Non è vero che si vive solo due volte. Per George Clooney, ed è sotto gli occhi di tutti, le vite sono tre, almeno per il momento e anche se così parallele e diverse fra di loro, lui riesce a farle incontrare e a passare istintivamente e senza grossi traumi dall’una all’altra, in un fluire di esperienze che lo trasportano in altre dimensioni, sotto gli occhi attenti dei media che, per i motivi più diversi, su di lui seguitano a investire . La prima vita iniziò quando all’improvviso l’America e il mondo si accorsero che era bellissimo! Fu allora che divenne per più di 6 anni Doug Ross, il pediatra di E.R. a cui le donne cadevano ai piedi. Ma se Clooney entrò nell’immaginario collettivo come l’uomo più sexy del mondo, il dr Ross, con quel suo rancore verso il padre, che lo porta a sedurne la compagna, è stato anche il primo di quei personaggi equivoci o borderline, a volte aridi o più spesso senza scrupoli con cui Clooney ha sempre tradito Hollywood e il cliché del personaggio seducente , fine a se stesso. Dall’ammazza-vampiri Seth, nella convulsa notte degli orrori di Quentin Tarantino, al rapinatore di Out of Sight, ha attraversato il Medio Oriente logorando la spia tradita dal perfido mondo della Cia, fino a diventare “l’homo mechanicus” di “Up on the air”, e il politico senza scrupoli delle “Idi di Marzo”. Chissà, forse sono stati proprio i suoi personaggi ” intelligenti” a introdurlo nella seconda vita , quella in cui spalanca inorridito gli occhi sui mali del mondo e corre incontro agli ultimi, ai diseredati, a quelli che non hanno più niente. Nel 2003 scopre il Darfur, nell’occidente del Sudan… e un intero popolo sotto genocidio… Scopre l’assurda guerra delle etnie fomentata dallo spregiudicato dittatore del Sudan Omar al-Bashir e il dramma di milioni di profughi che scappano in Ciad. Scopre la miseria più nera nella siccità di un territorio arido, che potrebbe invece essere fra i più ricchi del mondo … Peccato che il petrolio se lo portano via i Cinesi e gli amici di Al- Bashir…
La seconda vita di George Clooney è di sicuro la più drammatica… Ed è una vita di guerra… La sua personalissima e spietata guerra ad AL Bashir… La denuncia di Cloney diventa sempre più alta e coinvolge il distratto mondo occidentale. La sensibilità che si riaccende vigile diventa lo strumento di maggior forza fino a che, in quelle terre martoriate, arriva una forza di pace ONU. Ma Clooney non può fermarsi . Fame violenze e stupri sono appena mitigate dalla presenza dei caschi blu … E alla fine fanno il giro del mondo le immagini di George Cloony arrestato insieme al padre, dalla polizia, durante le proteste in cui i manifestanti non si disperdeono. L’arresto di Cloney è peggio di una battaglia perduta per Omar al-Bashir… Che intanto è stato condannato dal Tribunale dell’Aia per crimini conro l’umanità… Anche se arrestarlo è pressochè impossibile…
Degli ultimi dieci anni, qualcuno, fra andare e venire, di sicuro Clooney l’ha trascorso tutto intero in Africa. Ci si è preso anche la malaria.. Ma per il resto del tempo è entrato nella sua terza vita… Nella pace e nell’infinita dolcezza di “quel ramo del Lago di Como che volge a Mezzogiorno…” frequentato fin dai tempi di Plinio il Giovane e dei suoi aristocratici amici. Clooney e’ ormai un uomo troppo raffinato e troppo antico per stare sempre in America … Qui, nella sua bianca villa tutta disposta sul lago,con il suo ricovero per le barche direttamente sull’acqua, viene con le sue bellissime donne, da Elisabetta Canalis a Stacy Keiblel, oppure fra una crisi e l’altra, lo scapolo d’oro va in barca con gli amici o fa jam session fino a tarda notte…. In Italia ogni tanto lo chiamano per qualche pubblicità, particolare e divertente, studiata apposta per lui e il suo personaggio.. Con i soldii di Nespresso, uno degli spot più ironici e spiritosi, ci finanzia la sua guerra di logoramento a Omar al-Bashir… un “Satellite Sentinel Project”, che controlla il confine tra Nord e Sud del Sudan e gli eventuali movimenti di truppe del Dittatore … Che ci è rimasto proprio male… Questa mossa non se l’aspettava.
Dell’ Italia George Clooney, un po’ per volta ha imparato ad apprezzare il modo di mangiare, attento alle risorse della terra e al volgere delle stagioni… dicono, che nella sua terza vita sia diventato un esperto di cucina mediterranea. Una ricetta per lui non poteva dunque essere una pietanza qualunque, sia pure di buon sapore, ma un piatto con l’occhio volto al territorio e alle tradizioni del Lago di Como….
RISOTTO CON IL PESCE PERSICO
INGREDIENTI per 6 persone: 800 grammi di pesce persico sfilettato, ( oppure circa 1 kg e 300 grammi di pesce intero) farina bianca q.b.,150 grammi di burro, 12 foglie di salvia, 100 grammi di burro, 400 grammi di riso 1,5 litri di brodo vegetale, per la cui preparazione occorrono 2 litri di acqua, qualche grano di pepe nero, sale q. b.,1 foglia di alloro, 1 spicchio piccolo di aglio,1 ciuffetto di prezzemolo,1 carota,1 cipolla 2 coste di sedano.1 zucchina piccola.
PREPARAZIONE.: Cominciate con il brodo vegetale. In una pentola capiente mettete l’acqua fredda e tutti gli ingredienti che lascerete bollire a fuoco medio per circa un’ora e mezza. Al termine filtratelo e tenetelo pronto per cuocervi il riso. Se qualche verdura di quelle segnalate è fuori stagione rinunciateci e sostituitela con altra verdura dal gusto non troppo invasivo, come ad esempio un mazzetto di bieta. Procedete poi a sfilettare il pesce che deve essere freschissimo. Si possono anche far sfilettare i pesci dal negoziante ma non prendete mai i filetti già pronti sul bancone perchè è più difficile accertarne la freschezza. Per sfilettare il pesce occorre prima di tutto estrarre le sue interiora praticando un preventivo taglio sull’addome, poi tagliare di netto la coda e le pinne con le forbici adatte e la testa e le branchie con il coltello, dopo private il pesce delle scaglie con l’apposito attrezzo lavatelo sotto l’acqua corrente, tagliatelo in due o tre sezioni orizzontali togliendo alla sezione mediana la lisca. Sempre muovendo la lama del coltello in orizzontale, facendo la massima attenzione e procedendo adagio, private i pesci della pelle poi sciacquateli nuovamente e asciugateli.
Portate di nuovo a ebollizione in brodo vegetale e cuocetevi il riso al dente, senza mai scuoterlo o girarlo durante la cottura. Mentre il riso si sta cuocendo prendete una padella antiaderente e sciogliete il essa il burro a fuoco moderato, assieme alla salvia, affinchè si insaporisca e solo dopo scaldatelo per brevi minuti a fiamma alta per friggere i filetti di pesce, infarinati leggermente i. Se la padella fosse piuttosto larga potrebbe occorrere più burro per evitare che il pesce si bruci. L’unica accortezza è quello di buttare al termine il burro di frittura e asciugare i filetti con carta assorbente. Un piccolo segreto per evitare che il pesce bruci e si annerisca la crosta , è quello di immergerlo nel burro molto caldo, ma di abbassare immediatamente la fiamma durante la cottura. Mentre aspettare il termine della cottura del riso, tenete i pesci in ambiente caldo. Quando il riso è cotto, scolatelo e fatelo insaporire, per qualche minuto, in un tegame con burro fuso e salvia. Al termine versatelo nel piatto di portata e appoggiatevi sopra i filetti di pesce. Servite caldo.
Quando nel ’39 a. C. Livia Drusilla andò sposa a Gaio Ottavio, aveva 20 anni, aveva appena divorziato dal primo marito, aveva già un figlio di tre anni Tiberio ed era incinta. Lui di anni ne aveva 24 e per sposare Livia anche lui aveva appena divorziato, da soli 3 giorni, dalla moglie Scribonia proprio mentre nasceva la loro figlia Giulia. Tre mesi dopo il nuovo matrimonio nasceva Druso e nessuno ha mai saputo se quel figlio fosse del primo o del secondo marito. Comunque anche se di padre incerto il bambino fu subito amatissimo dal futuro Augusto… E poi lui e Livia erano così giovani e avrebbero di sicuro avuto altri figli.. L’anno successivo infatti nacque un altro bambino, ma morì subito e dopo Livia non ne poté più avere…
Mentre il suo potere cresceva sino a farne il primo imperatore della storia di Roma, Augusto seguitava a covare l’amarezza per quel figlio mai avuto, a cui avrebbe voluto lasciare il potere … La figlia Giulia non contava perché a Roma le donne non avevano incarichi pubblici… Dapprima pensò che Marcello, figlio di sua sorella Ottavia e primo marito di Giulia potesse essere l’erede, ma il ragazzo morì poco dopo, di tifo, a soli 21 anni… Augusto allora obbligò Giulia a sposare Agrippa il suo grande amico e comandante militare dell’Impero… anche se aveva il doppio degli anni della figlia… Stranamente fu un matrimonio abbastanza felice e in meno di dieci anni ebbero 5 figli… Augusto adottò i due ragazzi Lucio e Gaio e ricominciò a sperare… Anche quando morì Agrippa c’erano ormai Tiberio e e l’amatissimo Druso che proteggevano le frontiere… E la figlia Giulia la obbligò a sposare proprio Tiberio, nella speranza che il potere, anche in futuro rimanesse in famiglia… Ma i due si detestavano.. E cominciò la seconda ondata delle tragedie…Druso, abilissimo in guerra, bello, amato da tutti morì in Germania a 29 anni e qualche anno dopo a distanza di mesi morirono anche Gaio e Lucio… Dell’ultimo figlio di Agrippa e Giulia nemmeno a parlarne… Agrippa Postumo sembra che fosse pazzo e comunque Livia non lo voleva fra i piedi e riuscì a mandarlo via da Roma… In linea di successione faceva troppa concorrenza a Tiberio… Più tardi sembra che lo fece uccidere… Era rimasto solo Tiberio, il ragazzo sgraziato e antipatico di cui Augusto non aveva mai voluto riconoscere il valore… E fu lui alla fine che ereditò quell’immane impero mentre Giulia moriva in esilio confinata dal padre per troppi scandali e troppi amanti… Forse la verità era un’altra, sembra che Giulia stesse organizzando una congiura per uccidere il padre, ormai stanca di tutte le violenze che lui aveva imposto alla sua vita privata…
Stranamente quell’antica tragedia dinastica alla ricerca di un erede, torna alla mente quando si pensa agli Agnelli, la più potente famiglia italiana da quasi un secolo, sempre alla ricerca di un erede per quell’immenso impero industriale della Fiat… Eppure Gianni Agnelli veniva da una famiglia numerosa… Erano ben 7 figli di cui tre erano maschi… Ma avevano avuto una giovinezza difficile… Il padre Edoardo, l’erede dell’impero muore a 42 anni prima ancora di cominciare a condurre l’azienda… Il padre non si fida! Nel 1935 Edoardo era a bordo dell’ idrovolante di famiglia e durante un ammaraggio all’idroscalo i galleggianti del velivolo urtarono un tronco vagante sull’acqua… L’aereo si ribaltò ed Edoardo morì, decapitato dall’elica rimasta in movimento… Era venuto meno l’erede dell’ industria e il nonno col tempo si affidò a un amministratore… Gianni allora ha 14 anni e lui e i suoi fratelli si trovano in mezzo alle battaglie legali combattute dal nonno che li vuole sottrarre alla madre e dar loro un’educazione tutta Fiat… Alla fine vincerà la madre ma anche lei muore presto in uno scontro con un camion degli alleati sul finire della seconda guerra mondiale… Lui Gianni, il primogenito non potrà nemmeno mettere piede nell’azienda di famiglia che è dominata da un uomo di fiducia del nonno… Così disse Vittorio Valletta al Delfino nel 1946 “Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io», al che il giovane Agnelli rispose mondano e disinvolto: «Ma di certo voi, professore». E sparì per quasi 20 anni in giro per il mondo… Difatti l’erede Edoardo nasce a New York e la figlia Margherita in Svizzera…
Forse quando Gianni Agnelli, ormai per tutti l”Avvocato,” nel 1966 prende in mano le sorti della Fiat non ha nemmeno il tempo per accorgersi che Edoardo, quel bellissimo, esile ragazzino è pieno di fantasie, timidezze, introspezioni… Quando arriva all’Università di Princeton ci va per studiare Lettere Moderne… Sostanzialmente Storia delle Religioni … E il padre comincia a sobbalzare… In Fiat c’è bisogno di qualcuno che sappia di finanza o magari ingegneria o relazioni industriali… Si preoccupa davvero quando Edoardo comincia i viaggi in India… Ci andavano in molti all’epoca, in cerca di spiritualità… dai Beatles ai giovani hippies… E’ quasi una tappa d’obbligo… In seguito Edoardo diventerà di casa dall’Ayatollah Khomeini. E’ entusiasta della rivoluzione religiosa che ha cacciato il laico Sha Reza Pahlavi dall’Iran e si avvicina all’Islam sciita… Non è del tutto certo ma sembra che si converta col nome di Mahdi.
