Adriano Olivetti, il visionario di Ivrea e la Bagna Cauda, un piatto del territorio.

A Ivrea il Carnevale  è una cosa  davvero importante con i ricchi  costumi, le sfilate interminabili e la battaglia delle arance che, come un incantesimo, colora  di un acceso  arancione  le strade del grigio inverno nordico… Ma quel febbraio del 1960 improvvisamente, in un silenzio attonito e incredulo, si chiuse il Carnevale e il  chiassoso passaggio dei carri dovette  cedere il posto  al mesto sfilare  dei cortei venuti da ogni parte d’Italia con quelle tristi corone  a lutto per rendere omaggio ad Adriano Olivetti.

A guardarle adesso, in  quelle facce c’è qualcosa che va oltre il dolore… C’è inquietudine, tensione, timore… Forse niente sarebbe rimasto come prima… Troppo geniale   l’eredità che  lasciava Adriano… Troppo diversa, da tutte le altre, l’azienda Olivetti. L’avevano tanto attaccato in vita… L’avrebbero lasciato in pace in morte?  Troppa la diffidenza e il rancore di una società e di una politica spiazzate da quell’uomo  che, con una bella punta di disprezzo, avevano seguitato a chiamare  ‘Il visionario” ! Che i lavoratori avessero anche una casa… paternalismo! Che  potessero studiare nella biblioteca dell’azienda o avere una  formazione permanente… Snobismo!  Che nella sua “Città del Sole” avesse anticipato di  20 anni  la Sanità pubblica gratuita… Si preferiva ignorarlo… Che poi l’azienda   fosse presente sui maggiori mercati internazionali e avesse   36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero…  Era un fatto  a cui cui non si sapeva come replicare… E si preferiva  ridimensionarlo…

Era cominciato  tutto più di quarant’anni prima quando il padre, il padrone dell’ “Ing. C. Olivetti & C”, dove la “c” stava per Camillo,  prima fabbrica italiana di macchine per scrivere, lo manda durante le vacanze scolastiche, lui che nel 1914 aveva 13 anni, a lavorare nella fabbrica di famiglia…  Ne rimane scioccato… Dal buio dell’ambiente, dalla solitudine  del posto di lavoro… dai ritmi di lavoro lenti.  Così se lo ricorderà anni dopo “Una tortura per lo spirito, stavo imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina‘. E ancora ‘”Occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.’ 

Se lo ricordava ancora quando nel 1925, appena laureato il padre lo spedisce in America a vedere come si lavora nel “Nuovo Mondo”…  “General Motors”, “Ford”  Boston, Chicago, Detroit.  100 aziende in tre mesi…Ne torna con molte idee  e  qualche critica… Apprezza l’organizzazione del lavoro,  il decentramento delle funzioni, l’interscambio fra ricerca e produzione…Si innamora della pubblicità… per la quale chiamerà, una volta a casa, i migliori disegnatori… Non apprezza invece la remunerazione a cottimo… Il salario va calcolato  su tempi standard testati e ritestati… Non sullo sforzo portato all’estremo… Forse non lo sa ma ha già iniziato il suo discorso rivoluzionario e innovativo di come si lavora in fabbrica…

L’anno dopo nel 1926  è coinvolto in una fuga storica… Filippo Turati, il vecchio leader socialista è perseguitato dal fascismo … Adriano Olivetti  lo va a prendere in  auto a Milano e lo porta  a Torino… Fra l’altro guidava malissimo… Dopo alcuni giorni lo va a riprendere a Torino e lo porta a Savona dove l’aspettavano Sandro Pertini, che poi diventerà Presidente della Repubblica, ma allora più che altro faceva il socialista nascosto, e Ferruccio Parri, che sarà invece Presidente del Consiglio e, con un motoscafo  lo condurranno in Corsica… Così  ricorda Adriano, Natalia Ginzburg, nella casa che ospitava Turati…” Quella sera la sua faccia e i suoi pochi capelli erano come frustati da un colpo di vento. Aveva occhi spaventati, risoluti e allegri… Gli vidi due o tre volte nella vita quegli occhi… quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo”

