Danièle Delpeuch, cuoca di Mitterrand e la Poulette en Demi Deuil!

E’ appena uscito un film francese … “La Cuoca del Presidente” e racconta  l’incontro e la delicata amicizia fra una Chef  donna, Danièle Delpeuch e uno dei più grandi presidenti della storia francese Francois Mitterrand! Sembra che questo film l’abbia voluto Holland in persona o qualcuno a lui molto vicino. Ma che strano modo riportare alla ribalta Mitterrand, l’epico Presidente socialista, dall’immagine  ormai offuscata, con una storia di cucina… Del resto  si sa…  Per i francesi, la cucina è  una delle glorie nazionali, fa parte integrante della “grandeur” e non è raro trovare  cibo, personaggi della storia e della politica mischiati assieme.  Presidente per 2 volte nella V° repubblica, si parla spesso di Mitterrand come dell’ “Ultimo Monarca” o dell’ “Ultimo Re Rosso”… In effetti gli industriali e l’alta finanza  non gli hanno mai perdonato di aver aumentato i salari e diminuito le ore di lavoro agli operai e la Francia più conservatrice trovò da criticare  quando tolse la pena di morte…  Ma a lui figlio in linea diretta dell’Illuminismo, piaceva dire che “La Francia aveva condannato gli uomini alla libertà.”  Ma nonostante le sue posizioni d’avanguardia era anche uomo  di contraddizioni e di tradizioni… probabilmente quella provincia dello Charente, dov’era nato nel cuore della Francia più profonda  gli era rimasta attaccata addosso. Forse fu per questo che non volle mai divorziare da sua moglie nonostante avesse un’altra donna  e un’altra figlia Mazarine… che tenne segrete, quasi fino alla fine. Quando cominciò il secondo mandato presidenziale l’Eliseo cominciò a infastidirlo … Troppo cerimoniale, troppe regole e una cucina tutta d’apparenza… che se poteva andar bene per i banchetti ufficiale, era troppo pesante per i pasti quotidiani… e nel suo rigore un po’ giacobino la trovava anche un po’ ridicola.

Lei Danielle Delpeuch, invece era nata a Parigi, ma a 12 anni era già in Provincia, in una vecchia fattoria  nei pressi di Chavagnac, nel Perigord. Suo padre era morto e non avevano i mezzi per restare  in città. Qualche altra adolescente  si sarebbe annoiata e disperata in quella grande casa contadina, ma Danièle era sveglia e crescendo con la nonna imparò a cucinare, utilizzando i prodotti  del suo territorio… Quella era terra di tartufi! Poi aprì una scuola e un ristorante … In  quella casa vecchia di 700 anni, che si prestava e dava  prestigio a tutte le iniziative  di quella scatenata ragazza. Prima arrivarono i turisti americani e poi i grandi chef… Si era sparsa la voce che Danièle preparava un ottimo fois gras e lo venivano a prendere per i loro rinomati ristoranti.  Danièle aveva già 4 figli, ma un matrimonio così scricchiolante che preferì andarsene per un po’ di tempo in America dove si perfezionò e divenne amica di Julia Child…  Al suo ritorno in Francia  era una ormai al top tanto che la nominarono, cosa che alle donne non succedeva spesso o per meglio dire affatto,”Cavaliere al merito dell’Agricoltura”

Quando la chiamarono a Corte… cioè all’Eliseo, per andare a cucinare per Mitterrand, rimase molto titubante, ma in fondo aveva ormai i figli grandi e non era più sposata… E poi come le fece notare, con una certa durezza, il compìto funzionario dello Stato, non  si poteva permettere di dire di no al Presidente della Repubblica.

Quello che successe a Danièle Delpeuch è roba da manuale di sociologia …o di psichiatria. Tutto l’apparato gastronomico dell’Eliseo, ed erano circa 30 persone, fra chef, cuochi e sottocuochi, la prese in immediata antipatia. La gelosia era forte, si sentivano in blocco rifiutati… perché solo lei cucinava per il Presidente. Nell’unico momento della giornata in cui l’intero staff si riuniva a colazione la trattavano con sufficienza  e ironia…. Mangiava  in modo troppo semplice, sicuramente da povera contadina, dicevano, e poi era una donna e si sa.. lo Chef può essere solo uomo… Dietro le spalle intrighi e cattiverie da morire… Countess Du Barry la chiamavano, come se fosse stata una cortigiana.

