Dobos… Una torta dall’ Ungheria, per il giramondo Robert Capa !

Nel 1920  c’era già  clima di restaurazione. Una monarchia delegittimata  tornava  a sedere sul trono d’Ungheria e il Governo provvisorio era guidato dal conservatoreo Horthy…  E poichè spesso niente è più duraturo del provvisorio, lui   ebbe molto tempo per  imprimere il pugno  della   reazione contro tutti quelli che   si impegnavano per un’ impossibile democrazia. Rischiò di cadere nella trappola un giovane di sinistra, di origini ebree che trovò opportuno rifugiarsi in  in fretta a Berlino. Sperava di poter scrivere, ma trovò  da fare solo il fattorino per un’agenzia fotografica… Qualcuno si accorse che era dotato e cominciarono ad affidargli qualche servizio… Una volta lo mandarono anche all’estero… Ma mentre   Endre Ernő Friedmann affrontava il suo noviziato, l’ascesa di Hitler era diventata irresistibile…

Iniziato così male quel funesto anno 1933,  Il giovane Friedmann scappò a Parigi…  La vita degli esuli e dei fuggitivi raramente è facile, per lui fu difficile fare il lavoro free lance…  Ma Parigi almeno un pò di magia, in fondo non la fa mancare a nessuno,  e a lui  fece incontrare l’amore… Una giovane fotoreporter anche lei in fuga dalla Germania… Una vampata d’amore, giovane, allegra e spensierata..Ma un  sentimento così  forte che,  quando lui morì, più di20 anni dopo nel portafogli   aveva ancora la foto di quella  scatenata, bellissima ragazza che era passata nella sua vita come una meteora. Visto che il lavoro non arrivava fu lei, Gerda Taro  a convincerlo a inviare ai giornali, le foto di Friedmann,  facendole passare per quelle di un fantomatico e famoso  fotografo…  Robert Capa, nome un pò esotico e un po’più comprensibile, che provocò una favorevole  assonanza con il nome del famoso regista Frank Capra…

Quando scoppiò la guerra di Spagna partirono insieme con la voglia di documentare il riscatto della Repubblica…E un modo nuovo di rappresentare la guerra… Raramente una guerra era stata prima documentata nelle sue mille sfaccettature e così dal centro della linea di fuoco. Lavoravano fianco a fianco, insoliti reporter di guerra che prendevano immagini doppie, dai loro  rispettivi punti di vista, con l’occhio  sempre più attento e partecipe alla disperazione del popolo, al pianto di un bambino, alle madri in fuga.. Nel 1936, Capa diviene famoso in tutto il mondo per la  foto  del soldato colpito a morte da un proiettile  franchista. . . Fu pubblicata,  sulla rivista VU, poi su Life, sulPicture Post e poi migliaia di altre volte. Il soldato  in primo piano    che cade col le braccia spalancate e il fucile ancora in mano, fa capire a quale distanza ravvicinata dalla battaglia  fosse Robert Capa mentre scattava… Provarono a contestargli la foto, parlarono di scena preparata ad  arte e lui rispose amaramente “Per scattare foto in Spagna non servono trucchi, non occorre mettere in posa. Le immagini sono lì, basta scattarle. La miglior foto, la miglior propaganda, è la verità.”

Lei era nota fra i soldati … aveva una bellezza e una  simpatia che non  passavano  inosservate… E se la ritrovavano sempre in prima linea … Quello della battaglia di Brunette fu per lei un reportage eccezionale… Fotografò  tutto dal principio alla fine.  Pareva che i repubblicani potessero vincere …E poi invece dovettero scappare sotto il fuoco di un bombardamento eccezionale…. Gerda era sul predellino di un ‘auto, un carro armato nel fare retromarcia la fece a pezzi… Capa quei giorni  era a Parigi a portare foto alle Agenzie…

Nel 1938 alcuni tra i loro scatti più commoventi furono riuniti nel volume “Death in the Making”… Lui l ‘avrebbe voluta sposare e questa  fu invece l’unica cosa…

Da quel momento fu senza pace e prese a rincorrere le guerre… Che  allora non mancavano… Andò a cercare il conflitto Cino Giapponese… Quel preludio di seconda guerra mondiale…  Ma tornò in Spagna per fotografare la disperazione della resa di Barcellona… Poi, quando arrivò il 1939 scappo’ dall’Europa… Hitler avanzava e lui non aveva più spazi per sfuggirlo. Molte  foto   della Guerra civile spagnola forse le lasciò a Parigi,comunque sembravano perse per sempre e invece  riemersero come  nella soluzione di un intrigo internazionale a Città del Messico in quella che é diventata la leggendaria “Valigia Messicana” nello stesso ordine in cui le aveva riposte Capa.

La seconda guerra mondiale … Niente sembrava fermarlo. Veniva dalla Tunisia e sulla Sicilia  discese in paracadute, ma finì su un albero e ci restò una notte e un giorno…  Ma il  reportage dello   sbarco Anglo – Americano i fu eccezionale  Dalla Sicilia  comincerà ascrivere   “Slightly out of focus”  il suo diario di guerra dal 1942 al 1945…Una soggettiva incisiva per raccontare il vuoto e l’angoscia dei combattimenti… Non amava la guerra, ma  non poteva nemmeno a starne lontano…«Eravamo alla periferia di Palermo…   La jeep che mi ospitava, seguiva i primi carri della seconda divisione corazzata… La strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a “Brook-a-leen” … A Troina, nell’interno dell’isola  scatterà una delle foto più famose della guerra… Il vecchio contadino che indica col bastone  la strada al soldato americano accovacciato. Lui sa che sta facendo buone, semplici foto, ma il dolore   non gli dà tregua.. “Ci eravamo distesi per terra nella piccola piazza del paese, di fronte alla chiesa, stanchi e disgustati. Pensavo che non avesse alcun senso questo combattere, morire e fare foto”… Ma seguiterà lo stesso a risalire l’Europa sino allo sbarco in Normandia, uno dei più sanguinari e martoriati episodi della guerra dove i soldati per ore vennero falcidiati appena arrivavano sulla spiaggia… Lui  scende dal mezzo anfibio con l’acqua alle ginocchia traballando  squilibrato sotto il  peso delle macchine fotografiche e in quell’inferno riesce a scattare più di 100 foto che poi corre a  consegnarle a un motociclista  già pronto che le porterà a stampare… Se ne salveranno solo 11 di quello che fu uno dei momenti più drammatici e cruenti del secolo… Sbagliano l’essicatura dei negativi e le  poche salvate, sono fuori fuoco… Cercheranno di difendersi … Al fotografo tremavano le mani per la paura… Anche se la verità venne subito fuori avevano distrutto uno dei più importanti documenti della storia.

Parigi nel primo dopoguerra sembra, nonostante tutto, il ritorno al Paradiso. All’hotel Ritz  c’è quella bellissima attrice che è venuta a portare conforto alle truppe … Quando torna in America, Ingrid Bergman si trascina dietro Robert Capa… Ha una piccola bambina, ma  è pronta a lasciare il marito… e sul set di Notorius  cerca di convincere Capa a fermarsi, lavorare in un Agenzia a Hollywood, sposarsi… Hitchcock  osserva divertito  e sornione quello strano “dietro le quinte…”  Li riproporrà entrambi come  interpreti de “La finestra sul cortile”… Ma se il finale del film rimane un po’ dubbioso, la scelta di Capa è chiarissima…La bella attrice non ha niente del fascino scapigliato e  generoso  di Gerda e la vita  in un’ Agenzia  lo fa solo ridere… Piuttosto se ne andrà  in Turchia… e poi col suo amico John Steinbeck in Russia… faranno un bellissimo lavoro su quel pianeta contadino ancora sconosciuto ai più…

Temerario e senza paura lo era sempre stato…  In Indocina nel 1954, di ritorno ad Hanoi,  dopo una missione riuscita al seguito delle truppe francesi, si allontanò dal gruppo e salì su un terrapieno…  Voleva fotografare una colonna in avanzamento sulla radura. Non poteva sapere che stava poggiando i piedi sopra una mina… Si salvò poco a parte quella foto di Gerda…

Girò tutto il mondo e non si fermò a lungo da nessuna parte…In fondo l’unica patria che ebbe fu l’Ungheria da dove forse non si sarebbe mai mosso senza quell’opprimente regime… Buon ritornoa casa Robert Capa, con la rorta più famosa di Budaperst che faceva impazzire anche l la principessa Sissi che ne era  così ghiotta che spesso lasciava in gran segreto il Palazzo Reale di Buda ed entrava tutta trafelata al Caffè Ruszwurm..

 TORTA DOBOSTorta-Dobos

INGREDIENTI per circa 12 persone:

Per i dischi di pasta:

 350 gr. tuorli d’uovo
235 gr. di zucchero
10 ml estratto di vaniglia
350 gr. farina 00
525 gr. albumi d’uovo
7 gr. sale
175 gr. zucchero semolato

Per lo sciroppo :

500 gr. di zucchero
500 gr. di acqua
la buccia di un’arancia ed un limone
100 gr. di rum scuro

Per la crema di burro al cioccolato:

500 gr. zucchero
250 gr. albumi
750 gr. burro in pezzi, ammorbidito
10 ml. estratto di vaniglia
300 gr. di cioccolato fondente

Decorazioni in caramello e altro

500 gr. zucchero
190 gr. acqua
1 pizzico di cremore di tartaro, 30 grammi di mandorle tritate

PREPARAZIONE DELLE TEGLIE:

Dovrete ricavare,secondo le modalità appresso specificate 9  dischi di pasta. Ogni   disco sara’ cotto direttamente su placche  da forno del diametro di circa 20 cm, rivestiti  di fogli di carta da forno ricavati da un rotolo, di  un diametro leggermente inferiore della placca
Ungete leggermente la parte centrale di ogni placca, poggiarci sopra uno dei fogli preparati,
Ungere leggermente anche l’interno del cerchio
Preparare tante teglie quante il forno puo’  accoglierne e ripetete l’operazione per quante volte è necessario.

PREPARAZIONE DELLO SCIROPPO
Unire lo zucchero, l’acqua e le bucce di arancia e limone e portare ad ebollizione. Far bollire per qualche minuto. Lasciar raffreddare ed aggiungere il rum

PREPARAZIONE DEI DISCHI DI PASTA
Pre-riscaldare il fondo a 190º
Misurare accuratamente gli ingredienti.
Unite i tuorli d’uovo e lo zucchero in una ciotola di metallo, posta al di sopra di una pentola contente acqua in ebollizione. Mescolare velocemente con una frusta fino a quando la temperatura del composto raggiunge 43ºC.
Trasferire la pentola e la ciotola sul piano di lavoro, battete il composto con una frusta elettrica fino diventi soffice e di   colore giallo pallido.  Si consiglia il procedimento a  caldo,  per ottenere un  composto più spumoso.
Aggiungete alle uova l’estratto di vaniglia, amalgamandolo al composto con un cucchiaio di legno.
Incorporate la farina setacciata, mescolando delicatamente con un cucchiaio di legno  senza   “sgonfiare” la spuma.  In una ciotola di metallo  montate gli albumi col sale a neve ferma e aggiungete lo zucchero poco alla volta, continuando a montare per ottenere un compostolucida e compatta. Incorporate ¼ dell’albume al composto precedente, utilizzando preferibilmente un cucchiaio di legno, con un movimento circolare dal fondo della ciotola verso l’alto. Il composto risultera’ notevolmente ammorbidito.
Incorporate gradualmente tutt o l’albume, con lo stessa tecnica e con molta delicatezza.

FORMAZIONE DEI DISCHI
Servendosi di un porzionatore per gelati, depositare 4 porzioni (rase) di impasto al centro di ogni cerchio di carta forno.
Con il dorso del porzionatore, ed un movimento circolare, distribuire l’impasto uniformente fino ad un centimetro dal perimetro tracciato.
Spingete l’impasto fino ai bordi aiutandosi con una spatola.
Livellate delicataente l’impasto con la spatola ed infornare immediatamente sul ripiano centrale del forno.
Formate il secondo disco di pasta
Spostate il primo disco di pasta al ripiano inferiore del forno
Infornate il secondo disco sul ripiano centrale
Formae il terzo disco di pasta
Spostate il primo disco di pasta sul ripiano superiore del forno e il secondo disco sul ripiano inferiore del forno.
Infornate il terzo disco sul ripiano centrale del forno.
Ripetete la sequenza di cottura per tutti i dischi di pasta ottenuti.
Considerata la temperatura del forno e lo spessore dei dischi, la cottura e’ piuttosto veloce (6 minuti circa) ed e’ necessario controllare con attenzione.
Mano mano che i dischi son pronti poggiateli l’uno sull’altro e farli raffreddare.

PREPARAZIONE DELLA CREMA DI BURRO AL CIOCCOLATO
 
Versate gli albumi e lo zucchero nella ciotola di metallo del mixer e ponrtela su una pentola con acqua in ebollizione a fiamma media.
Mescolate continuamente con una frusta fino a che il composto raggiunga 70ºC
Rimuovete la ciotola dal fuoco e posizionatela nel mixer
Battete a velocita’ media con l’accessorio frusta, montando a neve ferma ma non asciutta
Gradualmente aggiungete lo zucchero, continuando a montare, fino a completo raffreddamento del composto. La meringa, dovra’ risultare gonfia, lucida e mantenere la forma se lasciata cadere da un cucchiaio. Se necessario porre per alcuni minuti in frigo.
Aggiungete il burro, qualche pezzetto per volta, fino ad incorporarlo tutto.
Aggiungete il cioccolato fuso e la vaniglia ed incorporarlo alla crema.
Se dovesse passare molto tempo dalla preparazione della crema alla composizione del dolce, e’ opportuno porrre in frigo la crema e riportarla a temperatura ambiente prima di usarla.