Ma nonostante le sue forme ascetiche o forse proprio per questo Edoardo comincia a interessarsi dell’azienda di famiglia… Naturalmente a modo suo… Non concepisce aziende basate esclusivamente sul profitto, approda al principio della solidarietà sociale e finisce in un ibrida posizione di marxismo mistico… Inoltre è sensibile ai temi dell’inquinamento e vorrebbe auto ecologiche. Ma quello che soprattutto colpisce la famiglia è l’accusa pubblica che fa all’azienda di sfruttare l’intera collettività… Il ricorso massiccio alla Cassa Integrazione e gli sconti con gli incentivi alle vendite, forse a qualcuno sfugge, ma vanno sempre a gravare sullo Stato, ormai sotto ricatto… Ne va della pace sociale… Forte è il timore che la Fiat faccia licenziamenti di massa a ogni minima crisi del mercato…
Molti così cominciano a pensare che Edoardo sia matto, ma proprio da quelle parti, a Ivrea, Adriano Olivetti ha costruito un diverso impero su quegli stessi principi che pronunciati da Edoardo sembrano follie… In sé l’esperimento era riuscito… A Ivrea c’erano case e cultura agli operai, partecipazione alla gestione e abbandono dell’alienante catena di montaggio… Solo per l’incapacità dei successori di Adriano andrà in rovina l’impero delle macchine da scrivere e tutto quello che di elettronico venne dopo…
La Fiat comincia a dubitare di avere l’erede… Degli altri due fratelli dell’Avvocato, Umberto già l’affianca in azienda, ma è già troppo in là negli anni per diventare un erede e l’altro Giorgio è morto giovane, senza figli, ricoverato a lungo in una clinica svizzera per schizofrenia… Margherita, è donna e alla Fiat entrano solo gli uomini… Come del resto succedeva negli antichi imperi…
La posizione di Edoardo diventerà insostenibile quando nel 1990 sarà arrestato in Kenia con l’accusa di possesso di eroina… Passerà anche due notti in prigione dritto in piedi perché nell’orribile cella manca anche lo spazio per sedersi. Poi l’accusa si smonta e lui torna in Italia ma dopo pochi mesi viene nuovamente accusato per un giro di droga … Anche stavolta Edoardo è innocente, ma deve ammettere la propria tossicodipendenza…
E’ il 1993 e Giovannino Agnelli il figlio di Umberto è diventato grande… E’ un ragazzo simpatico, allegro e preparato.. E’ ora che entri nel Consiglio di Amministrazione… l’anticamera dell’Impero… Lo zio Gianni esulta, ma è solo per poco… La tragedia irrompe di nuovo quasi senza preavviso … Nel 1997 a soli 33 anni Giovannino muore… una malattia che non gli da via di scampo…
L’avvocato ha il viso sempre più tribolato dalle rughe e una bocca amara dove è difficile rintracciare un sorriso… Però ci sono i figli di Margherita… Si chiamano Elkann , ma sostanzialmente John e Lapo sono cresciuti in Fiat dopo averli strappati alla madre… con la quale non parlano da anni..
Dopo la morte di Giovannino, a soli 22 anni John Elkann entra nel Consiglio di Amministrazione .
Edoardo è sempre più in ombra… Ci soffre molto… Vive in una villa di proprietà dei genitori, ma ne occupa solo la portineria… Fa ripensare a Giulia la figlia di Augusto costretta nel suo esilio, in un alloggio di una sola camera…Una fredda mattina di novembre del 2000 Edoardo viene ritrovato morto alla base di un cavalcavia alto più di 70 metri. Sembra si sia gettato dopo aver lasciato l’auto con il motore acceso… L’inchiesta è rapidissima e si chiude in un giorno… E’ suicidio!
Ma dopo qualche tempo cominciano i dubbi… Troppe incongruenze in quella morte… Perché era uscito senza scorta? Perché era vestito a metà con la giacca del pigiama sotto una normale giacca? A che ora è entrato in autostrada? Si dice alle nove del mattino, ma un pastore dice di aver visto il corpo sotto il viadotto alle 8… Come mai una persona che precipita per 70 metri ha ancora le scarpe addosso? Perchè il viso di Edoardo, trovato a faccia in giù non è devastato? A chi dava fastidio Edoardo Agnelli? Qualcuno dice che volevano che rinunciasse ai suoi diritti in Fiat in cambio di un po’ di soldi… E che lui testardamente non avesse accettato… Qualche giorno prima aveva detto a un amico di essere preoccupato… Nel 2008 la televisione manda in onda uno speciale elencando tutti i dubbi e raggruppando testimonianze. Esce anche un libro “Ottanta metri di mistero – La tragica morte di Edoardo Agnelli” Si chiede di riaprire l’inchiesta, ma sembra che nessuno lo voglia fare…
Oggi il potere della Fiat in buona parte è in mano all’ AD Sergio Marchionne… Lui lo nega ma forse porterà via la Fiat dall’Italia… Magari un po’ per volta ora che c’è il partner Chrysler… John Elkann è Presidente, ma sembra solo… Suo fratello Lapo un ragazzo estroverso e pieno di fantasia, che curava l’immagine dell’Azienda se ne è dovuto andare dopo essere finito all’ospedale, in coma, per un overdose… L’ambulanza è arrivata appena in tempo nella casa del trans, dove stava quasi per morire…
La figura gentile di Edoardo con la morte sembra aver acquistato spessore… Ne parlano tutti con rispetto… In qualche modo la morte lo ha ricongiunto alla famiglia…
Si dice che a casa dell’Avvocato si mangiasse sempre poco, ma prodotti di qualità vicino alla terra… Erano piemontesi e molto attaccati alle loro tradizioni… Sicuramente ” Il Camoscio alla Piemontese con la polenta” lo conoscevano bene…
CAMOSCIO ALLA PIEMONTESE CON POLENTA
INGREDIENTI PER IL CAMOSCIO per 6 persone: spalla o petto di camoscio kg 1, burro grammi 120, farina bianca 30 grammi, 1 bicchiere di aceto bianco di qualità, 1 carota, 2 coste di sedano, 2 cipolle, salvia e rosmarino, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva , 1 bicchiere di brodo di carne di manzo, 1 cucchiaino di zucchero, sale e pepe.
INGREDIENTI PER LA POLENTA per 6 persone: faina gialla bramata cioè a trama grossa grammi 500, acqua 1,750 litri, sale q. b.
PREPARAZIONE DEL CAMOSCIO: tagliate il camoscio in pezzi piuttosto grossi, poi adagiateli in un tegame di terracotta, unite la carota affettata, le coste di sedano a pezzetti, un po’ di salvia, un rametto di rosmarino e l’aceto. Lasciate la carne a macerarsi per 24 ore e anche di più, poi affettate le cipolle e fategli prendere colore in una casseruola sul fuoco in 50 grammi di burro,poi unite la farina impastata con 30 grammi di burro e lasciatela dorare, poi aggiungete il brodo e fate cuocere il tutto per 5 minuti. Mettete una padella sul fuoco con il restante burro e l’olio, poi aggiungete i pezzi di camoscio scolati dalla marinara, asciugati e infarinati. Quando il grasso del camoscio si sarà sciolto togliete la carne e mettetela nel tegame delle cipolle, salate e pepate. Terminate la cottura coprendo il tegame e a fuoco basso per circa due ore.
PREPARAZIONE DELLA POLENTA; in una pentola capoiente portate a ebollizione l’acqua e fatevi cadere un po’ per volta a pioggia la farina mescolando ogni con un cucchiaio di legno affinché non si formino grumi; seguitando a rimestarla fatela cuocere per 50 minuti e non meno perché la polenta poco cotta può far male. A fine cottura riversatela su una spianatora di legno e poi tagliatela a fette abbastanza spesse.
COMPOSIZIONE DEL PIATTO: Distribuite 1 o più fette di polenta sul piatto di ciascun commensale, sistemateci sopra il camoscio e poi dopo aver passato al setaccio il sugo di cottura versatelo sulla carne.
“Lui c’era dentro già da tempo, ma in pochi, oltre gli addetti ai lavori, se ne erano accorti! Estro, di sicuro ne aveva e anche spirito di iniziativa, se a 15 anni si era presentato con le sue vignette satiriche in mano, a riviste famose come “Il Travaso delle idee” e “Marc’ Aurelio”. Negli anni ’20 e ’30, dopo aver tentato invano un po’ di mordace satira al regime fascista, quelle popolarissime riviste avevano finito in realtà per esserne completamente asservite. Sarà stato forse perché, nell’immediato dopoguerra annaspavano un po’ in cerca di nuove formule e nuovi autori, non compromessi, che finirono per prendersi le vignette di quel ragazzino… Tanto che a 20 anni lui era diventare un collaboratore fisso del Marc’Aurelio, mentre terminava gli studi di Giurisprudenza…
Indubbiamente un modo un po’ tortuoso per arrivare al Cinema… Ma aveva un gran vantaggio.. Viveva a Roma e non era poi così distante da quei mitici studi di Cinecittà, che dopo il neorealismo duro alla Rossellini, i “Pepli” degli anni ’50 e il Neo – realismo rosa di “Poveri, ma belli”, stava aprendo alla sua più fantastica stagione artistica e commerciale…
“Commedia all’Italiana” è un termine un po’ generico, a ben vedere, un contenitore dove dentro ci si poteva trovare di tutto, ma una base in comune c’era … La satira di costume tutta aderente alla nuova realtà e, un’amarezza di fondo, che si intreccia ai tradizionali contenuti comici della commedia. In quel momento tutto stava cambiando in Italia… Dalle macerie del dopoguerra un agguerrito gruppo di grandi e piccole imprese aveva lanciato il “miracolo economico”… E gli italiani, nel benessere, assorbivano come spugne nuovi comportamenti…
Al cinema, che in Cinecittà trova la sua prima bandiera, avviene un miracolo nel “Miracolo”. Senza voler fare paragoni di poco rispetto, succede un po’ quello che, ad altro livello, era avvenuto per gli artisti del Rinascimento… In confronto il neorealismo era stato portato avanti solo da quattro geni e, per lo più, incompresi, ma per la “Commedia all’Italiana” è già pronta un’intera generazione di grandi interpreti, registi, sceneggiatori, attori, persino tecnici delle luci come Vittorio Storaro… In quel contenitore ci andranno a finire parecchi vizi e poche virtù… Emancipazione femminile e libertà sessuale di sicuro, ma anche corruzione e volgarità come stili diffusi di vita…
Difficile individuare la prima commedia all’italiana… Bagliori e presentimenti c’erano già da parecchio… Per lo più come capostipite si cita ” I Soliti Ignoti” anche se manca l’ambientazione borghese, così cara al genere. E’ una parodia dei “caper movie” con poveri disgraziati a far da comici … Ma sono comici assolutamente nuovi, ben lontani dalla marionetta appesa agli immaginari fili del circo o dell’avanspettacolo, mentre volteggia fra gag, giochi di parole, gesti buffi o nonsense… Ora l’attore ha i dialoghi certi delle sceneggiature fatti di quotidiano e di realtà con riferimenti sociali, chiari al pubblico che li conosce e li vive spesso in prima persona…
Dopo i “Soliti Ignoti” non ci saranno più freni e in poco più di un anno arrivano i grandi successi de “La grande guerra”e “Tutti a casa” dove i ricordi di guerra sono alleggeriti nell’ironia, mentre “Il Vedovo”, diventa il prototipo degli scadenti personaggi infiltrati nella nuova industria..