Lei andava dritta per la sua strada, in una piccola cucina dove aveva solo un  assistente  pasticciere… Le faraoniche attrezzature di Palazzo erano solo per gli altri.. Mitterrand, che ovviamente di chiacchiere e pettegolezzi non sapeva niente, era un uomo felice. Sapeva di essere malato e aveva chiesto una cucina genuina, come quella di sua nonna, forse anche per contrastare il male… Adesso  si poteva affidare a questa deliziosa signora che il cibo migliore  lo faceva arrivare da tutta la Francia… Danielle così  poteva preparare in modo perfetto le  fantastiche ricette dai nomi divertenti, il “Cavolfiore farcito al salmone”, le “Lumachine alla Nantese”, la “Pollastra a mezzo lutto”…  Con l’andar del tempo Mitterrand prese l’abitudine di passare per la cucina… Sapevano entrambi che la cucina non era soltanto cibo, ma un modo  per esprimere cultura… Mitterand che stava facendo sforzi immani per riqualificare la Francia con i musei e le mostre  capiva perfettamente che anche il lavoro di Danièle era frutto di una raffinata visione culturale…  In cui c’era tutta la sua filosofia di vita per sottrarsi all’0mologazione, rivendicare  le singole identità della Francia, attraverso i differenti prodotti dei territori.. usare conoscenze e abilità per creare  sempre qualcosa di nuovo . Quando  si fermava in cucina,  Danièle  gli 845195_21572278_460x306preparava  del pane abbrustolito appena spalmato di burro, su cui posava qualche fetta di tartufo … un po’ di vino e  via alle conversazioni.

Durò due anni e poi non resisté. Ormai l’accusavano apertamente di approvvigionarsi dai suoi amici fornitori e  prendersi la percentuale, di uscire continuamente dal budget assegnatole, di non ascoltare i suggerimenti dei medici quando consigliavano i cibi per il Presidente… Si era fatta male a una caviglia e fu la scusa per andarsene.

Lei è stata sempre riservata e non ha mai fornito informazioni… ma chissà cosa si dissero l’ultima volta con il Presidente. L’unica cosa che lei raccontò, che aveva bisogno di disintossicarsi … ma per farlo  da quella donna originale, curiosa e nuova che era, se ne andò in Antartide a cucinare per il personale di una missione scientifica che le fece dimenticare tutte le sue amarezze… Sicuramente andò molto peggio al Presidente che perse una preziosa e discreta amica… mentre  lottava per la salute e  i suoi nemici  diventavano più forti…

Ma la storia non è finita … l’imprevedibile Danièle ci sta ancora insegnando qualcosa … E’ in Nuova Zelanda e sta cercando di coltivare tartufi… Il clima è simile a quello della Francia e chissà che non ci riesca.  Se in Nuova Zelanda arriveranno i tartufi potrà ricominciare a preparare uno dei piatti che piacevano al Presidente e che a lei è rimasto nel cuore, come ricordo di quella strana amicizia con una persona così diversa così lontana e così particolarmente affine alla ragazza della fattoria che lei è sempre stata fiera di essere

Tutto questo si ritrova nel film in uscita dove  una bravissima Catherine Frot interpreta Danièle  che prepara con grande abilità molte delle sue belle ricette. Jan d’Ormesson, lo scrittore giornalista di fama, accademico, autore fra l’altro di “A Dio piacendo” è un elegante Francois Mitterrand e  Christian Vincent appassionato di cucina è il regista di questa storia che getta una luce insolita e umana  in uno dei grandi palazzi del potere.

