Un’aragosta di Monterey per John Steinbeck

“…Da parte nostra, abbiamo denunciato, vituperato, celebrato e mentito a proposito di aspetti e sfaccettature del nostro paese e dei nostri cittadini…   Sotto l’impulso urgente di indagare sul mondo, al di là di innocui  stereotipi e scortesie, per compiere una disamina accorata… Ispirata da curiosità, impazienza, un po’ di rabbia, e un amore appassionato per l’America, l’idea  e il mistero”.   Una confessione, quasi un testamento  l’indagine  con cui John Steinbeck conclude  il suo ultimo lavoro… “L’America e gli americani”, iniziato come un reportage  sull’ attualità degli anni 60 che finisce  inevitabilmente in cerca dei  solchi del passato… Comincia dal mare l’avventura americana di John Steinbeck, quando il pirata Morgan al soldo della Regina di Inghilterra, prende possesso della città di Panama… Ma non sarà una conquista…La Santa Rossa, la bellissima signora  che Morgan non riuscirà a possedere, è il primo simbolo della complessa  realtà americana  che sfugge persino alla sua identificazione… “Un caleidoscopio non facile da accettare, ma terribilmente affascinante”.

Come Morgan il giovane Steinbeck era insoddisfatto e in cerca di qualcosa…  Non solo  ansia  di conquista ma voglia  di spingersi oltre… soddisfare e ricreare continuamente l’inquietudine   in cui non ci poteva e non ci doveva essere posto per la pace. “… Una delle definizioni che più ricorrono a proposito di noi americani è che siamo gente sempre insoddisfatta, che non ama fermarsi, che è alla perenne ricerca di qualche cosa. In effetti dedichiamo la vita alla ricerca della sicurezza e la odiamo quando l’ abbiamo conquistata”…

I suoi genitori non erano ricchi, ma un avvenire tranquillo glielo volevano assicurare… Il padre era il tesoriere della Contea di Monterey e aveva il suo negozio di granaglie a Salinas… Una casa dignitosa   ancora vittoriana con la torretta a “cappello di strega”.

Sua madre in quel figlio aveva riposto tutte le sue ambizioni frustrate, di insegnante ritirata  per motivi di famiglia… C’erano altre sorelle oltre John… Ma quando quel ragazzino quattordicennne si chiudeva scontrosamente nella sua stanza per scrivere, la madre ne era felice… Non sapeva quanto difficile e sbandata sarebbe stata la via della letteratura per John…Inaspettatamente appena finita l’High Scool, sembrava che tutti i suoi interessi fossero diventati chimici, perché andò  a fare analisi presso uno zuccherificio… Allora i genitori lo iscrissero a Stanford,  l’Università più trendy di tutta la California, a studiare biologia…   Si disinteressò presto…  Anche Morgan   una volta conquistata la favolosa e imprendibile Panama,  sognata per anni,  cominciò  subito a correre dietro a un altro sogno…Di esami a Stanford nemmeno a parlarne, però scriveva molto senza che nessuno gli pubblicasse niente… Quando lasciò l’università aveva ventitre anni, niente laurea e e neanche un dollaro…    Andò a fare il pescatore alla baia di Monterey… Gli piaceva andare per mare e forse  sarebbe  rimasto volentieri lì … Invece andò a New York…  L’America è il paese di quelli che per un motivo o senza motivo, vanno… Come in un imperativo  categorico.  Fra i  Carpetbaggers e Kerouac  John Steinbeck stava quasi in mezzo… A New York ci provò seriamente a fare il giornalista e non ci riuscì… Tuttavia  diventò sterratore … Proprio allora stavano costruendo il Madison Square Garden…   E quando del  sogno  gli rimase veramente  poco, si decise a tornare verso casa un anno dopo…  Per sdrammatizzare  il ricordo, ci scrisse sopra anche un  racconto ironico… “Come si diventa Newyorkesi”

In mezzo ai monti che lo circondano da ogni lato, il lago Tahoe è famoso per la chiarezza delle sue acque…  John Steinbeck riuscì a depositare qui la sua rabbia dopo l’insuccesso di New York…  Trovò lavoro come custode di una residenza estiva… Lunghi mesi  di tempo libero…Guardava il  lago e scriveva…    Nell’agosto del 1929 pubblicò il suo primo romanzo Cup of Gold,  “La santa Rossa”,  due mesi prima del “giovedì nero” di Wall Street .. Schiacciato dalla crisi il libro vendette solo 15 copie… Decisamente non fu un successo…

