Per Anita Eckberg… Gli “Spaghetti alla Gricia”, un’antica ricetta del Lazio!

Fontana di Trevi-1

Un’atmosfera notturna e misteriosa … I vicoli di una città vuota dove l’unica presenza è quella di una magnifica donna bionda con una stola bianca a illuminare la notte, che incede  quasi a passo di danza nella città deserta. Cammina a caso fra un vicolo e l’altro e gioca con un gattino bianco che le si è arrampicato sulla testa, finché, superato l’ultimo vicolo, davanti le si apre, semicircolare, compatta e chiusa  la piazza. Adesso la può vedere bene… La fontana è grande, monumentale, scenografica e l’acqua, che da più parti, cade nella vasca, riempie  di trasparenze la facciata del palazzo a cui la fontana si appoggia. La ragazza ha un attimo di stupore poi immemore o ignara della sua storia secolare, con un atto di piena confidenza o come una Dea che prende possesso dei suoi domini, vi entra dentro.  Adesso è lì, completamente a suo agio sotto gli spruzzi che, dalla scogliera marmorea sovrastante, le continuano irruenti a cadere addosso. L’uomo che, dopo pochi istanti la seguirà nella fontana, quasi non ha coraggio di toccarla…  la guarda e si perde completamente nella sua innocenza e nella sua bellezza, mentre le rivolge parole confuse e smemorate…

Fu quella scena  del film “La Dolce Vita” a dare ad Anita Eckberg la fama internazionale. Ma la celebrità arrivò anche prima. Forse una campagna pubblicitaria ben orchestrata… ma già mentre girava il film e si delineava il suo personaggio carico di sensualità nordica, Roma impazzì per lei. Divenne un mito e fu un fenomeno di massa che lascia ancora oggi stupiti. I fotografi seguivano ogni suo spostamento, l’assediavano e divennero proprio allora”Paparazzi…” Il gossip ormai esisteva solo per lei e Via Veneto era la sua vetrina. Cercava di seguirla dappertutto quel marito inglese Anthony Steel, folle di gelosia… ma era quasi impossibile controllarla. Si disse che in quel periodo ebbe una storia sia con Marcello Mastroianni, l’interprete del film, che con Federico Fellini, il regista. Per quanto riguarda Mastroianni non è difficile crederci perché era a quei tempi l’amante latino per eccellenza e poche donne gli sfuggivano… Per Fellini invece il discorso è più complesso perché lui, in fondo, era  rimasto un provinciale, e quell’attrice rappresentava la materializzazione di quell’eterno femminino, su cui giovanetto, aveva sognato in terra emiliana, davanti alle donne, Veneri o Madonne che fossero, dipinte dai cugini Carracci. Adesso Anita era davanti a lui, come un’epifania, con lo stesso corpo opulento che sembrava non finire mai e lo sguardo dolcissimo e fanciullesco che ha la Venere nella Galleria di Modena.

Ad Anita Roma l’aveva come stregata e affascinata e si sentiva accettata come non le era mai accaduto prima. Non in Svezia, dove nonostante avesse vinto il titolo di Miss Svezia l’avevano sempre  tenuta a distanza  per il suo dialetto del Sud, snobbato dalla gente chic… E nemmeno a Hollywood aveva avuto una grande accoglienza, confusa nel sottobosco delle attrici di serie B.

Ora l’aristocrazia, il mondo del cinema e quello della letteratura erano ai suoi piedi e questo l’autorizzava a scatenarsi, a bere un po’ troppo e ad accendere le grandi e un po’ peccaminose notti romane. Fu lei a dare il via allo scandalo del Rugantino  dove si esibì in uno sfrenato Cha Cha Cha a piedi nudi, cui seguì lo spogliarello della danzatrice turca, le cui foto fecero il giro del mondo, mentre  circolava la voce che Anita beveva un po’ troppo, spinta anche da quel marito mezzo alcolizzato, che lasciò poco dopo.

Su di lei, intanto, aveva messo gli occhi il più grande industriale italiano e uno degli uomini più affascinanti di  quei tempi, Gianni Agnelli, l’erede Fiat e per tutti l’Avvocato. La storia durò a lungo, sembra tre anni, avvolta nonostante  la notorietà di tutti e due, nel massimo riserbo. Alla fine fu lei a lasciarlo, addolorata per un suo tradimento, ma poi lo rimpianse per tutta la vita  e ne pianse dolorosamente la morte.