E come anticipo di tutti  gli originali piatti del film, la ricetta della:

POLLASTRA A MEZZO LUTTO (Poulette en Demi Deuil)48958600

INGREDIENTI per 4 persone: 1 pollastra pulita di circa 1 kg e 1/2 o in alternativa un pollo da allevamento biologico, 1/2 kg di verdure pulite come rape,carote e finocchi, 250 grammi di funghi champignon, 1 mela, 40 grammi circa di tartufo nero, olio extra vergine di oliva q.b., sale e pepe secondo i gusti.

PREPARAZIONE: lavate la pollastra già spiumata in acqua bollente e asciugatela con carta da cucina. Affettate il tartufo e fate scivolare le fette tra la pelle e la carne del petto e delle cosce della pollastra.Salatela, pelatela e legate le cosce  al tronco

Portate a ebollizione una pentola di acqua salata, gettatevi dentro la pollastra e fatela cuocere per 40 minuti. Aggiungete nella pentola tutta la  verdura pulita e sciacquata e fate cuocere per ulteriori 15 minuti, ma ricordatevi di controllare accuratamente il grado di cottura perchè gli animali da allevamento biologico richiedono tempi più lunghi.

Mentre la pollastra cuoce, pulite gli champignon e la mela, affettateli e fateli saltare in padella  con un po’ di olio, sale e pepe.

Servite la pollastra irrorata con un po’ del suo brodo, adagiata fra le verdure e i funghi.

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CASSATA SICILIANA

naviganti_arabi Bisanzio era lontana e dell’isola poco  si curava. C’era da  pensare a quelle infinite guerre con i  Persiani che  premevano sui confini orientali  e più che altro, quell’avamposto in Occidente, serviva solo a dare prestigio  a quello che era rimasto del glorioso Impero  Romano. Se  poi la Sicilia era quasi alla fame e in piena decadenza, tutto questo agli imperatori poco interessava. Gli arabi invece, dalle coste del Nord Africa guardavano con passione a quella terra proiettata proprio in mezzo al Mediterraneo. Che ottima  base d’appoggio e di transito poteva essere  per loro,   con  i commerci  sparsi da un capo all’altro della terra! Così bastò chiamarli e, a questo, ci pensò l’ammiraglio bizantino in Sicilia che si voleva scrollare di dosso l’ingombrante Impero d’Oriente. Allora “passaro  i Mori d’Africa il mare” e … approdarono  a Mazara del Vallo. Poi non fu facile, perchè  ci vollero  almeno 50 anni per conquistare  quasi tutta l’isola, però ci riuscirono e ci rimasero per più di due secoli. Ma la cosa più particolare e, se vogliamo, anche la più commovente fu che, a capo della spedizione, che per prima sbarcò in Sicilia, non ci misero un fiero combattente, ma un anziano giurista, Asad al Furat, famoso in tutto  il mondo Arabo per la sua opera Asadiyya, tutta  basata sugli insegnamenti del Profeta. Fu così, evidente, fin dal primo momento, che gli arabi volevano venire in pace a portar leggi e a togliere spazio  ai soprusi individuali. E così avvenne. Per il tempo che ci rimasero, ne fecero uno territorio dove, la prima regola era la tolleranza religiosa e subito dopo quella civile. Nessuno obbligò mai i cristiani  e gli ebrei a convertirsi nè, tantomeno, a nascondersi. Bastava  pagassero solo una tassa in più e insieme  alla religione si potevano tenere anche tutte le loro usanze e costumi. La Sicilia tornò a risplendere, perché, tutto quello che avevano, gli arabi ce lo portarono, dalla bussola –  sicuramente qualche scambio ben riuscito coi cinesi – al sistema decimale e al concetto dello zero, che era una rivoluzione solo a pensarci e una meraviglia a commerciarci! Ma il miracolo più grande fu l’agricoltura! Canali, canali  e acqua dappertutto  per  ospitare quelle strane piante che nessuno prima conosceva e ora arrivavano senza sosta da tutto il mondo. Lì  ben presto  fiorirono, si moltiplicarono e dettero  luci e colori tutti nuovi al paesaggio. Canna da zucchero, mandorli, cedri, carciofi, banane, spinaci e zibibbo. E tanti erano le arance amare, i mandarini e i limoni che,  la zona attorno a Palermo, con quel giallo a perdita d’occhio,  fu d’obbligo chiamarla “La Conca d’oro.” Con tutta quella grazia  di Dio ci volle poco  a modificare  il povero mangiare  della ristrettezza in una delle più ricche e opulente cucine del mondo. Gli arabi  erano già bravi  per conto loro e in particolare sapevano preparare i dolci, quei famosi dolci pieni di mandorle zucchero e miele, capaci di durare a lungo e di attraversare gli aridi  deserti del Nord Africa, senza rovinarsi. Anche le radici della Cassata Siciliana, il dolce più ricco e opulento di tutti, vanno ricercate in quel periodo fra il IX e l’XI cecolo  quando, nell’isola, s’era venuta a  creare quell’incredibile integrazione di razze e civiltà che difficilmente si ripeterà in altri tempi e in altri luoghi. E, a ben guardare, la Cassata è proprio uno dei ricottasimboli dell’integrazione ottenuta all’origine con la ricotta, frutto dell’antica pastorizia isolana e  lo zucchero di canna, ultimo arrivato, mescolati all’interno della pasta frolla preparata con quella farina, che era la sicura erede del grano che, tanti secoli prima, riforniva  l’Italia e Roma, ai tempi dell’ Impero d’Occidente.  Anche la parola Cassata è quasi certamente d’origine araba e significherebbe bacinella, con riferimento alla forma della frolla in cui si mescolano gli ingredienti…

