Il Camoscio alla piemontese all’ombra di una dinastia!

32Quando nel ’39 a. C. Livia Drusilla andò sposa a Gaio Ottavio, aveva 20 anni, aveva appena divorziato dal primo marito, aveva già un figlio di tre anni Tiberio ed era incinta. Lui di anni ne aveva 24  e per sposare Livia anche lui aveva appena divorziato, da soli 3 giorni, dalla moglie Scribonia  proprio mentre nasceva la loro figlia Giulia.  Tre mesi dopo il nuovo matrimonio  nasceva Druso e nessuno ha mai saputo se quel figlio fosse del primo o  del secondo marito. Comunque  anche se di padre incerto il bambino fu subito amatissimo dal futuro Augusto… E poi lui e Livia erano  così giovani e avrebbero di sicuro avuto altri figli.. L’anno successivo  infatti nacque un altro bambino, ma morì subito e dopo  Livia non ne poté più avere…

Mentre il suo potere cresceva sino a farne il primo imperatore della storia di Roma, Augusto seguitava a covare l’amarezza per quel figlio mai avuto, a cui avrebbe voluto lasciare  il potere … La figlia Giulia non contava perché a Roma le donne non avevano incarichi pubblici… Dapprima  pensò che Marcello, figlio di sua sorella Ottavia  e primo marito di  Giulia  potesse essere l’erede, ma il ragazzo morì poco dopo, di tifo,  a soli 21 anni… Augusto allora obbligò Giulia a sposare Agrippa il  suo grande amico e comandante militare dell’Impero… anche se aveva il doppio degli anni della figlia…  Stranamente fu un matrimonio abbastanza felice e in meno di dieci anni ebbero 5 figli… Augusto adottò i due ragazzi   Lucio e Gaio e ricominciò a sperare… Anche quando morì Agrippa  c’erano ormai Tiberio e  e l’amatissimo Druso che proteggevano le frontiere…  E la figlia Giulia la obbligò a sposare proprio Tiberio, nella speranza  che il potere, anche in futuro rimanesse in famiglia…  Ma i due si detestavano..  E cominciò la seconda ondata delle tragedie…Druso,  abilissimo   in guerra, bello, amato da tutti  morì   in Germania a 29 anni e qualche anno dopo a distanza di   mesi morirono anche Gaio e Lucio… Dell’ultimo figlio di Agrippa e Giulia nemmeno a parlarne…  Agrippa Postumo sembra che fosse pazzo   e comunque Livia non lo voleva fra i piedi e riuscì a mandarlo via da Roma…  In linea di successione faceva troppa concorrenza  a Tiberio…  Più tardi sembra che lo fece uccidere… Era rimasto solo Tiberio, il ragazzo sgraziato e antipatico di cui Augusto non aveva mai voluto riconoscere il valore… E fu lui alla fine che ereditò quell’immane impero mentre Giulia moriva in esilio confinata dal padre per  troppi scandali e  troppi amanti… Forse la verità era un’altra, sembra che Giulia stesse organizzando una congiura per uccidere il padre, ormai stanca di tutte le violenze che lui aveva imposto alla sua vita privata…

Stranamente quell’antica tragedia dinastica alla ricerca di un erede, torna alla mente quando si pensa  agli Agnelli, la più potente famiglia italiana da  quasi un secolo, sempre alla ricerca di un erede per quell’immenso impero industriale della Fiat… Eppure Gianni Agnelli veniva da una famiglia numerosa… Erano ben 7 figli di cui tre erano maschi… Ma avevano avuto una giovinezza difficile… Il padre Edoardo, l’erede dell’impero muore a 42 anni prima ancora di  cominciare a condurre l’azienda… Il padre non si fida!  Nel 1935 Edoardo era a bordo dell’ idrovolante di famiglia e durante un ammaraggio all’idroscalo i galleggianti del velivolo urtarono un tronco vagante sull’acqua…  L’aereo si ribaltò ed Edoardo morì, decapitato dall’elica rimasta in movimento…  Era venuto meno l’erede dell’ industria e il nonno col tempo si affidò a un amministratore… Gianni   allora ha 14 anni e lui e i suoi fratelli  si trovano in mezzo alle battaglie legali combattute dal nonno    che li vuole sottrarre alla madre e dar loro un’educazione tutta Fiat… Alla fine vincerà la madre ma anche lei muore  presto in uno scontro con un camion degli alleati  sul finire della seconda guerra mondiale… Lui Gianni, il primogenito non potrà nemmeno mettere piede nell’azienda di famiglia  che è dominata da un uomo di fiducia del nonno… Così disse Vittorio Valletta al Delfino nel 1946 “Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io», al che  il giovane Agnelli rispose mondano e disinvolto: «Ma di certo voi, professore». E sparì per quasi 20 anni in giro per il mondo… Difatti l’erede Edoardo nasce a New York e la figlia Margherita in Svizzera…