COMPOSIZIONE

Spalmate un po’ di crema su una base di cartone per dolci dello stesso diametro dei dischi di pasta ed adagiarvi il primo disco.
Con un pennello da cucina, intinto nello sciroppo, inumidite il disco di pasta soprattutto lungo il bordo che risulta piu’ asciutto.
Con la tasca da pasticciere ed una punta tonda media, spremete la crema lungo il perimetro del disco
Mettere un paio di cucchiaiate di crema al centro del disco e livellate con un a spatolaSovrapporre il secondo disco e farcire come spiegato prima.
Ripetete il procedimento di farcitura, sovrapponendo 9 dischi di pasta.
Coprite la superfice del dolce con la stessa crema di burro, livellandola con la spatola e lasciando che scenda fuori dal bordo della torta. Sempre con la spatola, spalmare un po’ di crema sui lati della torta, facendo pressione per riempire eventuali spazi fra gli strati

 Se si desidera, si possono rigare i lati utilizzando l’apposito “pettine”
Decorate tutt’attornola base della torta con un nastro di mandorle in scaglie o nocciole tritate.
Trasferire sul piatto di portata e decorare con le formine di caramello

  DECORAZIONI DI CARAMELLO

Versate il caramello preparato come  di seguito sul migliore dei dischi di pasta savoiarda  posto su una graticola o in qualche modo rialzato. Lavorando velocemente, il caramello va spalmato con una spatola coprendo anche i bordi del disco. Prima che si raffreddi completamente, con un coltello a lama lunga bagnato, incidere la superfice caramellata come per dividere la torta in spicchi.  Cuocere lo zucchero con l’acqua a fuoco medio, in un pentolino dal fondo spesso, mescolando continuamente fino a che lo zucchero si sciolga. A quel punto, inserire un termometro e lasciar cuocere senza mai mescolare. Di tanto in tanto “pulire” le pareti del pentolino con un pennello bagnato ma non grondante d’acqua.
Appena lo sciroppo raggiunge 150ºC spegnere la fiamma. Lo sciroppo continuera’ a cuocere per un po’.
Trasferire sul piatto di portata e decorare con le formine di caramello
Per i triangoli che compongono la decorazione della parte superiore, tracciare su un pezzo di cartone, un cerchio delle stesse dimensioni dei dischi di pan di spagna, ritagliarlo e poi dividerlo in 8 spicchi. Rivestire ogni spicchio con foglio d’alluminio.
Per i mezzi anelli laterali, rivestire di foglio di alluminio delle forme concave (in questo caso mezzi tubi di plastica, normalmente usati per tenere in forma fiori di glassa reale fatti con la tasca da pasticciere)
Bagnate un pezzo di carta da cucina con un po’ d’olio ed ungere tutte le forme. Con un pezzo di carta da cucina pulito, ripassare ogni pezzo per eliminare eccessi d’unto.
Preparate il caramello come indicato
Prelevando il caramello a cucchiaiate direttamente dalla pentola, farlo scendere in fili sulle forme preparate, con veloci movimenti di polso. Piu’ distante e’ il cucchiaio dalle forme, piu’ sottili saranno i fili.
Lasciar indurire e poi rimuovetele gentilmente dalle forme, sono piuttosto fragili.

Un’aragosta di Monterey per John Steinbeck

“…Da parte nostra, abbiamo denunciato, vituperato, celebrato e mentito a proposito di aspetti e sfaccettature del nostro paese e dei nostri cittadini…   Sotto l’impulso urgente di indagare sul mondo, al di là di innocui  stereotipi e scortesie, per compiere una disamina accorata… Ispirata da curiosità, impazienza, un po’ di rabbia, e un amore appassionato per l’America, l’idea  e il mistero”.   Una confessione, quasi un testamento  l’indagine  con cui John Steinbeck conclude  il suo ultimo lavoro… “L’America e gli americani”, iniziato come un reportage  sull’ attualità degli anni 60 che finisce  inevitabilmente in cerca dei  solchi del passato… Comincia dal mare l’avventura americana di John Steinbeck, quando il pirata Morgan al soldo della Regina di Inghilterra, prende possesso della città di Panama… Ma non sarà una conquista…La Santa Rossa, la bellissima signora  che Morgan non riuscirà a possedere, è il primo simbolo della complessa  realtà americana  che sfugge persino alla sua identificazione… “Un caleidoscopio non facile da accettare, ma terribilmente affascinante”.

Come Morgan il giovane Steinbeck era insoddisfatto e in cerca di qualcosa…  Non solo  ansia  di conquista ma voglia  di spingersi oltre… soddisfare e ricreare continuamente l’inquietudine   in cui non ci poteva e non ci doveva essere posto per la pace. “… Una delle definizioni che più ricorrono a proposito di noi americani è che siamo gente sempre insoddisfatta, che non ama fermarsi, che è alla perenne ricerca di qualche cosa. In effetti dedichiamo la vita alla ricerca della sicurezza e la odiamo quando l’ abbiamo conquistata”…

I suoi genitori non erano ricchi, ma un avvenire tranquillo glielo volevano assicurare… Il padre era il tesoriere della Contea di Monterey e aveva il suo negozio di granaglie a Salinas… Una casa dignitosa   ancora vittoriana con la torretta a “cappello di strega”.

Sua madre in quel figlio aveva riposto tutte le sue ambizioni frustrate, di insegnante ritirata  per motivi di famiglia… C’erano altre sorelle oltre John… Ma quando quel ragazzino quattordicennne si chiudeva scontrosamente nella sua stanza per scrivere, la madre ne era felice… Non sapeva quanto difficile e sbandata sarebbe stata la via della letteratura per John…Inaspettatamente appena finita l’High Scool, sembrava che tutti i suoi interessi fossero diventati chimici, perché andò  a fare analisi presso uno zuccherificio… Allora i genitori lo iscrissero a Stanford,  l’Università più trendy di tutta la California, a studiare biologia…   Si disinteressò presto…  Anche Morgan   una volta conquistata la favolosa e imprendibile Panama,  sognata per anni,  cominciò  subito a correre dietro a un altro sogno…Di esami a Stanford nemmeno a parlarne, però scriveva molto senza che nessuno gli pubblicasse niente… Quando lasciò l’università aveva ventitre anni, niente laurea e e neanche un dollaro…    Andò a fare il pescatore alla baia di Monterey… Gli piaceva andare per mare e forse  sarebbe  rimasto volentieri lì … Invece andò a New York…  L’America è il paese di quelli che per un motivo o senza motivo, vanno… Come in un imperativo  categorico.  Fra i  Carpetbaggers e Kerouac  John Steinbeck stava quasi in mezzo… A New York ci provò seriamente a fare il giornalista e non ci riuscì… Tuttavia  diventò sterratore … Proprio allora stavano costruendo il Madison Square Garden…   E quando del  sogno  gli rimase veramente  poco, si decise a tornare verso casa un anno dopo…  Per sdrammatizzare  il ricordo, ci scrisse sopra anche un  racconto ironico… “Come si diventa Newyorkesi”

In mezzo ai monti che lo circondano da ogni lato, il lago Tahoe è famoso per la chiarezza delle sue acque…  John Steinbeck riuscì a depositare qui la sua rabbia dopo l’insuccesso di New York…  Trovò lavoro come custode di una residenza estiva… Lunghi mesi  di tempo libero…Guardava il  lago e scriveva…    Nell’agosto del 1929 pubblicò il suo primo romanzo Cup of Gold,  “La santa Rossa”,  due mesi prima del “giovedì nero” di Wall Street .. Schiacciato dalla crisi il libro vendette solo 15 copie… Decisamente non fu un successo…

E non lo furono nemmeno i “Pascoli del Cielo” e “Al Dio Sconosciuto” …  Sono storie troppo piene di dolore. La California di Steinbeck  è  luogo di  bellezza misteriosa ma  denso  di sortilegi e di ataviche maledizioni… Nelle  disperazione dei dannati della  valle e nel  panteismo  di Joseph che si  immola al Dio sconosciuto,  il giovane Steinbeck comincia l’opera  distruttiva  del mito americano …

 Il successo pieno e totale arriva  con Pian della Tortilla . E’ un libro scanzonato, tenero e picaresco. Gli ultimi discendenti dei veri californiani, coloro che hanno nelle vene sangue spagnolo, messicano, indio e caucasico, i paisanos, vivono felici e allegri alle spalle di Danny che ha ereditato una vecchia  casa assai malconcia. E’ un mondo di  piccoli  espedienti, piccoli reati, nessun lavoro e tanta baldoria. L’altra faccia dell’America ricca e operosa, posta  ai margini e nel disprezzo della collettività. Invece una volta  trascinati nel romanzo  di Steinbeck diventano personaggi  di fama e chi  li evitava ora li esalta e ci si diverte… Steinbeck si arrabbia “Ho scritto queste storie perché sono storie vere e perché mi piacevano. Ma le sentine della letteratura hanno considerato i miei personaggi con la stupidità delle duchesse che si divertono con i contadini e li compiangono… Se ho causato loro dei torti raccontando qualcosa delle loro storie, me ne dispiace. Ciò non avverrà più. Addio Monte!”

Nei libri successivi non ci sarà più possibilità di equivoci…  La denuncia e la rabbia di Steibenck esploderanno nel cuore della crisi americana. “La Battaglia” è uno sciopero agricolo e drammatico, guidato da un giovane Jim Nolan che vi perde la vita,  l’ entusiasmo e i suoi ideali sociali. “Uomini e topi” è la denuncia  schiacciante dell’intolleranza nei confronti del “diverso”, ma è anche una poetica storia di amicizia e di solidarietà  fra George, giovane   manovale di campagna, e Lennie, un gigante con un cervello da bambino. L’atto finale quando George uccide Lennie per sottrarlo al linciaggio  e alla vendetta, ha la disperazione  di una tragedia greca in un mondo cupo dove non c’è più speranza. Steinbeck verso la  strada del successo con la sua prosa limpida ed elegiaca è la punta massima de i drammi sociali, colui che scopre l’amaro calice degli immigrati e degli sradicati, dei lavoratori  sfruttati e senza voce.  Nessuno si era mai permesso  di  parlare così della terra promessa  degli emigranti del vecchio continente.

La Route 66 è la vera protagonista di “Furore”, questa strada che aveva attraversato  tutta l’America piena di baldanza a seguire  la frontiera  che si spostava sempre più avanti, nella conquista del West… Adesso è diventata la strada di questa migrazione biblica, dei disgraziati che vanno ad ovest in cerca di una  improbabile salvezza. La famiglia Joad e la sua  dispersione, il linguaggio a tratti elevato che si alterna al dialetto  degli agricoltori dell’Oklahoma, diventano per  Steinbeck gli strumenti di una spietata analisi   della società,  delle ingiustizie e dello sfruttamento delle masse proletarie…

Molto tempo dopo fu lecito a tutti dimenticarsi di Steinbeck. Il suo sembrava  un mondo  irreale. .. Drammi che erano ignoti alle generazioni  nate e cresciute dopo la seconda guerra mondiale, avvolte nel benessere e nell’ignaro consumo… Anche Steinbeck negli anni ’60 aveva perso la sua grinta rivoluzionaria  quasi assopito nella nuova società opulenta… Il suo libro più famoso del dopoguerra, “La Valle dell’Eden” era un dramma familiare, intimista… Il Nobel  arrivò tardi, quando lui nemmeno andava più di moda e, nonostante le lodi accademiche si finiva per pensare a Steinbeck con un certo distacco…

Fino al brusco risveglio di tutto il mondo occidentale,  improvvisamente perso in una crisi senza limiti e quasi senza tempo… Suicidi e disperazioni di un’intera classe che precipita nella povertà…I visi amorfi dei giovani senza lavoro… Eppure nella sua disperazione Steinbeck la via d’uscita l’aveva trovata… L’aveva trovata nel valore della “solidarietà” fra gli uomini, come forza per traghettare verso la speranza … E’ ancora lì la soluzione, basta rileggere  le ultime righe di “Furore”  quando uno dei personaggi  emerge con  un gesto di generosità ingenua e sconfinata che fa riflettere… Non sempre le avversità riportano l’uomo allo stato selvaggio e alla cattiveria  hobbesiana,  a volte, al contrario,  possono condurci a un diverso e più alto livello di salvezza.

Alla California di Steinbeck, una delle prime che sta  allontanando coraggiosamente da sé il fantasma della crisi, vogliamo dedicare un piatto semplice e ricco assieme, ricordo del grande mare  su cui andava a pescare il suo figlio più irrequieto e sensibile…

ARAGOSTA ALLA CALIFORNIANAaragosta-alla-californiana-tuttacronaca.jpg

INGREDIENTI per 4 persone: 2 aragoste  da circa 700 grammi ciascuna, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1/2 bicchiere di cognac o brandy, 1 cipolla, 2 pomodori rossi, sale e pepe a piacere, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 20 grammi di burro,1 spicchio d’aglio.

PREPARAZIONE: lavate le aragoste sotto l’acqua corrente, poi staccate la testa e  tagliate il corpo a medaglioni seguendo le linee  della corazza. Mettete una pirofila sul fuoco con l’olio in cui farete rosolare l’aglio intero e appena dorato aggiungete i medaglioni di aragosta facendoli rosolare fin quando il guscio diventa rosso. Bagnate col cognac e poi lasciate evaporare. Subito dopo aggiungete la cipolla affettata e i pomodori  a pezzi, privati dei semi. Aggiustate di sale e pepe, bagnate col vino bianco e spolverizzate con una parte del prezzemolo. Mettete nel forno già scaldato a 180°C per circa 20 minuti, estraete dal fuoco le aragoste ed eliminate i gusci. Raccogliete in una casseruolina il sugo rimasto nella pirofila, unitevi il burro, mettetelo sul fuoco per pochi minuti, quindi versate la salsa sui medaglioni, spolverizzate con il restante prezzemolo e servite.


