All’ombra delle palme… Zenobia e la torta coi datteri!

A metà del terzo secolo, avrebbero riso in faccia a chiunque avesse provato a scommettere che quell’Impero, sarebbe stato in piedi altri 200 anni !  In Occidente c’erano le orde dei barbari  accalcati alle frontiere, in gara fra loro per chi le varcava prima  e più spesso. Goti, Alamanni, Franchi  sbucavano da tutte le parti e e non si sapeva più dove dirigere l’esercito. Anche perché i soldati su cui contare erano veramente  pochi! Gli altri erano  distribuiti su quella infinita linea di confine che dalle  Gallie e l’Europa del Nord cominciava  lentamente a scendere lungo la Pannonia   e la Dacia  per ripiegare più decisamente  verso Sud appena passata la Siria e l’Armenia, dove c’era da resistere al famelico regno dei  Parti, lo storico secolare nemico. E in quei lontani, spesso desolati avamposti, i soldati, nella loro ferma ventennale, si dimenticavano almeno un po’ di Roma, finivano per  prendersi le donne  del luogo e coltivavano l’orto a ridosso delle torri e dei bastioni di difesa.

Nelle  Gallie la situazione  andava a rotoli e visto che “i nostri” non ce la facevano ad arrivare, i Galli dovettero imparare con molta rapidità a difendersi da soli, coinvolgendo  tutti, cittadini e contadini... anche se non ne erano rimasti molti, perché la crisi mordeva da tempo e città e campagne  si stavano spopolando. Ma a  questo punto  Roma e il suo impero ai Galli non servivano più e se ne fecero uno tutto per conto loro. Era l’anno 258, nasceva l’ Imperum Galliarum e Postumo fu il primo imperatore.

 Ma questo era ancora ben piccola cosa in confronto a quello che successe in Oriente… Quando i Parti, in circostanze  per sempre oscure, con un  veloce, inaudito  blitz catturarono l’Imperatore stesso, notoriamente un Dio in terra! Non era mai successo  nella Storia di Roma e tutto l’Impero ne rimase  atterrito! Sembrava veramente la fine …  Shapur, il sadico sovrano dei Parti lo mise a lavorane come  operaio alla costruzione di una diga e lo fece sapere in giro. E dato che  era un mago della propaganda e della pubblicità fece  fare un grande rilievo rupestre, ben visibile a  tutti coloro che  capitavano da quelle parti, in cui erano ritratti lui  a cavallo e Valeriano prostrato e sottomesso. Così  anche chi,  da quelle parti  non c’era mai  andato, lo veniva a a sapere da chi c’era passato.

Roma si spese l’ultima carta che gli era rimasta… Il principe Odenato di Palmira,  valoroso soldato e Vir Consularis dell’impero. Lui del resto aveva tutto l’interesse ad allontanare i Parti che premevano su quell’ultimo lembo di Provincia Romana,  così aveva cominciato a inseguirli subito, mentre si ritiravano dopo aver catturato l’imperatore. Valeriano non lo ritrovò più nessuno, ma Odenato riuscì a colpire  quasi a morte l’esercito in fuga. Gallieno, il nuovo imperatore, che come  soluzione  aveva solo questo principe, ancora un po’ barbaro, lo riempì di titoli onorifici fra cui quello di dux romanorum, carica in sé pericolosa e conflittuale  che poteva spiazzare  il Governatore Romano perché in pratica riconosceva l’autorità regale del principe di Palmira su tutta l’area della provincia di Siria. Ma Odenato era un gran signore e le cose andarono benissimo. Rimise rudemente i Parti al loro posto, andandoli a insidiare direttamente dentro il loro  regno, restituì una boccata d’ossigeno al compromesso prestigio  dell’impero e  perfino un po’ di pax romana, di cui c’era veramente bisogno. Soltanto però fino al 267… Perché in quell’anno l’ ammazzarono… assieme al figlio maggiore.