Lui, Ettore Scola, a Cinecittà c’era già arrivato da parecchi anni e tutta l’esperiena satirica accumulata nel Marc’Aurelio era la manna dal cielo per la novissima commedia, ma sono in pochi ad accorgersi che esiste… Non l’accreditano mai… “In realtà ho iniziato come negretto, scrivendo per altri senza apparire. Avevo dei grandi modelli: Fellini, Amidei, Zavattini, ma scrivevo anche sketch per Totò, Macario, Tino Scotti e Alberto Sordi”… Nel 1954 firma assieme a molti altri la sua prima sceneggiatura ufficiale, “Un americano a Roma” e poi altri film importanti come “Il Sorpasso”, ma alla regia arriva tardi, nel 1964, dopo una lunga gavetta e l’opera non è un successo… “Se permettete parliamo di donne” è un film a episodi dove il protagonista maschile è sempre Vittorio Gassman e le attrici cambiano… “Una serie di barzellette,” lo liquiderà in fretta Tullio Kesich…,
Ma nel 1968 le cose cambiano e travolgente arriva il successo… “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” si ispira a un fumetto di Topolino che assieme a Pippo va a cercare in Africa l’amico Pappo. La commedia punta il dito sul provincialismo arrogante del parvenu, che si muove in Africa col piglio del colonialista dell’800… Certo la recitazione sempre un po’ esasperata di Alberto Sordi lo butta più sul comico che sul satirico, allontanandolo un po’ dagli intenti moralizzatori di Scola contro una società fatua e superficiale, ma il personaggio di Titino – Manfredi, con i suoi imbrogli tutti italiani, l’arte di riciclarsi come stregone e lo struggente ritorno finale nella Tribù, lascia una nuova consapevolezza anche nel prepotente editore… Forse è solo un momento ma vorrebbe anche lui scappare dalla futile “civiltà”…
Dopo, Ettore Scola diventerà uno dei protagonisti assoluti … “Brutti, sporchi, cattivi” è un film pieno di personaggi anche fisicamente sgradevoli… un apologo di come la miseria renda squallidi e cattivi… Scola, fervente comunista aspetta chiaramente il “Sol dell’avvenire” e il riscatto sociale…
«Si – dirà Scola a proposito dei suoi anni ruggenti – io credo che… un certo cinema italiano, è stato molto vicino alla politica…. Ad esempio, quando per “Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca” dovevo girare la scena del comizio, ho preferito aspettare quello del Partito Comunista, e proprio quello di Pietro Ingrao in Piazza San Giovanni a Roma, non solo perché ho sempre percepito nel partito comunista una vicinanza ideale, ma perché ho sempre pensato a Pietro Ingrao, come al politico più vicino ai drammi della povera gente». Oreste ormai ridotto a una larva di disperazione dopo l’abbandono della sua donna, incontra in piazza il segretario della sezione del partito che all’apparizione di Ingrao sul palco, lo conforterà dicendo «Senti Pietro, adesso…dai» e Oreste, fiducioso come davanti a un taumaturgo, risponderà «Si, si, sento Pietro»… E poi, in un impegno senza mediazioni, Scola filmerà i Festival dell’Unità, quando era viva la saldatura fra popolo e politica… Più in là anche “I funerali di Berlinguer,” l’amatissimo capo del partito…
Ma era impietoso e acre verso i compiaciuti intellettuali della sinistra che utilizzavano la cultura per disprezzare e sentirsi superiori… “C’eravamo tanto amati” è del 1974… Forse è prima di tutto un’elegia a Roma, commossa e silenziosa, fra piazze notturne e luoghi poco noti, dove tornano a incontrarsi Gianni, Antonio e Nicola, tre partigiani amici che, che alla fine della guerra si erano divisi. Nicola era andato a insegnare, Antonio a fare il portantino in ospedale, Giann a laurearsi… Solo Antonio era rimasto fedele agli ideali di gioventù mentre Gianni aveva trovato, in vie disoneste, ricchezza e potere, sposando la figlia di un palazzinaro senza scrupoli… Ma gli strali più cattivi Ettore Scola li riserva a Nicola che fra una sconfitta e l’altra era diventato la caricatura dell’intellettuale presuntuoso ” di sinistra,” lontano da ogni visione critica della società, solo farsa retorica di se stesso con sterili e puntigliose polemiche…
In giro per il mondo forse il film di Scola più conosciuto è “Una giornata particolare”, la storia di due esclusioni… Un omosessuale destinato al confino dal regime fascista e una casalinga intristita dalla fatica di vivere… E’ il maggio del 1938, e nel condominio popolare quasi deserto, perché la gente, piena di allegra baldanza, è andata alla parata, echeggia a raffiche, sgradevole e trionfante, la voce della radio che descrive l’arrivo a Roma di Adolf Hitler. Per un momento brevissimo Antonietta e Gabriele si ameranno, in un disperato abbraccio di comprensione reciproca… Poi mentre Gabriele viene portato via dalle guardie che lo scorteranno al confino, Antonietta aspetterà il ritorno della sua famiglia fascista… Ma alla giornata particolare resta un filo di speranza… Antonietta che legge il libro che le ha regalato Gabriele… E’ un’ opera di Alexandre Dumas dove si parla di popolo che prende coscienza…
Era stato fra gli ultimi a partecipare alla Commedia all’Italiana… Sarà anche l’ultimo ad uscirne… ” La Terrazza” del 1982.. è considerato una firma di epilogo… Amara e senza speranze sul fallimento professionale, ma prima ancora morale, di cinque amici che attraversano la crisi di un mondo senza più ideali…
Anche Ettore Scola come gli altri cercherà vie diverse, molte ancora segnate dall’ispirazione e dal successo, come l’affresco corale e storico de “La famiglia” o l’intimissimo “Che ora è” sul difficile dialogo figli – genitori, con una scrittura affascinante che appartiene al miglior Scola sceneggiatore… poi comincerà a diradare il suo lavoro… C’è un commosso ritorno alla sua città nel documentario “Gente di Roma” e poi quasi dieci anni di silenzio…
Poco tempo fa Scola, con quel suo sorriso dagli occhi tristi confessava di non avere più idee, anzi precisava “le idee ci sarebbero, ma non hanno più niente a che fare con il cinema.” e invece non era vero niente! Al cinema sta tornando… S’intitolerà “Che strano chiamarsi Federico!” e sarà un cercare Fellini a 20 anni dalla sua morte… racconterà tutta la ricchezza del cinema felliniano e sarà un collage di immagini di repertorio, momenti e ricordi sparsi… Si erano conosciuti ai tempi del Marc’Aurelio, un’amicizia mantenuta intatta… Per anni si erano divertiti a farsi visita sui rispettivi set … In “C’eravamo tanto amati” Scola aveva voluto inserire nella sua Roma notturna, Federico mentre girava “La dolce vita” a Fontana di Trevi…
Ci possono essere tanti modi per portare avanti un’amicizia, ma Scola ha dovuto sciegliere l’unico che oggi gli è stato possibile…
Spesso si mangia nei film di Scola… Per esempio all’inizio de “La Terrazza,” la padrona di casa richiama gli amici sparsi… “In tavola è pronto”… Ma forse la scena più graffiante è quella di Elide,in “C’eravamo tanto amati,” abbligata dal marito a mangiare solo insalata scondita e un uovo sodo, di fronte agli altri che affondano la forchetta in un celebrato, ricco, piatto romano, che poi a benvedere proprio romano non è…
I “Bucatini alla Matriciana” come li chiamano a Roma o forse più correttamente “all’ Amatriciana,” nascono, come dice il nome, in quel di Amatrice, un paese del Lazio quasi di montagna, da cui già si scorgono le grandi montagne d’Abruzzo… La ricetta è antica ma la diatriba se si debba utilizzare aglio o cipolla seguita negli anni a schierare opposte fazioni… Però, trattandosi di un vecchio piatto, nato sui monti, siamo propensi a credere che la ricetta originaria impiegasse l’aglio, perché la cipolla richiede un territorio di pianura… Forse anche il pomodoro é un’ aggiunta posteriore… Quella che segue è la nostra scelta, con la possibilità ovviamente di qualche variante secondo i gusti… Qualcuno, per non far torto a nessuno, fa addirittura un mix fra aglio e cipolla!
BUCATINI ALLA MATRICIANA
INGREDIENTI per 4 persone: bucatini grammi 400, guanciale (senza cotenna, di montagna, poco salato e ben stagionato) grammi 160, pecorino romano grattugiato grammi 80, 2 spicchi di aglio, sale, pepe e 1 peperoncino secco sbriciolato, 400 grammi di pomodorini piccoli rossi, preferibilmente quelli che colti freschi vengono fatti appassire in un mazzo appeso a un gancio.
PREPARAZIONE: Ponete sul fuoco una pentola con 4 litri di acqua e 4 cucchiaini di sale fino. Tagliate a tocchetti il guanciale che poi metterete in una padella già calda e appena unta di olio. Quando il guanciale comincerà a rilasciare il suo grasso, aggiungete gli spicchi d’aglio tagliati a metà e il peperoncino. Rosolate il tutto molto dolcemente sino a quando il guanciale diventi croccante. Poi con un mestolo traforato togliete dalla padella guanciale e aglio e mettete i pomodorini lavati e spaccati. Fateli cuocere per un massimo di 7 o 8 minuti, perché va conservato il loro sapore fresco. Nel frattempo avrete lessato i bucatini in acqua bollente, scolandoli ancora al dente. Nel piatto di portata conditeli col sugo, aggiungete il guanciale e l’aglio, quest’ultimo se piace, altrimenti buttatelo via perché comunque ha già rilasciato il suo sapore nel sugo. Spolverizzateli di pecorino e pepe e serviteli caldi.
1950… Il nuovissimo grattacielo di Piazza Repubblica è alto 114,25 m… E’ la prima volta che a un edificio viene consentito di superare la Madonnina… alta poco più di 108 m… Anche altri grattacieli stanno sorgendo, uno a Piazza Diaz e un altro all’angolo tra Via Turati e Piazza Repubblica. La Casa Editrice Ricciardi apre la sua nuova sede a Milano… Ha un obiettivo ambizioso…La pubblicazione di tutta “La letteratura Italiana”. Antonioni sta girando il suo primo film “Cronaca di un amore” con una giovane attrice che fino a poco tempo prima faceva la commessa di pasticceria proprio a Milano La Callas canta per la prima volta alla Scala… E Milano sta cambiando, tutta presa dal suo miracolo economico.
Il quei dieci anni fra il ’50 e il ’60 quasi 300.000 persone arrivano in cerca di fortuna… Vanno a riempire le periferie dai palazzoni tetri o i malsani scantinati del centro e sembra che parlino altre lingue, che vanno a sovrapporsi e a mescolarsi con quella di casa… Magari le parole milanesi resistono, ma in bocca ai siciliani o ai pugliesi c’è da farsi cadere le braccia.. La fabbrica però non ha occhi per il passato, non può neppure per un momento fermarsi e cercare di capire… Così accoglie tutti nel suo disperato bisogno di mano d’opera.. Bisognerà aspettare il 1965 quando, Giovanni Pirelli, scrivendo «A proposito di una macchina», entrerà nel cuore della Lombardia industriale, squarciando definitivamente il velo delle illusioni. Per ora è tutta baldanza e il popolo di Milano, quello antico, sembra sopraffatto, quasi perso, pare non ci sia più, in quel confuso crogiolo aperto a tutte le esperienze…
C’è però qualcuno che quel popolo sa dove trovarlo… Lui voleva fare il medico e invece capì appena in tempo che forse, senza di lui, nessuno avrebbe più conservato la memoria… Enzo Jannacci aveva un nonno pugliese arrivato con le prime migrazioni dell’inizio del ‘900, un padre, già di seconda generazione integrata, che era Ufficiale dell’Aeronautica… Forse qualche volta quando Enzo era piccolo, lo avrà portato con sè all ‘Aeroporto di Linate che allora si chiamava Forlanini. Enzo se lo ricorderà nella canzone del Barbone con le scarpe da tennis… Al liceo conosce Giorgio Gaber un amico, un fratello, quasi un’anima gemella, uno con cui suonerà e canterà a lungo nei duetti strampalati dell’assurdo… Erano i primi a divertirsi da matti… 8 anni di pianoforte al conservatorio, diploma di armonia… e direzione di orchestra, mentre seguita a studiare medicina… Più in là lavorerà ai primi trapianti di cuore, in Sud Africa, nell’equipe di Barnard e sarà un jazzista capace di suonare con Chet Baker e Jerry Mulligan, ma intanto è fra i tra i primi in Italia a suonare il rock’n’roll e a spazzare via la musica melodica degli anni ’50 …
Al Santa Tecla e al Derby, i locali delle nuove tendenze, portò il suo stile singolarissimo. Non era un urlatore, non era un rockettaro, ma faceva un cabaret musicale dove dentro ci poteva essere tutto …Stralunato paradossale, inimitabile… Proprio com’era lui, con il corpo che sembrava andarsene per i fatti suoi e quel viso da bravo ragazzo un po’ triste… Cantava storie minime di gente minima, storie disperate venate di ironia, con punte di esilarante comicità e un fondo d’amore per i suoi eroi di strada… Un po’ recitava, un po’ cantava, suonava… parlava in dialetto… E intanto celebrava Milano… Sapeva che era senza scampo… Se ne stava andando quella dei barconi sui Navigli che ancora portavano la sabbia dalle cave fino alla darsena, il quartiere dell’Ortica in cui il “Palo” della Banda era guercio e non si accorgeva mai quando arrivava la polizia…La Bovisa, Viale Forlanini, le periferie prima che fossero distrutte dall’avanzare della citta Leviatano… E la minuscola stazione di Rogoredo ( I s’era conossü visin a la Breda, leì l’era d’ Ruguréd e lü… su no). In quei quartieri, c’era la Milano di una malavita minore… Il ladro di “ruote di scorta di micromotori ”, quel fratello cattivo che faceva piangere la mamma, nell’ ironica dissacrazione “di tutte le mamme del mondo ” che ancora imperversavano nel canto melodico dei Festival di San Remo” A chiedere il personaggio più amato non si sa rispondere… Il barbone ammazzato mentre “coltivava già da tempo il suo sogno d’amore”, il tassista che si ribalta con il suo taxi senza una ruota, ridotto a un triciclo o quel poveretto che l’Armando gettava giù dal ponte ” Ma per non bagnarmi tutto mi buttava dov’è asciutto”.
Quando sul finire degli anni ’60 quel mondo stava davvero scomparendo Jannacci se ne andò a fare il medico… Era bravissimo, pignolo sino all’esasperazione, ma a Cantù c’era chi lo ricordava entrare correndo nei reparti e gridare, rivolto ai malati: «Cià, che fèmm una cantàda», più o meno «Su che cantiamo insieme». Era il suo modo per tenere alto il morale a tutti e dava se stesso senza esitazioni…
Naturalmente più tardi tornò a cantare… Tematiche diverse per tempi cambiati, ma l’ironia era sempre la stessa… “Ho visto un re”, insieme a Dario Fo.. Sembra un non sense e invece è una metafora a sfondo politico. Diventa uno dei brani simboli del ’68, quando si capisce la graffiante satira sociale e lo sconforto della politica… “Vengo anch’io… no tu no”, forse il suo brano di maggior successo è in realtà la denuncia di nuove esclusioni… Quel “Tu no” oltre un bullo alla Carlo Verdone, messo in disparte può essere anche un extra comunitario… “Messico e Nuvole” è un amore per nuovi borghesi pieni di divorzi facili, ma la disperazione e l’amore sono così autentici che fanno venire da piangere…
Poi teatro, televisione, cinema, con quel disancorato triste personaggio de “L’Udienza”… Colonne sonore e tanti onori… Se ne è andato in punta di piedi qualche mese fa… Il tre giugno sarebbe stato il suo compleanno e lui non è riuscito ad arrivarci… Ma il Governatore della Lombardia che suona Jazz e il figlio Paolo lo stanno festeggiando ugualmente… Con una Jam Session nella sede della Regione Lombardia…
Quando é morto c’era anche un paio di scarpe da tennis nere, nella camera ardente. La ragazza che le aveva portate ha detto a bassa voce “Mi sembrava che mancasse qualcosa, e’ giusto cosi”
Pochi dubbi per la ricetta… C’è dentro tutta l’antica tradizione di Milano…
OSSIBUCHI ALLA MILANESE CON RISOTTO GIALLO
INGREDIENTI PER GLI OSSIBUCHI per 4 persone: 4 ossibuchi, farina q.b., 1 cipolla, 1 carota, 50 grammi di burro, 1 dl di vino bianco secco, 1 dl di brodo di carne, 1 spicchio di aglio, 1 manciata di prezzemolo, 1 limone biologico
INGREDIENTI PER IL RISOTTO per 4 persone: 400 g di riso, 1/2 cipolla bianca, un bicchiere di vino bianco fermo, 2 bustine di zafferano, olio extra vergine di oliva q. b. ,240 grammi di burro, 6 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato, brodo di carne, sale e pepe.