 

A colazione da Sherlock Holmes con il Kedgeree…

Che cosa non sono capaci di inventarsi due  ragazzine  che tornano a casa in ritardo con i vestiti bagnati ! Quella volta Frances ed Elsie superarono se stesse…. “Si erano sporte troppo ed erano scivolate nel ruscello mentre guardavano le fate..”. Visto che i genitori le guardavano allibite, per essere  credute si dovettero “sporgere” ancora di più… Ed Elsie chiese in prestito la macchina fotografica del padre… Quando tornarono dal fiume la seconda volta avevano scattato una foto sensazionale, in cui appariva Frances circondata da 4  fate  danzanti… Qualche mese dopo Elsie fu  fotografata in un prato mentre stava conversando con un  folletto alato. Dopo un certo intervallo le foto diventarono 5. Le creature del bosco, non c’è che dire  erano deliziose, e le due ragazzine  ingenue  avevano tutto l’aspetto della verità,  anche se  le fatine somigliavano  un po’  a quelle  dei  libri illustrati  per bambini… Scoppiò in tutta l’Inghilterra il caso di “Cottingley Glen” con le opposte fazioni scese in campo., una che ci rideva su e l’altra che sognava…

Per stabilire la verità fu interessato  anche Sir Arthur Conan Doyle, autorità in campo investigativo per molti,  esperto di fotografia, secondo lui…  Aveva esaminato le  foto senza trovare nessun sintomo di trucco o di doppia esposizione… Arthur Conan Doyle, l’uomo del giallo deduttivo, nel 1920 alla faccenda  dedicò   anche un saggio, “Il ritorno delle fate”,  che lasciò perplessa parecchia gente, anche se lui, per essere più convincente aveva fatto i suoi riscontri  applicando l’infallibile  metodo di Sherlock Olmes…  E fece un errore, perchè  avrebbe dovuto chiamarlo direttamente Sherlock Holmes, che gli avrebbe con facilità spiegato che  le fate  erano semplici ritagli di carta, retti da bastoncini durante gli scatti. Anche un cretino l’avrebbe capito…

Il fatto era che il grande scrittore  era un pò geloso di Holmes…  Aveva troppo successo, troppo prestigio, troppa fama… E dire che per dargli quel forte istinto  da detective si era ispirato  al famoso chirurgo Josep Bell, l’uomo che più aveva ammirato e con cui lui aveva fatto il suo tirocinio di medico… Già perché Sir Arthur la laurea in medicina l’aveva presa con tutti gli onori… e ciò gli aveva consentito di diventare l’assistente del brillante e freddo dottor Bell, famoso per il suo metodo scientifico e le sue abilità deduttive…  “Certo, voi siete un militare, e più precisamente un sottufficiale”, aveva detto  un giorno ad un paziente appena introdotto nello studio “ed avete prestato servizio alle Bermude. Ora, Signori, come faccio a saperlo? È entrato nella stanza senza togliersi il cappello, come se entrasse in fureria, da cui ne ho dedotto che era un militare. L’aria leggermente autoritaria, abbinata all’età, mi ha fatto supporre che fosse un sottufficiale. Per finire, l’eruzione cutanea sulla fronte mi ha indicato che era stato alle Bermude, in quanto quel tipo di infezione della pelle colpisce solo in quel luogo”. Da qui nasce il giochino di Holmes di squadrare la gente per indovinarne la professione…

Con tutta quella pratica Arthur pensava che le porte della medicina si sarebbero spalancate tutte al suo passaggio e invece passa da una delusione all’altra… Fu in uno studio vuoto, dove di  pazienti nemmeno l’ombra, che riprese l’abitudine di scrivere…  Pochi se ne erano accorti ma lui  ci aveva già provato…   Racconti e articoli medici, in uno  dei quali raccontava le sensazioni di un nuovo sedativo che aveva  sperimentato di persona. E qualcuno dei pochi   lettori si era chiesto come aveva fatto uno, così sedato,  a prendere appunti così precisi sugli effetti del medicinale mentre stava, se non dormendo, dormicchiando.
Ma dato che Sir Arthur era  un eccentrico dagli strani interessi, nel 1880  aveva  pubblicato “Il racconto dell’americano”, dove una mostruosa pianta, originaria del Madagascar, si ciba di carne umana.  Lui non lo  sapeva ancora, ma con un po’ di orrore, di mistero e di soprannaturale aveva aperto un filone … Lo riprenderà  parecchie volte anche con il  personaggio serial, il Dr  George Challenger,  lanciato  nel 1912 con il “Mondo Perduto…” Un’ avventura su un altopiano del Venezuela, popolato  da Dinosauri & Company, tutti preistorici  D.O.C.. . Al Cinema i Mondi Perduti diventeranno 8  accompagnati da un  Jurassic Park che mediaticamente  li supererà tutti…

Ma il quel 1887 mentre aspettava di diventare un medico, se non di fama, almeno di moda, mentre le speranze si facevano sempre più piccole, con un guizzo della sua inesauribile fantasia, trasformò quello studio vuoto in “Uno Studio in Rosso… ” Era appena l’inizio del successo  universale che arrivò tre anni dopo con…”Il segno dei quattro”… Sherlock Holmes  era in pole position…… “Il suo sguardo era acuto e penetrante e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia.” Quanto alle sue  cultura secondo Watson,  l’assistente, spesso trattato   con sufficienza dal  grande maestro, Holmes, conosceva bene  la letteratura criminale, la chimica e  la logica, era un ottimo violinista e un bravo schermitore, ma del resto non ne voleva nemmeno sentirne parlare… gli  poteva confondere le idee, rischiando di allontanarlo dal suo  rigore tutto deduzione…   Era senz’altro distaccato  dagli uomini e dalle cose… Non parliamo poi dell’amore e delle donne…   Un misogino  che cerca solo   di tenerle lontane  “l’amore è un emozione… che contrasta con la fredda logica… Solo Irene Adler, che riesce ad ingannarlo e, quindi, é più brava di lui,   susciterà  la sua ammirazione e forse qualcosa di più…  Holmes ha anche qualche abitudine un po’ discutibile “… Si rimboccò la manica sinistra della camicia… Infine si conficcò nella carne  la punta acuminata, premette sul minuscolo stantuffo e poi, con un profondo sospiro di soddisfazione ricadde a sedere nella poltrona di velluto” Era l’epoca in cui la scienza riteneva che la droga ampliasse la mente,  ma poi come il vento dell’opinione pubblica girò in senso inverso,Sir Arthur, progressivamente smise di parlare dei vizi privati del suo eroe…

2953693-painting_sherlock_holmes_by_ineer-d5krpt44 romanzi e 56 racconti,il cosidetto “Canone”, tutti calati fra l’osservazione del particolare e la deduzione finale…  Solo dopo che ha scovato i  dettagli, anche i più insignificanti e stravaganti, Sherlock comincia l’elaborazione dei dati e solo alla fine le conclusioni… Sembra quasi un computer  Holmes,  sempre lì a ragionare come il suo impareggiabile alter ego… il Dr Joseph Bell, di cui conserverà sempre  memoria…

Poi un pò per volta affiora  il problema… Sir Arthur non ne poteva proprio più di Sherlock Holmes così  affascinante, intelligente, dall’alta elegante figura… Lui che era grassoccio e sempre un po’ trasandato… Cercò più volte di liberarsene senza riuscirci…  A furor di popolo dopo averlo fatto precipitare nella turbolenta cascata assieme al suo nemico Moriarty fu costretto a farlo resuscitare… Si dovette persino giustificare, dicendo che Holmes era andato a lavorare per i servizi segreti… Roba da top secret di cui non aveva potuto parlare  ai suoi lettori…

In realtà i soldi che Holmes guadagnava  servivano  a Sir Arthur per appagare la  sua più grande passione… Lo Spiritismo.  L’interessese subito eccessivo, per le sedute spiritiche era iniziato  nel 1887. Mentre stava scrivendo “Uno studio in rosso”,  ogni tanto liberava il tavolo dalle scartoffie  per far posto  al medium…   Voci strane, soavi  o cavernose, lingue straniere e sconosciute,   il tavolo che si alzava  per aria… Arthur Conan Doyle, il medico allievo del grande scienziato Bell, figlio del positivismo  ottocentesco e  padre  del personaggio più razionale di tutti, a cavallo dei due secoli era ormai sicuro che l’anima viveva  senza il corpo…  Tale era la sua passione che non si rese conto che molti cominciavano a prenderlo in giro  e a dubitare della sua sanità mentale… Soprattutto quando il fatto  venne enfatizzato   dalla storia di Cottingley Glen e dal suo libro sullo spiritismo…  Ma non ci fu niente da fare … La vita oltre la morte divenne  il suo credo definitivo sino alla fine… Si fa per dire fine, perché cominciarono le testimonianze postume… La sua voce parlò ancora e a lungo attraverso i più famosi medium dell’epoca come ad esempio, Eileen J.  Garrett, colei che l’aveva coinvolto nel caso Cottingley Glen… La Garrett arrivò persino a organizzare una seduta medianica a Londra, dove fu usato un complicato sistema di controlli a raggi infrarossi che, si dice, accertò  una materializzazione invisibile all’occhio umano… Ciò considerato, e’ troppo  da appassionati lettori di Sherlock Holmes, chiedere a Sir Arthur, di inviarci un raccontino, anche breve, dall’al di là?

In omaggio alle origini di Conan Doyle, proponiamo un piatto scozzese  con apporti indiani, diffuso in tutta l’Inghilterra vittoriana, che, se anche non è espressamente citato nel “Canone ” di Sherlock Holmes,  la sigrora  Hudson, la governante di origini scozzesi, sicuramente  avrà portato spesso in tavola per la colazione, nel salotto di Baker Street.

KEDGEREE

INGREDIENTI per 4 – 6 persone: 250 grammi di riso bhasmati, 450 grammi di haddock affumicato (che può essere ben sostituito dal  merluzzo fresco), acqua e sale per la cottura, 3 uova sode, una manciata di prezzemolo tritato,  20 grammi di burro, 1 cucchiaino di curry di Madras.

PREPARAZIONE: bollite il riso in una quantità di acqua doppia del suo volume, appena salata, per 15 minuti e senza mescolarlo. Poi scolatelo  e tenetelo da parte. In un tegame largo fate sobbllire una miscela formata da metà acqua e metà latte,sufficiente a coprire interamente il pesce che metterete nel tegame appena la miscela inizia a bollire. Fate cuocere per 8 minuti circa. Fate rassodare 3 uova mettendole nell’acqua bollente per 6 minuti circa tagliate poi a pezzi o rondelle e mescolatele al prezzemolo. Tagliate a pezzi il pesce bollito dopo averlo estratto dal tegame e mescolatelo con il burro fuso,,il curry e metà delle uova sode e rimettete il tutto per qualche istante nel tegame. Trasferitelo poi in una pirofila cosparso delle rimanenti uova sode e mettetelo in forno alla temperatura di 150°C per qualche minuto. Servitelo caldo.

 

La Serenissima Repubblica di San Marino e gli Strozapret!

Ha 20 milioni di anni, e francamente non li dimostra!   Era successo nel Terziario … Ci fu  a quel tempo un susseguirsi  di  violenti terremoti … E fra  spaventosi  boati e cieli lampeggianti si  sconvolse tutta la superficie terrestre… Fu  uno di questi, in uno scenario di  tremenda apocalisse, che riuscì a spostare una  Montagna  di roccia, la trascinò via  per 80 chilometri e la fece scivolare tutta intera  nell’ Adriatico …Il mare fu costretto  a ritirarsi per   15 chilometri… Ed è per questo che oggi, se  vi capitasse di scavare sulle pendici  del Monte Titano potreste trovare qualche pesce fossilizzato ché non fece in tempo a  fuggire via col mare. Sono per  lo più squali e  peccato che il pezzo più bello, il cranio e le vertebre di una balenottera  se lo sono portato via …   Per fortuna, il Museo di Bologna, dove l’hanno esposta, con tutti gli onori,  è lì vicino…

Gli uomini arrivarono molto dopo e trovarono tutto sistemato… Da un lato la montagna era rimasta ripida, scabra rocciosa, ma nella parte   opposta  scendeva in un leggero declivio ricoperto di alberi, ricco di fiori e di uccelli… Se si saliva in cima  si vedeva da lontano il mare… Ed era  tutto talmente bello che non se ne sono più andati… Ognuno ha lasciato qualcosa …Forse per  non essere dimenticato… Dall’ascia di pietra all’ascia di bronzo, dalle urne cinerarie ai  resti della  spendente civiltà romana… Ma è dal passaggio di quei semi barbari Goti  che è arrivata la testimonianza più curiosa…Accadde alla fine del 19° secolo… A Domegnano, nel territorio di San Marino,  un contadino  trovò  un tesoro nel campo … Un mucchietto di gioielli tutti d’oro che portò subito al suo padrone…  Erano oggetti  da favola… Forse il corredo funebre di una principessa o forse li aveva sepolti la  principessa stessa  mentre  sfuggiva dalle armate  bizantine, durante la lunga “Guerra Gotica”…  L’avido padrone smembrò il tesoretto e lo vendette a pezzi… fra i vari musei del mondo quello di Norinberga si è aggiudicato il pezzo più interessante… la “Fibula ad aquila” che è divenuta poi il simbolo dei Goti in Europa…

E’ uno degli Stati più piccoli di Europa con i suoi 61 Kmq, ma è anche,  dopo quella  romana, la più antica Repubblica d’Europa perché esisteva già, incastrata in chissà  quale contesto giuridico e amministrativo, all’epoca dell’Impero Romano. Sembra infatti che, dal mare di fronte, attorno al  257   fossero arrivati due  operai tagliatori e incisori di pietra…  Dicono che  ci fosse urgenza di ricostruire le mura di Rimini… L’Impero all’epoca era un po’ nei guai perché  i barbari alle frontiere  premevano per entrare a godersi la società del benessere… Forse i due profughi, invece, erano scappati da qualche persecuzione locale contro i cristiani… La storia  si fa un po’ confusa ed è  meglio non approfondire troppo… Si da per certo che si chiamassero  Leo e Marino e li mandarono a estrarre pietre sul Monte Titano … Dopo tre anni si dividono … Leo va a fondare  San Leo…, la Rocca  da dove scapperà  Cagliostro e Marino si fa  una grotta sul Monte Titano… Quando poi il figlio della matrona del luogo proverà a scacciarlo… per punizione divina resterà paralizzato… Inutile dirlo… all’atto della donazione del Monte Titano a Marino, il ragazzo guarirà e Marino dopo questo miracolo è già diventato S. Marino. Risale ufficialmente… ma non  del tutto, al 3 settembre 301, la fondazione di questa Serenissima Repubblica…