Però dopo “La dolce vita” non ci fu più nessuno in grado di utilizzare bene Anita Eckberg. Solo con Fellini riuscì a fare di nuovo un’ottima interpretazione nel surreale episodio di “Boccaccio ’70” e qualche anno dopo ne “L’Intervista”. Per il resto  furono tanti film ma nessuno che valorizzasse quella esagerata bellezza e le capacità recitative che solo Fellini conosceva sino in fondo.

Ma all’Italia Anita non seppe più rinunciare. Provò a starne lontana ma la nostalgia era forte. Per lei così nordica il calore umano e la gioia di vivere che allora c’erano in Italia non andavano perduti e si comprò una villa vicino Roma dove andare ad abitare. Le piaceva la buona tavola e i suoi amici dicevano che per farla felice bastavano “Pasta, cioccolato e Vodka”. Alcuni ristoratori le intitolarono anche dei piatti… in onore alla sua bellezza e alle sue ottime qualità di cuoca. Come cittadina del Lazio  dove vive ormai da tanti anni e di cui nel tempo ha imparato ad apprezzare le gustose ricette del territorio, le dedichiamo  un’antica pasta detta “alla Gricia”  di origini incerte, di pochi ingredienti e di grande sapore che, secondo alcuni, è l’antenata della “Pasta all’Amatriciana” – perché si fa con gli stessi ingredienti a esclusione del pomodoro, – mentre secondo altri il termine risalirebbe alla Roma del ‘400 dove “Gricio” era chiamato il panettiere che veniva dal Canton dei Grigioni ed era addetto alla preparazione della pasta fresca.

SPAGHETTI ALLA GRICIA

INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di spaghetti, 250 grammi di guanciale di maiale, 100 grammi di pecorino, 1 cucchiaio di aceto bianco, olio extra vergine di oliva, sale e pepe.

PREPARAZIONE: In una padella mettete a scaldare dell’olio extra vergine di oliva e aggiungete  il guanciale tagliato a dadini. Quando la pancetta è quasi rosolata, senza tuttavia che  secchi troppo, aggiungete il cucchiaio di aceto, fate evaporate e spegnete il fuoco.

Portate a ebollizione abbondante acqua, salatela, fatevi cuocere gli spaghettie scolateli al dente, conservando un mestolino dell’acqua di cottura. Metteteli in una padella, aggiungete il guanciale, il pecorino, il pepe, un poco dell’acqua di cottura e fate saltare su fiamma viva per qualche minuto, facendo attenzione a non scuocere la pasta.

