La crostata di albicocche per Carlo Verdone, appassionato di marmellate.

Lungotevere dei Vallati è solo un’apparenza… una strada di scorrimento … e si fa per dire, perché spesso diventa anche un collo di bottiglia per le auto che ci si incastrano. Palazzi imponenti, ben affacciati sul fiume, con un’aria di solidità borghese e spesso anche di più… Ma appunto, solo un’apparenza, perché appena dietro si schiudevano i vicoli non ancora compromessi dal turismo becero e dalll’insediamento  dei troppi stranieri… C’era la Roma degli artigiani, delle piccole trattorie e delle latterie dove, assieme al caffè al vetro, chissà perché si potevano ordinare anche due uova al tegamino. Dalle finestre e dal terrazzo della sua casa, il ragazzino curioso guardava la gente che passava, com’era vestita, come camminava o gesticolava, con un occhio quasi maniacale e un binocolo che l’aiutava a capire… Quando scendeva in strada  si fermava a  vedere chi c’era in quel malconcio bar di Via dei Pettinari e … ci trovava il mondo, assieme al postino e  alla prostituta di zona, il bookmaker e lo strozzino del quartiere. Il ragazzino dava a tutti la stessa  famelica attenzione  si trattasse  della gente dei vicoli o dei mostri sacri che, da tutte le parti di Roma, passavano  per  la sua “Casa sopra i Portici…”  Perché suo padre era un grande critico cinematografico e da Rossellini a Pasolini, da Vittorio de Sica ad Antonioni, lì ci venivano tutti e molto spesso. C’era aria di destino, anche se in famiglia forse avrebbero preferito tutt’altro. Ma il ragazzino aveva cinematografi come il Farnese,-se vogliamo anche un po’ dirupato all’epoca- così a portata di mano… E, anche se arrivavano un po’ in ritardo, lui di film riusciva a vederne un mucchio … Gli avevano regalato un proiettore da 8 mm e ci scorreva  sopra i grandi del muto, Buster Keaton, Charlot, Stanlio e Ollio…  Finì che si laureò con una tesi che riguardava proprio il cinema muto, ma intanto aveva girato 3 documentari e Rossellini decise che  doveva andare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lui voleva fare il regista e invece cominciò come attore, con testi  che si inventava e dove i monologhi  e i personaggi erano quelli della sua infanzia fra i vicoli oppure erano i suoi compagni di liceo, rivisitati nei loro tic o nel loro conformismo. Una sera  che recitava al teatro Alberichino  per un unico, solitario  spettatore, il cuore gli faceva male di umiliazione, ma non saltò nemmeno una battuta, non rinunciò neppure a una gag. Due giorni dopo aveva una recensione  fantastica su un quotidiano importante, perché quell’unico spettatore faceva il critico  e con quell’articolo gli riempì il locale, con lunghissime file al botteghino.