E non lo furono nemmeno i “Pascoli del Cielo” e “Al Dio Sconosciuto” …  Sono storie troppo piene di dolore. La California di Steinbeck  è  luogo di  bellezza misteriosa ma  denso  di sortilegi e di ataviche maledizioni… Nelle  disperazione dei dannati della  valle e nel  panteismo  di Joseph che si  immola al Dio sconosciuto,  il giovane Steinbeck comincia l’opera  distruttiva  del mito americano …

 Il successo pieno e totale arriva  con Pian della Tortilla . E’ un libro scanzonato, tenero e picaresco. Gli ultimi discendenti dei veri californiani, coloro che hanno nelle vene sangue spagnolo, messicano, indio e caucasico, i paisanos, vivono felici e allegri alle spalle di Danny che ha ereditato una vecchia  casa assai malconcia. E’ un mondo di  piccoli  espedienti, piccoli reati, nessun lavoro e tanta baldoria. L’altra faccia dell’America ricca e operosa, posta  ai margini e nel disprezzo della collettività. Invece una volta  trascinati nel romanzo  di Steinbeck diventano personaggi  di fama e chi  li evitava ora li esalta e ci si diverte… Steinbeck si arrabbia “Ho scritto queste storie perché sono storie vere e perché mi piacevano. Ma le sentine della letteratura hanno considerato i miei personaggi con la stupidità delle duchesse che si divertono con i contadini e li compiangono… Se ho causato loro dei torti raccontando qualcosa delle loro storie, me ne dispiace. Ciò non avverrà più. Addio Monte!”

Nei libri successivi non ci sarà più possibilità di equivoci…  La denuncia e la rabbia di Steibenck esploderanno nel cuore della crisi americana. “La Battaglia” è uno sciopero agricolo e drammatico, guidato da un giovane Jim Nolan che vi perde la vita,  l’ entusiasmo e i suoi ideali sociali. “Uomini e topi” è la denuncia  schiacciante dell’intolleranza nei confronti del “diverso”, ma è anche una poetica storia di amicizia e di solidarietà  fra George, giovane   manovale di campagna, e Lennie, un gigante con un cervello da bambino. L’atto finale quando George uccide Lennie per sottrarlo al linciaggio  e alla vendetta, ha la disperazione  di una tragedia greca in un mondo cupo dove non c’è più speranza. Steinbeck verso la  strada del successo con la sua prosa limpida ed elegiaca è la punta massima de i drammi sociali, colui che scopre l’amaro calice degli immigrati e degli sradicati, dei lavoratori  sfruttati e senza voce.  Nessuno si era mai permesso  di  parlare così della terra promessa  degli emigranti del vecchio continente.

La Route 66 è la vera protagonista di “Furore”, questa strada che aveva attraversato  tutta l’America piena di baldanza a seguire  la frontiera  che si spostava sempre più avanti, nella conquista del West… Adesso è diventata la strada di questa migrazione biblica, dei disgraziati che vanno ad ovest in cerca di una  improbabile salvezza. La famiglia Joad e la sua  dispersione, il linguaggio a tratti elevato che si alterna al dialetto  degli agricoltori dell’Oklahoma, diventano per  Steinbeck gli strumenti di una spietata analisi   della società,  delle ingiustizie e dello sfruttamento delle masse proletarie…

Molto tempo dopo fu lecito a tutti dimenticarsi di Steinbeck. Il suo sembrava  un mondo  irreale. .. Drammi che erano ignoti alle generazioni  nate e cresciute dopo la seconda guerra mondiale, avvolte nel benessere e nell’ignaro consumo… Anche Steinbeck negli anni ’60 aveva perso la sua grinta rivoluzionaria  quasi assopito nella nuova società opulenta… Il suo libro più famoso del dopoguerra, “La Valle dell’Eden” era un dramma familiare, intimista… Il Nobel  arrivò tardi, quando lui nemmeno andava più di moda e, nonostante le lodi accademiche si finiva per pensare a Steinbeck con un certo distacco…