fedoraNegli anni 30 trasportata dall’onda nera americana la crisi si fa sentire  in Italia e cominciano i licenziamenti, ma l’ Olivetti non lo fa … E una delle poche a resistere ..  Perché inventano nuovi prodotti e aumentano  quanto più possono  l’esportazione. Sono gli anni in cui viene creato lo schedario meccanico Sinthesys, così d’avanguardia, che resterà negli uffici almeno sino agli anni ’70 e poi la miracolosa portatile  MP1 Olivetti, il cui poster sarà realizzato da un artista in fuga dalla Bauhaus… olivettiA

Durante la guerra Adrian lavora per i servizi segreti delle potenze occidentali, finisce in prigione e quando esce scappa in Svizzera… Ma al suo ritorno cominceranno le grandi innovazioni in fabbrica. Vuole le aziende più luminose del mondo, perché l’operaio che prima era un contadino deve seguitare a godere della natura, del verde e delle  montagne che lo circondano..  E arriveranno i migliori architetti… Vuole le case per i lavoratori che darà a riscatto a prezzi minimi ,vuole la possibilità che tutti abbiano cultura e la fabbrica avrà le biblioteche dove sarà  possibile accedere  anche durante l’orario di lavoro… Trattiene poco dei suoi guadagni… il resto lo reinveste… Tutti pensano che fallirà con quelle spese folli per  la fabbrica, i servizi sociali e la sanità per i dipendenti e lui guadagna sempre di più… Ma la rivoluzione  più grande sarà nei metodi di lavoro. Mentre in Italia infuriano le lotte operaie per l’alienazione cui è soggetto il lavoro in fabbrica lui abbandona completamente il Taylorismo e la catena di montaggio e costruisce i “Gruppi di lavoro”  e le “Isole”  A un gruppo misto di operai, tecnici e altre figure necessarie all’obiettivo,  affida la realizzazione di un intero prodotto, con mansioni in larga parte intercambiabili. Dicevano che non era possibile… troppo costosa la specializzazione del singolo, la produttività si sarebbe abbassata, non c’erano più le garanzie della velocità e i tempi certi della catena di montaggio, l’azienda sarebbe fallita… Invece la Olivetti esce vincitrice dalla sfida, mentre le grandi industrie e la stessa Confindustria cominceranno una guerra serrata ad Adriano Olivetti e ai suoi metodi che gli altri  non riescono a permettersi. Ben diversa sarà infatti la risposta allo stesso problema da parte della Fiat che assediata dalle proteste operaie licenzierà e metterà alla catena di montaggio dei nuovissimi Robot…

E intanto Adriano Olivetti seguiterà a spaziare… Fonda la casa editrice di “Comunità”, per portare in Italia le opere straniere sconosciute, diventa Sindaco di Ivrea,deputato al Parlamento… e il suo voto sarà determinante per il primo Governo di Centro – Sinistra… Apre nuove fabbriche fra cui quella di Pozzuoli che farà scalpore perché la produttività degli operai del Sud supera quella del Nord… Nelle sue fabbriche vorrà concerti e pittori  perché la cultura è di tutti,operai e dirigenti…

 I successi dell’azienda,  fra cui la mitica portatile “Lettera 22” degli anni 50, che pesava solo 5 chili, non danno alla testa ad Adriano Olivetti. Ci sono nuove sfide … Sta emergendo la tecnologia elettronica.  Così nel 1952 la Olivetti apre a New Canaan, negli USA, un laboratorio di ricerche sui calcolatori elettronici; nel 1955 un altro laboratorio a a Pisa e nel 1959 l’Olivetti può presentare l’Elea 9003, il primo  calcolatore elettronico Italiano.. Dopo a seguire il “Programma 101, l’archetipo del personal computer…