Un giorno lo chiamò Sergio Leone …Voleva produrre un film, l’aveva visto in qualche sketch in televisione e pensava a lui come attore, con qualcuno dei suoi personaggi così caratterizzati… Un anno dopo i personaggi erano sei e, Carlo Verdone, oltre a interpretarli tutti era diventato regista. Tre almeno sono rimasti nella memoria do un intero popolo perché, ciascuno a suo modo, avevano cittadinanza italiana. L’hippie con i lunghi capelli biondi, uguale identico, nei modi e nell’abbigliamento, a quelli che avevano  pochi anni prima conquistato Campo de’ Fiori, Enzo il coatto di periferia che sull’onda dei luoghi comuni nostrani, vuole partire  per andare a fare sesso in Polonia e il  timido Leo che non riuscirà a conquistare la ragazza spagnola. Tre sconfitti, tre personaggi a volte ridicoli e a volte  patetici, tre solitudini che alla fine ti stringono il cuore, ma intanto quella comicità senza limiti a volte traboccante a volte espressa solo con un gesto o uno sguardo, ti fa ridere, entusiasmare e un pochino anche riflettere. Dopo  “Un sacco bello”  tornano  ancora 3 personaggi, in” Bianco, Rosso e Verdone,” tutti italiani e tutti e tre in viaggio . Ci sono le elezioni e vengono da lontano per andare a votare. Un emigrante  torna dalla Germania con la mitica Alfa sud e il registratore sul sedile posteriore, tutto un mondo di stereotipi messo a dura prova dai furti a ripetizione di cui è vittima il silenzioso protagonista della storia, ormai spaccato in due fra l’ordine senza fantasia della  Germania e l’impossibilità di sentirsi ancora italiano. Il logorroico Furio presuntuoso e ossessivo è un personaggio nevrotico che nelle sue diverse modulazioni farà grande strada fra i borghesi a venire del cinema di Verdone  e infine il tenero Mimmo, bello di nonna, che porta appunto la sua malandata e vivace  nonna a votare per i suoi amici comunisti.Qui la battuta più graffiante, Carlo Verdone ce la riserva alla fine, quando gli addetti al seggio elettorale, come unica preoccupazione per la poverina morta dentro al seggio, si chiedono se il voto potrà considerarsi valido.

“Borotalco” lancia gli interpreti maschili singoli, con ambienti meno coatti e personaggi più fragili e più sognanti ai quali fa da contrappunto una donna forte e decisa e l’0perazione riesce  in pieno, mentre sulle note de “La settima luna” di Lucio Dalla, la musica entra di prepotenza nel cinema di Carlo Verdone. Batterista e pianista lui stesso, maniaco del vinile e appassionato di  rock , Carlo con gli occhiali si mostra alla tastiera nei blues un po’ elettronici del  film  “Sono pazzo di Iris Blond”, uno dei suoi film più malinconici e toccanti, che si trascina dietro in versione musicale uno dei suoi  infiniti protagonisti  ingenui e sconfitti.

In “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” andrà poi alla ricerca di un enigma di  Jimi Hendrix  con Margherita Buy aggrappata a lui sul sellino della motocicletta, nelle verdi atmosfere inglesi. Naturalmente non riuscirà a fare lo scoop della sua vita, ma il finale sarà meno amaro di altri suoi film.

Riuscirà in qualche modo persino  a parlare di sé e della sua famiglia  in “Al Lupo, al lupo”, storia di tre figli complicati  e lontani che si ritrovano assieme in cerca di un padre che chiede solo di essere lasciato in pace. Ancora una volta ritorna prepotente la voglia di  portare la musica nei suoi film anche se  questa volta, da grande comico quale è, senza alcun pregiudizio, ha voluto interpretare  il brutto, mediocre  anatroccolo che deve confrontarsi di continuo con un fratello grande musicista arrivato, che si vergogna di lui…

384Di film Carlo Verdone ne ha fatti tanti, riuscendo sempre  a darci personaggi indimenticabili… Che, fra  nevrosi e sconfitte sono da più  di trent’anni  testimonial della nostra scomoda società italiana. L’ultimo film di Carlo è la commedia italiana al tempo della crisi e lui è di nuovo un indimenticabile interprete perchè qui, in”Posti in piedi in paradiso,” Carlo sembra voler riassumere  i suoi migliori “caratteri,” dal coatto all’ intimista al centro di conflitti familiari, fino a riprendere i temi della coralità affiancato da Pierfrancesco Favino e da Marco Giallini. E poi… è appena uscito il documentario su Alberto Sordi, il suo grande amico di cui forse è l’erede, ma con cui non si è mai capito sino in fondo quando provavano a recitare assieme. Un omaggio commosso, in cui ci restituisce l’immagine di Alberto, sfaccettata come un diamante, attraverso una serie di interviste, rivolte a tante persone diverse, senza mai avere la pretesa, lui Carlo Verdone, di imporre il suo giudizio. Di sicuro un atto di umiltà e una lezione…Grande Carlo  che ci fa rivivere in continuazione il nostro presente e il nostro passato … Mentre aspettiamo il prossimo film!