PREPARAZIONE DEGLI OSSIBUCHI
Tagliate la pellicola esterna degli ossibuchi per evitare che si arricci in cottura. Sciacquateli in acqua fredda corrente, asciugateli tamponando bene con carta assorbente da cucina e infarinateli.
Sbucciate e tritate finemente la cipolla, versatela in un tegame con il burro e fatela appassire a fuoco basso per circa 10 minuti, mescolando spesso. Mettete gli ossibuchi nel tegame, alzate il fuoco e lasciateli dorare bene da ogni lato, facendo attenzione che la cipolla non diventi troppo scura. Eventualmente toglietela dal tegame e rimettetela prima di sfumare la carne con il vino. Quando sarà evaporato, salatela e pepatela.
Unite il brodo, abbassate il fuoco, coprite e fate cuocere per circa 1 ora e 30 minuti, voltando la carne di tanto in tanto; il sugo dovrà restringersi pur rimanendo fluido.
Preparate la gremolata: sbucciate e tritate l’aglio; mondate e tritate il prezzemolo; lavate bene e grattugiate la buccia del limone. Mescolate il tutto, quindi versate il ricavato sulla carne e proseguite la cottura per 5 minuti. Servite gli ossibuchi nei piatti individuali, accompagnando con risotto alla milanese.
PREPARAZIONE DEL RISOTTO ALLA MILANESE
Preparare il soffritto con olio, poco burro e cipolla tritata . Quando tutto è ben dorato buttare il riso, amalgamare bene e sfumare con il vino bianco. Aggiungere quindi il brodo. in cui si sono già sciolte le bustine di zafferano)e continuare la cottura per circa 15 minuti. Mantecare fuori dal fuoco, con burro freddo e parmigiano.
Stabilimenti Penali di Pianosa, 26 febbraio 1933 “Mamma… Con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me….Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede che è tutta la mia vita… Non ho mai chiesto pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché dunque propormi un così vergognoso mercato?…”
Stabilimenti Penali di Pianosa 23 febbraio 1933 – “A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale – La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico Sandro Pertini”
“Io lasciai l’Italia nel 1926.La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze,quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un paese di violenti, gli anni ’20 furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti… Questo non è stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il 1 maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale… Perché ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: Sotto il barbaro dominio fascista. Ho vissuto i miei 20 anni così e non me ne pento.”
Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge alla cattura scappando a Milano. Da lì organizza la fuga di Filippo Turati, il grande leader del socialismo in pericolo. Tornano assieme a Savona dove li aspettano Ferruccio Parri, Adriano Olivetti e Carlo Rosselli… Anche Pertini deve andarsene… Li porteranno con un motoscafo in Corsica…”Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino Verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino Verde c’era il ristorante “I pesci vivi”… Passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”…
Mentre gli amici che li hanno aiutati, a eccezione di Olivetti, finiscono tutti in carcere, Pertini in Francia resiste poco più di due anni. Duro e orgoglioso rifiuta l’aiuto di Turati e trova lavoro come muratore, lavavetri di taxi e comparsa cinematografica. Non ha la minima difficoltà a svolgere lavori umili, ma si sente troppo frustrato e inutile, anche se a Nizza mette su una radio clandestina per mantenersi in corrispondenza con i compagni…A marzo del 1929 torna in Italia con un passaporto falso, intestato allo svizzero Luigi Roncaglia. Ha grandi idee, prima fra tutte quella di ammazzare Mussolini, proprio mentre parla dal balcone di Piazza Venezia… Ma i sotterranei sono sorvegliati e bisogna cercare un’ alternativa…
A Pisa mentre sta ancora lavorando all’attentato viene arrestato… La sua libertà è durata meno di un mese… Al processo non si difende perché non riconosce l’autorità del Tribunale. A novembre del 1929 arriva la condanna a quasi 11 anni di carcere… Mentre il giudice legge la sentenza lui grida “Viva il Socialismo, abbasso il Fascismo”
Nel carcere di Santo Stefano, le condizioni sono durissime … Ci rimane quasi due anni e si ammala di tubercolosi.” … Improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l’inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne…”
Lo trasferiscono al carcere di Turi dove praticamente mandavano tutti quelli a cui avevano rovinato la salute… C’é anche Gramsci e nasce una grande amicizia. Pertini che per sè non chiede niente riuscirà, minacciando ricorsi, a non farlo più svegliare di notte dalle guardie che, sadicamente battono sulle sbarre appena vedono che chiude gli occhi… Poi otterrà che gli diano delle matite e dei block notes, una sedia, un tavolino… Ed è in questo modo che ci sono arrivati “I quaderni dal Carcere”. Quando tanti anni dopo uno dei ragazzi che lui tutti i giorni riceveva al Quirinale, gli chiederà il ricordo della persona a lui più cara in quegli anni di prigionia, risponderà senza esitazioni Antonio Gramsci.
Dopo circa un anno cambia di nuovo carcere… A Pianosa le sue condizioni di salute si aggravano ed è allora che sua madre firma la domanda di grazia che lui rifiuta sdegnosamente.. “E’ giusto dire che non fui il solo,” e ricordava diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte lo avevano permesso alle proprie famiglie. E poi aggiungeva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…”
Nel 1934 esce dal carcere per essere inviato al confino… dove inviavano i dissidenti con reati minori o anche senza reati… Sono liberi ma non possono uscire dalla località in cui appunto sono stati… “confinati.” Quando nel 1936 scopppia la Guerra di Spagna però le condizioni dei confinati peggiorano… Pertini protesta e viene denunciato… Avrà un altro processo, viene assolto ma resterà al confino a Ventotene fino al 1940, quando la sua pena scade e dovrebbe tornare a casa…
Ma interviene Mussolini… Ordinanza della prefettura di Littoria del 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.
Nel 1941 riesce a incontrare finalmente la madre a Savona… “Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente… Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Al mattino vennero a prendermi per ricondurmi a Ventotene. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto… Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
A Ventotene c’è un famigerato poliziotto come direttore, Marcello Guida… Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che ha come esito quello di rendere le condizioni dei confinati ancora più dure… Pertini è ritenuto un provocatore …
Nel 1969 dopo la strage di Piazza Fontana, il Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini si recò a Milano per rendere omaggio alle vittime dell’attentato e si incontrò faccia a faccia con Marcello Guida. Aveva fatto carriera ed era diventato Questore di Milano… Sandro Pertini si rifiutò di stringergli la mano e si girò dall’altra parte… Forse in cuor suo pensò ancora una volta che Togliatti aveva sbagliato a non consentire, dopo la guerra, l’epurazione dei funzionari fascisti dalla Pubblica Amministrazioni…
Quando il 26 lugglio 1943 cade il fascismo gli 8oo confinati di Ventotene non hanno nemmeno più la forza di esultare….Pertini va da Guida che siede terrorizzato dietro la scrivania… La foto del Duce è già stata rimossa… Pertini sarà liberato per primo e da Roma comincia la battaglia burocratica per liberare anche gli altri… Rivedrà anche sua madre… e sarà l’ultima volta mentre il sogno di libertà si infrange subito dopo… A settembre è a Roma, a Porta San Paolo a sparare contro i tedeschi che stanno occupando militarmente la città… Poi gli daranno la Medaglia d’oro, ma intanto i nazisti riescono a entrare in città. Due mesi di clandestinità e viene nuovamente arrestato assieme a Giuseppe Saragat… Sono due Presidenti della repubblica”in pectore”, ma per il momento finiscono in carcere a Regina Coeli… e ci vuol poco a condannarli a morte… Bisogna organizzare la loro fuga… Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli hanno ancora la carta intestata del Tribunale Militare di cui erano stati giudici fino all’8 settembre… Scriveranno un perfetto ordine di scarcerazione con tutti i timbri a posto… Ma Pertini riesce a complicare le cose… Non basta che facciano uscire lui e Saragat… Debbono liberare anche i loro compagni di cella… 4 ufficiali del breve governo di Badoglio… Alla richiesta si gettano tutti nel panico mentre Pietro Nenni, il Segretario del Partito Socialista si infuria… “Se è così allora fate uscire solo Peppino (Saragat)… Tanto Pertini a stare in carcere ci è abituato… ” Naturalmente l’ebbe vinta lui, ci rideva ancora, quando nel 1973, lo raccontò durante un’intervista a Oriana Fallaci..
Raggiunge Milano nel maggio del 1944 sull’auto di un amico. L’atmosfera è pesante e la pace lontana.. Milano è teatro degli attentati dei Gap e delle rappresaglie tedesche. Lui da clandestino viaggia in tutto il settentrione per organizzazione la stampa clandestina socialista …Ma appena Roma è liberata Pietro Nenni lo richiama… Lui non riuscirà a tornare tanto facilmente. Da Prato a Firenze le la farà a piedi appena in tempo per prendere parte all’ insurrezione della città, l’8 agosto… Da una tipografia fa uscire un numero dell’ “AVANTI !”.
Arrivato a Roma ci resta poco… Chiede di tornare a Milano come Segretario del Partito Socialista per tutta l’Italia occupata e come membro del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia
Alle 8 del mattino del 25 aprile, del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L’esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI ” I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. “(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)
Lo stesso giorno Mussolini tenta una mediazione per una resa onorevole tramite l’Arcivescovo di Milano, presso cui si recherà lo stesso Mussolini e i Membri del CNLAI. Sarà l’unica volta che Sandro Pertini vedrà il Duce… Ma non lo riconosce … Lui avvisato in ritardo sta salendo le scale dell’Arcivescovado quando vede un gruppo di persone che scende. In mezzo a loro c’è uno con la faccia emaciata, livida e distrutta. Quando entra e capisce chi era l’uomo Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini…” Il Duce si è preso qualche ora per riflettere gli risposero… Pertini dalla rabbia sembrava uscito pazzo.. e chiede subito che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, venga consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati come prevedeva l’armistizio firmato dal Re… Mussolini invece stava in quel momento già fuggendo e quando i partigiani lo ritrovarono l’ammazzarono senza consegnarlo, né agli alleati né al Tribunale del popolo, in uno di quei misteri italiani di cui poco si è capito… Pertini amaramente commentò “L’insurrezione è disonorata”.
Da allora Pertini diventò uno dei Padri della Patria… Mentre trovò il tempo di sposarsi con Carla Voltolina,la fiera staffetta partigiana che aveva conosciuto al Nord, divenne Segretario del Partito Socialista e poi Membro dell’Assemblea Costituente, Senatore Deputato e poi Presidente della Camera per due Legislature … Andava sempre un po’ controcorrente e in parecchi lo criticarono come quando da presidente della Camera vietò ai parlamentari democristiani di mostrare il loro voto, che doveva essere segreto, ai notabili del loro partito… ” Non mi meraviglia niente… ( L’avevano accusato di essere un po’ squilibrato)- disse in un intervista – So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… Voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un’ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo… “
l’8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana. Furono anni durissimi e tuttavia riuscì a fare della figura del Presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano. I cittadini si riavvicinarono alle istituzioni, mentre imperversava il terrorismo degli anni di piombo…
Per un certo periodo Pertini diventò “Il presidente dei funerali di stato”: fu al funerale del sindacalista Guido Rossa, davanti a 250.000 persone, che sferrò il più duro attacco alle Brigate Rosse… Era stato avvisato che nell’ambiente del porto di Genova c’era chi simpatizzava con le BR … Lui entrò in un garage pieno di gente e disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.
Sensa parlare del terremoto dell’Irpina, in cui dopo due giorni lanciò il suo grido desolato agli inconcludenti poteri dello Stato “Fate presto.” Erano morte quasi tremila persone e le autorità erano allo sbando. Lui li denunciò pubblicamente in televisione e a reti unificate …. Sottolineò la scarsità e l’inadeguatezza delle norme in materia di protezione civile nella prevenzione e in emergenza, denunciò la mancanza di un organo di coordinamento nelle calamità e ancor prima che accadessero, i tentativi di quelli che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel terremoto del Belice. Dopo quell’appello disperato l’Italia ebbe una Protezione Civile che per parecchi anni fu riconosciuta come una delle migliori di tutto il Mondo…
I ragazzi li adorava… Lui si era sposato tardi … di figli suoi non ne aveva… ma in qualche modo fu il padre di tutti i ragazzi… Bisogna ogni tanto rivedere come si rivolgeva a loro… completamente alla pari senza far pesare né carica, né anzianità…
Lottò con tutte le sue forze contro la mafia difendendo l’estraneità delle popolazioni che la subivano, quando tutti in modo più o meno sottile volevano parlare di collusione dei cittadini…
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita del Paese fu una grossa novità, quasi al limite dei poteri costituzionali… E per capirlo bisognava entrare nella sua ottica : “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale,come non vi può essere giustizia sociale senza libertà” Se chi, di dovere, se ne dimenticava, interveniva il Presidente della Repubblica… Sicuramente ha dato fastidio a tanti, ma è stato il Presidente più amato dagli italiani..
Quando da Presidente riusciva ad andare a Savona, se ne andava sempre a mangiare il pesce, pretendendo, come al solito, di pagarlo di tasca sua anche agli uomini del seguito… Doveva compensare quella cena mancata, quando raccontò ai carabinieri che stava andando al ristorante “I pesci vivi” e invece stava scappando dall’Italia inseguito da un mandato di cattura…
Il Ciupin è una zuppa di pesce tipica della Riviera. Una volta era proprio il piatto dei poveri che si preparava con i pesci di scarto o avanzati… Ma ora invecealici e sardine sono considerati pesci di grande appeal, per tutte le proprietà di benessere che assicurano a chi ne mangia regolarmente…
CIUPIN
INGREDIENTI per 6 persone: 3 etti di alici,3 etti di sarde, 5 etti complessivamente di triglie di scoglio, 2 etti di pannocchie e/ o gamberi di media grandezza, 1 manciata di vongole e 1 di cozze 2 etti di seppie tagliate a striscioline, 6 pesci da scoglio,di proporzione riferita a una singola persona, tipo scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo a pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 cipolla tritata finemente, 2 spicchi di aglio, 4 pomodori maturi spellati e tagliati a pezzi,1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, sale e pepe e a chi piace anche un po’ di peperoncino, 12 fette di pane abbrustolito, 3 acciughe salate.