Fino al brusco risveglio di tutto il mondo occidentale,  improvvisamente perso in una crisi senza limiti e quasi senza tempo… Suicidi e disperazioni di un’intera classe che precipita nella povertà…I visi amorfi dei giovani senza lavoro… Eppure nella sua disperazione Steinbeck la via d’uscita l’aveva trovata… L’aveva trovata nel valore della “solidarietà” fra gli uomini, come forza per traghettare verso la speranza … E’ ancora lì la soluzione, basta rileggere  le ultime righe di “Furore”  quando uno dei personaggi  emerge con  un gesto di generosità ingenua e sconfinata che fa riflettere… Non sempre le avversità riportano l’uomo allo stato selvaggio e alla cattiveria  hobbesiana,  a volte, al contrario,  possono condurci a un diverso e più alto livello di salvezza.

Alla California di Steinbeck, una delle prime che sta  allontanando coraggiosamente da sé il fantasma della crisi, vogliamo dedicare un piatto semplice e ricco assieme, ricordo del grande mare  su cui andava a pescare il suo figlio più irrequieto e sensibile…

ARAGOSTA ALLA CALIFORNIANAaragosta-alla-californiana-tuttacronaca.jpg

INGREDIENTI per 4 persone: 2 aragoste  da circa 700 grammi ciascuna, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1/2 bicchiere di cognac o brandy, 1 cipolla, 2 pomodori rossi, sale e pepe a piacere, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 20 grammi di burro,1 spicchio d’aglio.

PREPARAZIONE: lavate le aragoste sotto l’acqua corrente, poi staccate la testa e  tagliate il corpo a medaglioni seguendo le linee  della corazza. Mettete una pirofila sul fuoco con l’olio in cui farete rosolare l’aglio intero e appena dorato aggiungete i medaglioni di aragosta facendoli rosolare fin quando il guscio diventa rosso. Bagnate col cognac e poi lasciate evaporare. Subito dopo aggiungete la cipolla affettata e i pomodori  a pezzi, privati dei semi. Aggiustate di sale e pepe, bagnate col vino bianco e spolverizzate con una parte del prezzemolo. Mettete nel forno già scaldato a 180°C per circa 20 minuti, estraete dal fuoco le aragoste ed eliminate i gusci. Raccogliete in una casseruolina il sugo rimasto nella pirofila, unitevi il burro, mettetelo sul fuoco per pochi minuti, quindi versate la salsa sui medaglioni, spolverizzate con il restante prezzemolo e servite.


 

Il Barone Rosso e i Pyzy, una ricetta polacca, con tante affinità in Europa!

“…Così entrambi iniziammo come due pazzi un carosello  con i motori a massimo regime. Le virate che compivano uno intorno all’altro erano così strette che a mio avviso non dovevano avere un raggio superiore agli ottanta-cento metri.  Un po’ alla volta il  pilota, per quanto in gamba, deve averne avuto abbastanza, tanto più che doveva decidersi se atterrare entro le nostre linee oppure ritornare a casa sua…  Io lo seguivo ad un’altezza di 50-30 metri di quota, sparando in continuazione…. Alla fine l’avversario, colpito alla testa, precipitò per circa 50 metri tergo alla nostra linea.”…  Quello era l’undicesimo aereo abbattuto da Manfred von Richthofen  in poco più di due mesi e stavolta la vittima era l’asso dell’aviazione inglese, il maggiore Lanoe Hawker…  La mitragliatrice  dell’aereo avversario finì come un trofeo davanti all’ingresso del suo alloggio. Si stava ormai diffondendo la fama di questo giovane abilissimo e spericolato che faceva la guerra come se fosse un torneo fra antichi cavalieri medievali…

Forse perché lui veniva  dalla cavalleria, arma di cui  però, in poco tempo  era rimasto ben poco… In effetti quando iniziò la prima guerra mondiale tutti pensavano che si sarebbe combattuta secondo la tradizione… Fanti, assalti alla baionetta e lo svolazzare romantico dei mantelli dei cavalieri… Invece tutto  stava cambiando … La guerra era di posizione dentro la trincea e  la mitragliatrice leggera diventava la principale arma della fanteria…  e le tradizionali truppe, con l’arrivo dei carri armati, cominciavano a chiamarsi truppe corazzate. Il ruolo dell’aeroplano  all’inizio era di osservare, prendere appunti  e dopo il  1915 anche fotografare…Ma  in un cielo  sempre più affollato cominciarono  i primi bombardamenti, la reazione della parte avversa  e  gli  scontri/ duelli  sempre più frequenti fra i velivoli, armati  di mitragliatrici…