Che  Carlo Verdone  abbia  una grande passione per l’Inghilterra è cosa risaputa e illustrata in molti suoi film ma è anche  un  raffinato intenditore di Te e Marmellate, proprio quei prodotti ottimi e particolari che ad esempio si trovano in Piccadilly Circus. E ad una  delle sue preferite marmellate, quella di albicocche, ci siamo affidati, per questa deliziosa:

CROSTATA ALLE ALBICOCCHE (per 6 persone)

INGREDIENTI  per l’impasto: Burro 150 grammi, farina tipo 00 300 grammi, la scorza di 1 limone, 2 uova, 130 grammi di zucchero semolato.

INGREDIENTI per farcire: confettura di albicocche 600 grammi

INGREDIENTI per spennellare : 1 uovo

PREPARAZIONE: con tutti gli ingredienti dell’impasto mescolati e lavorati,preparate una palla che coperta di pellicola trasparente metterete almeno per 1/2 di ora in frigo. Trascorso questo tempo accendete il forno per portarlo alla temperatura di 180°C ventilati e stendete 2/3 della pasta in una sfoglia dello spessore di circa 4 mm. con cui fodererete uno stampo tondo di circa 20 cm di diametro. Bucherellate il fondo con i rebbi di una forchetta e versateci sopra la confettura di albicocche. Con la pasta avanzata preparate delle strisce che taglierete con il coltello o sagomerete con l’apposito attrezzo dei ravioli per formare  un motivo a zig zag. Spennellate ora i bordi dello stampo con l’uovo e  appoggiate le strisce di pasta sulla confettura formando una decorazione a piacere. Spennellate anche le strisce e infornate per 45 minuti: Al termine della cottura lasciate raffreddare poi estraete la crostate  dallo stampo e  prima di servire spruzzate con zucchero a velo.

New York Cheese Cake per Liz Taylor e Richard Burton!

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Si conoscevano per sentito dire ed erano pieni di diffidenza l’uno verso l’altro. “Mica penserà di fare la diva viziata con me, come fa da quando portava ancora i calzini corti…!” Pensava l’attore mentre saliva per la prima volta sul set. ” Ecco, ha salutato il regista, l’aiuto, i macchinisti e gli elettricisti, ma non si degna di venire a salutare me. Chi si crede di essere ? E’ solo una persona dall’atteggiamento falso e affettato. Dicono che ci prova con tutte, ma non penserà davvero che io gli cada ai piedi..!” E mentre pensava  l’attrice si agitava nervosa sulla sedia. Non sembrava che fra i due protagonisti ci fossero i presupposti  per una buona collaborazione  nel colossal Hollyvoodiano di “Antonio e Cleopatra”, uno di quegli assurdi polpettoni storici allora in voga, che imperversarono fra gli anni ’50 e ’60. C’è da chiedersi che cosa ci facessero due attori già famosi  in una produzione del genere… Lei un’ex bambina prodigio con già 20 anni di affermata carriera alle spalle, nonostante ne avesse all’epoca non più di 30, lui un attore  Shakespeariano di tutto rispetto… Ma del resto Hollywood non aveva molto di più da offrire a quei tempi!

Invece, nonostante il primo impatto negativo, a Richard Burton e a Elizabeth Taylor bastarono pochi giorni per cadere in un vortice di passione, di amore, di disperazione, da cui non furono più capaci di uscire. Che si erano innamorati se ne accorse l’intera troupe quando dovettero filmare la scena del primo bacio… Quei due non riuscivano più a staccarsi e tossicchiando a disagio li dovette interrompere il regista. Pare che tutte le difese della Taylor caddero quando lo vide arrivare una mattina con i postumi di una sbronza, la faccia distrutta e le gambe un po’ molli… All’epoca nessuno ancora l’aveva capito, ma anche Liz beveva, sebbene riuscisse per lo più a nascondere gli alcoolici nelle innocue bottigliette della Coca Cola.