PREPARAZIONE: occorre 1 pentola e 1 ampio tegame,un passaverdure,un colino a maglie strette e uno schiacciapatate.
Mettete nella pentola un trito composto di metà dell’aglio e della cipolla e dell’olio, le due aggiughe salate tritate e fate imbiondire su fiamma media. Aggiungete le alici,le sarde e le triglie di scoglio a cui avrete tolto le lische e girate delicatamente per poi aggiungere 1 litro d’acqua e far bollire lentamente.
Nel tegame mettete un trito composto del restante aglio e cipolla, e fate colorire nell’olio di oliva, poi aggiungete i pomodori, le seppie e fate assorbire i liquidi. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino, fate evaporare e infine aggiungete i crostacei. Infine versate il resto del vino e fate evaporare. Infine aggiungete 1 litro di acqua e fate bollire per 15 minuti. pane,Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente di peperoncino. Le cozze e le vongole preventivamente pulite e fatte aprire sul fuoco, in un’altra padella con poca acqua, le terrete a parte.
Riprendete la pentola e con una frusta elettrica amalgamate l’intero contenuto riducendo il tutto a poltiglia, passatela nel passaverdure e poi filtratela nel colino, recuperate il contenuto residuo del passaverdura,inumiditelo con un po’ di brodo della pentola e ricavatene tutto ciò che è possibile con lo schiacciapatate. Aggiungete nel tegame il brodo ricavato dagli ingredienti della pentola e fate evaporare su fiamma media sino ad ottenere un brodetto consistente. Aggiungete i 6 da singola porzione, far bollire per 5 minuti e spolverate con il prezzemolo. Se fra i vari pesci c’è il grongo inseritelo nel tegame 5 minuti prima degli altri.
Per preparare i singoli piatti appoggiate sul fondo le fette di pane, aggiungete 1 pesce da singola porzione su ciascun piatto, decorate con qualche cozza o vongola ancora nel loro guscio tenute da parte, coprite con il brodetto e un filo di olio.
“…Da parte nostra, abbiamo denunciato, vituperato, celebrato e mentito a proposito di aspetti e sfaccettature del nostro paese e dei nostri cittadini… Sotto l’impulso urgente di indagare sul mondo, al di là di innocui stereotipi e scortesie, per compiere una disamina accorata… Ispirata da curiosità, impazienza, un po’ di rabbia, e un amore appassionato per l’America, l’idea e il mistero”. Una confessione, quasi un testamento l’indagine con cui John Steinbeck conclude il suo ultimo lavoro… “L’America e gli americani”, iniziato come un reportage sull’ attualità degli anni 60 che finisce inevitabilmente in cerca dei solchi del passato… Comincia dal mare l’avventura americana di John Steinbeck, quando il pirata Morgan al soldo della Regina di Inghilterra, prende possesso della città di Panama… Ma non sarà una conquista…La Santa Rossa, la bellissima signora che Morgan non riuscirà a possedere, è il primo simbolo della complessa realtà americana che sfugge persino alla sua identificazione… “Un caleidoscopio non facile da accettare, ma terribilmente affascinante”.
Come Morgan il giovane Steinbeck era insoddisfatto e in cerca di qualcosa… Non solo ansia di conquista ma voglia di spingersi oltre… soddisfare e ricreare continuamente l’inquietudine in cui non ci poteva e non ci doveva essere posto per la pace. “… Una delle definizioni che più ricorrono a proposito di noi americani è che siamo gente sempre insoddisfatta, che non ama fermarsi, che è alla perenne ricerca di qualche cosa. In effetti dedichiamo la vita alla ricerca della sicurezza e la odiamo quando l’ abbiamo conquistata”…
I suoi genitori non erano ricchi, ma un avvenire tranquillo glielo volevano assicurare… Il padre era il tesoriere della Contea di Monterey e aveva il suo negozio di granaglie a Salinas… Una casa dignitosa ancora vittoriana con la torretta a “cappello di strega”.
Sua madre in quel figlio aveva riposto tutte le sue ambizioni frustrate, di insegnante ritirata per motivi di famiglia… C’erano altre sorelle oltre John… Ma quando quel ragazzino quattordicennne si chiudeva scontrosamente nella sua stanza per scrivere, la madre ne era felice… Non sapeva quanto difficile e sbandata sarebbe stata la via della letteratura per John…Inaspettatamente appena finita l’High Scool, sembrava che tutti i suoi interessi fossero diventati chimici, perché andò a fare analisi presso uno zuccherificio… Allora i genitori lo iscrissero a Stanford, l’Università più trendy di tutta la California, a studiare biologia… Si disinteressò presto… Anche Morgan una volta conquistata la favolosa e imprendibile Panama, sognata per anni, cominciò subito a correre dietro a un altro sogno…Di esami a Stanford nemmeno a parlarne, però scriveva molto senza che nessuno gli pubblicasse niente… Quando lasciò l’università aveva ventitre anni, niente laurea e e neanche un dollaro… Andò a fare il pescatore alla baia di Monterey… Gli piaceva andare per mare e forse sarebbe rimasto volentieri lì … Invece andò a New York… L’America è il paese di quelli che per un motivo o senza motivo, vanno… Come in un imperativo categorico. Fra i Carpetbaggers e Kerouac John Steinbeck stava quasi in mezzo… A New York ci provò seriamente a fare il giornalista e non ci riuscì… Tuttavia diventò sterratore … Proprio allora stavano costruendo il Madison Square Garden… E quando del sogno gli rimase veramente poco, si decise a tornare verso casa un anno dopo… Per sdrammatizzare il ricordo, ci scrisse sopra anche un racconto ironico… “Come si diventa Newyorkesi”
In mezzo ai monti che lo circondano da ogni lato, il lago Tahoe è famoso per la chiarezza delle sue acque… John Steinbeck riuscì a depositare qui la sua rabbia dopo l’insuccesso di New York… Trovò lavoro come custode di una residenza estiva… Lunghi mesi di tempo libero…Guardava il lago e scriveva… Nell’agosto del 1929 pubblicò il suo primo romanzo Cup of Gold, “La santa Rossa”, due mesi prima del “giovedì nero” di Wall Street .. Schiacciato dalla crisi il libro vendette solo 15 copie… Decisamente non fu un successo…
E non lo furono nemmeno i “Pascoli del Cielo” e “Al Dio Sconosciuto” … Sono storie troppo piene di dolore. La California di Steinbeck è luogo di bellezza misteriosa ma denso di sortilegi e di ataviche maledizioni… Nelle disperazione dei dannati della valle e nel panteismo di Joseph che si immola al Dio sconosciuto, il giovane Steinbeck comincia l’opera distruttiva del mito americano …
Il successo pieno e totale arriva con Pian della Tortilla . E’ un libro scanzonato, tenero e picaresco. Gli ultimi discendenti dei veri californiani, coloro che hanno nelle vene sangue spagnolo, messicano, indio e caucasico, i paisanos, vivono felici e allegri alle spalle di Danny che ha ereditato una vecchia casa assai malconcia. E’ un mondo di piccoli espedienti, piccoli reati, nessun lavoro e tanta baldoria. L’altra faccia dell’America ricca e operosa, posta ai margini e nel disprezzo della collettività. Invece una volta trascinati nel romanzo di Steinbeck diventano personaggi di fama e chi li evitava ora li esalta e ci si diverte… Steinbeck si arrabbia “Ho scritto queste storie perché sono storie vere e perché mi piacevano. Ma le sentine della letteratura hanno considerato i miei personaggi con la stupidità delle duchesse che si divertono con i contadini e li compiangono… Se ho causato loro dei torti raccontando qualcosa delle loro storie, me ne dispiace. Ciò non avverrà più. Addio Monte!”
Nei libri successivi non ci sarà più possibilità di equivoci… La denuncia e la rabbia di Steibenck esploderanno nel cuore della crisi americana. “La Battaglia” è uno sciopero agricolo e drammatico, guidato da un giovane Jim Nolan che vi perde la vita, l’ entusiasmo e i suoi ideali sociali. “Uomini e topi” è la denuncia schiacciante dell’intolleranza nei confronti del “diverso”, ma è anche una poetica storia di amicizia e di solidarietà fra George, giovane manovale di campagna, e Lennie, un gigante con un cervello da bambino. L’atto finale quando George uccide Lennie per sottrarlo al linciaggio e alla vendetta, ha la disperazione di una tragedia greca in un mondo cupo dove non c’è più speranza. Steinbeck verso la strada del successo con la sua prosa limpida ed elegiaca è la punta massima de i drammi sociali, colui che scopre l’amaro calice degli immigrati e degli sradicati, dei lavoratori sfruttati e senza voce. Nessuno si era mai permesso di parlare così della terra promessa degli emigranti del vecchio continente.
La Route 66 è la vera protagonista di “Furore”, questa strada che aveva attraversato tutta l’America piena di baldanza a seguire la frontiera che si spostava sempre più avanti, nella conquista del West… Adesso è diventata la strada di questa migrazione biblica, dei disgraziati che vanno ad ovest in cerca di una improbabile salvezza. La famiglia Joad e la sua dispersione, il linguaggio a tratti elevato che si alterna al dialetto degli agricoltori dell’Oklahoma, diventano per Steinbeck gli strumenti di una spietata analisi della società, delle ingiustizie e dello sfruttamento delle masse proletarie…
Molto tempo dopo fu lecito a tutti dimenticarsi di Steinbeck. Il suo sembrava un mondo irreale. .. Drammi che erano ignoti alle generazioni nate e cresciute dopo la seconda guerra mondiale, avvolte nel benessere e nell’ignaro consumo… Anche Steinbeck negli anni ’60 aveva perso la sua grinta rivoluzionaria quasi assopito nella nuova società opulenta… Il suo libro più famoso del dopoguerra, “La Valle dell’Eden” era un dramma familiare, intimista… Il Nobel arrivò tardi, quando lui nemmeno andava più di moda e, nonostante le lodi accademiche si finiva per pensare a Steinbeck con un certo distacco…
Fino al brusco risveglio di tutto il mondo occidentale, improvvisamente perso in una crisi senza limiti e quasi senza tempo… Suicidi e disperazioni di un’intera classe che precipita nella povertà…I visi amorfi dei giovani senza lavoro… Eppure nella sua disperazione Steinbeck la via d’uscita l’aveva trovata… L’aveva trovata nel valore della “solidarietà” fra gli uomini, come forza per traghettare verso la speranza … E’ ancora lì la soluzione, basta rileggere le ultime righe di “Furore” quando uno dei personaggi emerge con un gesto di generosità ingenua e sconfinata che fa riflettere… Non sempre le avversità riportano l’uomo allo stato selvaggio e alla cattiveria hobbesiana, a volte, al contrario, possono condurci a un diverso e più alto livello di salvezza.
Alla California di Steinbeck, una delle prime che sta allontanando coraggiosamente da sé il fantasma della crisi, vogliamo dedicare un piatto semplice e ricco assieme, ricordo del grande mare su cui andava a pescare il suo figlio più irrequieto e sensibile…
ARAGOSTA ALLA CALIFORNIANA
INGREDIENTI per 4 persone: 2 aragoste da circa 700 grammi ciascuna, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1/2 bicchiere di cognac o brandy, 1 cipolla, 2 pomodori rossi, sale e pepe a piacere, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 20 grammi di burro,1 spicchio d’aglio.
PREPARAZIONE: lavate le aragoste sotto l’acqua corrente, poi staccate la testa e tagliate il corpo a medaglioni seguendo le linee della corazza. Mettete una pirofila sul fuoco con l’olio in cui farete rosolare l’aglio intero e appena dorato aggiungete i medaglioni di aragosta facendoli rosolare fin quando il guscio diventa rosso. Bagnate col cognac e poi lasciate evaporare. Subito dopo aggiungete la cipolla affettata e i pomodori a pezzi, privati dei semi. Aggiustate di sale e pepe, bagnate col vino bianco e spolverizzate con una parte del prezzemolo. Mettete nel forno già scaldato a 180°C per circa 20 minuti, estraete dal fuoco le aragoste ed eliminate i gusci. Raccogliete in una casseruolina il sugo rimasto nella pirofila, unitevi il burro, mettetelo sul fuoco per pochi minuti, quindi versate la salsa sui medaglioni, spolverizzate con il restante prezzemolo e servite.