Forse quando Gianni Agnelli, ormai per tutti l”Avvocato,” nel 1966 prende in mano le sorti della Fiat non  ha nemmeno il tempo per accorgersi  che Edoardo, quel bellissimo, esile  ragazzino  è pieno di fantasie, timidezze, introspezioni… Quando arriva all’Università di Princeton  ci va per studiare Lettere Moderne… Sostanzialmente Storia delle Religioni … E il padre comincia a sobbalzare… In Fiat c’è bisogno di qualcuno che sappia di   finanza o magari ingegneria o relazioni industriali… Si preoccupa davvero quando Edoardo comincia   i viaggi in India… Ci andavano in molti all’epoca, in cerca di spiritualità… dai Beatles   ai giovani hippies… E’ quasi una tappa d’obbligo…  In seguito Edoardo diventerà di casa  dall’Ayatollah Khomeini.  E’ entusiasta della rivoluzione religiosa che ha cacciato il laico  Sha Reza Pahlavi dall’Iran e si avvicina all’Islam sciita… Non è del tutto certo ma sembra che si converta col nome di Mahdi.

Ma nonostante le sue  forme ascetiche o forse proprio per questo Edoardo comincia a interessarsi dell’azienda di famiglia… Naturalmente a modo suo… Non concepisce aziende basate  esclusivamente sul profitto, approda al principio della solidarietà sociale e finisce in un ibrida posizione di   marxismo mistico… Inoltre è sensibile ai temi dell’inquinamento e vorrebbe  auto ecologiche. Ma quello che soprattutto colpisce la famiglia è l’accusa pubblica che  fa all’azienda di sfruttare l’intera collettività…   Il ricorso massiccio alla Cassa Integrazione e  gli sconti con  gli incentivi  alle vendite, forse a qualcuno sfugge,  ma vanno sempre  a gravare sullo Stato,  ormai sotto ricatto…  Ne va della pace sociale…  Forte è il timore che  la Fiat  faccia licenziamenti di massa a ogni minima crisi del mercato…

Molti così cominciano a pensare che Edoardo sia matto, ma proprio da quelle parti, a Ivrea, Adriano Olivetti ha costruito un diverso impero su quegli stessi principi  che  pronunciati da Edoardo sembrano follie…  In  sé l’esperimento era riuscito… A Ivrea c’erano  case e cultura agli operai, partecipazione alla gestione e abbandono dell’alienante catena di montaggio…  Solo per l’incapacità dei successori di Adriano andrà in rovina l’impero delle macchine da scrivere e tutto quello che di elettronico venne dopo…

La Fiat  comincia a dubitare di avere l’erede…  Degli altri due fratelli dell’Avvocato, Umberto già l’affianca in azienda, ma è già troppo in là negli anni per diventare un erede e l’altro Giorgio è morto giovane, senza figli, ricoverato a lungo  in una clinica svizzera per schizofrenia… Margherita,   è donna e alla Fiat  entrano solo gli uomini…  Come del resto succedeva negli antichi imperi…

La posizione di Edoardo diventerà insostenibile quando nel 1990 sarà arrestato in Kenia con l’accusa di possesso di eroina…  Passerà anche due notti in prigione dritto in piedi perché nell’orribile cella manca anche lo spazio per sedersi. Poi l’accusa si smonta e lui torna in Italia ma dopo pochi mesi  viene nuovamente accusato per un giro di droga … Anche stavolta  Edoardo  è innocente, ma deve ammettere la propria tossicodipendenza…

E’ il 1993 e Giovannino Agnelli il figlio di Umberto è diventato grande…  E’ un ragazzo simpatico, allegro e   preparato.. E’   ora  che entri nel Consiglio di Amministrazione… l’anticamera dell’Impero…   Lo zio Gianni esulta, ma è solo  per poco… La tragedia irrompe di nuovo  quasi senza preavviso … Nel 1997 a soli 33 anni Giovannino muore…  una malattia che  non gli da via di scampo…

L’avvocato ha il viso sempre più tribolato dalle rughe e una bocca amara dove è difficile rintracciare un sorriso… Però ci sono i figli di Margherita… Si chiamano Elkann , ma sostanzialmente John e Lapo sono cresciuti in Fiat dopo averli strappati alla madre… con la quale non parlano da anni..