Adriano aveva capito dov’era il futuro e con tutto il suo slancio ci si era rivolto… Ma all’improvviso muore su un treno che lo portava da  Milano a Losanna. Si disse un infarto,un ictus, ma l’anno dopo morì in un incidente anche il suo più stretto collaboratore all’elettronica Mario Chu … Due anni dopo morì in uno strano incidente aereo Enrico Mattei, il presidente dell’Eni…In vita  era stato un oppositore di Adriano Olivetti, ma anche lui era un  innovatore…E comiciarono a sorgere le leggende su  questa oscure morti…Di sicuro  Adriano Olivetti era nato  troppo presto…   l’avevano  preso per visionario… una categoria che da sempre fastidio al potere… L’Olivetti naturalmente non fu più la stessa… Con quello slancio mondiale che aveva,  quando morì Adriano, avrebbe potuto portare l’Italia a essere fra i primi al mondo nell’elettronica …  Invece ebbe qualche guizzo, come  negli anni 80 con un bel computer, l’M24 che aveva una grafica eccezionale per l’epoca, ma non seppe sfruttare il momento e alla fine  fu fatta a pezzi e svenduta… Ma questa è un altra storia…

 Il figlio spirituale di Adriano, sognatore e visionario come lui, era nato dall’altra parte    dell’oceano e  quel messaggio  lo potè raccogliere solo molti anni dopo.. Era il  1976  e  molto diverso era l’ambiente delle sue sperimentazioni… Un garage..  L’entusiasmo però era sicuramente lo stesso e il progetto si chiamava  Apple 1…   Era già un  prototipo di computer, un vero e proprio calcolatore  con le stesse componenti con le  quali  si   lavora oggi,  tastiera e monitor.   Steve Jobbs gli dette  il nome  e il logo del suo frutto preferito…   Una mela morsicata con i colori dell’arcobaleno.

L’ intuizione avveniristica di Steve Jobbs   era stata quella di trasformare il computer, uno strumento nato per l’azienda in qualcosa  che si potesse più  strettamente  legare o  al lavoro del singolo e al singolo stesso inteso  come persona privata.   Il “personal computer”, era qualcosa che  poteva tranquillamente  essere utilizzato per un’infinità di cose che molto, poco o niente   avevavo a  che fare con il lavoro,  al contrario dei grandi calcolatori  che erano stati pensati  per la vastità  del mondo aziendale o per le grandi burocrazie … Perché il personal di cui Jobb ridusse drasticamente le dimensioni   poteva  essere portato sempre dietro. La variabile  vincente  fu qualcosa che poco aveva a che  fare con le logiche aziendali ,ma piuttosto  fu un’attenzione alla dimensione psicologica, al tessuto delle relazioni sociali e alla vita privata del lavoratore. Infatti, lo stesso Jobs affermò: “noi pensiamo di dover arrivare nelle case, ci piace dire fino alla porta del garage, la gente deve portarselo dietro nei weekend, per poter lavorare anche la domenica, senza dover andare via e lasciare i bambini a casa”. E, infatti, come si vedrà negli anni a seguire, il computer sarà sempre più “personal” e con esso si svolgeranno sempre più attività che esulano dal contesto lavorativo oppure, secondo i casi, si lavorerà per l’azienda senza muoversi da casa.

Da quella prima enunciazione  Steve Jobb farà tantissima strada quasi sempre da vincitore, qualche volta perdendo…  E ha finito per cambiarci totalmente il modo di vivere… Ma il seguito di questa storia così interessante,  fatta tutta di  futuro ve la raccontiamo un altra volta…

Anche Adriano Olivetti, così simile  a Steve jobb era solito dire “In me non c’è che  futuro”. E a  lui dedichiamo una ricetta che viene dal Piemonte quella sua terra così amata,  da cui partì alla conquista del mondo…

LA BAGNA CAUDA

 INGREDIENTI per 4 persone: olio extra vergine di oliva grammi 300, acciughe sotto sale grammi 150, burro grammi 50, 6 spicchi di aglio,qualche gheriglio di noci.