Ha 20 milioni di anni, e francamente non li dimostra! Era successo nel Terziario … Ci fu a quel tempo un susseguirsi di violenti terremoti … E fra spaventosi boati e cieli lampeggianti si sconvolse tutta la superficie terrestre… Fu uno di questi, in uno scenario di tremenda apocalisse, che riuscì a spostare una Montagna di roccia, la trascinò via per 80 chilometri e la fece scivolare tutta intera nell’ Adriatico …Il mare fu costretto a ritirarsi per 15 chilometri… Ed è per questo che oggi, se vi capitasse di scavare sulle pendici del Monte Titano potreste trovare qualche pesce fossilizzato ché non fece in tempo a fuggire via col mare. Sono per lo più squali e peccato che il pezzo più bello, il cranio e le vertebre di una balenottera se lo sono portato via … Per fortuna, il Museo di Bologna, dove l’hanno esposta, con tutti gli onori, è lì vicino…
Gli uomini arrivarono molto dopo e trovarono tutto sistemato… Da un lato la montagna era rimasta ripida, scabra rocciosa, ma nella parte opposta scendeva in un leggero declivio ricoperto di alberi, ricco di fiori e di uccelli… Se si saliva in cima si vedeva da lontano il mare… Ed era tutto talmente bello che non se ne sono più andati… Ognuno ha lasciato qualcosa …Forse per non essere dimenticato… Dall’ascia di pietra all’ascia di bronzo, dalle urne cinerarie ai resti della spendente civiltà romana… Ma è dal passaggio di quei semi barbari Goti che è arrivata la testimonianza più curiosa…Accadde alla fine del 19° secolo… A Domegnano, nel territorio di San Marino, un contadino trovò un tesoro nel campo … Un mucchietto di gioielli tutti d’oro che portò subito al suo padrone… Erano oggetti da favola… Forse il corredo funebre di una principessa o forse li aveva sepolti la principessa stessa mentre sfuggiva dalle armate bizantine, durante la lunga “Guerra Gotica”… L’avido padrone smembrò il tesoretto e lo vendette a pezzi… fra i vari musei del mondo quello di Norinberga si è aggiudicato il pezzo più interessante… la “Fibula ad aquila” che è divenuta poi il simbolo dei Goti in Europa…
E’ uno degli Stati più piccoli di Europa con i suoi 61 Kmq, ma è anche, dopo quella romana, la più antica Repubblica d’Europa perché esisteva già, incastrata in chissà quale contesto giuridico e amministrativo, all’epoca dell’Impero Romano. Sembra infatti che, dal mare di fronte, attorno al 257 fossero arrivati due operai tagliatori e incisori di pietra… Dicono che ci fosse urgenza di ricostruire le mura di Rimini… L’Impero all’epoca era un po’ nei guai perché i barbari alle frontiere premevano per entrare a godersi la società del benessere… Forse i due profughi, invece, erano scappati da qualche persecuzione locale contro i cristiani… La storia si fa un po’ confusa ed è meglio non approfondire troppo… Si da per certo che si chiamassero Leo e Marino e li mandarono a estrarre pietre sul Monte Titano … Dopo tre anni si dividono … Leo va a fondare San Leo…, la Rocca da dove scapperà Cagliostro e Marino si fa una grotta sul Monte Titano… Quando poi il figlio della matrona del luogo proverà a scacciarlo… per punizione divina resterà paralizzato… Inutile dirlo… all’atto della donazione del Monte Titano a Marino, il ragazzo guarirà e Marino dopo questo miracolo è già diventato S. Marino. Risale ufficialmente… ma non del tutto, al 3 settembre 301, la fondazione di questa Serenissima Repubblica…
Se ne sa poco durante tutto il Medioevo… Ma è sicuro che la democrazia fosse diretta… L ‘avevano copiata ai greci, e, nella loro versione della Città – Stato, tutti i padri di famiglia partecipavano all’Arengo, la grande Assemblea che radunava tutti i poteri , legislativo, politico, giudiziario… Durerà fino al 13° secolo poi saranno costretti a farsi rappresentare.. Lo Stato era sempre piccolo, ma la popolazione aumentava…E ‘ certo però che i due Capitani Reggenti, i loro capi di Stato, discendono direttamente dai Consoli romani, solo che nella durata della carica erano stati ancora più drastici… 6 mesi invece di un anno… Lo dovevano aver capito subito che il potere corrompe…
La parola “Libertà ” l’hanno scritta dappertutto, perché non ci fossero dubbi da parte di nessuno… Nella bandiera, nello stemma e nella Piazza del Governo dove c’è una bella statua proprio al centro a testimoniarla… “Reliquo vos liberos ab utroque homini”… Forse non l’ha detto proprio San Marino come hanno voluto far credere per non pagare le tasse, ne’ all’Imperatore né allo Stato della Chiesa, ma di fronte al nome del Santo fondatore persino il processo del 1296 riconobbe la loro indipendenza ” Non dipendono da nessuno” proclama un antico documento ritrovato in un Convento da quelle parti…”Non pagano perché non hanno mai pagato. E’ stato il loro Santo a lasciarli liberi”. Il Papa del resto si era già arreso qualche anno prima… Aveva riconosciuto la Repubblica nel 1291… Sessanta anni dopo San Marino era anche libero Comune…
Solo una volta ha aumentato il territorio… quando il Papa nel 1463 per gratitudine gli cedette Fiorentino, Montegiardino e Serravalle… poi non ne ha più voluto sapere. C’era sempre il rischio di perdere qualche libertà a farsi beneficare dai potenti… Un paio di volte San Marino se l’é vista brutta come quando Cesare Borgia, il duca Valentino l’occupò con le sue truppe per quasi un anno… Figurarsi il Duca s’era messo in testa di prendersi tutta L’Italia… Come avrebbero fatto a cacciarlo da San Marino? Ci volle la morte del Papa per costringerlo a levare le tende con armi e bagagli… Ormai non aveva più la protezione della Chiesa… Chiesa che tuttavia ci riprovò a mettere le mani su San Marino anche nel ‘700, ma insorse mezza Europa a difendere il piccolo Stato … Faceva comunque barriera al dilagante imperialismo dello Stato pontificio.
Per lo scampato pericolo arrivò anche a rifiutare le profferte amiche di Napoleone che gli voleva allungare il territorio sino al mare “la Repubblica di San Marino – disse l’allora Capitano Reggente – contenta della sua piccolezza non ardisce accettare l’offerta generosa che le viene fatta, né entrare in viste di ambizioso ingrandimento che potrebbero col tempo compromettere la sua libertà”
Fu meno prudente durante il Risorgimento e i moti di liberazione… Considerò l’Italia la sua Patria più grande, in cerca della libertà e aprì le porte. Troppo dura sarebbe stata altrimenti la sorte dei carbonari e dei patrioti in fuga… E un’altra volta San Marino rischiò l’occupazione dell’Austria e dello Stato Pontificio… Nel 1849 Garibaldi in fuga da Roma dopo la Caduta della Repubblica Romana procedeva a marce forzate, con la moglie incinta e 1500 uomini, per tentare di raggiungere Venezia… Ma nelle Marche era ormai accerchiato da quattro eserciti nemici… Però era un grande condottiero e nella via di fuga aveva puntato su San Marino… A cui chiese asilo… Solo un momento il Capitano Reggente provò a rifiutare, terrorizzato per le conseguenze, ma Garibaldi era già davanti a lui e la richiesta d’asilo fu accolta… Dopo l’Unità d’Italia San Marico ricominciò a sentirsi sicura…
Oggi vive di eccellenze… Il turismo, la finanza, le monete e i francobolli… Spesso con un annullamento nel giorno indovinato ci si fanno i soldi… Il piccolo territorio ha una grinta estremamente moderna ed efficiente e nonostante la crisi ha il tasso di disoccupazione più basso d’Europa… Ma non ditegli di rinunciare alla cerimonia di investitura dei Capitani Reggenti o di cambiare la date del suo calendario… Per San Marino l’anno comincia il 3 settembre e l’anno in corso e’ 1l 1713 d.F.R., cioè dalla Fondazione della Repubblica… Perché tutto cominciò il giorno che San Marino dette loro la libertà…
Dal 2008 San Marino e il Monte Titano sono diventati Patrimonio dell’Unesco… “… Sono eccezionali testimoni della costruzione di una Democrazia rappresentativa basata sull’ autonomia civica e sull’auto-Governo con un’unica, ininterrotta continuità nell’essere Capitale di una Repubblica indipendente sin dal 13° secolo. …”
La cucina… Molto è in comune con le Marche e la Romagna, le sue confinanti, alcune cose però sono tipiche di San Marino, come i fagioli con le cotiche di maiale o la polenta servita sul tagliere magari con un sugo di salvia e uccelletti… Oppure la pasta e ceci della tradizione natalizia e la minestra Bobolotti, quella dei poveri fatta con pasta fresca, fagioli scuri e lardo…Alcuni dolci sono ecccezionali come la Pagnotta, tipica di Pasqua o la Torta Titano o la Torta Tre Monti… Ma di alcuni di essi non si conosce nemmero la rcetta precisa…Segreto della Repubblica!
Noi abbiamo scelto un piatto che nel nome ripete una certa dose di ironica insofferenza per quello Stato pontificio che per molti secoli è stato lo scomodo vicino di casa della Serenissima Repubblica
STROZAPRET AL SUGO DI CARNE E FORMAGGIO DI FOSSA
INGREDIENTI PER IL SUGO per 4 persone: pomodori maturi 400 grammi, fegatini di pollo grammi 200, lombata di vitello grammi 100, burro grammi 80, besciamella grammi 100, prosciutto crudo grammi 50, 1 cipolla, 1 carota, 1 manciata di prezzemolo, marsala secco 5 cucchiai, 1/2 litro di brodo di carne, noce moscata 1 pizzico, cannella 1 pizzico, sale e pepe a piacere.
INGREDIENTI PER LA PASTA per 4 persone: farina bianca 620 grammi, acqua, sale, formaggio di Fossa di san Marino 60 grammi (è una specialità del posto che si ottiene mescolando latte vaccino e latte di pecora)
PREPARAZIONE: per quanto attiene al sugo, sbucciate, lavate e tritate la cipolla, la carota e il prezzemolo, metteteli in un tegame di terracotta insieme a 50 grammi di burro e fateli rosolare sul fuoco a fiamma media. Tagliate a pezzi piccoli sia la carne che i fegatini e uniteli al soffritto, mescolando il tutto con un cucchiaio di legno, aggiustate di sale e pepe e bagnate con il marsala. Lavate i pomodori, togliendo loro i semi (si possono usare anche i pelati in scatola, preferibili ai pomodori freschi nei mesi invernali, dato che i pomodori freschi fuori stagione si rivelano con poco sapore e troppa acqua), tagliateli a pezzi e uniteli alla carne, poi aggiungete al sugo la besciamella, la noce moscata e la cannella e bagnate infine con il brodo versandolo poco per volta.. Cuocete per mezz’ora,poi tritate il prosciutto e fatelo rosolare con il restante burro in un tegamino a parte e unitelo al ragù solo negli ultimi minuti della cottura.
Per preparare la pasta versate 600 grammi di farina sulla spianatora distribuendola a “fontana”,versate al centro dell’acqua bollente e mescolate rapidamente con un cucchiaio di legno. Lavorate la pasta con le mani per 15 minuti e poi ricavatene dei bastoncini della grandezza di un dito tagliandoli a pezzi di due centimetri e 1/2. Utilizzate la restante farina per distribuirla sulla spianatora e con le dita rotolarvi sopra premendo i pezzetti di pasta in modo che restino vuoti all’interno oppure prendendo ogni bastoncino, arrotolarlo, facendolo scorrere tra i palmi aperti delle mani (imitando il classico gesto di sfregamento che si fa per scaldarsi le mani.) Lessateli in acqua bollente salata. Quando vanno a posarsi sul fondo della pentola scolateli subito e conditeli con il sugo preparato. Dopo averli ben mescolati spolverateli con il formaggio di Fossa.
Bisogna essere giovani e belli… Spensierati e abbastanza cinici, ingurgitare allegria nervosa bevendo birra ghiacciata e, fra una festa e l’ altra, andare e venire come falene, mentre una grande orchestra, suona gialla musica da cocktail… Ma soprattutto bisogna avere molti soldi, perchè l’Età del Jazz è un circolo esclusivo riservato agli eletti edove successo e ricchezza sono gli unici metri di giudizio. l’America vittoriosa in guerra e ricca delle sue fabbriche impone un nuovo stile di vita…dove non c’è posto per i poveri, per i deboli, per i falliti… Chi non ha quattrini non ha credito, e chi non ha credito non ha quattrini. Questo è il circolo vizioso e peggio per chi ci resta impantanato… A lui era già successo e non voleva che capitasse ancora.. Almeno due momenti della sua vita… Uno peggio dell’altro. La prima volta a Princeton, un’ Università esclusiva troppo in alto per lui… Anche se suo padre era un gran signore del Sud …”Ho tentato, in un certo modo, di vivere all’altezza di quei criteri di noblesse oblige del passato… non ne rimangono che gli ultimi resti, sai, come le rose di un vecchio giardino che ci muoiono intorno… echi di strana raffinatezza e cavalleria ” Ma proprio questo aristocratico gentiluomo era sempre stato un inconcludente lavoratore che spesso non era riuscito a mantenere la sua famiglia. Se Francis era arrivato a Princeton lo doveva ai soldi del nonno materno, un ricco commerciante di carni all’ingrosso, parte di quella nuova America volgare e piena di vita, che suo padre disprezzava e che Francis nonostante tutto guardava con rispetto… I primi tempi a Princeton furono per lui i più spensierati della sua vita, trascorsi tra feste, musical e incontri sportivi… Lui era un gran ballerino, aveva la sua piccola rinomanza universitaria di scrittore di commedie musicali e affascinava le ragazze con quell’aria elegante e il parlare fluido… Quando incontra Ginevra King, la figlia di un ricco finanziere di Chicago non sospetta il baratro che li separa… Incontri d’amore, lettere di passione… Lei è la prima delle sue Flapper, le splendide costose diciottenni, disinvolte e sicure di sé, egoiste e sbadate, come Isabel Al di qua del Paradiso o Daisy Buchanan, il disperato amore di Gatsby… Testimoni universali di quel favoloso decennio prima della grande crisi… Pare che il padre di lei avesse già detto a Francis “I ragazzi poveri non dovrebbero nemmeno pensare di sposare le ragazze ricche…”, ma appena lui lo chiese direttamente a Ginevra, lei gli fece educatamente sapere che stava per sposare il ricchissimo figlio del socio di suo padre… 20 anni dopo era ancora scottato da quel rifiuto classista… La incontrò a un party e quando lei con la stessa leggerezza di allora, gli chiese quale personaggio in ” Di qua del Paradisoi” lei gli avesse ispirato…. Lui col sorriso sulle labbra rispose “Which bitch do you think you are?”
Quella storia gli rovino’ l’Università … Come un romantico eroe d’altri tempi si arruolò per andare in guerra… ma non ci arrivò mai… “Il romantico egoista” , la sua storia di Princeton seguitò a scriverla, rivederla, correggere fra una base militare e l’altra … In una di queste basi, in Alabama, incontrò Zelda Sayre, la bellissima, emancipata figlia di un giudice.