Se ne  sa poco durante tutto il Medioevo…  Ma è sicuro che la democrazia  fosse diretta… L ‘avevano copiata ai greci, e, nella loro versione della Città –  Stato,  tutti i padri di famiglia partecipavano all’Arengo, la grande Assemblea  che radunava tutti i poteri , legislativo, politico, giudiziario… Durerà fino al 13° secolo poi saranno costretti a farsi rappresentare.. Lo Stato era sempre piccolo, ma la popolazione aumentava…E ‘ certo però che  i due Capitani Reggenti, i loro capi di Stato,   discendono direttamente dai Consoli romani, solo che  nella durata della carica erano stati ancora più drastici… 6 mesi invece di un anno… Lo dovevano aver capito subito che il potere corrompe…

La parola “Libertà ” l’hanno scritta dappertutto, perché non ci fossero dubbi da parte di nessuno…  Nella bandiera, nello stemma  e nella Piazza del Governo dove c’è una bella statua  proprio al centro a testimoniarla… “Reliquo vos liberos ab utroque homini”… Forse non l’ha detto proprio San Marino come hanno voluto far credere per non pagare le tasse,  ne’ all’Imperatore né allo Stato della Chiesa,  ma di fronte al nome del Santo fondatore persino il processo del 1296 riconobbe la loro indipendenza ” Non dipendono da nessuno” proclama un antico documento ritrovato in un Convento da quelle parti…”Non pagano perché non hanno mai pagato. E’ stato il loro Santo a lasciarli liberi”. Il Papa del resto si era già arreso qualche anno prima… Aveva riconosciuto la Repubblica nel 1291…  Sessanta anni dopo San Marino era anche libero Comune…

Solo una volta ha aumentato il territorio… quando il Papa nel 1463 per gratitudine  gli cedette  Fiorentino, Montegiardino e Serravalle… poi non ne ha più voluto sapere. C’era sempre il rischio di perdere qualche libertà a farsi beneficare dai potenti… Un paio di volte San Marino se l’é vista brutta come quando Cesare Borgia, il duca Valentino l’occupò con le sue truppe per quasi un anno… Figurarsi il Duca s’era messo in testa di  prendersi tutta L’Italia… Come avrebbero fatto a cacciarlo da San Marino? Ci volle la morte del Papa per costringerlo a levare le tende con armi e bagagli…  Ormai non aveva più la protezione della Chiesa…  Chiesa che  tuttavia  ci riprovò a mettere le mani  su San Marino anche nel ‘700, ma insorse mezza Europa a difendere il piccolo Stato … Faceva  comunque  barriera  al dilagante imperialismo dello Stato pontificio.

Per lo scampato pericolo arrivò anche a rifiutare le profferte amiche di Napoleone che gli voleva allungare il territorio sino al mare “la Repubblica di San Marino – disse l’allora Capitano Reggente –  contenta della sua piccolezza non ardisce accettare l’offerta generosa che le viene fatta, né entrare in viste di ambizioso ingrandimento che potrebbero col tempo compromettere la sua libertà”

Fu meno prudente durante il Risorgimento e i moti di liberazione… Considerò l’Italia la sua Patria più grande, in cerca della  libertà  e aprì le porte. Troppo dura sarebbe stata altrimenti la sorte dei carbonari e dei patrioti in fuga…  E un’altra volta San Marino  rischiò l’occupazione dell’Austria e dello Stato Pontificio… Nel 1849 Garibaldi in fuga da Roma dopo la Caduta della Repubblica Romana  procedeva a marce forzate, con la moglie incinta e 1500 uomini, per tentare di raggiungere Venezia… Ma nelle Marche era ormai accerchiato da  quattro eserciti nemici…  Però era un grande  condottiero e nella via di fuga aveva puntato su San Marino… A cui chiese asilo… Solo un momento il Capitano Reggente provò a rifiutare, terrorizzato per le conseguenze, ma Garibaldi era già davanti a lui e la richiesta d’asilo fu accolta… Dopo l’Unità d’Italia San Marico ricominciò a sentirsi sicura…

Oggi vive di eccellenze… Il turismo, la finanza, le monete e i francobolli… Spesso con un annullamento nel  giorno indovinato ci si fanno i soldi…  Il piccolo territorio ha una grinta estremamente moderna ed efficiente e  nonostante la crisi ha il tasso di disoccupazione più basso d’Europa… Ma non ditegli di rinunciare alla cerimonia di investitura  dei Capitani Reggenti  o di cambiare la date del suo calendario… Per San Marino l’anno comincia il 3 settembre   e  l’anno in corso e’ 1l 1713 d.F.R., cioè dalla Fondazione della Repubblica… Perché tutto cominciò  il giorno che San Marino dette loro la libertà…

Dal 2008 San  Marino e il Monte Titano sono diventati Patrimonio dell’Unesco… “… Sono eccezionali testimoni della costruzione di una Democrazia rappresentativa basata  sull’ autonomia civica e  sull’auto-Governo con un’unica, ininterrotta continuità nell’essere Capitale di una Repubblica indipendente sin dal 13° secolo.  …”

La cucina… Molto è in comune con le Marche e la Romagna, le sue  confinanti,  alcune  cose  però sono tipiche di San Marino, come i fagioli con le cotiche di maiale o la polenta servita sul tagliere magari con un sugo di salvia e uccelletti… Oppure la pasta e ceci della tradizione natalizia e la minestra Bobolotti,  quella dei poveri fatta con pasta fresca, fagioli scuri e lardo…Alcuni dolci sono ecccezionali come  la Pagnotta, tipica di Pasqua  o la Torta Titano o la Torta Tre Monti… Ma di alcuni  di essi non si conosce nemmero la rcetta precisa…Segreto della Repubblica!

Noi abbiamo scelto un piatto che nel nome ripete una certa dose di ironica insofferenza per quello Stato pontificio che per molti secoli è stato lo scomodo  vicino di casa della Serenissima Repubblica

STROZAPRET AL SUGO DI CARNE E FORMAGGIO DI FOSSA

INGREDIENTI PER IL SUGO per 4 persone: pomodori maturi 400 grammi, fegatini di pollo grammi 200, lombata di vitello grammi 100, burro grammi 80, besciamella grammi 100, prosciutto crudo grammi 50, 1 cipolla, 1 carota, 1 manciata di prezzemolo, marsala secco 5 cucchiai,  1/2 litro di brodo di carne,   noce moscata 1 pizzico, cannella 1 pizzico, sale e pepe a piacere.

INGREDIENTI PER LA PASTA per 4 persone: farina bianca 620 grammi, acqua, sale, formaggio di Fossa di san Marino 60 grammi (è una specialità del posto che si ottiene mescolando latte vaccino e latte di pecora)

PREPARAZIONE: per quanto attiene al sugo, sbucciate, lavate e  tritate la cipolla, la carota e il prezzemolo,  metteteli in un tegame di terracotta insieme a 50 grammi di burro e fateli rosolare sul fuoco a fiamma media. Tagliate a pezzi piccoli sia la carne che i fegatini e uniteli al soffritto, mescolando il tutto con un cucchiaio di legno, aggiustate di sale e pepe  e bagnate con il marsala. Lavate i pomodori, togliendo loro i semi (si possono usare anche i pelati in scatola, preferibili ai pomodori freschi nei mesi invernali,  dato che i pomodori freschi fuori stagione si rivelano con poco sapore e troppa acqua), tagliateli a pezzi e uniteli alla carne, poi aggiungete al sugo la besciamella, la noce moscata e la cannella e bagnate infine con il brodo versandolo poco per volta.. Cuocete per mezz’ora,poi tritate il prosciutto e fatelo rosolare con il restante burro in un tegamino a parte e unitelo al ragù solo negli ultimi minuti della cottura.

Per preparare la pasta versate 600 grammi di farina sulla spianatora distribuendola a “fontana”,versate al centro dell’acqua bollente e mescolate rapidamente con un cucchiaio di legno. Lavorate la pasta con le mani  per 15 minuti e poi ricavatene dei bastoncini della grandezza di un dito tagliandoli a pezzi di due centimetri e 1/2. Utilizzate la restante farina per  distribuirla sulla spianatora e con le dita rotolarvi sopra premendo i pezzetti di pasta in modo che restino vuoti all’interno oppure  prendendo ogni bastoncino, arrotolarlo, facendolo scorrere tra i palmi aperti delle mani (imitando il classico gesto di sfregamento che si fa per scaldarsi le mani.) Lessateli in acqua bollente salata. Quando vanno a posarsi sul fondo della pentola  scolateli subito e conditeli con il sugo preparato. Dopo averli ben mescolati spolverateli con il formaggio di Fossa.

Francis Scott Fitzgerald e un Polpo in Provenza!

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Bisogna essere giovani e belli…  Spensierati e abbastanza cinici, ingurgitare allegria nervosa bevendo birra ghiacciata e,  fra una festa e l’ altra, andare e venire come   falene,  mentre  una grande orchestra, suona gialla musica da cocktail… Ma soprattutto bisogna avere molti soldi, perchè l’Età del Jazz  è un circolo esclusivo riservato agli eletti  edove successo e ricchezza sono  gli unici metri di giudizio. l’America vittoriosa in guerra  e ricca delle sue fabbriche  impone un nuovo stile di vita…dove non c’è posto per i poveri, per i deboli, per i falliti… Chi non ha  quattrini non  ha credito, e chi non ha  credito non  ha  quattrini.  Questo è il circolo vizioso e peggio per chi ci resta impantanato… A lui era già successo e non voleva che  capitasse ancora.. Almeno due momenti della sua vita… Uno peggio dell’altro. La prima volta  a Princeton, un’ Università esclusiva troppo in alto per lui…  Anche se suo padre era un gran signore del Sud …”Ho tentato, in un certo modo, di vivere all’altezza di quei criteri di noblesse oblige del passato… non ne rimangono che gli ultimi resti, sai, come le rose di un vecchio giardino che ci muoiono intorno… echi di strana raffinatezza e cavalleria ”  Ma proprio questo aristocratico gentiluomo era sempre stato un inconcludente lavoratore  che spesso non era riuscito a mantenere   la sua famiglia. Se Francis era arrivato a Princeton lo doveva ai soldi del nonno materno, un ricco commerciante di carni all’ingrosso, parte di quella nuova America  volgare e piena di vita, che suo padre disprezzava   e che Francis nonostante  tutto guardava con rispetto… I primi  tempi a Princeton furono per  lui i più spensierati della sua vita, trascorsi tra feste, musical e incontri sportivi… Lui era un gran ballerino, aveva la sua piccola rinomanza universitaria  di scrittore di commedie musicali e affascinava le ragazze con quell’aria elegante e il parlare fluido… Quando incontra Ginevra King, la figlia di un ricco finanziere di Chicago non sospetta il baratro che li separa… Incontri  d’amore, lettere di passione… Lei è la prima delle sue Flapper, le splendide costose diciottenni, disinvolte e sicure di sé, egoiste e  sbadate,  come Isabel  Al di qua del Paradiso o   Daisy Buchanan, il disperato amore di Gatsby… Testimoni universali di quel favoloso decennio  prima della grande crisi…  Pare che il padre di lei avesse già detto a Francis “I ragazzi poveri non dovrebbero nemmeno pensare di sposare le ragazze ricche…”, ma  appena lui lo chiese direttamente a Ginevra, lei gli fece educatamente sapere che stava per sposare il ricchissimo figlio del socio di suo padre… 20 anni dopo era ancora scottato da quel rifiuto classista… La incontrò a un party  e quando lei   con la stessa leggerezza  di allora, gli chiese  quale personaggio in ” Di qua del Paradisoi”  lei gli avesse  ispirato….  Lui col sorriso sulle labbra rispose “Which bitch do you think you are?”

Quella storia gli rovino’ l’Università … Come un romantico eroe d’altri tempi si arruolò per andare in guerra… ma non ci arrivò mai… “Il romantico egoista” , la sua storia di Princeton   seguitò a  scriverla, rivederla, correggere    fra  una base militare e l’altra … In una  di queste basi, in Alabama,    incontrò Zelda  Sayre, la bellissima, emancipata figlia di un giudice.

Arriva a New York a guerra finita, sicuro di sé, con il  manoscritto sotto il braccio. Glielo bocceranno  senza pietà…  E Zelda scompare… Non ha la minima intenzione di sposare “un ragazzo povero”…  Sembra che non ci siano più reti di protezione per  Francis  Scott Fitzgerald  che precipita nel  suo circolo vizioso senza credito e senza soldi…Forse fu allora che cominciò a bere o forse anche prima…  Torna   dai genitori e rivede per la quinta o la sesta volta il suo romanzo… E meno di un anno dopo arriva  il successo con “Di qua dal Paradiso”… E’ un mare di dollari. L’America  ricca, mondana, senza scrupoli ne è affascinata e non capisce nemmeno la sottile condanna di quel mondo, che traspare proprio dal suo più grande interprete…

Anche Zelda ritorna e il loro matrimonio nella chiesa cattolica più esclusiva di New York, la  Cattedrale di San Patrizio, è una spettacolare cerimonia … E’ già  iniziata “la grande leggenda della bellissima coppia, eroina, simbolo e interprete di tutte le prodezze sofisticate dell’età del jazz”. . Il Biltmore Hotel li caccia per ubriachezza già durante il viaggio di nozze… Ma  il loro comportamento anticonformista   entusiasma i giovani.