PREPARAZIONE. la bagna cauda è un antipasto che va mangiato  molto caldo e a tale scopo viene portato in tavola posando il recipiente su un fornelletto  alimentato da una candelina inserita al suo interno. Si prepara la bagna cauda raschiando le acciughe con un coltellino, quindi pulendole con una pezzuola,poi aprendole e diliscandole. Si pestano gli spicchi d’aglio riducendoli a poltiglia, e poi si inserisce il burro in un recipiente di terracotta gacendolo sciogliere a fuoco bassissimo e aggiungendovi dopo l’aglio che non dovrà prendere colore, altrimenti altera il sapore  e, per ultimi l’olio e le acciughe che si disferanno un po’ per volta durante i 10 minuti che rimarranno sul fuoco. Al termine  togliete le pellicine ai gherigli di noce,sminuzzateli e  mischiateli alla salsa.

La bagna cauda si mangia intingendo  nel recipiente di terracotta le verdure che saranno distribuite ai singoli commensali.  In genere saranno cardi, lasciati preventivamente a bagno in acqua acidulata con succo di limone, peperoni crudi a fette o eventualmente arrostiti, le foglie più bianche della verza, i topinambur, il cavolfiore molto tenero. In alcune zone del piemonte si preferiscono verdure  cotte come le cipolle  intere passate al forno,le barbabietole,le patate o le carote lessate.

Anticamente la bagna cauda si preparava con l’olio di noci, oggi introvabile ed è per conservare l’aroma della vecchia ricetta che  si aggiungono i gherigli di noci. La ricetta si presta inoltre a diverse varianti locali… Nel Monferrato per esempio aggiungono del Barbera alla salsa e qualcuno preferisce tenere a bagno nel latte gli spicchi d’aglio, da scolare prima di immergerli nella salsa, per smorzarne il sapore troppo forte. Nella provincia di Alba se avanza la bagna cauda si versano in essa delle uova strapazzate.

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Giuseppe Verdi… e la “Spalla Cotta di San Secondo”!

 Il giorno prima a Le Roncole di Busseto c’era stata la festa del Santo Patrono e il  gruppo di attori girovaghi si era attardato ancora un giorno nella piccola frazione della bassa Parmense. Adesso da un po’ erano seduti all’osteria e già alticci suonavano e cantavano a squarcia gola. Senza volerlo fu la più bella e la più indovinata delle accoglienze  per il bambino che stava nascendo al piano superiore di quella modesta casa di  campagna. Pur italianissimo, all’anagrafe lo registrarono in francese come Joseph Fortunin François  perché allora c’era il dominio Napoleonico e prima che il ducato di Parma e Piacenza rientrasse nell’unità d’Italia dovettero passare  quasi 50 anni. Una parte del merito fu anche di quel bambino nato nell’ottobre del 1813  che non andò mai a combattere, ma compose delle musiche talmente belle  che risvegliò violentemente all’amor di patria gli animi di quel popolo  ripiegato, povero e ignorante. C’è da dire però che la musica, quella popolare e l’0pera lirica, da quelle parti ce l’avevano nel sangue e  senza alcun bisogno di andare a scuola non c’era contadino o paesano che non suonasse qualche strumento nella banda del paese,  non cantasse un  inno sacro alla messa della domenica o qualche canzonaccia sopra le righe la sera del giorno di festa.