Arriva a New York a guerra finita, sicuro di sé, con il manoscritto sotto il braccio. Glielo bocceranno senza pietà… E Zelda scompare… Non ha la minima intenzione di sposare “un ragazzo povero”… Sembra che non ci siano più reti di protezione per Francis Scott Fitzgerald che precipita nel suo circolo vizioso senza credito e senza soldi…Forse fu allora che cominciò a bere o forse anche prima… Torna dai genitori e rivede per la quinta o la sesta volta il suo romanzo… E meno di un anno dopo arriva il successo con “Di qua dal Paradiso”… E’ un mare di dollari. L’America ricca, mondana, senza scrupoli ne è affascinata e non capisce nemmeno la sottile condanna di quel mondo, che traspare proprio dal suo più grande interprete…
Anche Zelda ritorna e il loro matrimonio nella chiesa cattolica più esclusiva di New York, la Cattedrale di San Patrizio, è una spettacolare cerimonia … E’ già iniziata “la grande leggenda della bellissima coppia, eroina, simbolo e interprete di tutte le prodezze sofisticate dell’età del jazz”. . Il Biltmore Hotel li caccia per ubriachezza già durante il viaggio di nozze… Ma il loro comportamento anticonformista entusiasma i giovani.
Lui ormai è lanciato e nel 1922 esce l’Eta del Jazz” i racconti dal titolo simbolo, con le storie e i personaggi “icone dell’epoca”, e poi “Belli e dannati” con il percorso maledetto, quasi nero di Anthony e Gloria che, nella rincorsa all’eredità e al lusso, perderanno i loro sogni… Un’apologo moralista… Ma fanno più effetto gli eccessi alcolici di Anthony e il susseguirsi dei parties senza fine…
“Il Grande Gatsby” è la consacrazione di Fitzgerald, ma anche il crollo morale del mito americano… però nessuno al momento se ne accorge, distratto dalla storia d’amore e dalla vita avventuriera di Gatsby…. Del resto gli anni ’30 sono ancora lontani. Gatsby all’apparenza, ma solo all’apparenza, è la realizzazione del mito, la sua villa di uno sfarzo senza limiti è l’ammirazione e l’invidia di tutta la città … Luogo di leggendarie feste a cui lui non partecipa, chiuso nella solitudine di un sogno che lo distruggerà… Lui con tutto il suo passato di contrabbandiere borderline, ex ragazzo povero, è il più ingenuo e sprovveduto di tutti i personaggi… Daisy e suo marito sono i cinici e distratti ricchi di classe, che, nel loro egoismo, condannato a morte Gatsby ” Erano gente indifferente, Tom e Daisy – sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto”
Dopo il successo di Gatsby, la “bellissima coppia” non poteva farsi mancare la Francia e Parigi, la città dove scriveva, dipingeva e si consumava, nella versione europea dell'”Eta del Jazz”, la “Lost Generation”. Sono anni da brivido, nel salotto di Gertrude Stein… con Hemingway, Dos Passos, Picasso … La Costa Azzurra, la Provenza, ma passati i primi tempi e l’entusiasmo del nuovo, diventano anche anni durissimi… Litigi, incomprensioni, conflitti… Sarà ancora bellissima, ma di sicuro la coppia nel tempo diventerà male assortita e lei andrà a cercare rifugio nella danza e e nel suo unico romanzo “Lasciami l’ultimo valzer”… Di sicuro stava cercando una sua strada… ma non ci arriverà mai.
Lui col tempo diventa più angosciato … Devono stare all’altezza del mito e della vita da favola in cui si sono imprigionati…E la ricchezza di Fitzgerald è sempre di più una ricchezza faticosa…se mai era stata spensierata. Per la ricchezza, spesso si butta via, racconti frettolosi che consentono però a Zelda la vita che gli piace fare… “
Ma quando nel 1934 esce “Tenera è la notte” la tragedia è già arrivata al suo culmine… Le stravaganze di Zelda, le sue spigolosità, le sue stranezze hanno ormai un nome preciso… si chiamano schizofrenia e lei ha cominciato ad andare e venire dalle cliniche… Lui invece affonda nell’alcol ed è sempre più spaventato dalle responsabilità…L’Età del Jazz sembra non sia mai esistita… La sua vita ora é solo fatta di bollette da pagare per le cliniche della moglie e la scuola della figlia… E se la protagonista del Grande Gatsby era forse ancora Ginevra, Nicole la protagonista di questa Notte è sicuramenye Zelda… Lui forse le voleva ancora bene perché nel finale del libro Zelda – Nicole avrà la sua salvezza e il suo riscatto, mentre Dick – Francis, il marito, finirà a fare il medico anonimo delle squallide province americane.
Ma Francis non ebbe nemmeno quello… Mentre sembrava aver ritrovato un po’ di serenità con Sheilah Graham, un attacco di cuore lo stroncò … Zelda morì qualche anno dopo in un incendio della sua clinica… Il Jazz, si sa, non è quasi mai una musica allegra.
Meglio ricordarli all’apice del loro successo… Nella Costa Azzurra dove all’inizio credevano che l’Età del Jazz ” non sarebbe mai finita… Dall’antico mare di Provenza abbiamo scelto un piatto che forse loro avevano apprezzato tante volte.
POLPO ALLA PROVENZALE
INGREDIENTI per 4 persone: 1,300 Kg di polpo verace, 500 grammi di patate,2 foglie di alloro, 2 gambi di sedano ( la parte interna bianca), 2 carote medie, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 cipolla rossa di Tropea, 3 cucchiai di olive nere, 3 cucchiai di aceto di vino bianco, olio extra vergine di oliva a piacere, sale e pepe
Pulite il polpo fresco estraendo dalla testa il liquame, gli occhi e la ventosa, lavatelo e poi sbattetelo a lungo su una superficie rigida per intenerirlo. Qualcuno, per intenerirlo, lo mette qualche ora nel freezer ma la questione è controversa.
In una casseruola portate ad ebollizione l’acqua con l’alloro, 1 gambo di sedano e 1 carota a pezzetti,entrambi lavati, l’aceto e il sale. Tuffatevi il polpo e cuocetelo a fuoco moderato per 45 minuti circa. Scolatelo, fatelo intiepidire e passatelo sotto il getto dell’acqua fredda per spellarlo più facilmente. Sgocciolatelo e tagliatelo a pezzi.
Pelate e lavate le patate, tagliatele a tocchetti, affettate la cipolla e fatela appassire in una casseruola con 4 cucchiai d’olio poi unite le patate e cuocete a fuoco vivo per 5 minuti rigirando spesso.
Aggiungete il polpo, salate, pepate, coprite e continuate la cottura a fuoco moderato per 10 minuti circa mescolando di tanto in tanto. Al termine, cospargete il polipo con il prezzemolo tritato, l’altra carota tagliata a julienne, l’altro sedano tagliato a a tocchetti, le olive snocciolate, mescolate e portate in tavola.
All’inizio del ‘900, nessuno avrebbe potuto immaginare che la seconda metà del secolo avrebbe trovato in America la patria di tutte le avanguardie artistiche…Del fermento che si agitava in Europa niente sembrava allora scalfire le serene scuole d’arte americane e la maggior parte dell’opinione pubblica. Dopo la pittura degli impressionisti la realtà non era più stata la stessa, ma neppure le grandi navi che andavano e venivano, riuscivano a trasportare qualcosa di nuovo fino al… “Mondo Nuovo”… Solo nel 1913 fu finalmente organizzata a New York la storica mostra dell’ Armory Show… 1200 dipinti, sculture e opere decorative di tutte le correnti dell’avanguardia europea… cubismo, fauvismo. impressionismo… Ma non fu un successo, solo rabbia e sconcerto. Le cronache riportano recensioni piene zeppe di parole come “pazzia”, “immoralità” e “anarchia”. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt si affrettò a dichiarare stizzito: “…Non è men vero, tuttavia, che cambiamento può significare morte e non vita e regressione anzichè progresso…Questa non è arte!
In questo clima ostico a tutti i cambiamenti erano anni che Giorgia O’Keeffe, giovane pittrice americana controcorrente,originaria di Sun Prairie, nel Wisconsin, stava cercando una strada lontana dalla pittura storicista e di imitazione… Nel 1908 a New York sembrava aver trovato quello che cercava nella Galleria di un poco conosciuto e criticato espositore, il fotografo Alfred Stieglitz,… Ma poi deve abbandonare gli studi… Fa la grafica pubblicitaria, insegna, segue solo qualche corso di pittura qua e là, finchè le capita di leggere Kandinsky… “Forme e colori non devono rispecchiare il modello naturale, bensì i sentimenti, il mondo interiore dell’artista”…
E’ già il 1915 , quando inizia … “Ho delle cose in testa che nulla hanno a che fare con quello che mi hanno insegnato…sono giunta alla conclusione di considerare vere le mie concezioni… ” I suoi disegni a carboncino, li spedisce a New York un’amica di Georgia e solo per un caso finiscono nelle mani di Stieglitz… Sembrano forme organiche di una natura primordiale, superfici piatte che fanno pensare alla pittura giapponese … Stieglitz ne è colpito e li espone nella sua Galleria il ” 291″ diventata con gli anni un forte punto di richiamo dei nuovi artisti americani… Dopo lei gli manda i suoi acquerelli … Nudi femminili dai contorni indefiniti, dove il diverso spessore del colore dà un vivace senso di movimento… C’è tutto lo spirito di Rodin, che lei aveva visto tanti anni prima … Proprio lì, in quella galleria di Steiglitz, con il quale, ormai, è amore … Difatti Georgia lascia il Texas… E’ il 1917 e torna a New York … Lui è affascinato da questa donna così autonoma, indipendente lontana da tutti gli stereotipi di famiglia e di vita borghese… Presa solo di passione e urgenza per i colori e le forme che le agitano la mente…. Attorno a Stieglitz ci sono i nuovi artisti… Fotografi e pittori da cui lei assorbe l’incanto per i fiori e la pittura dilatata sui primi piani, che può alterare l ‘aspetto degli oggetti, dando vita a forme di astrazione prima inesistenti o non visibili…
Ma prima ancora di essere conosciuta per i suoi quadri, Georgia, a New York, è lanciata dalle fotografie di Stieglitz, di cui diviene modella e Musa… Nelle mostre del 1921 e del 1923 metà delle foto sono ritratti e nudi di Georgia… Subito dopo arrivano i fotografi famosi della cerchia di Stieglitz e con il viso dagli alti zigomi, le bellissime mani “danzanti” e il corpo morbido e allungato come una Venere di Cranach, Georgia diviene la donna più fotografata del mondo.
Nel 1924 vengono esposti i suoi grandi immensi fiori, alcuni luminosi, altri vortici di buio… L’ingrandimento è voluto, i dettagli dominano il primo piano… Anche il “velluto” dei petali e’ palpabile…..” E’ il fiore visto dal punto di vista dell’ape”… Così lo aveva teorizzato Georgia prima di dipingerlo… Ma, strappato alla sua correlazione naturale, l’effetto finale diventa autonomo… e fortemente erotico… Sono eleganti simboli sessuali che lei ha liberato dal suo incoscio, afferma Stieglitz e un noto critico d’arte scrive un saggio sui reconditi significati… Quegli strani oggetti pieni di voluttà, hanno un successo incredibile… Fra le foto di nudo e i quadri dei fiori, Georgia diventa famosa… E’ un’immagine inconsueta, per la sensibilità dell’epoca, un ‘artista libera e disinibita… Fuori dagli schemi… non corrisponde a nessun cliché …
A parte la donna, oggi più identificabile, resta difficile definire l’arte di Georgia O’Keeffe… Questi fiori che si impossessano dell’intera tela, sicuramente esistono, ma in una realtà che è diversa, individuale, tutta impregnata della personale “magia” dell’artista, degli occhi con cui lei guarda il mondo… La stessa cosa accadrà quando si vorrà confrontare con la realtà a lei più vicina… Mentre comincia a dipingere New York nel 1925 , lo sky line della città non è ancora del tutto definito, ma lei ne coglie lo stesso l’aspetto essenziale … La sua Verticalità… Per il resto non c’è una netta definizione… Forme di edifici a torre, ridotte a geometrie semplificate dove nella notte splende la ripetitività delle finestre …Il “Radiator Building” fa venire in sogno la magia di un castello antico, abitato da fate o forse da vampiri… Da “City Night” o da “l’Hotel Sheldon con riflessi di sole”si aspetta invece che balzino fuori i nuovi cavalieri della fantascienza…
E’ sul finire degli anni ’20 che Georgia O’Keffe comincia a lasciare un po’ per volta New York … Stieglitz la opprime… E la tradisce… Anni di lotta continua per affermare piccole parti di se stessa l’hanno lasciata esausta…E mentre avverte la presenza di altre donne si ritrae… E finisce per trovare la sua verità definitiva nella vastità del New Mexico… L’affascina il nudo paesaggio desertico e le colline di sabbia rossastre con le scure mesas alle spalle… Scrive ” Qui fuori, nelle Badlands, che si estendono per molte miglia si possono vedere tutti i colori di terra della tavolozza di un pittore, dal giallo Napoli chiaro attraverso i toni ocra – arancione,rosso e porpora – sino ai morbidi toni del verde. ” … E ancora “Ho colto fiori dove li ho trovati, ho raccolto conchiglie e pietre e pezzi di legni…Quando ho trovato le belle ossa bianche nel deserto, le ho raccolte e le ho portate a casa… Ho dipinto questi oggetti per esprimere ciò che significavano per me la vastità e il miracolo del mondo in cui vivo.”