Il  tenente degli Ulani, il barone Manfred von Richtofen  preparato a una guerra più tradizionale cominciava ad annoiarsi…  Gli assalti della cavalleria, in quella guerra  sempre più diversa,  erano  rari,  tanto che sul fronte russo e su quello francese  le occasioni di combattere furono  inesistenti…L’unico fatto memorabile fu un’imboscata in  una foresta vicino a Virton e la fuga precipitosa.

Era  passato quasi un anno dall’inizio della guerra, quando esasperato scrisse al Comando Generale che era stanco di trasportare vettovaglie…   E  iniziò così la sua avventura nell’aviazione tedesca. Cominciò facendo l’osservatorea
  quasi assiderato dal freddo e dal vento e la prima volta che avvistò un aereo nemico  non riuscì a colpirlo… Con grandi rimproveri del pilota…. Inizi sicuramente non brillanti…  soprattutto quando fece la prima prova per diventare pilota… riuscì  in qualche modo a decollare ma  dopo aver abbozzato varie manovre  una peggiore dell’altra, decise di atterrare, ma  non regolò la velocità, le ruote  si impuntarono e l’aereo si cappotto’. Fu solo alla terza volta che ottenne il suo brevetto di pilota… Non c’è che dire anche gli eroi hanno le loro piccole défaillance… come quella volta che in volo sul seggiolino dell’osservatore in mezzo alla tempesta perse l’orientamento e fece sbagliare rotta al pilota… così provarono ad atterrare e finirono in un pollaio in mezzo alle facce stupite e inferocite dei contadini.

 Le sue strabilianti imprese cominciarono in Russia come bombardiere, ma i duelli aerei, per i quali è passato alla storia cominciarono sui cieli francesi… Nel mese di settembre del 1916 un aereo inglese fu costretto ad atterrare dentro le linee tedesche e per Manfred fu la prima vittoria ufficiale. A Gennaio dell’anno dopo  gli aerei abbattuti erano diventati 17… Il bombardamento  sui campi nemici o sulle industrie non l’interessava affatto,ancor meno quello sulla popolazione civile, quand’era al comando della sua squadriglia lo rifiutò sempre… Non lo riteneva cavalleresco..Era solo la sfida in cielo che l’emozionava e dava senso alla sua guerra.

Era riuscito ad avere uno dei primi Fokker,un aereo innovativo, un monoposto … non c’era più bisogno dell’osservatore che sparava,  perché un congegno sincronizzato consentiva alla mitragliatrice montata sulla fusoliera di sparare automaticamente soltanto quando l’elica non occupava la linea di tiro.

Per qualcuno il numero 17 porta male, ma non così la pensava Manfred von Richthofen che dei suoi 17 aerei abbattuti era orgogliosissimo. Per tutti ormai era il miglior pilota da combattimento e lui sembrava non aver paura di nessuno, anzi voleva che tutti sapessero che lui era lì a guardia dei cieli… Così  decise di dipingere il suo Fokker interamente di rosso… Immediatamente riconoscibile… Una sfida agli avversari e al suo stesso destino…  Lo chiameranno “Il Barone Rosso”, il titolo con cui passerà alla storia. Gli uomini della sua squadriglia non furono da meno … Li cominciarono a chiamare il “Circo Volante” perché ognuno si era dipinto l’aereo con un colore sgargiante e tutti insieme volteggiavano nei cieli come un grande circo intento a fare le più spericolate acrobazie… Ogni combattimento quando c’erano loro diventava  uno spettacolo…

All’inizio di  Aprile del 1917 gli aerei abbattuti erano diventati 32 alla fine del mese 53… L’aprile di sangue lo chiamarono gli alleati,  che rischiarono l’estinzione delle loro forze aeree.