Lui ormai è lanciato e nel 1922  esce l’Eta del Jazz”  i racconti   dal titolo simbolo, con  le storie e i personaggi  “icone dell’epoca”,  e poi  “Belli e dannati” con il percorso maledetto, quasi nero  di Anthony e Gloria che, nella rincorsa all’eredità e al lusso, perderanno i loro sogni… Un’apologo moralista… Ma fanno più effetto gli eccessi alcolici di Anthony e il susseguirsi dei parties senza fine…

“Il Grande Gatsby” è la consacrazione di Fitzgerald, ma anche  il crollo morale del mito americano… però nessuno al momento se ne accorge, distratto dalla storia d’amore e dalla vita avventuriera di Gatsby…. Del resto gli anni ’30 sono ancora lontani.   Gatsby  all’apparenza, ma solo all’apparenza, è la realizzazione del mito,  la sua villa di uno sfarzo senza limiti è l’ammirazione e l’invidia di tutta la città … Luogo di leggendarie feste a cui  lui non partecipa, chiuso nella solitudine di un sogno che lo distruggerà… Lui con   tutto il suo passato di contrabbandiere borderline, ex ragazzo povero, è il più ingenuo e sprovveduto di tutti i personaggi…  Daisy e suo marito sono i cinici  e distratti ricchi di classe, che, nel loro egoismo,   condannato a morte Gatsby  ” Erano gente indifferente, Tom e Daisy – sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto”

 Dopo il successo di Gatsby,   la “bellissima coppia” non poteva farsi mancare la Francia e Parigi, la città dove  scriveva, dipingeva e si consumava, nella  versione europea dell'”Eta del Jazz”,  la “Lost Generation”.  Sono anni  da  brivido, nel salotto di Gertrude Stein… con  Hemingway, Dos Passos, Picasso  … La Costa Azzurra, la Provenza, ma  passati i primi tempi e l’entusiasmo del nuovo, diventano anche anni durissimi… Litigi, incomprensioni, conflitti… Sarà ancora bellissima, ma di sicuro  la  coppia nel tempo diventerà male assortita e lei andrà a cercare rifugio nella danza e   e nel suo unico romanzo “Lasciami l’ultimo valzer”… Di sicuro stava cercando una sua strada… ma non ci arriverà mai.

Lui  col tempo diventa più  angosciato … Devono stare all’altezza del mito e della vita da favola in cui si sono imprigionati…E la ricchezza di Fitzgerald è sempre di più  una ricchezza faticosa…se  mai  era stata spensierata. Per la ricchezza, spesso  si butta via, racconti frettolosi  che consentono però  a Zelda la vita che gli piace fare…  “

Ma quando nel 1934 esce “Tenera è la notte” la tragedia è già arrivata al suo culmine… Le stravaganze di Zelda, le sue spigolosità, le sue stranezze hanno ormai un nome preciso… si chiamano schizofrenia e lei ha cominciato ad andare e venire dalle cliniche… Lui invece  affonda nell’alcol  ed è sempre più spaventato dalle responsabilità…L’Età del Jazz  sembra   non sia mai esistita… La sua vita ora  é solo fatta di bollette da pagare per  le cliniche della moglie e la scuola della figlia… E se la protagonista del Grande Gatsby era forse ancora  Ginevra,  Nicole la protagonista   di questa Notte è sicuramenye Zelda… Lui forse le voleva ancora bene  perché nel finale del libro  Zelda – Nicole   avrà  la sua salvezza e il suo riscatto, mentre Dick  – Francis, il marito, finirà a fare il medico anonimo delle squallide province americane.

Ma Francis non ebbe nemmeno quello… Mentre sembrava aver ritrovato un po’ di serenità con  Sheilah Graham, un attacco di cuore lo stroncò … Zelda morì qualche anno dopo in un incendio della sua clinica… Il Jazz, si sa, non è quasi mai una musica allegra.

Meglio ricordarli all’apice del loro successo…  Nella Costa Azzurra  dove   all’inizio credevano che l’Età del Jazz ” non sarebbe mai finita… Dall’antico mare di Provenza   abbiamo scelto un piatto che forse  loro avevano apprezzato tante volte.

POLPO ALLA PROVENZALE

INGREDIENTI per 4 persone: 1,300 Kg di polpo verace, 500 grammi di patate,2 foglie di alloro, 2 gambi di sedano ( la parte interna bianca), 2 carote medie,  1 ciuffo di prezzemolo,  1 cipolla rossa di Tropea, 3 cucchiai di olive nere, 3 cucchiai di aceto di vino bianco, olio extra vergine di oliva a piacere, sale e pepe

Pulite  il polpo fresco estraendo  dalla testa il liquame,  gli occhi e la ventosa, lavatelo e poi sbattetelo a lungo su una  superficie rigida per intenerirlo. Qualcuno, per intenerirlo,  lo mette qualche ora nel  freezer ma  la questione è controversa.
In una casseruola portate ad ebollizione l’acqua con l’alloro, 1 gambo di sedano e 1 carota a pezzetti,entrambi lavati, l’aceto e il sale. Tuffatevi il polpo e cuocetelo a fuoco moderato per 45 minuti circa. Scolatelo, fatelo intiepidire e passatelo sotto il getto dell’acqua fredda per spellarlo più facilmente. Sgocciolatelo e tagliatelo a pezzi.
Pelate e lavate le patate, tagliatele a tocchetti, affettate la cipolla e fatela appassire in una casseruola con 4 cucchiai d’olio poi  unite le patate e cuocete a fuoco vivo per 5 minuti rigirando spesso.
Aggiungete il polpo, salate, pepate, coprite e continuate la cottura a fuoco moderato per 10 minuti circa mescolando di tanto in tanto. Al termine, cospargete il polipo con il prezzemolo tritato, l’altra carota tagliata a julienne, l’altro sedano tagliato a  a tocchetti, le olive snocciolate,  mescolate e  portate in tavola.

Enzo Tortora e la Cima ripiena della sua terra

tortora_portobelloTre gradi di giudizio culminati nel 1987 con la piena assoluzione … E  nonostante ciò, qualche anno dopo, quando Enzo Tortora era già morto,  più di crepacuore che del suo male,  un Magistrato   affermo’  tranquillamente «L’assoluzione di Enzo Tortora rappresenta in realtà soltanto la verità processuale e non anche la verità reale del fatto storicamente accaduto”  Ma che strano… Non insegnano forse a Scuola che é compito della Giustizia  accertare la verità… E  come mai questo sfugge a un magistrato laureato in diritto con lode? Se un semplice cittadino avesse fatto un’osservazione simile  a quella del  Magistrato, probabilmente  avrebbe potuto passare i guai suoi…  Come ognun sa, le sentenze vanno rispettate…  Invece non successe nulla… Nemmeno a  chi in primo grado  aveva condannato Tortora a più di 10 anni e  non ha mai avuto alcuna ripercussione sulla carriera… Anzi sono sempre  stati così sicuri di se’ che quando Giuliano Ferrara, a sentenza emanata, prova a riepilogare gli indizi  infondati con cui Tortora era stato arrestato e processato… Si prende una querela  per diffamazione dai Pubblici Ministeri Lucio Di Pietro e Felice Di Persia  e dal giudice istruttore Giorgio Fontana…Per fortuna che poi se la cava…

Ma più di tutto nella memoria collettiva risuonano le parole accorate del difensore  di Tortora che in aula, rivolgendosi al pubblico Ministero quasi urlò “Signor giudice lei le ha lette le carte del processo?” Perché quello che lascia sconcertati è la superficialità, l’incuria della vicenda e il sospetto di vendette incrociate verso un personaggio televisivo scomodo e e ribelle… Due volte l’avevano cacciato dalla Televisione di Stato, la prima volta perché nella sua  trasmissione Alighiero Noschese aveva fatto l’imitazione di Amintore Fanfani… fatto evidente di lesa maestà…  E una seconda volta nel 1969 quando aveva definito la Rai “Un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne” … Il fatto poi che una volta  rientrato in Rai,  la sua trasmissione incollasse  davanti al televisore la metà degli Italiani non aveva fatto piacere a molti…

Ma pochi potevano prevedere quell’arresto spettacolo, mediatico alle 4,30 di mattina…  “Il Mattino ” di Napoli, va in stampa  a mezzanotte o giù di lì, già con la notizia dell’arresto di Tortora… I fotografi e la stampa son già pronti  all’ingresso dell’Hotel Plaza di Roma… Mentre appare il mostro in manette, accusato  di associazione a delinquere di stampo camorristico… Chi l’accusa sono i pentiti di camorra il cui numero lievita di giorno in giorno,  più  uno squallido pittore in cerca di un po’ di notorietà… La prova del fuoco? L’agendina di un camorrista dove c’è  il nome del presentatore e un numero di telefono… I contatti avuti? Dei misteriosi centrini perduti  che  dal carcere erano stati inviati , per la vendita in diretta nel mercatino virtuale  del  “Portobello” televisivo di Tortora…

Ci volle la sentenza di appello per scagionare Enzo Tortora e bastò un giudice più attento… Il nome sull’agendina  non era Tortora, ma Tortona e al numero telefonico, bastava chiamarlo… rispondeva appunto il Sig. Tortona…Quanto ai centrini inviati dal camorrista in carcere, erano arrivati in mezzo a quintali di oggetti diversi in trasmissione  e qualcuno li aveva persi… Alle proteste del proprietario Tortora aveva inviato un risarcimento in denaro pensando di chiudere la questione…Ma chi poteva immaginare che  Giovanni Pandico, oltre che camorrista era anche  schizofrenico e quella perdita di centrini l’aveva considerata uno ” sgarro” personale? Così  appena arriva la proposta, lui diventa uno dei  “gran pentiti” assieme ad altri tristi nomi come quello di Pasquale Barra detto “o’ nimale”…   Pandico  trova la possibilità di vendicarsi e al quinto interrogatorio butta là il nome di Tortora fra quei circa ottocentocinquanta  camorristii su cui si abbatterà con l’arresto, il “venerdì nero della camorra”…Peccato che in realtà, molti di quegli accusati erano innocenti come Tortora…

E’ proprio in quel venerdì nero della camorra che bisogna  ritornare per cercare  il cuore della vicenda …. Uno scenario incredibile,  sembra  un romanzo della complicata fantasia di Dan Brown… Invece non è la ricostruzione di  uno scrittore di trame nere ma della  Direzione  Antimafia di Salerno…  E’ il 27 aprile 1981 quando le Brigate Rosse sequestrano, in uno dei loro ultimi show terroristici,  Ciro Cirillo, notabile democristiano e assessore all’urbanistica della Regione Campania…Cirillo in quel momento è  il più importante…  L’anno prima c’è stato il violentissimo terremoto dell’Irpinia con tremila morti e migliaia di case abbattute… Il sud è ferito  ma deve cominciare l’opera di ricostruzione.. E presto! Perchè  la Democrazia Cristiana non vuole perdere consenso … E’ ovvio che il rapimento del suo uomo chiave  in Campania può essere un grosso colpo …La ricostruzione deve essere targata DC…  E del resto non si può nemmeno abbandonare Cirillo a se stesso, dopo  lo scandalo del mancato aiuto  a Moro di tre anni prima… Le BR stavolta vogliono soldi… e tanti, ma il grosso pasticcio viene fuori quando le istituzioni, anziché con un  gruppo di violenti ideologi di sinistra, si trova a trattare con la delinquenza comune … Il top della camorra del boss  Raffaele Cutolo che in qualche modo affianca le Brigate Rosse… Cominciò dunque prima di quello che dice la recente  cronaca, la trattativa Stato –  Mafia… e che si chiamasse camorra è solo una variante sul tema…  5 Miliardi vengono generosamente e rapidamente raccolti… Dai costruttori della zona…  E il perché è facile da capire… Una volta libero Ciro Cirillo potrà compensarli con grossi appalti  post sisma…    Ma solo formalmente  ai costruttori edili,  il liberato  Assessore dispenserà, i fondi della ricostruzione … Perché  sarà in realtà la camorra a beneficiarne, ora  che la sua presa di potere  è totalmente  avvenuta…Chi doveva sapere, sapeva, le cose  sarebbero potute anche andare avanti così, ma  quando cominciano le faide fra  un gruppo camorristico e l’altro, lo Stato si spaventa…Violenza, ferimenti e due, tre omicidi al giorno sono veramente troppi…C’è il contagio della paura … Mentre i media cominciano a fare troppe indagini. Chissà a quale cervellone dei servizi segreti venne allora in mente  di  fare un po’ di arresti, anzi, perché no, una bella retata a titolo dimostrativo per far capire la presenza dello Stato a chi pensava di essere abbandonato a se stesso… Fu così che cominciò l’altra trattativa con chi già era in carcere e a portata di mano, ai quali  vengono proposti sconti di pena e forse soldi in cambio di nomi di accertati camorristi… Fra le 850 persone  che verranno arrestate, di cui, più di 100 saranno dichiarate innocenti sin dalla prima fase di giudizio, finisce, per uno scherzo del destino e per la vendetta di un pentito schizofrenico  anche il nome di Tortora… Poi si troveranno altri 15  pentiti a cascata, che  confermeranno il nome del presentatore…Li chiameranno ” pentiti a orologeria” che balzeranno fuori ogni volta che ci sarà bisogno di distogliere l’opinione pubblica dagli strani appalti  e da una ricostruzione insostenibile, che aggrega  le antiche famiglie sparse nei campi o in piccole città, in enormi stranianti falansteri dove domina la solitudine e l’angoscia…

Intanto al di là della speculazione mediatica e gossip,  attorno a Enzo Tortora si comincia a radunare  un vasto movimento di opinione che lo ritiene innocente e  un anno dopo, Enzo Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo … Ma lui è uomo di coraggio e di sfide e appena Il 17 settembre 1985 , in 1° grado, viene condannato a dieci anni di carcere,  si dimette immediatamente dalla carica, perde l’immunità parlamentare che gli avrebbe garantito la libertà e si mette a casa  agli arresti domiciliari…

Le cose prendono un altro verso quando il giudice  di 2° grado Michele Morello, si mette in testa di vederci chiaro…. e ricomincia tutto da capo… “Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all’ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po’ sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell’altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell’imputato…”

Tortora ormai lo stava gridando da tempo e senza timore  nel processo:  “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.”

Quando fu prosciolto tornò a Portobello… Lo stile era sempre quello, sobrio educato, gentile con tutti… Ma durò soltanto pochi mesi… Non ebbe abbastanza tempo per godersi la libertà e l’affetto della gente che in lui aveva creduto… Sono in tanti ad essere convinti che quel cancro al polmone fosse di natura psicosomatica… La disperazione e il pregiudizio possono uccidere…

E’ una storia triste, ma un ritorno in Liguria, sua terra di origine, lontano dai suoi travagliati processi, avrebbe di sicuro consolato anche Enzo Tortora… Perché  un buon piatto tradizionale, frutto d’amore e di cultura può far bene all’animo amareggiato…

CIMA RIPIENA ALLA GENOVESE

INGREDIENTIper 8 persone: pancia  di vitello kg 1,200, polpa di vitello grammi 100, poppa  (tettina)  grammi 80, un’animella, mezzo cervelllo di vitella o 1 cervello di abbacchio,qualche pezzetto di schienale, 2 testicoli (granelli o gioielli di toro come  eufemisticamente si suol dire), 50 grammi di burro, pochi pinoli, un cucchiaio di maggiorana (persa),  qualche foglia mista di erbe aromatiche( prezzemolo,timo, salvia, alloro), parmigiano grattugiato 80 grammi, 8 uova, aglio 1 spicchio, sale a piacere, una manciata di piselli e una di funghi secchi,  2 litri circa di brodo di verdura.