Ma se ne accorse il padre che quel bambino aveva  qualche  marcia in più così quando aveva 6 anni lo mandò a studiar musica dall’organista del paese e gli regalò una spinetta di seconda mano. Era anche un po’ stonata, ma per il momento non aveva potuto fare di più. Più tardi quando aveva 10 anni lo mandò a Busseto, alla scuola municipale di musica e lì Giuseppe Verdi incontrò l’uomo che gli aprì la strada e gli rimase vicino per tutta la vita. Antonio Barezzi, mercante di coloniali, come  si diceva allora, in sostanza faceva il droghiere, ma sapeva suonare ben sei strumenti musicali e con i soldi guadagnati aveva messo su una filarmonica. Accolse il ragazzino a braccia aperte  e lo fece ben presto suonare nel salone della sua casa dove, oggi museo, è ancora lì da vedere il forte piano viennese che  utilizzo’ il giovane Verdi durante la sua prima esibizione in pubblico. Fu in quello stesso salone che fece la sua dichiarazione d’amore a Margherita  Barezzi, la figlia di Antonio, ma poi partì subito per Milano per costruirsi un futuro e sposare Margherita.

 Era un genio, ma al Conservatorio che ne potevano sapere? Aveva 19 anni e dissero che era troppo grande per iniziare. Aveva un modo tutto suo di impugnare  la bacchetta e dissero che aveva scarse attitudini musicali. Così lo respinsero. Del resto non c’è da meravigliarsi. Circa 60 anni dopo respinsero Einstein al Politecnico di Zurigo per scarsa conoscenza della materie letterarie.

Verdi  rimase però a studiare a Milano con una borsa si studio e l’aiuto di Barezzi e quando tornò a Busseto aveva un contratto in mano per  la sua prima opera  “Oberto, conte di San Bonifacio”. Così sposò Margherita, nel famoso Salone di Casa Barezzi  ed ebbero due figli. Sembrava che tutto  andasse per il meglio quando si abbatté totale la tragedia. Margherita e i bambini si ammalarono a breve distanza l’uno dall’altro e  fra il 1838 e il 1840 morirono tutti e tre. A 27 anni Verdi era un uomo finito con l’opera buffa “Un Giorno di Regno”, che fu  totale insuccesso e nessuna voglia di  andare avanti.

Ma l’impresario Merelli lo obbligò a comporre Nabucco e quando nel 1842 arrivò alla Scala, il successo fu incredibile.  A Milano dove più vivo era il sentimento liberale e più forte la voglia di riscatto, la storia dell’oppresso popolo di Israele era logico che venisse interpretata come una metafora delle condizioni attuali dell’intero popolo italiano. Poteva ancora essere considerata una di quelle operazioni culturali di più o meno velata opposizione al dominio Austro Ungarico, che si facevano in quegli anni. Ma c’era una componente in più che nessuno aveva potuto immaginare e prevedere, la musica travolgente, accesa, disperata e infiammata che il giovane Verdi seppe imporre alla storia. Suscitò un sentimento patriottico così totale e profondo che  nel centenario della morte del compositore, Ciampi, il Presidente della Repubblica ricordò “Se l’Italia divenne una sola Nazione lo si deve anche a lui e alla forza del suo linguaggio musicale.”

Da allora Verdi, come un fiume in piena non si fermò più e seguitò a incitare e sostenere  gli italiani in quel difficile movimento di liberazione che si concluse, almeno in parte, 20 anni dopo.

L’opera seguente “I Lombardi alla prima Crociata” aveva una struttura musicale simile al Nabucco  ma un fuoco  ancor più accresciuto perché  in Nabucco il popolo era oppresso e avvilito, nei Lombardi il popolo è invece in armi e il messaggio politico è fin troppo chiaro. Messaggio che poi replicherà nella “Battaglia di Legnano”, dove la rivolta dei Comuni Lombardi contro il Barbarossa era così  chiaramente riferita all’Imperatore Austro Ungarico che l’opera fini per essere proibita per decenni.

Arrivò il ’48, la rivolta delle 5 giornate di Milano e un osservatore straniero Alexander Von Hubner scriveva”In mezzo a questo caos di barricate si pigiava una folla variopinta. Preti col cappello a larghe tese, fregiato dalla coccarda tricolore…. borghesi portanti il cappello  alla Calabrese o in onore a Verdi il capello dell’Ernani”. Quello stesso cioè del nobile divenuto bandito che  nell’opera di Verdi voleva vendicare tutti i soprusi.