L’altro figlio, Vaballato, era solo un ragazzino e fu necessario nominare un reggente. Naturalmente Zenobia, sua madre, l’adorata sposa di Odenato, bella, che dire bella era troppo poco, donna guerriera che era lo sgomento dei nemici… La Historia Augusta, una delle fonti  più note dell’antichità, racconta che  era ancora più coraggiosa di suo marito, che  aveva preso parte alle campagne militari, che guidava in battaglia i generali e poi beveva con loro… Sapeva anche governare, ma non aveva nessuna intenzione di farlo in nome e per conto dei Romani. Deboli come erano in quel momento, con tutte le forze impegnate contro i barbari, non ci mise molto a occupare tutte le province attorno alla Siria, la  Mesopotamia a est, la Bitinia sino al Mar Nero e l’Egitto a Sud. All’inizio recitò ancora la parte dell’alleata, ma quando tolse dalle monete di Alessandria, l’immagine dell’Imperatore, finalmente si capì che l’Impero Romano  era spaccato in tre… con le Gallie e il Regno di Palmira, ai lati ostili di un entità avvolta nel Caos.”La crisi del 3° secolo”, “I tre tronchi dell’Impero” così  dicono gli storici… Gallieno non fece in tempo nemmeno a mandare un esercito contro Zenobia perchè l’anno dopo che uccisero Odenato,uccisero anche lui…Mentre cercava di sconfiggere  Aureolo, l’ultimo ribelle di  quel tempo senza pace. Il suo successore Claudio il  Gotico non si sa di preciso  cosa fece, tanto era impegnato a combattere contro i Goti…  forse  mandò l’Ammiraglio Probo e in ogni caso… Zenobia lo  sconfisse.

 All’improvviso, quando tutto sembrava un buio senza fine, ci fu la schiarita… già, perchè Aureliano arrivò con  il suo culto solare … e il Dio Mitra ricominciò a proteggere le legioni romane.  Zenobia forse non ci fece nemmeno caso. Aureliano era alle prese coi Vandali, che cercava di intercettare in Pannonia e poi con gli Alamanni che erano sciaguratamente  già entrati in Italia.  Ma ci mise un solo anno e poi  mentre ordinava le mura  per difendere Roma partì  veloce per l’Oriente. Forse nessuno aveva capito quanto era freddo, determinato e capace. Zenobia gli mandò contro i  suoi terribili cavalieri  climbanarii che mettevano paura  già da lontano  completamente ricoperti  assieme al cavallo di metallo a scaglie. Aureliano non ci provò nemmeno ad affrontarli… Ordinò all’esercito di ritirarsi e si fece inseguire… Per ore andò avanti la fuga… finché i cavalieri di Zenobia non ce la fecero più… Era troppo pesante tutto quel ferro addosso…Mentre i Romani correvano leggeri.  Alla fine la vittoria fu facile.  Zenobia si ritirò prima ad Antiochia e poi a Palmira mentre Aureliano cercò  in tutti i modi di darle  qualche via di scampo. Perché adesso lui, rude guerriero, aveva un grosso problema… Temeva che il mondo intero si sarebbe messo a ridere del’Imperatore romano che combatteva contro una donna. Le propose di tutto, oltre la vita. Gioielli, denaro, cammelli, un luogo tranquillo dove vivere. Lui si sentiva palesemente ridicolo, ma a chi lo poteva raccontare… La cosa stava assumendo i contorni dell’Operetta ante litteram e  e Aureliano esitava a dare la stoccata finale.  Lui in fondo non era freddo e glaciale come Augusto che non si era fatto nessuno scrupolo ad affrontare Cleopatra… di cui Zenobia diceva di essere l’erede spirituale nella sua lotta di indipendenza dal dominio romano! Alla fine  la regina fece l’ultimo errore…Fu catturata di notte mentre scappava…  Un ultimo addio alla città e poi fu portata a Roma a seguire in catene il carro trionfale di Aureliano… Che però ebbe per lei un ultimo atto di gentilezza. Volle che le catene di Zenobia fossero d’oro….   Quello che successe poi è  molto incerto… Mentre non  si ebbero più notizie di suo figlio Vaballato, sembra che lei a Roma conobbe un generale romano che la volle sposare e Aureliano come dono di nozze regalò  una villa a Tivoli… La sorte di Palmira invece fu sicuramente tragica… Un anno dopo che Zenobia era stata portata via, la città  si ribellò ai Romani… Ormai aveva provato la libertà! E la reazione dei Romani, come sempre fu durissima, adesso poi che avevano risolto i problemi più gravi e stavano riunificando l’impero… erano ancora più spietati. Così distrussero le mura di Palmira e obbligarono gli abitanti ad andarsene. Ma Palmira  non ce la fecero a distruggerla completamente  e  molto della sua antica bellezza è ancora lì da vedere, come il colonnato lungo più di un chilometro che portava  al tempio di Baal, il teatro ellenistico con quelle linee spezzate  che si rompono l’una nell’altra, l’arco di Settimio Severo… La  sorgente di acqua sulfurea che aveva dato vita all’oasi e alle  famose palme che avevano poi dato il nome alla città non c’è più. Però c’è un sistema di irrigazioni  e i Palmireni, che vivono nel vicino paese, possono guardare anche tutti i giorni  quelle antiche colonne,  memoria ancora viva  della città carovaniera da cui  partivano le  spedizioni verso il grande  e misterioso Oriente.