Poi gli arabi se ne andarono, anzi li cacciarono i Normanni e quel feroce condottiero dal romantico nome che fu Roberto il Guiscardo. Fra alterne vicende, cominciava per l’isola tutta un ‘altra storia, ma la Cassata ormai era entrata nella tradizione, resisteva e migliorava, affettuosamente curata dalle suore  che a quel tempo  preparavano il dolce per la grande solennità della Pasqua. Era pressappoco l’anno 1100 e fu nel Convento della Martorana, proprio vicino a Palermo  che, la preparazione della Cassata, ebbe  una svolta decisiva  con la sostituzione della pasta frolla con  la “pasta reale”, un impasto ottenuto dalla farina di mandorle e  lo zucchero di canna, che ormai, dopo l’importazione araba erano di casa in Sicilia. In questo modo, data la consistenza della nuova pasta, non c’era più bisogno di cuocerla e gli ingredienti rimanevano più freschi e fragranti.

Ma la storia della Cassata  ebbe ancora altri seguiti. Alcuni secoli dopo in Sicilia arrivarono gli  Spagnoli, quelli che per antonomasia si erano  inventati il “Pan di Spagna” e, dalla conquista delle Americhe, si erano portati a casa il cioccolato. Così i cuochi isolani pensarono bene di  arricchire il dolce  tramite una doppia fodera  in cui la  pasta reale più esterna si sovrapponeva al Pan di Spagna e  l’impasto interno si arricchiva di gocce di cioccolato e frutta candita.

07_frutta_canditaPoi sarà alla fine del 1800 che la Cassata diventerà quella festa per gli occhi che oggi  tutti conosciamo, tramite le rivoluzionarie idee di un pasticciere palermitano, Salvatore Gulì, che la presentò, all’esposizione di Vienna del 1878, con quei fantasiosi arabeschi  di pasta di mandorla, dalle forme rubate agli stucchi dei nobili palazzi siciliani, assieme al l’incredibile trionfo della copertura di zuccata e frutta candita, disposta in mille modi e mille colori. Da allora si pensò che fosse un peccato farne solo il dolce pasquale, e l’uso  si propagò a tutte le feste più importanti e solenni eccezion fatta per il periodo estivo, quando si trasforma in un favoloso gelato che porta lo stesso e ormai millenario nome di Cassata Siciliana.