Dopo l’unità d’Italia Verdi divenne deputato nella prima legislatura dal 1861 al 1865. Ma era chiaro che era deluso, avrebbe voluto un Italia Repubblicana e così si ritirò presto dalla vita politica e se ne tornò a  Sant’Agata nella casa di campagna con la nuova compagna Giuseppina Strepponi. Lì lavorava in pace a un ritmo pazzesco lasciando fra le sue 28 opere capolavori musicali e storie  dai soggetti nuovi e stimolanti, talvolta addirittura rivoluzionari, come Rigoletto o Traviata.  E alla fine curava anche gli allestimenti scenici.

A  Sant’Agata era contento perché tornava a fare il contadino che  non aveva mai dimenticato di essere, investiva in terreni tutti i soldi che guadagnava ed era felice di amministrarseli. Difficilmente in un’epoca in cui l’industrializzazione stava arrivando anche in Italia, e lui a Milano, nella capitale dell’industria era di casa, avrebbe investito qualcosa in una fabbrica.

Amava la cucina e il buon vino e andava fiero delle specialità della sua terra. Su di esse intratteneva anche lunghe conversazioni attraverso le lettere  e i doni che era solito inviare agli amici. Famosa la lettera che scrisse al conte Arrivabene inviandogli una “Spalla di San Secondo”. Si tratta della famosa spalla di maiale di cui la Rocca di San Secondo va ancora oggi fiera e ne rivendica le origini. Pare che Verdi si fosse addirittura messo in testa di comprare quelle terre e  poi non se ne fece nulla. Ma la passione per la spalla gli rimase forte. La spalla si sa è una parte del maiale che difficilmente si presta alla stagionatura. (Quando ciò avviene arriva a risultati sublimi, ma è raro) Per questo motivo per lo più si mangia cotta e prima che venga la stagione calda perché poi  perde di morbidezza e di sapore.

In ricordo della passione del maestro vi proponiamo la ricetta che così rivisitata e aggiornata potete preparare in casa.

SPALLA DI MAIALE COTTA

INGREDIENTI: 2 Kg di spalla di maialino, rosmarino, aglio fresco, salvia,  olio d’oliva extra vergine di oliva, sale e pepe.

PREPARAZIONE: accendete il forno e portate la temperatura a 200 °C. Disossate la spalla tenendo solo l’osso dello stinco e raschiate accuratamente la cotenna per eliminare eventuali setole rimaste.Negli spazi vuoti lasciati dalle due ossa introducete in ognuno due piccole foglie di salvia.gli aghi di  mezzo rametto di rosmarino e 1 grosso spicchio di aglio a fettine. Legate strettamente la spalla,salatela,pepatela e mettetela in una teglia,bagnatela con abbondante olio. Copritela con carta metallizzata e fatela cuocere nel forno già caldo per 2 ore e 1/2. Durante la cottura spennellate la spalla di sovente con il grasso che si forma sul fondo della teglia, senza però rigirare la spalla. A cottura avvenuta estraetela dal forno, tagliate lo spago ed eliminatelo, presentate in tavola con le prime fette già tagliate. Accompagnate con purea di patate.

Villanova Arda - Villa Verdi S Agata

A Colonia… Krapfen e Carnevale!