La storia del loro amore fece subito il giro del mondo e fu uno scandalo grosso. Lei era già al suo quarto marito e quest’ulteriore storia di adulteri e divorzi non fu accettata benevolmente dalla morale comune. Eppure fu forse la prima volta in vita sua che Elizabeth Taylor cercò in tutti i modi di salvare il matrimonio e di sottrarsi a quella passione così violenta. Una notte a Roma la portarono in ospedale… si parlò di disturbi di stomaco, ma in realta aveva provato a suicidarsi,.

L’anno dopo ed era il 1964 si sposarono e rimasero insieme per più di 10 anni. Fu, così come era cominciata, una passione travolgente, che li vide sempre in primo piano, protagonisti di tutta la vita del jet set in ogni parte del mondo. Divi al top della celebrità, quando si spostavano con tutti i loro sei figli, le governanti, i parrucchieri, i bauli e qualche cane al seguito, mettevano in crisi tutti gli aeroporti del mondo. Lei non sapeva vestirsi ma era talmente bella che nessuno ci faceva caso, lui  con quel fascino magnetico e il viso appena un po’ appassito… forse  proprio per questo, faceva ancora di più impazzire le donne. Potevano avere tutto, successo, amore e ricchezza, ma erano divorati entrambi da quel tarlo del bere che fu la loro rovina. Lui spesso la picchiava, poi si pentiva e le regalava qualche favoloso gioiello per farsi perdonare. Lei lo capiva e lo aiutava, ma aveva anche lei un’estremo bisogno di aiuto. Adesso che sono stati da poco pubblicati le lettere e i diari di Burton  la storia della loro vita, in tutta la grandezza della passione e la tragicità della malattia, è di nuovo tornata alla ribalta. “Se mi lasci, mi uccido” le scriveva Burton disperato, appena aveva il sentore che Liz non ce la faceva più. Per un po’ riuscivano a disintossicarsi e apparivano in giro in tutto il loro fulgore, lei dimagrita, lui col viso disteso. Richard, che era un grandissimo attore, aveva una stima eccezionale delle capacità di Liz come attrice e per dimostrarlo al mondo intero la volle con se’ in “Chi ha paura di Virginia Wolf”, dove una Liz invecchiata e imbruttita ad arte, stupì per le sue capacità fuori dal comune, troppo spesso soffocate dai ruoli di bella donna che le imponeva lo Star Sistem.

Nel 1974 però divorziarono. Neanche un amore così forte, esclusivo, prepotente ce la poteva più fare, tale e tanta era stata la tensione di quegli anni sul baratro! Ma  non potevano nemmeno stare separati e si risposarono l’anno dopo. La  cosa però non reggeva più! Un anno ancora e lui chiese il divorzio. Aveva un’altra donna e sperava di farcela. Anche lei si risposò poco dopo, con un Senatore, una persona tranquilla…e  per qualche anno durò. Lui seguitò a non trovare pace, lasciò la terza moglie e si sposò per la quarta volta, una giovane ragazza. Ma non c’era niente da fare. Erano ormai separati da quasi otto anni e non riuscivano a dimenticarsi.”Voglio tornare a casa” le scrisse, dove la parola casa significava qualunque parte del mondo  dove ci fosse  Liz. Ma non riuscì a sapere la risposta. 3 giorni dopo fu ricoverato d’urgenza e morì per un’emorragia cerebrale. Si era ferito o era caduto durante una rissa… Forse quella sera aveva bevuto troppo!

Poco tempo fa se ne è andata anche Liz e con lei anche un pezzo della bellezza che aveva il mondo! Ma ora che i riflettori si sono definitivamente spenti e la scena sembra vuota,  forse riusciremo  finalmente a giudicarli di meno e a capirli di più, nella loro grandezza di  artisti fuori dal comune e nella loro fragilità così umana… forse troppo umana!