Il King Cake al Carnevale di New Orleans

135FrenchQuarterNewOrleansLABohémien e  aristocratica, decadente e smagliante, raffinata e degradata, il suo fascino non l’ha mai perso! E dire che di drammi  e offese ne ha subite nei suoi tre secoli di vita! Sorta in una posizione strategica per i commerci, alla foce del Mississipi, in una terra dedicata a un Re, con il nome altisonante di Nouvelle Orleans  in onore della famiglia più nobile di Francia, sembrava che avesse davanti a sé un luminoso e rispettabile avvenire. Passarono  invece poco più di 40 anni e cominciarono a passarsela di mano, peggio di uno di quegli schiavi neri che i francesi avevano presto portato in città dal Senegal. Gli Spagnoli arrivarono nel 1763, dopo la guerra dei sette anni, in quel convulso gioco degli scacchi che ridisegnò  la proprietà Europea delle colonie Book Storyville New Orleansamericane. E fu la terza etnia che andò a comporre lo straordinario mosaico demografico  di New Orleans. Gli altri arrivarono verso la fine del secolo e furono Anglo – Americani, fuggiti dalla Rivoluzione  Americana, Francesi, fuggiti dalla … Rivoluzione Francese e Haitiani, bianchi e neri, fuggiti dalle rivolte di Haiti. La strana unione in Europa avrebbe dato sicuramente luogo a chissà quali tensioni e conflitti razziali, qui invece dette vita a una nuova e originale cultura quella Creola, ricca di tradizioni e stili di vita propria con una lingua e una cucina  ricca di influssi africani, europei e coloniali. Tutto questo mentre la Spagna la cedeva  nuovamente alla vittoriosa Francia di Napoleone  che soli tre anni dopo la vendette ai nuovi Stati Uniti d’America. Ma la città, che aveva accolto  le più disparate etnie nel  French Quartier (che fra l’altro è più spagnolo che francese), tutti gli avventurieri nel grande porto e le prostitute  a Storyville, gli americani del Nord, protestanti, operosi e integerrimi, li ha sempre sopportati poco, tanto è vero che li ha relegati in un bellissimo quartiere, Garden District, che ha solo un piccolo difetto, quello di essere praticamente fuori città. Gli States da parte loro hanno sempre guardato con notevole diffidenza questo  spicchio di Sud  così irriverente eterogeneo border line, sfruttandolo per  quello che poteva dare, commerci e petrolio e abbandonandolo quando era più disperato… Dopo Katrina la Big Easy dove tutto è stato sempre difficile ha fatto fatica a tirarsi in piedi, ma forse ce l’ha quasi fatta grazie a quella gioia di vivere che nonostante tutto riesce a diffondere nelle sue più grandi istituzioni, la cucina e il Carnevale. Neppure una volta dopo Katrina ha  voluto rinunciare ai carri, alle feste dell’arrivo di primavera e ai suoi  dolcissimi gamberetti che protetti dagli argini hanno respinto le torbide acque dell’alluvione più terribile del secolo. Anzi, dopo, tutto è  stato più importante, diventando non solo un’occasione  di aggregazione, ma anche un momento  liberatorio, un’ancora di salvezza per una popolazione ridotta allo stremo non solo dalla forza della natura  ma ancor più dalla pruricentenaria indifferenza dello Stato centrale.

Il Carnevale… tutto era cominciato con i francesi che  avevano portato a New Orleans i canti e i balli con cui celebravano la “grande  bouffe” prima di cominciare a battersi il petto nella penitenza della quaresima.  Il nicholas_portraitCarnevale francese ben presto però si fuse con  le tradizioni degli schiavi africani e delle popolazioni caraibiche che continuavano a celebrare le loro feste con musiche, maschere ed elaborati costumi sviluppati già nei posti di origine. Poi dopo la guerra di secessione  ci fu un altra e significativa svolta nei contenuti e nel significato delle sfilate perché i cittadini di New Orleans cominciarono ad adoperare il concetto di “Crewe” –  che all’inizio indicava soltanto i gruppi  che organizzavano segretamente il Carnevale, –  per  fare la fronda  agli invasori Nordisti che avevano vinto la guerra. E così cominciarono a costruire carri allegorici in cui evidentissimo era  l’intento polemico di deridere e  mettere alla berlina  i personaggi politici e i prepotenti imprenditori del  Nord che stavano mandando a rotoli l’economia degli Stati del Sud.

Un’ulteriore, determinante svolta ci fu nel 1872. A quel tempo un giovane, titolatissimo principe, Alexei Romanoff Alexandrovich, figlio addirittura dello Zar di tutte le Russie, tutto impegnato  nel suo “Gran tour” Rex_Parade_1872americano,  fra una battuta e l’altra di caccia al bisonte, si impegnò ad arrivare a New Orleans per il Carnevale. In occasione di questo inconsueto arrivo ( era da parecchio tempo ormai che a New Orleans si erano perse le tracce delle teste coronate), i notabili della città organizzarono una specialissima Crewe, con il compito di allestire, in onore dell’illustre ospite, quella che è passata alla storia come “Parata Reale”. Fu in questa occasione che venne anche eletto il primo re, il Re di Carnevale  che in seguito sarebbe diventata una delle figure più ricorrenti di tutti i carnevali a venire.

Il principe  arrivò davvero a New Orleans attratto, dissero i maligni, oltre che dal Carnevale da una bella attrice ,Lydia Thompson, che in quegli stessi giorni ballava e cantava in un’opera di burlesque che si teneva all’Academy of Music. Un altro gruppo di maligni  mise in giro la chiacchiera secondo cui le attenzioni del principe  erano invece rivolte a un’ altra graziosa attrice Lotta Crabtree, alla quale prima di ripartire regalò, si disse,un bellissimo braccialetto di diamanti.