Dopo la morte di Giovannino,  a soli 22 anni   John Elkann entra   nel Consiglio di Amministrazione .

Edoardo  è sempre più in ombra…  Ci soffre molto… Vive in una villa  di proprietà dei genitori, ma ne occupa solo la portineria… Fa ripensare  a Giulia la figlia di Augusto costretta nel suo esilio, in un alloggio di una sola camera…Una fredda mattina di novembre del 2000 Edoardo viene ritrovato morto alla base di un cavalcavia alto  più di 70 metri. Sembra si sia gettato  dopo aver lasciato  l’auto con il motore acceso…  L’inchiesta è rapidissima e si chiude in un giorno…   E’ suicidio!

Ma dopo qualche tempo cominciano i dubbi…  Troppe incongruenze in quella morte… Perché  era uscito senza scorta? Perché era vestito a metà con la giacca del pigiama sotto una normale giacca? A che ora è entrato in autostrada? Si dice alle nove del mattino, ma un pastore dice di aver visto il corpo sotto il viadotto alle 8… Come mai una persona che precipita per 70 metri ha ancora le scarpe addosso? Perchè il viso di Edoardo, trovato a faccia in giù non è devastato?    A chi dava fastidio Edoardo Agnelli? Qualcuno dice che volevano che rinunciasse   ai suoi diritti in Fiat in cambio di un po’ di soldi… E che lui testardamente non avesse accettato… Qualche giorno prima aveva detto a un amico di essere preoccupato…  Nel 2008 la televisione manda in onda uno speciale elencando tutti i dubbi e raggruppando testimonianze. Esce anche un libro “Ottanta metri di mistero – La tragica morte di Edoardo Agnelli”  Si chiede di riaprire l’inchiesta, ma sembra che nessuno lo voglia fare…

Oggi il potere della Fiat in buona parte è in mano all’ AD Sergio Marchionne…  Lui lo nega  ma  forse porterà via  la Fiat dall’Italia…  Magari un po’ per volta ora che c’è il partner Chrysler…  John Elkann è Presidente, ma  sembra solo… Suo fratello Lapo  un ragazzo estroverso e pieno di fantasia, che curava  l’immagine dell’Azienda se ne è dovuto andare dopo essere finito all’ospedale, in coma, per un overdose… L’ambulanza è arrivata appena in tempo nella casa del trans, dove stava quasi per morire…

La figura gentile di Edoardo con la morte sembra aver acquistato spessore…  Ne parlano tutti con rispetto… In qualche modo la morte lo ha ricongiunto alla famiglia…

Si dice che a casa dell’Avvocato si mangiasse sempre poco, ma prodotti di qualità vicino alla terra…  Erano piemontesi e  molto attaccati alle loro tradizioni… Sicuramente  ” Il  Camoscio alla  Piemontese con la polenta” lo conoscevano bene…

CAMOSCIO ALLA PIEMONTESE CON POLENTA

INGREDIENTI PER IL CAMOSCIO per 6 persone: spalla o petto di camoscio kg 1, burro grammi 120, farina bianca 30 grammi, 1 bicchiere di aceto bianco di qualità, 1 carota, 2 coste di sedano, 2 cipolle, salvia e rosmarino,  4 cucchiai di olio extra vergine di oliva , 1 bicchiere di brodo di carne di manzo,  1 cucchiaino di zucchero,  sale e pepe.

INGREDIENTI PER LA POLENTA per 6 persone: faina gialla bramata cioè a trama grossa grammi 500,  acqua 1,750 litri, sale q. b.