Dei loro soggiorni in giro per il mondo abbiamo preso una ricetta che viene da New York, uno dei posti dove si recavano spesso. A persone esuberanti e tumultuose come loro, la vivacità, l’intelligenza e il modo di vivere disinibito della città, li affascinava.  Anche questa torta con i suoi colori accesi, più accesi di tutte le altre Cheese Cake e con le sue decorazioni più ricche delle altre Cheese Cake, sembra riflettere lo spirito combattivo e allegro della città  più famosa dell’Occidente.

Il Cheese Cake o qualcosa che gli somigliava abbastanza, sembra che abbia origini antiche, perché ne parlano le cronache a proposito di un dolce energetico a base di crema di formaggio, che fecero mangiare a Delo, agli atleti nel 776, avanti Cristo, l’anno fatidico in cui si tennero le prime Olimpiadi di tutta la storia. Sicuramente la ricetta passò prima a Roma, poi si diffuse in Europa e arrivò in America con qualche emigrante in cerca di fortuna.

Lì, se ne ha notizia a far data dal 188o, quando un intraprendente lattaio con un nome, che si sarebbe fatto strada, James L. Kraft, mentre cercava di imitare un famoso formaggio francese, il Neufchatel, si ritrovò con un formaggio pastorizzato a cui volle dare il nome di “Philadelphia” , chissà se per qualche riminescienza greca o in onore della città del Nuovo Mondo… Così finirono per adoprare il formaggio, nella versione moderna del Cheese Cake, di cui quella di New York, resta insuperabile.

NEW YORK CHEESE CAKE (per 8 persone)

INGREDIENTI per il fondo: zucchero di canna 2 cucchiai, burro 150 grammi, biscotti “Digestive” 250 grammi.

INGREDIENTI per la crema: vanillina 1 bustina, panna fresca 100 ml, amido di mais 20 grammi, il succo di 1/2 limone, 2 uova intere e  1 tuorlo, Philadelphia 750 grammi, zucchero 100 grammi.

INGREDIENTI per la copertura: panna acida (sour creme) 200 ml, vanillina 1 bustina, zucchero a velo 2 cucchiai.

INGREDIENTI per la decorazione: 8 cucchiai di marmellata di frutti di bosco o di separate marmellate di fragole,mirtilli e lamponi, 3 etti di frutti di bosco misti(fragole, mirtilli e lamponi),acqua calda.

PREPARAZIONE  (per una tortiera di circa cm. 24) : mettete i biscotti “digestive” nel mixer,aggiungendo lo zucchero di canna e frammentateli. Ponete i biscotti sul fondo della tortiera, livellando la superficie.  livellatela e infornate per 30 minuti. Mettere la teglia nel freezer per 1/2 ora. Cominciate a preparare la crema preriscaldando il forno a 180°C, poi in una ciotola grande ponete le uova, la vanillina, lo zucchero, sbattete il composto con la frusta elettrica. Aggiungete Philadelphia e amalgamate il tutto. Aggiungete il succo del limone, l’amido di mais, un po’ di sale, e infine la panna, seguitando a mescolare. Versate nella tortiera tolta dal freezer e infornate per circa 35 minuti. Se  la superficie dovesse scurire seguitate la cottura con la torta coperta da carta stagnola. A cottura avvenuta spegnete il forno e lasciate riposare la torta per altri 30 minuti a forno aperto.Quando il Cheese Cake sarà freddo, mischiate la panna acida con due cucchiai di zucchero e la vanillina, versate sul Cheese Cake livellando perfettamente la superficie. Ponete il dolce in frigo a solidificare per tutta la notte.

Prima di servire decoratelo facendo sciogliere la marmellata in poca acqua calda e versandola sulla superficie del dolce, aggiungendo infine i frutti di bosco. Regola di New York: la torta si taglia a spicchi con il filo interdentale. Siate abili a farlo se già avete aggiunto la copertura di frutta, altrimenti tagliatela prima e poi ricoprite i singoli spicchi.