Pronti per la ricetta, che ovviamente non può essere l’unica perché buona parte del dolce rimane  comunque affidata alla fantasia e al gusto individuale per le forme e per i colori

INGREDIENTI PER IL PAN DI SPAGNA: zucchero a velo grammi 180. farina bianca 00 grammi 85, fecola di patate grammo 75, 6 uova, una noce di burro, un baccello di vaniglia.

PREPARAZIONE DEL PAN DI SPAGNA: mescolare 75 grammi di farina con la fecola di patate. Imburrate una tortiera del diametro  di circa 26 centimetri e dai bordi alti, spolverizzarla di farina e poi capovolgere lo stampo per far cadere la farina eccedente. Versare in una ciotola i tuorli delle uova, lo zucchero e il baccello di vaniglia e con la frusta elettrica montarli. Dopo, sempre con la frusta elettrica, montare a neve gli albumi delle uova e unirli lentamente e con gradualità ai tuorli alternando con una cucchiaiata di farina e fecola da far cadere a pioggia dal setaccio. Quando gli ingredienti sono amalgamati togliere la vaniglia e versare il composto nella tortiera, livellare la superficie e mettere in forno già caldo a 190 gradi facendo cuocere per 40 minuti. Al termine rovesciare la torna su un tovagliolo per torte.

INGREDIENTI  PER LA PASTA REALE: 200 grammi di farina di mandorle, 200 grammi di zucchero semolato, 50 grammi di acqua, colorante verde per alimenti composto di ingredienti naturali.SONY DSC

PREPARAZIONE DELLA PASTA REALE: si scioglie lo zucchero in acqua a fiamma bassa mescolando in continuazione. Appena lo zucchero inizia a fare dei filamenti si unisce la pasta di mandorle e il colorante. Si mescola e si  distribuisce su una superficie liscia, resistente e non porosa. Si fa raffreddare e  poi si lavora sino ad ottenere un impasto morbido e assolutamente liscio. Poi se ne ricava una sfoglia  dello spessore di 6/7 centimetri che verrà tagliata in sufficiente numero di rettangoli a foderare  lo stampo di preparazione.

INGREDIENTI PER LA CREMA DI RICOTTA; 500 grammi di ricotta molto fresca, 300 grammi di zucchero, 300 grammi di zuccata tagliata a cubetti, 50 grammi di cioccolato fondente sminuzzato, semi di una bacca di vaniglia.

004PREPARAZIONE DELLA CREMA DI RICOTTA: se la ricotta è veramente fresca,contiene abbastanza  siero che è necessario eliminare facendo sgocciolare la ricotta. Poi amalgamarla con lo zucchero e i semi della vaniglia. Si lascia riposare per circa un’ora, si setaccia e alla fine si aggiunge la zuccata e il cioccolato.

INGREDIENTI DI COMPLETAMENTO: 1/2 bicchiere di rhum, zucchero q.b., acqua q.b., frutta candita per decorare  come zuccata, capello d’angelo ,ciliegie, arance, pere, mandarini.

CONFEZIONAMENTO DELLA CASSATA: Dividere il Pan di Spagna in tre dischi e inserirne uno sul fondo dello stampo che deve avere forma svasata in alto per favorirne la fuoriuscita e dare alla Cassata la sua tipica forma con base più grande. Sciogliere lo zucchero nell’acqua, aromatizzare con il rhum e versare sul fondo di Pan di Spagna. Ricavare dal secondo disco di Pan di Spagna dei rettangoli uguali a quelli preparati con la pasta reale, quindi poggiarli sulle pareti della teglia alternando pasta reale e Pan di Spagna. Versare la crema di ricotta nello stampo foderato e ricoprire con il terzo disco di Pan di Spagna. Lasciare riposare per un’ora e poi capovolgere la cassata su un piatto tondo per dolci sopra un tovagliolino di carta  intagliato e decorato per far da base ai dolci. Sciogliere a fuoco basso 150 grammi di zucchero a velo con un mestolino d’acqua finché non diventi filante e trasparente,quindi versare questa glassa  ancora calda sulla Cassata, spalmando uniformemente con l’aiuto di una spatola.Far raffreddare e arricchire secondo il gusto personale con la frutta candita.

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