Sembrava  qualcosa di irresistibile,di senza scampo, finchè con un colpo d’ala la città rinacque a nuova vita. Il miracolo si può chiamare Jefferson National Expansion Memorial . E’ vero che per costruire questo, che doveva essere il luogo delle memorie, furono rasi al suolo una  quarantina di i edidfici storici fra cui  la casa che ospitava una ditta di pellicce del 1818. Però quando il Gatevay Arch di Eero Saarinen nel 1962 vide finalmente la luce, la città acquistò un simbolo, ma soprattutto riacquistò consapevolezza di se stessa e cominciò a rivitalizzare il suo centro, a salvare quello che restava del suo ancora ricco patrimonio storico. Molto è stato fatto, ma tantissimo resta da fare prima che  alcuni storici e interessantissimi edifici fine ‘800, inizi ‘900 cadano a pezzi, come  il Murphy Building o il Majestic Theatre.3284170161_7bf3ee6ed0

Ma c’è un settore della città che non ha mai conosciuto crisi ma anzi ha prosperato, si è ingrandito e ha dato vita a nuove situazioni.  Stiamo parlando di  “The Hill”  la zona a sud ovest della città, dove alla fine dell’8oo si stabilirono  gli immigrati italiani per andare a lavorare nelle cave di argilla. Da lì non se ne sono più voluti andare e da recenti statistiche si calcola  che oggi sono i 2/3 degli abitantii. Solo che col tempo hanno cambiato mestiere e hanno trasformaro The Hill in una vera e propria industria del cibo.

Lì e tutto un susseguirsi di  ristoranti, panetterie, di cui nomi famosi sono, fra gli altri  Amighetti di Bakery, il negozio di alimentari di Viviano & Sons e la drogheria Di Gregorio che vende un particolarissimo tipo di formaggio ” Il Provel”:

Poi  per non perdere le  vecchie buone abitudini del paese, è emigrato anche il “Gioco delle bocce” che a “The Hill” ha due campi riservati.

A The Hill, fra i vari piatti della cucina italiana, ne preparano uno a cui è difficile sottrarsi. In realtà ormai, quello di cui stiamo parlando è solo un piatto di ispirazione italiana perché il contatto con l’America, terra di continue Hillbanner-1innovazioni, ha spinto proprio gli  Italo -Americani a fare qualcosa di nuovo  e di diverso, in un gioco di concorrenze e di fantasie che, dal 1964,  è riuscito a creare nuovi stili e nuovi sapori alla tradizionale “Pizza Napoletana”   :

Le punte dell’innovazione?  La prima é la pasta  senza lievito, (anche se qualcuno si impunta a mettercelo, ma si tratta di una devianza) che si presenta come una sottile crosta della consistenza di un cracker, in netta contrapposizione non solo  alla “Chicago deep dish pizza”che ha un alto strato di morbida pasta, ma anche alla “New York Pizza” che, pur avendo una base sottile, utilizza comunque il lievito.  Il formaggio Provel è la seconda caratteristica della pizza, un marchio registrato che si basa su un’ardita combinazione di Cheddar, Provolone e Groviera Svizzera. Volendo, nelle pizze casalinghe, si può ottenere  il sostituto del Provel anche mischiando i tre  formaggi base. Come  conseguenza il Provel ha quella di consentire tagli netti e “morsi puliti”, al contrario delle pizze realizzate con la mozzarella, che si lasciano sempre dietro lo strascico filante. La terza caratteristica della pizza  è la sua presentazione, attraverso un taglio realizzato a quadrati, in sostituzione ai tradizionali spicchi con cui la pizza viene  presentata in America.4027831651_af76fd0231_b

SAINT LOUIS STYLE PIZZA

INGREDIENTI ( Per 2 pizze): 250 grammi di salsa di pomodoro, 3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 2 cucchiai di basilico fresco tritato, 2 cucchiaini di origano essiccato, 3 tazze di formaggio Provel, 3 gocce di salsa Liquid Smoke, 2 tazze di farina, 2 cucchiai di amido di mais, 2 cucchiaini di zucchero, 1 cucchiaino di sale, 1/2 tazza d’acqua più 2 cucchiai,2 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 400 grammi di peperoni tagliati a listarelle. (una tazza corrisponde a circa 200 grammi  di alimento solido  o 2 decilitri di acqua)

PREPARAZIONE: unire la salsa di pomodoro, il concentrato di pomodoro, il basilico, lo zucchero e l’origano in  una  ciotola e mettere da parte. Mettere il formaggio in una ciotola unitamente alla salsa liquide fume e mettere da parte.

In una ciotola grande unire la farina, l’amido di mais, l’acqua e il sale. Mescolare gli ingredienti  fino a che siano ben amalgamati. Poi lavorare l’impasto su una superficie infarinata fino ad ottenere un impasto omogeneo.

Scaldare il forno a 250°C. Dividere la pasta in due parti uguali e lavorarne un pezzo per volta premendola sino a dargli una forma rotonda di circa 30 centimetri di diametro e porre la pizza nella teglia. Ricoprire la pizza con metà della salsa, metà dei peperoni già passati per 2 minuti al microonde e metà del formaggio. Cuocere per circa 10 – 12 minuti finchè la superfice diventi dorata. Ripetere lo stesso procedimento per preparare la seconda pizza.

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