La sua fama era ormai  non aveva più confini! In tutta Europa, amici e nemici parlavano di lui  e il 2 maggio quando Manfred compie 25 anni  il Kaiser Guglielmo II lo vuole  conoscere… Poi lui va a trovare i suoi  nobili genitori in quella bella tenuta di campagna a Schweidnitz, dov’era cresciuto fra caccia e boschi…

Sarà l’ultima volta…  A luglio   la sua  buona stella comincia a tradirlo … Quel numero 17 a cui lui non credeva era anche nei numeri dell’anno!  Durante un combattimento il Capitano inglese Donald Cunnell lo colpisce alla testa  “Mi avevano beccato,- scriverà nel suo diario – Per un attimo rimasi completamente paralizzato. Le mani pendevano inerti e le gambe ciondolavano” Poi l’operazione e la lunga convalescenza. Nelle alte sfere sono preoccupati… L’assenza del Barone Rosso può  demoralizzare l’intero esercito e dare nuovo coraggio ai nemici…

Lui appena possibile torna a combattere… Lo nasconde  a tutti, ma in realtà non è più lo stesso…  Mal di testa, nausee, una profonda malinconia… Il ragazzo spavaldo e  allegro non c’è più…”…

Il 21 aprile 1918 decolla dal campo di Cappy… Nel gruppo c’è anche suo cugino, alle prima armi… Quando durante il combattimento vede che è in pericolo cerca di salvarlo, ma in una virata sconfina sopra le linee nemiche. e si abbassa troppo… Chissà se a colpirlo è stato il Capitano canadese Arthur Roy Brown o la contraerea nemica… Dopo 11 giorni, il due maggio avrebbe compiuto 26 anni…

Poco dopo un caccia inglese lasciò cadere sul campo-base tedesco di Cappy il  messaggio: “AL CORPO D’AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari” La fotografia d’epoca con le esequie del Barone Rosso mostra il rispetto e anche la mestizia dei suoi nemici… Chissà cosa provava  Manfred  in quel momento… Forse era anche lui un po’ triste perchè  era così giovane… Ma sapeva anche che stava entrando nella leggenda.  Nessuno come lui riuscirà ad abbattere nella grande guerra più di 80 aeroplani nemici… 

La terra  dove nacque e visse il Barone Rosso, una volta tedesca è oggi terra polacca, però la ricetta che abbiamo scelto, pur essendo ufficialmente polacca in  realtà con tutte le varianti del caso,  si ritrova in mezza Europa…  Perché in fondo di “gnocchi” si tratta… Forse a lui piacerebbe sapere che oggi  molte cose in Europa sono patrimonio comune e non ci sono più quei terribili conflitti storici  che  una volta dividevano i popoli…  Quelli che hanno portato a morire  tanti giovani generosi come lui che avevano solo 25 anni…

PYZY

INGREDIENTI  per 4 persone: 1 kg di patate, 4 cucchiai di farina, 3 uova, 1/2 kg di carne bovina macinata, 1 cipolla, 1 cucchiaio di burro, 2 cucchiai di pan grattato, sale e pepe a piacere.

PREPARAZIONE: Fate cuocere in acqua bollente metà delle patate , fatele raffreddare e poi schiacciatele  aiutandovi con un bicchiere  o nel passapatate.  Grattate finemente le patate rimaste crude e mischiatele con quelle già bollite. Aggiungete la farina, 2 uova,  un po’ di sale e impastate.

Fate sciogliere in un tegame, a fiamma molto bassa, il burro e poi fatevi rosolare la cipolla tagliata finemente, insieme alla carne precedentemente  bollita in acqua avvolta in un panno. Aggiungete poi il pan grattato, 1 uovo, il sale e il pepe.

Dall’ impasto di farina ricavate  dei cerchi grandi circa tre volte gli gnocchi italiani, mettete al centro un cucchiaino di ripieno di carne e richiudete dando loro una forma ovale o tonda.

Fate bollire dell’acqua e fate cuocere in essa i pyzy per 5 minuti circa. Come per tutti gli gnocchi,quando sono cotti affiorano in superficie e li potete estrarre dalla pentola con il mestolo forato. In Polonia e in parecchi pawsi del Nord vengono serviti con burro e pancetta soffritta, ma un condimento a base di salsa di pomodoro è una piacevolissima variante . A voi la scelta per questo piatto  decisamente sopra nazionale!