Per ricordare Zenobia e Palmira, la ricetta più bella c’è sembrata questa torta tutta medio orientale che, con i datteri,  ci ricorda  l’oasi incantata  nelle cui acque si specchiavano,  ricche e verdi le famose palme.

TORTA DI DATTERIpiatto-pronto_dettaglio_ricette_slider_grande3

INGREDIENTI: 180 grammi di datteri snocciolati, 200 grammi di farina,  lievito ,cognac, 3 uova, 100 grammi di burro, 100 grammi di zucchero di canna, 4 pere medie,  75 grammi di zollette di zucchero, mezza bustina di lievito in polvere, mezzo bicchiere di cognac.

PREPARAZIONE:  sbucciate  soltanto 2 delle 4 pere, tagliatele a dadi e mettetele in una terrina assieme ai datteri spezzati, bagnate il tutto con il cognac, coprite con un foglio di pellicola trasparente e lasciate che gli ingredienti si insaporiscano, almeno per un’ora, ricordandovi ogni tanto di rimescolarli. Intanto lavorate il burro con lo zucchero di canna fino a ridurre il composto a crema, poi incorporateci la  farina passata al setaccio, un poco alla volta, seguitando a mescolare per evitare grumi, aggiungete il lievito, i tuorli delle uova e la frutta che nel frattempo dovrebbe essersi macerata nel cognac.  Montate a neve  gli albumi delle uova e aggiungeteli al composto rimescolando delicatamente. Preparate del caramello con le zollette di zucchero e due cucchiai di acqua che porrete sul fuoco, finché sciogliendosi non raggiungano il colore dorato.  Foderate  immediatamente, mentre il caramello  è ancora liquido, il fondo di uno stampo  con chiusura a cerniera e le sue pareti. Versate il composto preparato e fate cuocere in forno già riscaldato a 180°C  per 45 minuti circa. Sfornate la torta, fatela raffreddare, aprite la cerniera, posatela sul piatto da portata e decoratela con le due pere rimaste, tagliate a fettine sottili,appena bagnate di limone per non farle annerire.

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La crostata di albicocche per Carlo Verdone, appassionato di marmellate.