PREPARAZIONE:Fate preparare dal macellaio una pancia di vitella con la sacca già pronta o in alternativa incidete voi la pancia tagliandola sino in fondo, con un coltello ben affilato, tenendovi lontano dai bordi circa due centimetri. Lavatela, sgocciolatela bene e poi asciugatela. Preparate il ripieno cominciando a rosolare nel burro tutte le carni,poi scolatele e poggiatele un un tagliere. Tritate finemente la polpa, la poppa e le animelle, e a pezzi più grossi il resto. Versate tutto in un grosso recipiente e aggiungete i piselli,  i pinoli,  lo spicchio d’aglio schiacciato, la maggiorana e i funghi ammollati per circa 20 minuti nell’acqua tiepida e poi strizzati. Sbattete bene le uova, poi unitele a freddo al composto. Insaporite con un pizzico di sale e le spezie tritate, poi aggiungete  il parmigiano grattugiato.Mescolate il tutto con delicatezza e riempite per non più di due terzi la sacca della pancia perché  in cottura la carne si ritira e la farcia si gonfia e potrebbe scoppiare se il ripieno fosse eccessivo. Cucite il bordo della sacca con filo bianco da cucina,poi avvolgete la cima in una pezza di  tela bianca ben legata. Porla sul fuoco nel brodo di verdure già caldo e farla cuocere un’ora a recipiente scoperto. Poi incoperchiate e fate cuocere ancora per due ore a recipiente coperto.  Dopo averla tolta dal fuoco appoggiatela sul tagliere,ricopritela con un piatto e mettete sopra il piatto un peso. Tenetela pressata per circa un’ora affinché perda l’acqua residua e  prenda la tipica forma ovale. Servire fredda a  fette.

Lady Godiva, le tasse e la cioccolata

Avvolta in una    luce rosata,  si intravvede, anzi, si percepisce una silenziosa città  tutta vuota … Sulla destra, in prospettiva,  due   grandi  case   serrate… La prima, con la ripida  scala esterna che  sale  parallela  in  facciata e il tetto  a travi aggettanti … La seconda con la loggia all’ultimo piano scandita dalla fila degli  archi e delle colonne sotto il  frontone  triangolare. Frontalmente invece si vede la facciata  laterale di una Chiesa, con la  porta incassata sopra la breve scalinata …   La  parete di mattoni   termina sulla destra con il il profilo della colonna bianca   dal ricco capitello di marmo  traforato… Giù in fondo,  fra le  case e  la Chiesa,  le guglie e le torri della città, quasi intuite più che viste nella loro lontananza… In primo piano  avanza  solenne, di buon passo e   a testa eretta, un  nobile cavallo bianco dalla ricca gualdrappa rossa…. Sopra  di essa  pare che danzino i  leoni  rampanti, nel ricamo   d’oro…  E’ tutto un Medio Evo  incantato  e una favola cortese, evocati  dalla passione  e dal tratto elegante  del pittore Preraffaellita…

 Ma in questa totale armonia c’è qualcosa di strano e di bizzarro… Dove sta andando  quella  bella  donna   che cavalca  nuda  e   sola, racchiusa in se stessa  e remota all’ambiente ?  E’ una  sensazione  surreale,  inquietante,  qualcosa  che non si spiega, fuori luogo e fuori contesto… Come la zingara della Tempesta di Giorgione o la  tranquilla signora che fa colazione in un parco di Parigi, nuda in mezzo a due gentiluomini vestiti di tutto punto …

Eppure  ogni cosa  diventa chiara  se la bella donna è  Lady Godiva… Una storia esemplare  di intelligenza  femminile contro l’arroganza  e la prepotenza maschile …   Quasi  una novella di Boccaccio ambientata  nella nordica Albione… C’era una volta un nobile Signore, un conte che si chiamava Leofrico, viveva a Coventry,  aveva molte terre e grandi ricchezze… Aveva sposato una giovane e bellissima vedova  che dicono si chiamasse Lady Godiva… ma forse il nome glielo dettero dopo…  Quando fu chiaro che era stata  per tutti un dono del Signore…

Coventry era un’antica città…  Florida al tempo dei Romani…  Spirituale nell’8° secolo, quando si era costruita un nuovo insediamento, proprio vicino al convento di Sant Osburga… Peccato che quel convento l’avesse distrutto  qualche decennio prima la furia degli invasori  di Canuto  di Danimarca… E se  Canuto, diventato oramai  re di Inghilterra, stava restaurando molte chiese distrutte dal suo esercito pagano… Quella di Coventry se la doveva essere dimenticata…  E così adesso ci stavano pensando Leofrico e Lady Godiva. E non era la sola opera pia … Appena lo seppero gli altri conventi,  Leofrico dovette intervenire … ne andava del suo buon nome e del  potere …  Così, fra un po’ di terra al Monastero di Santa Maria di Worchester, qualche regalo  ai Monasteri di Chester, Leominster, Evesham etc… Lui cominciava a stare in sofferenza…

 Coventry, la sua città, stava crescendo, i commerci si espandevano e nel sogno di Leofrico, Coventry  doveva gareggiare con Londra… Gli servivano  solo un po’ di soldi per una Cattedrale, il Palazzo del Governo   e qualche altra spesuccia… L’unico modo, visti i forzieri semivuoti, era aumentare le tasse… E se qualcuno non le avesse pagate la sua giustizia sarebbe stata terribile…  I cittadini di Coventry   che dovevano fare, oltre strapparsi i capelli perché le tasse erano già alte, senza  quelle nuove?  La cosa giunse alle orecchie della bella Godiva  che doveva  avere di sicuro un gran cuore, ma anche una visione  dell’economia più new- deal   di suo marito… Come avrebbero fatti i cittadini  a incrementare i commerci, la  vera ricchezza mobile di Coventry ,se i loro soldi  fossero finiti immobili, nelle   grandiose  opere di Leofrico?  Così cominciò a supplicare il marito… A spiegare …   Cadremo tutti nell’austerità… E  nell’austerità non gira la ricchezza! Se i soldi dei cittadini finivano tutti allo Stato, chi  avrebbe più prodotto quelle belle cose che ormai comprava tutta l’Inghilterra? E chi avrebbe più comprato  i beni che i commercianti di  tutta  la grande Isola  portavano  a vendere al Mercato di Coventry…  E lui, Leofrico,  dopo un po’ di tempo, che dazi avrebbe più riscosso? Ma il marito non ne voleva sapere … anzi cominciava a a guardarla con diffidenza…   E un giorno dopo un lauto pasto,  si rivolse irato alla moglie “Tu parli di austerità… Hai paura che  ti tolgano i tuoi vestiti sfarzosi o i tuoi gioielli? Fammi vedere che non parli  per i tuoi interessi, spogliati dei tuoi orpelli, va in giro nuda … e solo allora, se sarò sicuro di te, toglierò le tasse ai cittadini…”

Un detto e un fatto… Ma lei, che non era stupida, emanò un Editto…  Il tal giorno e la tal ora  i cittadini  dovevano chiudersi in casa…  A serrande serrate…  Vani gli strepiti del marito… A parte la gelosia, se quella sciagurata insisteva, lui si giocava  le tasse…  Non ci fu niente da fare… Sparse le trecce morbide a riparare tutto quel  poco che si poteva e  un po’ a disagio, in  quel giorno e in quell’ora Lady  Godiva attraversò per lungo e per largo il silenzioso paese… Mentre il cavallo altero e fiero, sembrava aver capito il  gesto eroico della bella contessa….

Le favole si sa finiscono tutte bene … E Leofrico, che in fondo era un buono, alla fine  abbassò le tasse…. C’è però, come in tutte le favole,  qualcuno  che finisce punito e questa volta fu il disubbidiente Peeping Tom, il sarto del paese che, fatto un buco nel legno della persiana, sbirciò la bella a cavallo… Forse chissà, vedendola in quelle condizioni, voleva guardare le sue misure, per farle un vestito… Ma chi ci poteva credere?  Così arrivò il castigo di Dio   e il povero Peeping Tom

 non solo perse la vista, ma gli restò nei secoli a venire la  sgradevole reputazione e il soprannome di ” guardone…”

Invece la reputazione di Lady Godiva è sempre stata ottima e di recente anche dolcissima… Chi non l’associa  a quelle buone e colorate pralines di cioccolata? Anche noi  abbiamo scovata una semplice, buonissima  ricetta  di grande effetto…

FICHES DI CIOCCOLATA

INGREDIENTI: 200 grammi di cioccolato fondente  amaro, 40 grammi di canditi, 15 mandorle, 5 gherigli di noci, 40 grammi di pinoli, 15 pistacchi freschi.

PREPARAZIONE: Fondete a bagnomaria il cioccolato e poi distribuitelo, prelevandone piccole quantità con un cucchiaino, sulla carta da forno, formando dei dischetti di 4 cm circa  di diametro sui quali andrete a inserire, prima che il cioccolato si rapprenda piccole quantità spezzettate di tutti gli ingredienti, mantenendo interi  almeno una parte dei  pistacchi e delle ciliegine candite che sono molto decorativi da vedere intatti.  Si  possono mangiare anche dopo  qualche giorno, ma teneteli al coperto se non li mangiate subito.   

 

Que viva Mexico… Frida Kahlo e le Fajitas!

Frida Kahlo… una vita difficile,  sicuramente eccezionale. Nasce con la Rivoluzione Messicana… per la verità la precede di tre anni, ma  ci si identifica in modo così totale che dirà di essere nata nel 1910…La passione politica è  dominante perchè   è anche lo strumento della sua indipendenza… A quindici anni, alla  scuola di preparazione fa già parte dei “cachucas”, un gruppo di studenti che sostiene le idee socialiste nazionaliste  e la riforma dell’insegnamento… E’ lì perché vuole fare il medico, professione un po’ insolita per una donna  in  un paese dove  la rivoluzione, indubbiamente c’è, ma è tutta al maschile…  A diciotto anni ormai sapeva tutto sul movimento comunista… Erano mesi  ormai che lo leggeva e lo studiava stesa nel suo letto… E di fare il medico non se ne parlava più…  Aveva avuto  uno spaventoso incidente d’auto che l’aveva legata al letto per mesi…”Salii sull’autobus con Alejandro.. Poco dopo, l’autobus e un treno della linea di Xochimilco si urtarono.. Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange. Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro». Per 9 mesi deve portare un busto di gesso e stare quasi sempre  sdraiata… Oltre  a leggere la storia de la Rivoluzione d’0ttobre, comincia a dipingere.. «Da molti anni mio padre teneva…una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza..   chiesi a mio padre di darmela…Mia madre fece preparare un cavalletto, da applicare al mio letto, perché il busto di gesso non mi permetteva di stare dritta. Così cominciai a dipingere il mio primo quadro»  Dopo la madre  trasforma il letto di Frida in un letto a baldacchino e ci monta sopra un enorme specchio, in modo che lei, immobilizzata, possa almeno vedersi.. E’ cosi cominciano a nascere i suoi primi autoritratti… Alla fine ne avrà dipinti più di 50.

Più di un anno dopo ricomincia a camminare… Con un terribile busto che dovrà portare a vita. Ha  mille dolori che non la lasceranno più in pace, ma ha anche  molto da fare…  Innanzitutto si iscrive al partito comunista  e si  occupa subito di ciò che più le  sta a cuore, l’emancipazione delle donne,… Poi si unisce ad un gruppo di artisti e di intellettuali che sostengono il ” Rinascimento Messicano” l’ arte, indipendente,  tutta espressione popolare e “pittura murale… ” C’è da raccontare la Storia del Messico anche alla massa analfabeta …E poi naturalmente va a cercare, con i suoi piccoli autoritratti sotto il braccio, il più grande fra i pittori dei “Murales”… Diego Rivera, che a poco più di 40 anni è già una leggenda…Una pittura tutta sociale  la sua, in cui per la prima volta c’è la storia degli umili, degli sconfitti, dei reietti,… Grandi affreschi storici del Messico, nell’Eden  prima della “Conquista”   e poi la schiavitù, degli Indios prima  e dei campesinos dopo… Sino alla riscossa nell’apparire delle bandiere rosse e dei ritratti di Marx e Lenin nel Palazzo del Governo. Una  storia narrata con toni ora epici ora lirici, ma  sempre realisti, commossi e partecipati…

Non è così la pittura di Frieda, più drammatica, più onirica, spesso  simbolista… anche se i presupposti sono  simili a quelli di Diego… soprattutto quell’amore sconfinato per il Messico e per le tradizioni che si intrecciano e si confondono…

L’anno dopo nel 1929  Frida e Diego si sposano… Lei nonostante le sue menomazioni fisiche e la gamba più corta  è molto bella,  lui è grasso e ha venti anni di più, ma  le donne sono ai suoi piedi… Si innamora di Frida  ma la comincia a tradire, ancor prima di sposarla… Un  matrimonio che durerà 25 anni… Qualche giorno prima di morire Frida compra per il marito il regalo per le nozze d’argento… Ma in mezzo c’è di tutto… Liti, separazioni, tradimenti, divorzi… Lei è una donna emancipata…e accetta molte cose…  In fondo soffre molto di più perché non riesce ad avere figli   piuttosto che per i tradimenti del marito… Stanno tre anni negli Stati Uniti dove si sono innamorati della pittura di Diego, ma lei non è felice … Torneranno a precipizio e senza una lira in Messico quando distruggeranno il Murale del Rockfeller Center da dove lui si era rifiutato di togliere l’immagine di Lenin. Ma intanto  Diego ha introdotto Frida negli ambienti più selettivi e più intellettuali…  Nella “Casa Azul” dove ora c’è il Museo, al pianterreno c’era un tempo il living room dove negli anni si erano alternati  e  ritrovati  visitatori come Sergei Eisenstein, Nelson Rockefeller, George Gershwin,  e  attrici famose  come  Dolores del Río  e  María Félix… Lei,  tradita senza scrupoli da Diego, che era diventato l’amante di sua sorella…Non  avrà scrupoli a trovare in mezzo agli ospiti famosi i suoi amanti o le sue amanti…Del resto, se sono donne, Diego nemmeno si arrabbia… A Dolores Del Rio, Frida dedica  il quadro “Due nudi della Foresta” e il ritratto di Maria Felix lo appende sopra il suo letto…

Nel gennaio del 1937, Lev Trotsky e sua moglie arrivarono in Messico. Diego aveva fatto fuoco e fiamme perché il grande esule avesse un po’ di pace… Anche Frida farà  la sua parte …  Avrà con Trotsky una breve ma intensa relazione segreta. Parlavano in inglese per non farsi capire dalla moglie di lui e si scambiavano i bigliettini dentro le pagine dei libri.