PREPARAZIONE DEL CAMOSCIO: tagliate il camoscio in pezzi piuttosto grossi, poi adagiateli in un tegame di terracotta, unite la carota affettata, le coste di sedano a pezzetti, un po’ di salvia, un rametto di rosmarino  e l’aceto. Lasciate la carne a macerarsi per 24 ore e anche di più, poi affettate le cipolle e fategli prendere colore in una casseruola sul fuoco in 50 grammi di burro,poi unite la farina impastata con 30 grammi di burro e lasciatela dorare, poi aggiungete  il brodo e fate cuocere il tutto per 5 minuti.  Mettete una padella sul fuoco con il restante burro e l’olio, poi aggiungete i pezzi di camoscio scolati dalla marinara, asciugati e infarinati. Quando il grasso del camoscio si sarà sciolto togliete la carne e mettetela nel tegame delle cipolle, salate e pepate. Terminate la cottura  coprendo il tegame e a fuoco basso per circa due ore.

PREPARAZIONE DELLA POLENTA; in una pentola capoiente portate a ebollizione l’acqua e fatevi cadere  un po’ per volta  a pioggia la farina mescolando  ogni con un cucchiaio di legno affinché non si formino grumi; seguitando a rimestarla fatela cuocere per 50 minuti e non meno perché la polenta poco cotta può far male. A fine cottura riversatela su una spianatora di legno  e poi tagliatela a fette abbastanza spesse.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO: Distribuite 1 o più fette di polenta sul piatto di ciascun commensale, sistemateci sopra il camoscio e poi dopo aver passato al setaccio il sugo di cottura   versatelo sulla carne.

A colazione da Sherlock Holmes con il Kedgeree…

Che cosa non sono capaci di inventarsi due  ragazzine  che tornano a casa in ritardo con i vestiti bagnati ! Quella volta Frances ed Elsie superarono se stesse…. “Si erano sporte troppo ed erano scivolate nel ruscello mentre guardavano le fate..”. Visto che i genitori le guardavano allibite, per essere  credute si dovettero “sporgere” ancora di più… Ed Elsie chiese in prestito la macchina fotografica del padre… Quando tornarono dal fiume la seconda volta avevano scattato una foto sensazionale, in cui appariva Frances circondata da 4  fate  danzanti… Qualche mese dopo Elsie fu  fotografata in un prato mentre stava conversando con un  folletto alato. Dopo un certo intervallo le foto diventarono 5. Le creature del bosco, non c’è che dire  erano deliziose, e le due ragazzine  ingenue  avevano tutto l’aspetto della verità,  anche se  le fatine somigliavano  un po’  a quelle  dei  libri illustrati  per bambini… Scoppiò in tutta l’Inghilterra il caso di “Cottingley Glen” con le opposte fazioni scese in campo., una che ci rideva su e l’altra che sognava…

Per stabilire la verità fu interessato  anche Sir Arthur Conan Doyle, autorità in campo investigativo per molti,  esperto di fotografia, secondo lui…  Aveva esaminato le  foto senza trovare nessun sintomo di trucco o di doppia esposizione… Arthur Conan Doyle, l’uomo del giallo deduttivo, nel 1920 alla faccenda  dedicò   anche un saggio, “Il ritorno delle fate”,  che lasciò perplessa parecchia gente, anche se lui, per essere più convincente aveva fatto i suoi riscontri  applicando l’infallibile  metodo di Sherlock Olmes…  E fece un errore, perchè  avrebbe dovuto chiamarlo direttamente Sherlock Holmes, che gli avrebbe con facilità spiegato che  le fate  erano semplici ritagli di carta, retti da bastoncini durante gli scatti. Anche un cretino l’avrebbe capito…

Il fatto era che il grande scrittore  era un pò geloso di Holmes…  Aveva troppo successo, troppo prestigio, troppa fama… E dire che per dargli quel forte istinto  da detective si era ispirato  al famoso chirurgo Josep Bell, l’uomo che più aveva ammirato e con cui lui aveva fatto il suo tirocinio di medico… Già perché Sir Arthur la laurea in medicina l’aveva presa con tutti gli onori… e ciò gli aveva consentito di diventare l’assistente del brillante e freddo dottor Bell, famoso per il suo metodo scientifico e le sue abilità deduttive…  “Certo, voi siete un militare, e più precisamente un sottufficiale”, aveva detto  un giorno ad un paziente appena introdotto nello studio “ed avete prestato servizio alle Bermude. Ora, Signori, come faccio a saperlo? È entrato nella stanza senza togliersi il cappello, come se entrasse in fureria, da cui ne ho dedotto che era un militare. L’aria leggermente autoritaria, abbinata all’età, mi ha fatto supporre che fosse un sottufficiale. Per finire, l’eruzione cutanea sulla fronte mi ha indicato che era stato alle Bermude, in quanto quel tipo di infezione della pelle colpisce solo in quel luogo”. Da qui nasce il giochino di Holmes di squadrare la gente per indovinarne la professione…