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carnevale-di-coloniaLo sapevate che le stagioni dell’anno sono 5, invece di 4 come insegnano a scuola?  Non sembra vero, ma se andate a Colonia vi diranno pure quando inizia la 5°, l’11 di  novembre! E se le spiegazioni non  fossero sufficienti vi inviteranno  alla grande festa con cui  si apre la stagione. L’appuntamento è ad Alter Markt e, con precisione, è fissato alle alle ore 11 e 11 minuti… E allora non ci saranno più dubbi. Lì avrete il piacere di conoscere i tre principali personaggi di questa insolita e unica stagione: il Principe, il Contadino e la Vergine. Il Princicpe, essendo tale, ha ovviamente una corona in testa, ma la sua è completata da lunghe piume di pavone. Il Contadino, che è anche soldato, oltre il correggiato per battere i legumi, ha anche la spada perché  deve proteggere la città mentre la Vergine impersona proprio la città e indossa una lunga tunica che  ricorda un po’ l’Imperatrice Agrippina, la dama più illustre della città. In realtà poi proprio di una vergine non si tratta perchè  la tradizione vuole che, a interpretarla, sia sempre un baldo giovane. Adesso, allo scoccare del giorno e dell’ora fatidica, con tutti quegli scaramantici numeri 11, viene pronunciato il tradizionale “Kolle Alaaf” e il Sindaco consegna alla grande triade la chiave della città perché, da questo momento, i padroni sono loro.4711_300ml

Due secoli fa hanno cercato di ridimensionare un pò il tutto, evitando qualche eccesso di troppo, tipico di queste situazioni, ma più di tanto non ci sono riusciti. Il Carnevale a Colonia deve durare  almeno tre mesi, disperdersi solo alle soglie della Quaresima  ed essere il più pazzo di tutti. Il culmine arriverà a febbraio con i “Tolle Tage,”  i fantastici giorni  mascherati per interpretare, ricordare e distruggere gente famosa a piedi o sui carri, per saltare e rotolarsi giù dai palchi, per cantare, bere e mangiare senza più  alcun freno.

Ma intanto, aspettando il clou, che quest’anno sta già per arrivare, liberatevi un pò di tempo per godervi Colonia… e le sue mille sorprese  Guidati dal suono delle campane delle 12 Chiese Romaniche prima o poi scoprirete i segreti della città. Un lieve profumo  vi  guiderà verso  l’Acqua di Colonia, che un immigrato italiano, Giovanni Maria Farina, portò in città circa tre secoli fa. Ritroverete tutto in un museo dedicato, dai flaconi delle epoche più disparate alle essenze da odorare in una stanza, quella appunto delle fragranze.  Quando ne uscirete  cercate di dimenticare in fretta  il profumo dell’Eau museo-cioccolata3de Cologne, perchè c’è un altro profumo che vi potrebbe interessare parecchio… quello della Cioccolata! Con il trenino del Dom o una passeggiata lungo il Reno si può raggiungere il Museo. L’hanno inaugurato meno di 20 anni fa, ma è così famoso … e benvoluto che ha 5  milioni di visitatori l’anno. Dopo i manifesti pubblicitari, dal ‘900 a oggi, dopo la pianta del cacao e la fontana di cioccolata, gettatevi nello shopping delle delizie. C’è persino il Duomo, in souvenir di cioccolata. A proposito lo sapete che vicino all’immenso Duomo – così alto che bisogna proprio vederlo a testa in sù – hanno scoperto il più grande Mosaico Romano di tutta l’Europa del Nord ? Un milione di tessere, contate scrupolosamente dai tedeschi, tenute  insieme  per un omaggio a Dioniso, in una villa del 3° secolo… Doveva già  essere buono a quel tempo il Vino del Reno!

Un giro per i Veedel, i quartieri bohemien è d’obbligo. Da una strada all’altra, fra una miriade di antiche fontane si arriva ad Agnesviertel e lì troverete piccoli atelier, gallerie d’arte, librerie, tanta  storia e un ‘antica porta di città, l’Engelsteintorburg. Se siete stanchi una sosta in una delle tante caffetterie è una visita che non dimenticherete. Vi sommergeranno di ogni ben di Dio solo ordinando una bevanda…01-colonia-carnevale-principe

Ma ormai ci siamo! E’ Giovedì Grasso! Il giorno  del “Carnevale delle Donne” che oggi prendono possesso della città! Vanno al lavoro già vestite in maschera, poi si ritrovano nella Piazza del Mercato Vecchio  e iniziano  la caccia al maschio… Baci rubati o taglio della cravatta fino a tarda notte! Da giovedì tutte le osterie, le taverne, i pub non chiuderanno più, né di giorno né di notte, sino a sabato, quando fra balli e maschere si farà il primo brindisi delle 10,30, e cominceranno a sfilare le “Giubbe Rosse”