Poi per un po’ di tempo Frida preferisce lasciare il Messico…A Parigi nel 1938  diventa  l’amante di Breton che  l’ama forse  per  il surrealismo che  vede  nella sua pittura.. nonostante  Frieda non si senta surrealista o almeno la sua è l’ idea di un surrealismo   giocoso… Spesso diceva ridendo e prendendosi gioco delle strane figure o degli strani oggetti che popolavano i suoi quadri ” Il surrealismo é la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie ”  Ma a Parigi c’è soprattutto la sua consacrazione… Prima ancora che la riconoscano in Messico, dove a lungo viene considerata poco più di un’ appendice del grande Rivera… “Kandiskij  fu così commosso dai quadri di Frida che, davanti a tutti, la sollevò tra le braccia e la baciò su entrambe le guance e sulla fronte mentre lacrime di schietta emozione gli scorrevano lungo il viso. Persino Picasso, il più difficile dei difficili, cantò le lodi delle qualità artistiche e personali di Frida. Dal momento del loro incontro fino al suo ritorno a casa, Picasso rimase sotto l’incantesimo di Frida.”

La rottura con Diego che sembra definitiva avverrà nel 1939 con il divorzio, E’ appena tornata dalla Francia e ora anche in Messico  cominciano a ri – conoscere i suoi quadri … Fa effetto quel  malinconico doppio di se stessa abbandonata ne “Le due Fride”, che dipinge subito dopo la separazione…Dal 1926 quando dipinse il primo autoritratto riflessa nello specchio del suo letto a baldacchino, il  tema del suo sdoppiamento, anche onirico, torna spesso, si ha come l’impressione che questo doppio riguardi  anche la sua natura. Ogni tanto, fin da ragazza, amava vestirsi con abiti da uomo e i capelli corti. C’e persino una foto in cui è ritratta in giacca e  capelli indietro  con tutta la famiglia e un “Autoritratto  con i capelli tagliati”del 1940.  Ma questo è solo l’ aspetto  più autobiografico della sua pittura… Il suo immaginario deriva dal Messico indigeno precolombiano che si mischia alle esperienze  spagnole …  esperienze e sentimenti di cui  prima ancora dei quadri  lei riveste se stessa… I grandi orecchini, il rossetto rosso fuoco, le gonne da contadina, dai colori caldi. Tutto poi va a trasferirsi nei quadri…   Lei diventa   ipnotica e sensuale, col viso metà indio, i capelli capelli neri come l’inchiostro e le  sopracciglia folte, “le sue due ali nere”, come lei stessa le definì. Con lei o senza di lei  la pittura si riempie del paesaggio messicano in una visione naif che spesso ricorda il “Douanier ”  nella ricchezza dei simboli… Nel fiorire del  cactus, nelle aggrovigliate piante della giungla dove appaiono le scimmie, i cani itzcuintli, i cervi e i pappagalli…   Quando  dipinge nei paesi  li riempie di immagini votive popolari, raffigurazioni di martiri e santi cristiani, tutti i miti ancorati nella fede del popolo…

Il divorzio con Rivera non durerà a lungo… Si risposano solo un anno dopo… Sono una coppia impossibile che non riesce  a fare a meno l’uno dell’altro…. Diego le è vicino anche perché la  salute di Frida peggiora di giorno in giorno e ai terribili dolori alla schiena nessuno sa dare medicine adeguate che non siano alcool e droghe…

Lei riuscirà a vivere ancora per vedere la prima grande mostra per lei che faranno in Messico nel 1953… Lui la costringe a partecipare trasportandole il letto a baldacchino… Stordita dagli antidolorifici  lei a letto, beve  e canta  con il pubblico…  L’anno dopo si ammala  di polmonite. Durante la convalescenza va   a una dimostrazione contro l’intervento statunitense in Guatemala, reggendo un cartello con il simbolo della colomba che reca un messaggio di pace. Pochi giorni dopo muore, ma nel suo ultimo quadro fatto di rossi cocomeri, su uno di esso aveva scritto “Viva la vita”

Un piatto fortemente messicano  per Frida, dove  forte si sente il sapore dei peperoni, arrivati sino a noi da lontane civiltà…

FAJITAS CON POLLO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 tortillas di farina, 3 cucchiai di olio di oliva extra vergine, 2 cucchiai di miele, 2 spicchi di aglio, 2 cucchiai  di erba cipollina, 1 cucchiaino di peperoncino, 4 petti di pollo, 2 peperoni di media grandezza, sale e pepe a piacere

PREPARAZIONE: Preparate una marinata mischiando in un piatto fondo il miele, l’olio, l’erba cipollina, lasciandone per la decorazione u1/2 cucchiaio, il sale, il pepe, gli spicchi di aglio affettati  e il peperoncino tritato. Tagliate i petti di pollo a pezzetti e metteteli a prendere sapore nella marinata, ricoprite il piatto con pellicola  trasparente e fate riposare per almeno un’ora. Nel frattempo arrostite i peperoni,spellateli, togliete i semi, tagliateli a strisce e metteteli da parte. In una padella antiaderente,precedentemente scaldata a fiamma viva mettte a cuocere il pollo ancora imbevuto di una parte della marinata e appena è leggermente dorato aggiungete i peperoni e fate cuocere per un paio di minuti. Nel frattempo in una padella a parte appena imbevuta di olio fate cuocere per un minuto complessivo le dortillas da entrambe le parti. Poggiatele  sul  piatto di portat , copritele con il pollo e i peperoni, arrotolatele, cospargetele della restante erba cipollina e servitele.

Huevos Rancheros, un piatto messicano per Georgia O’Keeffe

All’inizio del ‘900, nessuno avrebbe potuto immaginare che la seconda metà del secolo avrebbe trovato in America la patria di tutte le avanguardie artistiche…Del fermento che si agitava in Europa niente sembrava allora scalfire le serene scuole d’arte americane e la maggior parte dell’opinione pubblica.  Dopo la pittura degli impressionisti la realtà  non era più stata la stessa, ma neppure le grandi navi  che andavano e venivano, riuscivano a trasportare qualcosa di nuovo  fino al… “Mondo Nuovo”…   Solo  nel 1913  fu finalmente  organizzata  a New York la storica mostra  dell’ Armory Show… 1200 dipinti, sculture e opere decorative di tutte le correnti dell’avanguardia europea… cubismo, fauvismo. impressionismo… Ma non  fu un  successo,  solo rabbia e sconcerto. Le cronache riportano recensioni piene zeppe di parole come “pazzia”, “immoralità” e “anarchia”. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt si affrettò a dichiarare stizzito:  “…Non è men vero, tuttavia, che cambiamento può significare morte e non vita e regressione anzichè progresso…Questa non è arte!

In questo clima ostico a tutti i cambiamenti erano anni che Giorgia O’Keeffe, giovane pittrice americana controcorrente,originaria  di Sun Prairie, nel Wisconsin,  stava cercando una strada  lontana dalla pittura storicista e  di imitazione…  Nel 1908 a New York  sembrava aver trovato   quello che  cercava  nella Galleria di un poco conosciuto e criticato espositore, il fotografo  Alfred Stieglitz,…  Ma poi  deve  abbandonare gli studi… Fa la grafica pubblicitaria, insegna,  segue solo qualche corso di pittura qua e là,  finchè le capita di leggere Kandinsky… “Forme e colori non devono rispecchiare il modello naturale, bensì i sentimenti, il mondo interiore dell’artista”…

E’ già il 1915 , quando inizia … “Ho delle cose in testa che nulla hanno a che fare con quello che mi hanno insegnato…sono giunta alla conclusione di considerare vere le mie concezioni… ”  I suoi disegni a carboncino, li spedisce a New York un’amica di Georgia e solo per un caso finiscono nelle mani di Stieglitz… Sembrano forme organiche  di  una  natura primordiale, superfici piatte che fanno pensare alla pittura giapponese … Stieglitz ne è colpito e li espone  nella sua Galleria il ” 291″ diventata con gli anni un forte punto di richiamo dei nuovi artisti americani…  Dopo lei gli manda i suoi acquerelli … Nudi femminili dai contorni indefiniti, dove  il diverso spessore del colore dà  un vivace senso  di movimento… C’è tutto  lo spirito di Rodin, che lei aveva visto tanti anni prima … Proprio lì, in quella galleria di Steiglitz, con il quale, ormai, è amore … Difatti Georgia lascia il Texas… E’ il 1917 e torna a New York … Lui è affascinato da questa donna così autonoma, indipendente  lontana da tutti gli stereotipi di famiglia e di vita borghese…  Presa solo di passione  e urgenza per i colori e le forme che le agitano la mente…. Attorno a  Stieglitz  ci sono  i nuovi artisti… Fotografi e pittori  da cui lei assorbe  l’incanto per i fiori e la pittura dilatata sui primi piani, che può alterare l ‘aspetto degli oggetti, dando vita a forme  di astrazione prima inesistenti o non visibili…

Ma prima ancora di essere conosciuta per  i suoi quadri, Georgia, a New York,  è lanciata dalle fotografie di  Stieglitz, di  cui diviene  modella e Musa… Nelle mostre del 1921 e del 1923  metà delle foto sono ritratti e  nudi di Georgia…  Subito dopo arrivano i fotografi  famosi  della cerchia di Stieglitz e con  il  viso dagli alti  zigomi, le bellissime mani  “danzanti” e il  corpo morbido e allungato come una  Venere di Cranach, Georgia diviene la donna più fotografata del mondo.

Nel 1924 vengono esposti i suoi grandi immensi fiori,  alcuni luminosi, altri vortici di buio…  L’ingrandimento è voluto, i dettagli dominano il primo  piano… Anche il “velluto” dei petali  e’ palpabile…..” E’ il fiore visto dal punto di vista dell’ape”… Così lo aveva  teorizzato Georgia prima di dipingerlo… Ma, strappato alla  sua correlazione  naturale, l’effetto finale diventa  autonomo… e  fortemente erotico…  Sono eleganti simboli sessuali che lei ha liberato dal suo incoscio, afferma Stieglitz  e un noto critico d’arte scrive  un saggio  sui reconditi significati…   Quegli strani oggetti pieni di voluttà, hanno un successo incredibile… Fra le foto  di nudo e i  quadri dei fiori, Georgia diventa famosa… E’ un’immagine inconsueta, per la sensibilità dell’epoca, un ‘artista libera e disinibita… Fuori dagli schemi… non corrisponde a nessun cliché …

A parte la donna, oggi più identificabile, resta difficile  definire l’arte di Georgia O’Keeffe… Questi fiori che si impossessano dell’intera tela, sicuramente  esistono, ma  in  una realtà che è diversa, individuale,  tutta  impregnata della personale “magia” dell’artista, degli occhi con cui lei guarda il mondo… La stessa cosa accadrà quando si vorrà confrontare con la realtà a lei più vicina… Mentre  comincia a dipingere New York  nel 1925 , lo sky line della città non è ancora del tutto definito, ma lei ne coglie lo stesso  l’aspetto essenziale …  La sua Verticalità… Per il resto non c’è una netta definizione… Forme di edifici a torre, ridotte a  geometrie semplificate dove  nella notte  splende la ripetitività  delle finestre …Il “Radiator Building”  fa   venire in sogno  la magia  di un castello  antico,  abitato da fate o forse da vampiri… Da “City Night” o da “l’Hotel Sheldon con riflessi di sole”si aspetta invece che balzino fuori i   nuovi cavalieri della fantascienza…

E’ sul finire degli anni ’20 che Georgia O’Keffe comincia a lasciare un po’ per volta New York … Stieglitz la opprime… E la tradisce… Anni di lotta continua per affermare piccole parti di se stessa l’hanno lasciata esausta…E mentre avverte la presenza di altre donne si ritrae…  E  finisce per trovare  la sua verità definitiva  nella vastità del New Mexico…   L’affascina il nudo paesaggio desertico e  le colline di sabbia rossastre con le scure mesas alle spalle…  Scrive ”  Qui fuori, nelle Badlands, che si estendono per molte miglia si possono vedere tutti i colori di terra della tavolozza di un pittore, dal giallo Napoli chiaro  attraverso i toni ocra – arancione,rosso e porpora – sino ai morbidi toni del verde. ” … E ancora “Ho colto fiori dove li ho trovati, ho raccolto conchiglie e pietre e pezzi di legni…Quando ho trovato le belle ossa bianche nel deserto, le ho raccolte e le ho portate a casa… Ho dipinto questi oggetti per esprimere ciò che significavano per me la vastità e il miracolo del mondo in cui vivo.”