Lungotevere dei Vallati è solo un’apparenza… una strada di scorrimento … e si fa per dire, perché spesso diventa anche un collo di bottiglia per le auto che ci si incastrano. Palazzi imponenti, ben affacciati sul fiume, con un’aria di solidità borghese e spesso anche di più… Ma appunto, solo un’apparenza, perché appena dietro si schiudevano i vicoli non ancora compromessi dal turismo becero e dalll’insediamento  dei troppi stranieri… C’era la Roma degli artigiani, delle piccole trattorie e delle latterie dove, assieme al caffè al vetro, chissà perché si potevano ordinare anche due uova al tegamino. Dalle finestre e dal terrazzo della sua casa, il ragazzino curioso guardava la gente che passava, com’era vestita, come camminava o gesticolava, con un occhio quasi maniacale e un binocolo che l’aiutava a capire… Quando scendeva in strada  si fermava a  vedere chi c’era in quel malconcio bar di Via dei Pettinari e … ci trovava il mondo, assieme al postino e  alla prostituta di zona, il bookmaker e lo strozzino del quartiere. Il ragazzino dava a tutti la stessa  famelica attenzione  si trattasse  della gente dei vicoli o dei mostri sacri che, da tutte le parti di Roma, passavano  per  la sua “Casa sopra i Portici…”  Perché suo padre era un grande critico cinematografico e da Rossellini a Pasolini, da Vittorio de Sica ad Antonioni, lì ci venivano tutti e molto spesso. C’era aria di destino, anche se in famiglia forse avrebbero preferito tutt’altro. Ma il ragazzino aveva cinematografi come il Farnese,-se vogliamo anche un po’ dirupato all’epoca- così a portata di mano… E, anche se arrivavano un po’ in ritardo, lui di film riusciva a vederne un mucchio … Gli avevano regalato un proiettore da 8 mm e ci scorreva  sopra i grandi del muto, Buster Keaton, Charlot, Stanlio e Ollio…  Finì che si laureò con una tesi che riguardava proprio il cinema muto, ma intanto aveva girato 3 documentari e Rossellini decise che  doveva andare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lui voleva fare il regista e invece cominciò come attore, con testi  che si inventava e dove i monologhi  e i personaggi erano quelli della sua infanzia fra i vicoli oppure erano i suoi compagni di liceo, rivisitati nei loro tic o nel loro conformismo. Una sera  che recitava al teatro Alberichino  per un unico, solitario  spettatore, il cuore gli faceva male di umiliazione, ma non saltò nemmeno una battuta, non rinunciò neppure a una gag. Due giorni dopo aveva una recensione  fantastica su un quotidiano importante, perché quell’unico spettatore faceva il critico  e con quell’articolo gli riempì il locale, con lunghissime file al botteghino.

Un giorno lo chiamò Sergio Leone …Voleva produrre un film, l’aveva visto in qualche sketch in televisione e pensava a lui come attore, con qualcuno dei suoi personaggi così caratterizzati… Un anno dopo i personaggi erano sei e, Carlo Verdone, oltre a interpretarli tutti era diventato regista. Tre almeno sono rimasti nella memoria do un intero popolo perché, ciascuno a suo modo, avevano cittadinanza italiana. L’hippie con i lunghi capelli biondi, uguale identico, nei modi e nell’abbigliamento, a quelli che avevano  pochi anni prima conquistato Campo de’ Fiori, Enzo il coatto di periferia che sull’onda dei luoghi comuni nostrani, vuole partire  per andare a fare sesso in Polonia e il  timido Leo che non riuscirà a conquistare la ragazza spagnola. Tre sconfitti, tre personaggi a volte ridicoli e a volte  patetici, tre solitudini che alla fine ti stringono il cuore, ma intanto quella comicità senza limiti a volte traboccante a volte espressa solo con un gesto o uno sguardo, ti fa ridere, entusiasmare e un pochino anche riflettere. Dopo  “Un sacco bello”  tornano  ancora 3 personaggi, in” Bianco, Rosso e Verdone,” tutti italiani e tutti e tre in viaggio . Ci sono le elezioni e vengono da lontano per andare a votare. Un emigrante  torna dalla Germania con la mitica Alfa sud e il registratore sul sedile posteriore, tutto un mondo di stereotipi messo a dura prova dai furti a ripetizione di cui è vittima il silenzioso protagonista della storia, ormai spaccato in due fra l’ordine senza fantasia della  Germania e l’impossibilità di sentirsi ancora italiano. Il logorroico Furio presuntuoso e ossessivo è un personaggio nevrotico che nelle sue diverse modulazioni farà grande strada fra i borghesi a venire del cinema di Verdone  e infine il tenero Mimmo, bello di nonna, che porta appunto la sua malandata e vivace  nonna a votare per i suoi amici comunisti.Qui la battuta più graffiante, Carlo Verdone ce la riserva alla fine, quando gli addetti al seggio elettorale, come unica preoccupazione per la poverina morta dentro al seggio, si chiedono se il voto potrà considerarsi valido.

“Borotalco” lancia gli interpreti maschili singoli, con ambienti meno coatti e personaggi più fragili e più sognanti ai quali fa da contrappunto una donna forte e decisa e l’0perazione riesce  in pieno, mentre sulle note de “La settima luna” di Lucio Dalla, la musica entra di prepotenza nel cinema di Carlo Verdone. Batterista e pianista lui stesso, maniaco del vinile e appassionato di  rock , Carlo con gli occhiali si mostra alla tastiera nei blues un po’ elettronici del  film  “Sono pazzo di Iris Blond”, uno dei suoi film più malinconici e toccanti, che si trascina dietro in versione musicale uno dei suoi  infiniti protagonisti  ingenui e sconfitti.