Le storie  delle avventure femminili del principe, nonostante il gran parlare di quei giorni, sono rimaste avvolte nel mistero. Quello che è certo invece è che Sua Altezza poté gustare quello che, con il suo nome altisonante  era il dolce più adatto per essere servito  alla sua  tavola principesca, il King Cake, che  proprio allora, da torta della famiglia, si stava trasformando in pubblica attrazione di Carnevale.

Si tratta di un dolce nato in Spagna come Roscon de Reyes e poi trasferito in Francia e nelle Colonie, per festeggiare i Re Magi che portavano doni al bambino Gesù. Infatti, chi ha avuto occasione di mangiare  questo dolce ha potuto notare che al centro si trova sempre, come infilato nella culla, un bambinello, oggi più modestamente di plastica dorata, ma una volta anche di avorio o oro. Poichè si tratta di un dolce dedicato al giorno dell’Epfania, ci si si può lecitamente chiedere che c’ entra  con la festa di Carnevale che si svolge fra i mesi di febbraio e marzo. Ma se uno si pone questa domanda significa che non conosce fino in fondo lo spirito  allegro e festoso dei  cittadini di New Orleans che hanno retrodatato l’inizio del Carnevale al 6 di gennaio senza alcuna soluzione di continuità fra una festa e l’altra.

Il dolce, rivisitato “in fieri” e “in loco” è bellissimo, di varie forme rotondeggianti e avvolto nei favolosi colori  viola verde e oro che simboleggiano la giustizia, la fede e il potere e diventano i colori cult della città nei giorni di Carnevale

f441a222-ba25-4abe-9164-2d9574012f7eKING  CAKE

INGREDIENTI  per  la ciambella (per 6 persone): 1Kg di farina, 1 e 1/2 cubetti di lievito di birra, 1/2 bicchiere di acqua tiepida, 125 gr. di latte tiepido, 5 tuorli di uovo, 160 gr, di burro ammorbidito, 150 gr. di zucchero, 1 cucchiaino di sale, un uovo sbattuto, la buccia grattugiata di 1/2 limone, 1 cucchiaino di cannella, 1 pizzico di noce moscata

INGREDIENTI per la glassa: 400 grammi di zucchero a velo, 2 albumi, due cucchiaini di succo di limone. tre bustine di colori alimentari verde viola e giallo e 3 cucchiai di zucchero semolato.

PREPARAZIONE: mettete la farina nell’impastatrice unitamente al lievito sciolto nell’acqua tiepida, le uova, lo zucchero, il burro, il sale, la noce moscata e la buccia di limone grattugiata. Attivate l’impastatrice e aggiungete poco alla volta il latte tiepido, lasciandone due cucchiaiate da parte.

Quando l’impasto è diventato omogeneo, morbido e si stacca senza difficoltà dalle pareti dell’impastatrice, dategli una forma sferica,mettetela in una ciotola unta di burro, sigillatelo con pellicola trasparente,mettetelo in un ambiente asciutto e privo di corrente d’aria e fatelo lievitare fin quando non ha raddoppiato il suo volume.

Mettete la pasta su una superficie levigata,spolverizzatela con la cannella e lavoratela per qualche minuto. Dividete l’impasto in due parti dando ad ognuna di esse una forma cilindrica.Intrecciatele fra di loro, unite le due estremità e deponete  questa corona su una placca unta di olio e ricoperta con placca da forno.

Fatela nuovamente lievitare e quando avrà raddoppiato il suo volume spennellate la superficie con l’uovo sbattuto  e le due cucchiaiate di latte messe da parte.

Fate cuocere nel forno preriscaldato a 180° C per 30 – 40 minuti fin quando non abbia assunto un bel colore dorato. Fate raffreddare su una grata.

Preparate la glassa sbattendo con una frusta lo zucchero,gli albumi e il succo di limone.Dividete i tre cucchiai di zucchero semolato cospargendoli ognuno con una bustina di colorante diverso Rivestite la torta con la glassa e cospargetela ancora umida col lo zucchero semolato colorato,senza mischiare fra di loro  vari colori.

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