Se per i critici  d’arte le ossa sono segni di morte lei,  di ossa aride ormai  non potrà più fare a meno e ci cospargerà i suoi quadri…  I protagonisti del suo  rinnovato  universo…  “Le ossa – scriverà – sembrano portare proprio al centro di ciò che nel deserto è più vivo, benché esso sia ampio,vuoto e intangibile e benché, nonostante tutta la sua bellezza, non conosca l’amicizia…”  Tornerà ogni tanto a New York, il legame con il marito non si interromperà mai del tutto, tanto forte era lo spirito che li teneva assieme, ma per questa dona affamata di realtà, che ha bisogno di soggiogare e  trasformare,  il deserto diventerà la sua casa… E   la mirabile architettura delle ossa del bucranio,  saranno  il suo nuovo mondo,    Diventeranno immensi, evocati  fantasmi  a protezione del deserto, in opere come “Dal lontano vicino” o  saranno delicati intagli di bianchi e neri  nei surreali accostamenti ai fiori artificiali delle sepolture spagnole…

Dopo che suo marito era morto  prese a girare il mondo, lasciando nuovamente dietro di sé quell’immagine di donna eccentrica, avventurosa e non classificabile… Ne ritornò con liquide immagini azzurre e bianche viste dall’alto… i suoi fiumi  che correvano in pianure vuote e desolate sotto la coltre delle nuvole  “…Le nubi sotto di noi erano straordinariamente belle, spesse e bianche… Tutto appariva così solido che io pensai che avrei potuto camminarvi sopra, fino all’orizzonte, se qualcuno avesse aperto la porta… Non vedevo l’ora di arrivare a casa  e di dipingere… ” Lo farà fino quasi alla fine quando ormai non ci vedeva  … Ma in quel deserto volle restare, fiera e  orgogliosa della sua solitudine,  nella vastità che non aveva neanche più bisogno di vedere, tanto era dentro di lei… Ma forse era vero il contrario …Era stata lei a entrare nel deserto e a diventare parte di quel  Dio,  sconosciuto ai più…

Molti oggi  considerano Georgia O’Keeffe la più grande pittrice americana del 20° secolo…  Nel New Mexico, che lei scelse come patria di elezione, la cucina di tipo messicano è un mix  di  cucina spagnola e india, oggi spesso rivisitata dalle influenze che arrivano dal Nord degli Stati uniti.  Ma le Huevos Rancheros sono  un cibo  ancora nel solco della più tipica  e tradizionale cucina messicana. Venivano  servite   nella colazione di metà mattinata  agli agricoltori  che usavano fare una pausa con un pasto molto sostanzioso dopo la frugale colazione di prima mattina.

HUEVOS RANCHEROS

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:  olio extra vergine di oliva q.b.,  250 grammi di cipolle,  500 grammi di peperoni, rossi, gialli o verdi, 1 cucchiaino di cumino, 1/2 cucchiaino di sale , 1/2 cucchiaino di pepe di cayenna, 1/2 cucchiaio di jalapeno, 1 spicchio di aglio, 250 grammi di pomodori freschi o pomodori a pezzi in scatola, 200 grammi di brodo di pollo, 3 cucchiai di cilantro, 4 tortillas di mais, 2 cucchiai di burro, 350 grammi di cheddar, 8 uova grandi,

PREPARAZIONE: per prima cosa  si prepara la salsa detta appunto Ranchero che verrà versata sulle  uova. Scaldate in un tegame l’olio e poi aggiungete i peperoni e la cipolla tagliati a pezzi facendoli cuocere per 5 minuti circa a fiamma media, rigirando di tanto in tanto per evitare che si brucino.Aggiungete il cumino,il sale, il pepe di cayenna, il jalapeno sminuzzato e l’aglio tagliato a fettine sottili mescolando. Versateci sopra il brodo di pollo e i pomodori e fate cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio,per restringere la salsa.Togliete la pentola dal fuoco,aggiungete il cilantro  sminuzzato e tenere da parte.

In una padella ampia fate scaldare poco olio di oliva che avrete spalmato su tutto il fondo, aggiungete una tortilla alla volta girandola da entrambe le parti per  1 minuto complessivo di cottura e ripetendo il procedimento per tutte e 4 le tortillas.

In un altra padella di medie dimensioni fate scaldare 1  cucchiaio di burro, rompeteci dentro due uova  mantenendo il tuorlo intatto, salatele e dopo cotte mettetele a parte in un piatto dopo avervi spolverato sopra la metà del cheddar grattugiato o spezzettato finemente. Aggiungete un altro cucchiaio di burro e seguendo lo stesso procedimento fate cuocere le restanti uova. Mettete una tortilla in ogni piatto, poggiatevi sopra due uova ciascuno e ricoprite con la salsa Ranchero.

Dolce & Gabbana in Sicilia… Con gli involtini di pesce spada…

Le lunghe gonne a fiorellini che ondeggiavano al vento,  le bianche camicette di cotone etnico,  lo scialle lavorato  a maglia con i ferri n. 9…  Glieli avevano quasi strappati di dosso alle donne, diventate tutte hippies dall’aria  oziosa…  Ora la nuova donna indossava  il tailleur  di una decisa  tinta unita, le spalle alte e larghe sul corpo snello, appena  intravisto… I capelli raccolti… E usciva tutte le mattine per andare a fare carriera…. Sembrava  ormai una cosa  stabile,  un giusto segno dell’evoluzione e della parità dei diritti e invece durò solo fino a metà degli anni 80.. Cominciò allora l ‘inesorabile  decadenza del’estetica yuppie…

C’è  qualcosa di nuovo… Anzi d’antico,  quando  nel 1985   appaiono  d’improvviso a Milano  in veste  di “Nuovi Talenti” Domenico Dolce e Stefano Gabbana….Facile  individuare nel loro  primo exploit la tradizione, la memoria, il colore locale, la provincia… C’erano tutti i luoghi comuni per  ritornare a un  passato mille volte rinnegato… Dopo aver sconfitto   la donna al potere, dal look internazionale…   Ma senza troppi rimpianti perchè  nei “Nuovi Talenti” c’era una forma di  sicura  ironia  e di allegra baldanza nel riproporre  quel che sembrava scomparso, cioè  la donna mediterranea, dalle forme definite, rotonde,  racchiuse nei reggiseni tutti conturbanti pizzi neri e il  corpo strizzato  dai nuovi corsetti pieni di  stecche e imbottiture…  Anche l’uomo, quando arriverà in passerella, sugli  abiti rigati di  elegante  fattura metterà disinvoltamente la vecchia coppola siciliana. Perché è la Sicilia la musa ispiratrice di questi due giovani, che se ne servono per fare una delle più contaminate e spiritose rivoluzioni che mai l’alta moda aveva osato.url-1

Una Sicilia da amare  e  dove  affondare a piene mani… Passato, presente e  futuro, nella testa  di Dolce & Gabbana si confondono… C’è la Sicilia dei vicoli   dove chiacchierano ancora o chiacchieravano  negli anni ’50  le donne sedute,  vestite di scuro…  Hanno   le calze nere al ginocchio  otre il quale  si intravvede  appena una  striscia di candida  coscia… Quelle calze, nelle mani dissacranti  di Dolce & Gabbana  diverranno   spigliati gambaletti quasi fetish, senza perdere le loro origini… Ma c’è anche la Sicilia del Gattopardo con un esplosione di velluti, abiti da gran ballo, jabots … E  anche di donne già un po’ saffiche, che rubano agli uomini di casa Salina abiti maschili con gilet e camicia bianca…   Gli echi   si sentono ancora  nella collezione “The trip,”  un tempo unico, dilatato nello spazio della collezione del 1992 …Un viaggio pieno di riferimenti alla Sicilia, a Parigi a Berlino …  La versione rivista di un berretto da ragazzo è lo spunto per una  rigida camicia bianca e una cravatta sottile nera… Fra le compagne del viaggio di sicuro c’era  Marlene Dietrich.

Poi quando la Sicilia sembra aver concesso  tutto il suo patrimonio  di   romanticismo e neorealismo, Dolce & Gabbana vanno a cercarsi altri miti ancora, altri cieli…  Il tempo si dilata, rincorre se stesso, riaffiora   in una lunga storia di rivisitazioni e di trasgressioni… Nessuna   paura  neanche a ripercorrere strade scontate come la Cina, che per loro diventa un’orgia allegra e scanzonata di   docili dragoni e di colori  gialli e azzurri  vincenti… Non mancherà neppure una corsa a Londra in un ricordo hippie che   diventa molto “Chic”… Nei pantaloni la  memoria della silhouette di Carnaby Street, poi le scarpe platform, tanti patchwork, broccati e ricami  che vanno a mischiarsi  con rigidi gessati… E’ cominciata l’epoca senza ritegno, in cui tutto il retro viene saccheggiato, senza che loro ci versino sopra neppure una lacrima… Perchè tutto deve amalgamarsi  e rinascere, periodi e paesi, maschile e femminile, pop e alta classe..

1996…Leopardo e animal print in dosi massicce… Negli abiti, nei cappotti,  per la donna e per l’uomo… Mentre chiudono la sfilata i ragazzi in canottiera, ricordo delle afose estati siciliane o degli interni compaesani di “Rocco e i suoi fratelli” ..  Loro adorano provocare  e scandalizzare   ” Politically incorrect ” dirà Patrick Mc Carthy da WWD…

001_2797d1d4-224e-42e1-8806-3fda10a9df5e1997 Nasce la Mon-Signora… ricoperta  di veli e farfalle con immagini sacro – profane della Vergine Maria, mentre cuori e medagliette sacre pendono dalle orecchie…  Una particolare “devozione” che riaffiora anche nel 2013, quando in tempo di crisi, i giovani  di poche speranze, coprono le loro magliette con enormi “ex voto”stampati…

1998 Un guizzo e via… il tempo di Dolce e Gabbana  è  tutto   ispirato ai film di fantascienza e ai fumetti dei super eroi … E  la donna del sud diventa “cyber”… Tessuti stretch, abiti effetto specchio, plastica elasticizzata, con un risultato sfacciatamente sexy…Quella volta, invece del passato, proiettarono il futuro nel presente…

Nel 2001 il nuovo secolo inizia  in una scenografica Sicilia, evocata nella passerella,  da un bosco di palme tutto d’oro… Gira attorno alle palme una donna  con pochi essenziali colori e soprattutto molto nero… un colore antico per una  figura flessuosa, molto attuale…

Nel 2004 c’è un  Medio Oriente  evocato nelle tinte pastello  dei top, nelle piccole gonne a strisce colorate …o  negli  scollati  vestiti a quadrettini bianchi e rossi  cuciti nella stoffa della “Kefia”  dei ribelli arabi…Non c’è sosta alle loro provocazioni

  Il 2007 è l’anno della foto scandalo…  C’è  una donna tenuta per i polsi e  trattenuta  a terra da un uomo a torso nudo, mentre altri quattro  assistono e guardano…  Sembra la scena bloccata di un balletto più che un frammento di realtà, ma protestano tutti… Senatori, ministro delle Pari opportunità, Cgil, Amnesty International ecc. «Per noi quella foto onirica, è espressione di passionalità, bellezza ed erotismo» Si difendono… Ma la censura  blocca la campagna pubblicitaria…  Sempre quell’anno in una  plumbea Portofino appaiono  nudi e seminudi fra vescovi e tacchi a spillo, in un servizio   firmato Steven Klein. Un po’ arrabbiati e molto sorridenti raccontano «Tutto è nato un anno fa quando il New York Times ci ha definito cafoni e paesani! Ci siamo detti: “Beh allora facciamogli vedere sino a che punto siamo capaci di esserlo”».

C’era da chiedersi: ma dove andranno a finire  Dolce & Gabbana? Semplice, sono tornati in Sicilia… Da cui del resto non erano mai andati via… Ma stavolta  hanno superato se stessi …  Chi poteva pensare alla Sicilia dei Paladini, di Orlando e di Rinaldo … Quelli dell’Opera  dei Pupi, quelli dipinti sui colorati carretti siciliani, da tempo  umiliati nella più vieta e trita pubblicità turistica dei gadgets souvenirs…  Loro  ci si sono tuffati in mezzo, con quell’ardire e quell’incoscienza che è tutto l’essere se stessi  e  hanno creato abiti  di insolita, divertita e ritrovata nobiltà … Pezzi di carri e  immagini  di  vecchi pupi riprodotti per intero, in mille versioni di lungo, di top, di gonne e di scarpe  folli   dove la zeppa del tacco è uno spicchio di ruota del carretto…

L’ultima collezione invece lascia estasiati… E’ proprio il caso di dirlo perché è tutta Santi e Regine,  sottratti stavolta alle memorie  bizantine del Duomo di  Monreale e della Cappella Palatina…  Una collezione che sa di favola, dove lo sfarzo viene però contenuto  dai tagli e dalle linee, morbide e rigorose assieme…  Tessuti che riproducono  il  fondo oro con  tessere di  mosaici appena stinti dai secoli, su cui appaiono antiche figure di un mondo dove  sacro e regale sono  la stessa cosa, per sempre  espressi nella fissità distante  delle  figure dai ricchi   panneggi e  impreziosite da  tiare, gioielli colorati , orecchini enormi in forma di croce… Un mondo colto, raffinato, riservato a pochi eletti…Beh saranno pure dissacratori, eccentrici e provocatori, ma soprattutto Dolce & Gabbana  lasciano senza fiato…,

A questi testimoni del tempo un piatto siciliano senza tempo…

INVOLTINI DI PESCE SPADA ALLA SICILIANA

INGREDIENTI per 4 persone: 12 fettine sottili di Pesce Spada,150 grammi di pangrattato, 2 cucchiai di pinoli, 2 cucchiai di uvetta, 1 ciuffo di prezzemolo,  2 cucchiai di pecorino grattugiato, 2 acciughe sotto sale, 2 limoni,   foglie di alloro,  olio extra vergine di oliva, sale e pepe.

PREPARAZIONE:  Dissalate le acciughe raschiando  il sale, poi apr itele, togliete  la lisca e  sciacquatele sotto l’acqua. Infine  riducetele a pasta schiacciandole in poco olio. Fate rinvenire l’uvetta mettendola a bagno nell’acqua tiepida almeno 20 minuti.Versate ora in una padella due cucchiai di olio, fatelo scaldare, tostatevi leggermente 100 grammi di pangrattato e subito dopo aggiungete il pecorino, il prezzemolo tritato, i pinoli, l’uvetta, il succo  di 1 limone,  una presa di sale e un pizzico di pepe. Distribuite il composto sulle fette di Pesce Spada, cosparse di sale e arrotolatele, poi ungete gli involtini nell’olio e  cospargeteli del rimanente pangrattato. Infilzateli su spiedi di legno alternandoli con foglie di alloro e disponeteli in una teglia già unta di olio. Bagnateli con un’emulsione di olio e del restante succo dilimone e infornate a 200°C per 20 minuti circa.