Se per i critici d’arte le ossa sono segni di morte lei, di ossa aride ormai non potrà più fare a meno e ci cospargerà i suoi quadri… I protagonisti del suo rinnovato universo… “Le ossa – scriverà – sembrano portare proprio al centro di ciò che nel deserto è più vivo, benché esso sia ampio,vuoto e intangibile e benché, nonostante tutta la sua bellezza, non conosca l’amicizia…” Tornerà ogni tanto a New York, il legame con il marito non si interromperà mai del tutto, tanto forte era lo spirito che li teneva assieme, ma per questa dona affamata di realtà, che ha bisogno di soggiogare e trasformare, il deserto diventerà la sua casa… E la mirabile architettura delle ossa del bucranio, saranno il suo nuovo mondo, Diventeranno immensi, evocati fantasmi a protezione del deserto, in opere come “Dal lontano vicino” o saranno delicati intagli di bianchi e neri nei surreali accostamenti ai fiori artificiali delle sepolture spagnole…
Dopo che suo marito era morto prese a girare il mondo, lasciando nuovamente dietro di sé quell’immagine di donna eccentrica, avventurosa e non classificabile… Ne ritornò con liquide immagini azzurre e bianche viste dall’alto… i suoi fiumi che correvano in pianure vuote e desolate sotto la coltre delle nuvole “…Le nubi sotto di noi erano straordinariamente belle, spesse e bianche… Tutto appariva così solido che io pensai che avrei potuto camminarvi sopra, fino all’orizzonte, se qualcuno avesse aperto la porta… Non vedevo l’ora di arrivare a casa e di dipingere… ” Lo farà fino quasi alla fine quando ormai non ci vedeva … Ma in quel deserto volle restare, fiera e orgogliosa della sua solitudine, nella vastità che non aveva neanche più bisogno di vedere, tanto era dentro di lei… Ma forse era vero il contrario …Era stata lei a entrare nel deserto e a diventare parte di quel Dio, sconosciuto ai più…
Molti oggi considerano Georgia O’Keeffe la più grande pittrice americana del 20° secolo… Nel New Mexico, che lei scelse come patria di elezione, la cucina di tipo messicano è un mix di cucina spagnola e india, oggi spesso rivisitata dalle influenze che arrivano dal Nord degli Stati uniti. Ma le Huevos Rancheros sono un cibo ancora nel solco della più tipica e tradizionale cucina messicana. Venivano servite nella colazione di metà mattinata agli agricoltori che usavano fare una pausa con un pasto molto sostanzioso dopo la frugale colazione di prima mattina.
HUEVOS RANCHEROS
INGREDIENTI PER 4 PERSONE: olio extra vergine di oliva q.b., 250 grammi di cipolle, 500 grammi di peperoni, rossi, gialli o verdi, 1 cucchiaino di cumino, 1/2 cucchiaino di sale , 1/2 cucchiaino di pepe di cayenna, 1/2 cucchiaio di jalapeno, 1 spicchio di aglio, 250 grammi di pomodori freschi o pomodori a pezzi in scatola, 200 grammi di brodo di pollo, 3 cucchiai di cilantro, 4 tortillas di mais, 2 cucchiai di burro, 350 grammi di cheddar, 8 uova grandi,
PREPARAZIONE: per prima cosa si prepara la salsa detta appunto Ranchero che verrà versata sulle uova. Scaldate in un tegame l’olio e poi aggiungete i peperoni e la cipolla tagliati a pezzi facendoli cuocere per 5 minuti circa a fiamma media, rigirando di tanto in tanto per evitare che si brucino.Aggiungete il cumino,il sale, il pepe di cayenna, il jalapeno sminuzzato e l’aglio tagliato a fettine sottili mescolando. Versateci sopra il brodo di pollo e i pomodori e fate cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio,per restringere la salsa.Togliete la pentola dal fuoco,aggiungete il cilantro sminuzzato e tenere da parte.
In una padella ampia fate scaldare poco olio di oliva che avrete spalmato su tutto il fondo, aggiungete una tortilla alla volta girandola da entrambe le parti per 1 minuto complessivo di cottura e ripetendo il procedimento per tutte e 4 le tortillas.
In un altra padella di medie dimensioni fate scaldare 1 cucchiaio di burro, rompeteci dentro due uova mantenendo il tuorlo intatto, salatele e dopo cotte mettetele a parte in un piatto dopo avervi spolverato sopra la metà del cheddar grattugiato o spezzettato finemente. Aggiungete un altro cucchiaio di burro e seguendo lo stesso procedimento fate cuocere le restanti uova. Mettete una tortilla in ogni piatto, poggiatevi sopra due uova ciascuno e ricoprite con la salsa Ranchero.
“Entrò il cerimoniere e sussurrò qualcosa all’orecchio di Faisal che si girò verso di me e con gli occhi che gli brillavano disse: c’e’ Awda! In quel momento il lembo della tenda fu tirato indietro ed entrò una figura alta e forte… Aveva un viso magnifico, appassionato e tragico, solcato da rughe e ombre profonde…Feisal balzò in piedi. Awda gli prese la mano e la baciò ed essi si appartarono di un paio di passi e si guardarono: una coppia magnificamente disuguale, esempio di ciò che di meglio ci fosse in Arabia, Feisal il profeta e Awda il guerriero.” Così Lawrence descrive il suo amico principe e Awda Abū Tāyih il capo della tribù Howeytat, di sicuro un noto predone, ma anche “il più grande guerriero dell’Arabia settentrionale” . Thomas Edward Lawrence era di sicuro un ufficiale e un archeologo di Sua Maestà Britannica, ma anche un agente segreto distaccato con funzioni di “consigliere militare” presso Faisal … Figlio di Al-Husayn ibn ‘Alī, emiro e sceriffo dell’impero ottomano, ma di sicuro anche capo della rivolta araba proprio contro l’impero ottomano… In effetti quella era una guerra complicata dove amici e nemici cambiavano con rapidità vertiginosa, in quel grande impero turco che stava perdendo pezzi da tutte le parti… Anche Awda Abū Tāyih nella sua spregiudicata veste di capo militare era inizialmente al soldo dei Turchi ottomani, ma ora stava ascoltando con stupore e incredulità il piano di battaglia che quel giovane inglese eccitato gli stava proponendo… Buona parte dell’esercito turco dopo le ultime sconfitte si era chiuso ad Aqaba, la città sul Mar Rosso completamente separata dall’entro terra da una catena montuosa e dal deserto.. Ed Aqaba era il punto strategico per comsentire agli inglesi l’accesso in Palestina. Attaccarla dal mare era impossibile tanto era forte lo schieramento dei cannoni… Lawrence quindi stava proponendo di atrraversare il terribile deserto del Nefud, scavalcare le montagne e prenderla alle spalle … … Faisal poteva mettere a disposizione una cinquantina di uomini… ” Al resto degli uomini ci penso io” tagliò corto Awda … E in effetti nella difficile strada per Aqaba accorsero da tutte le tribù, attratti dal carisma di Awda e in cerca della loro libertà… Lawrence non attaccò subito… aspettò un giorno d’eclissi per aumentare la sorpresa.. Era il 6 luglio 1917, quando una forza di irregolari arabi, raccolti all’ultimo momento, sconfisse la grande potenza ottomana… Prima di Natale il Generale Allenby e le forze regolari inglesi erano a Gerusalemme…
La grande avventura di Lawrence era cominciata nel 1916. Ma lui, con la laurea in archeologia e una tesi su “Le fortificazioni militari dei crociati”, già dal 1910 era di casa, in Medio Oriente… Spinto anche dai suoi maestri che lo mandavano a scavare, ma intanto lo usavano come punta avanzata dello spionaggio inglese, in quelle aree di grandi scontenti… All’inizio della guerra era al Cairo al Servizio Cartografico …Un modo poco appariscente per raccogliere informazioni… Due anni dopo, sarebbe passato ufficialmente nelle schiere dell’Intelligence Militare di Sua Maestà… Era appena iniziata la rivolta delle tribù arabe contro gli ottomani.. L’Inghilterra aveva un gran bisogno di questa sorta di resistenza armata all’interno e si era accordata con lo sceriffo al-Ḥusayn ibn ʿAlī… Al padre della rivolta, avevano promesso l’indipendenza di tutti gli arabi e la formazione di un grande unico Stato che dalla Siria sarebbe disceso a comprendere la penisola arabica. Adesso serviva un inglese capace di farsi accettare, che aiutasse gli arabi e lavorasse con loro … Il governo britannico immediatamente distaccò il giovane ufficiale… Con Faisal fu subito grande amicizia e collaborazione… “All’improvviso Feisal mi chiese se avessi voluto indossare abiti arabi durante la mia permanenza nell’accampamento. Trovavo la cosa conveniente da parte mia, poichè era un abito comodo e adatto alla vita araba che conducevamo” Lawrence diventa beduino tra i beduini, vivendo, mangiando, combattendo come loro. Ma era anche ufficiale di uno dei migliori eserciti del mondo e unì il modo di combattere delle tribù, a cavallo e sui mehara, con gli esplosivi, le mitragliatrici, le autoblinde e gli aeroplani … E rapide azioni di guerriglia contro la ferrovia del Hijaz… Quella che trasportava i soldati e le merci al fronte… “Far saltare i treni era una scienza esatta che richiedeva una preparazione apposita, con un numero sufficiente di persone, con mitragliatrici in posizione”scriverà ne “I sette pilastri della saggezza”… Gli ottomani erano costretti a inviare sempre maggiori scorte e a riparare i danni…
Dopo Aqaba, Lawrence è ormai per tutti Lawrence d’Arabia! Arriva anche l’attenzione della stampa mondiale C’è il fascino dell’ eroe romantico alla guida di un popolo in lotta per la libertà… Il Chicago Tribune infatti da quel momento lo fa seguire dal reporter Jackson Bentley. Un personaggio suggestivo è utile per convincere gli Stati Uniti d’America, a scendere in guerra. A Londra organizzano su di lui uno spettacolo teatrale “multimediale” con le sue foto dal fronte… In pochi mesi lo vedrà più di un milione di persone compreso il Re di Inghilterra…
Ma nessuno sa che tutto sta cambiando attorno a Lawrence e arriva la parte più difficile e sofferta della sua avventura. Le azioni a un certo punto devono arrestarsi… Gli uomini delle tribù, stanchi, vogliono tornare alle loro oasi… Lawrence con 30 uomini va in cerca di personale da reclutare… Ma fa un’imprudenza quando entra a Deraa da solo… Viene catturato, percosso, frustato e alla fine violentato dai soldati turchi…Esce a pezzi dall’esperienza e va al Cairo chiedendo un altro incarico… Lo convincono a restare e mentre è li viene a sapere inorridito e incredulo di quegli strani accordi fra Inghilterra e Francia che hanno deciso di spartirsi il Medio Oriente a guerra finita… Non ci pensano nemmeno a uno Stato unitario, quello cioè che avevano promesso a Al-Husayn ibn ‘Alī …Sarà invece una serie di Stati sottoposti a “protettorato”… Cominciavano a vergognarsi a chiamarle colonie, ma la sostanza più o meno era sempre la stessa.
L’ultima folgorante azione di Lawrence sarà la battaglia finale per la conquista di Damasco… Vuole che gli arabi arrivino prima degli Inglesi… Spera che riescano in un disperato tentativo a costituirsi immediatamente come Stato Unitario e mettere le grandi potenze di fronte al fatto compiuto…. A Damasco infatti riuscirà ad arrivare primo mandando avanti i suoi beduini…ma il gioco resta nelle mani del Generale inglese Edmund Allenby, anche se arriva qualche giorno dopo di lui… Il principe Faisal si siede al tavolo dei vincitori e comincia le sue difficili trattative… Lawrence, si alza, esce di scena, sale in macchina ed entrà nella leggenda…
I suoi ultimi anni sono avvolti nel mistero… Al di là di tutto quello che hanno detto i suoi denigratori o supposto i suoi ammiratori, si può essere sicuri che Lawrence rimase sino alla fine nei Servizi Segreti… Altrimenti non si potrebbero spiegare i numerosi cambiamenti di nome e di attività, il fatto che fosse la R.A.F a provvedere alle sue spese e a inviare il suo denaro a misteriose persone, fra cui anche, sembra una sconosciuta moglie… Poi ci fu l’incidente mortale con tutte le supposizioni… La sua motocicletta nel fosso, un’ auto scomparsa dalla scena del crimine… Mentre le strisce della sua vernice nera rimanevano sulla moto di Lawrence… Ma si sa, le spie, spesso restano segrete anche in morte… Forse un giorno, ma chissà quando, l’Inghilterra potrà rendergli tutti gli onori…
Noi, a questo cavaliere errante, all’ultimo idealista del suo secolo appena iniziato, vogliamo dedicare, e ci sembra giusta cosa,un piatto della cucina beduina, Il “Mansaf, ” un piatto che si mangia in occasione di matrimoni, feste religiose ed altre occasioni speciali. Si mangia anche nei ristoranti delle città, ma se volete provare il vero mansaf, fate rotta verso il deserto. I beduini generalmente lo mangiano con la mano destra, tenendo la mano sinistra saldamente dietro la schiena e lo mangiano in piedi…
MANSAF
INGREDIENTI per 4/5 persone: 400 grammi di riso basmati, 3 bustine di zafferano, 4 uova, 1/2 kg di yogurt magro naturale, 500 grammi di carne di montone tenera (o in sostituzione agnello), 4 carciofi, 1 mazzetto di coriandolo in foglie fresco, burro 30 grammi, 100 grammi di pinoli e mandorle, 1 cipolla, olio extra vergine di oliva.
PREPARAZIONE: Mettete a bagno il riso in acqua calda per 15 minuti, per consentirgli di perdere l’amido. In una casseruola sufficientemente grande fate rosolare la cipolla nell’olio, poi aggiungete la carne tagliata a tocchi e dopo averla fatta rosolare uniformemente da tutti i lati ricopritela con 1/2 litro di acqua, una parte di coriandolo e fatela cuocere lentamente. Se l’acqua dovesse consumarsi completamente durante la cottura aggiuntetene altra un po’ per volta e già calda.A parte friggete nell’olio i carciofi tagliati a fettine sottili e poi in una ciotola amalgamate lo yogurt con le uova, versate il composto sulla carne e mescolate nello stesso verso sino a riportare ad ebollizione. Aggiungete anche i carciofi e cominciate a impiattare disponendo il riso come base sul piatto da portata, dopo averlo lessato, con aggiunta di sale e zafferano, per non più di 8 minuti. Su di esso spargete la carne. Servite cospargendo di pinoli e mandorle, tostate velocemente nel burro e il coriandolo tenuto a parte.