In “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” andrà poi alla ricerca di un enigma di  Jimi Hendrix  con Margherita Buy aggrappata a lui sul sellino della motocicletta, nelle verdi atmosfere inglesi. Naturalmente non riuscirà a fare lo scoop della sua vita, ma il finale sarà meno amaro di altri suoi film.

Riuscirà in qualche modo persino  a parlare di sé e della sua famiglia  in “Al Lupo, al lupo”, storia di tre figli complicati  e lontani che si ritrovano assieme in cerca di un padre che chiede solo di essere lasciato in pace. Ancora una volta ritorna prepotente la voglia di  portare la musica nei suoi film anche se  questa volta, da grande comico quale è, senza alcun pregiudizio, ha voluto interpretare  il brutto, mediocre  anatroccolo che deve confrontarsi di continuo con un fratello grande musicista arrivato, che si vergogna di lui…

384Di film Carlo Verdone ne ha fatti tanti, riuscendo sempre  a darci personaggi indimenticabili… Che, fra  nevrosi e sconfitte sono da più  di trent’anni  testimonial della nostra scomoda società italiana. L’ultimo film di Carlo è la commedia italiana al tempo della crisi e lui è di nuovo un indimenticabile interprete perchè qui, in”Posti in piedi in paradiso,” Carlo sembra voler riassumere  i suoi migliori “caratteri,” dal coatto all’ intimista al centro di conflitti familiari, fino a riprendere i temi della coralità affiancato da Pierfrancesco Favino e da Marco Giallini. E poi… è appena uscito il documentario su Alberto Sordi, il suo grande amico di cui forse è l’erede, ma con cui non si è mai capito sino in fondo quando provavano a recitare assieme. Un omaggio commosso, in cui ci restituisce l’immagine di Alberto, sfaccettata come un diamante, attraverso una serie di interviste, rivolte a tante persone diverse, senza mai avere la pretesa, lui Carlo Verdone, di imporre il suo giudizio. Di sicuro un atto di umiltà e una lezione…Grande Carlo  che ci fa rivivere in continuazione il nostro presente e il nostro passato … Mentre aspettiamo il prossimo film!

Che  Carlo Verdone  abbia  una grande passione per l’Inghilterra è cosa risaputa e illustrata in molti suoi film ma è anche  un  raffinato intenditore di Te e Marmellate, proprio quei prodotti ottimi e particolari che ad esempio si trovano in Piccadilly Circus. E ad una  delle sue preferite marmellate, quella di albicocche, ci siamo affidati, per questa deliziosa:

CROSTATA ALLE ALBICOCCHE (per 6 persone)

INGREDIENTI  per l’impasto: Burro 150 grammi, farina tipo 00 300 grammi, la scorza di 1 limone, 2 uova, 130 grammi di zucchero semolato.

INGREDIENTI per farcire: confettura di albicocche 600 grammi

INGREDIENTI per spennellare : 1 uovo

PREPARAZIONE: con tutti gli ingredienti dell’impasto mescolati e lavorati,preparate una palla che coperta di pellicola trasparente metterete almeno per 1/2 di ora in frigo. Trascorso questo tempo accendete il forno per portarlo alla temperatura di 180°C ventilati e stendete 2/3 della pasta in una sfoglia dello spessore di circa 4 mm. con cui fodererete uno stampo tondo di circa 20 cm di diametro. Bucherellate il fondo con i rebbi di una forchetta e versateci sopra la confettura di albicocche. Con la pasta avanzata preparate delle strisce che taglierete con il coltello o sagomerete con l’apposito attrezzo dei ravioli per formare  un motivo a zig zag. Spennellate ora i bordi dello stampo con l’uovo e  appoggiate le strisce di pasta sulla confettura formando una decorazione a piacere. Spennellate anche le strisce e infornate per 45 minuti: Al termine della cottura lasciate raffreddare poi estraete la crostate  dallo stampo e  prima di servire spruzzate con zucchero a velo.