Ma  il momento più spettacolare arriva lunedì, detto appunto “Lunedì delle Rose”… Una parata di carri e maschere, lunga 6  chilometri,  passa per la città fra musiche e balli, mentre centinaia di migliaia di  persone, anch’esse rigorosamente in maschera, accorrono in strada. C’è il lancio dei fiori e dei dolci e nessuno ne vuole fare a carnevalemeno. Più o meno arrivano sulla folla a braccia aperte, 144 tonnellate di caramelle, 700.000 barrette di cioccolato, più di 200.000 scatole di cioccolatini e  300.000 mazzi  di rose…. E raccolga chi può.

Nel giorno che chiude la scatenata festa, martedì, restano due cose importantissime da fare. La prima è assistere al Rogo del Nubbel, lo Spaventapasseri di paglia già pronto nelle birrerie per essere immolato ed espiare tutti i peccati del Carnevale. La seconda, dolcissima,  fare l’ultima mangiata di quei soavi, dorati Krapfen, che sono il simbolo non solo di Colonia, ma di tutti i Carnevali tedeschi…E’ l’ultima occasione. Già da mercoledì si serve in tavola il pesce della penitenza.

KRAPFEN (per 6 persone)

INGREDIENTI  per la pasta: Scorza grattugiata di 1 limone, 1 bustina di vanillina, 250 ml di latte, 5 gr. di sale, 150 gr. di burro, 150 gr. di farina 00,350 gr. di farina manitoba, 25 gr. di lievito di birra, 50 gr. di zucchero semolato, 1 cucchiaino di malto, 1 uovo intero e 4 tuorli, strutto per friggere.

INGREDIENTI per il ripieno: marmellata di albicocche 200 gr.krapfen

INGREDIENTI per la copertura: zucchero a velo q.b.

PREPARAZIONE: sciogliete il lievito di birra in una ciotola con 1/2 bicchiere di latte tiepido e 1 cucchiaino di malto. Mescolate il resto del latte con lo zucchero semolato,la vanillina e le uova, sbattute con una forchetta. Setacciate le farine e versatele nella ciotola di un mixer munito di gancio a foglia, poi unitevi la buccia grattugiata del limone, mettete in azione il mixer, unendovi, poco alla volta il composto di latte, malto e lievito  e subito dopo il composto di latte, vanillina, zucchero semolato e uova.

Lavorate gli ingredienti sino a ottenere un impasto omogeneo, quindi unite in due volte il burro ammorbidito e tagliato a pezzetti. Lavorate nuovamente l’mpasto fino a dargli una consistenza liscia ed elastica.

Ponete l’impasto in una ciotola, sigillatela con la pellicola trasparente e  lasciatelo lievitare in ambiente privo di  correnti d’aria per almeno due ore. Quando avrà triplicato il suo volume  stendetelo con un mattarello sino a formare una sfoglia alta circa 3 mm, dalla quale, con uno stampino, ricaverete dei dischi del diametro di circa 6 cm.

Ponete al centro di ciascun disco 1 cucchiaino di marmellata, spennellate il bordo con dell’albume, sottratto alle uova prima di sbatterle e incorporarle, poi ricoprite con un altro disco premendo bene i bordi.

Lasciate riposare i Krapfen per almeno 1 ora, poi scaldate  lo strutto, che deve essere abbondante per evitare che i krapfen si brucino e, a fuoco non superiore ai 170°c (Avrete bisogno di un termometro adatto), friggeteli pochi alla volta, rigirandoli su entrambi i lati. Toglieteli dal tegame con un mestolo forato, sgocciolateli e asciugateli con carta assorbente, poi cospargeteli con zucchero a velo.

Rose Monday Is Highpoint Of Carnival Season