Con tutta quella pratica Arthur pensava che le porte della medicina si sarebbero spalancate tutte al suo passaggio e invece passa da una delusione all’altra… Fu in uno studio vuoto, dove di  pazienti nemmeno l’ombra, che riprese l’abitudine di scrivere…  Pochi se ne erano accorti ma lui  ci aveva già provato…   Racconti e articoli medici, in uno  dei quali raccontava le sensazioni di un nuovo sedativo che aveva  sperimentato di persona. E qualcuno dei pochi   lettori si era chiesto come aveva fatto uno, così sedato,  a prendere appunti così precisi sugli effetti del medicinale mentre stava, se non dormendo, dormicchiando.
Ma dato che Sir Arthur era  un eccentrico dagli strani interessi, nel 1880  aveva  pubblicato “Il racconto dell’americano”, dove una mostruosa pianta, originaria del Madagascar, si ciba di carne umana.  Lui non lo  sapeva ancora, ma con un po’ di orrore, di mistero e di soprannaturale aveva aperto un filone … Lo riprenderà  parecchie volte anche con il  personaggio serial, il Dr  George Challenger,  lanciato  nel 1912 con il “Mondo Perduto…” Un’ avventura su un altopiano del Venezuela, popolato  da Dinosauri & Company, tutti preistorici  D.O.C.. . Al Cinema i Mondi Perduti diventeranno 8  accompagnati da un  Jurassic Park che mediaticamente  li supererà tutti…

Ma il quel 1887 mentre aspettava di diventare un medico, se non di fama, almeno di moda, mentre le speranze si facevano sempre più piccole, con un guizzo della sua inesauribile fantasia, trasformò quello studio vuoto in “Uno Studio in Rosso… ” Era appena l’inizio del successo  universale che arrivò tre anni dopo con…”Il segno dei quattro”… Sherlock Holmes  era in pole position…… “Il suo sguardo era acuto e penetrante e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia.” Quanto alle sue  cultura secondo Watson,  l’assistente, spesso trattato   con sufficienza dal  grande maestro, Holmes, conosceva bene  la letteratura criminale, la chimica e  la logica, era un ottimo violinista e un bravo schermitore, ma del resto non ne voleva nemmeno sentirne parlare… gli  poteva confondere le idee, rischiando di allontanarlo dal suo  rigore tutto deduzione…   Era senz’altro distaccato  dagli uomini e dalle cose… Non parliamo poi dell’amore e delle donne…   Un misogino  che cerca solo   di tenerle lontane  “l’amore è un emozione… che contrasta con la fredda logica… Solo Irene Adler, che riesce ad ingannarlo e, quindi, é più brava di lui,   susciterà  la sua ammirazione e forse qualcosa di più…  Holmes ha anche qualche abitudine un po’ discutibile “… Si rimboccò la manica sinistra della camicia… Infine si conficcò nella carne  la punta acuminata, premette sul minuscolo stantuffo e poi, con un profondo sospiro di soddisfazione ricadde a sedere nella poltrona di velluto” Era l’epoca in cui la scienza riteneva che la droga ampliasse la mente,  ma poi come il vento dell’opinione pubblica girò in senso inverso,Sir Arthur, progressivamente smise di parlare dei vizi privati del suo eroe…

2953693-painting_sherlock_holmes_by_ineer-d5krpt44 romanzi e 56 racconti,il cosidetto “Canone”, tutti calati fra l’osservazione del particolare e la deduzione finale…  Solo dopo che ha scovato i  dettagli, anche i più insignificanti e stravaganti, Sherlock comincia l’elaborazione dei dati e solo alla fine le conclusioni… Sembra quasi un computer  Holmes,  sempre lì a ragionare come il suo impareggiabile alter ego… il Dr Joseph Bell, di cui conserverà sempre  memoria…

Poi un pò per volta affiora  il problema… Sir Arthur non ne poteva proprio più di Sherlock Holmes così  affascinante, intelligente, dall’alta elegante figura… Lui che era grassoccio e sempre un po’ trasandato… Cercò più volte di liberarsene senza riuscirci…  A furor di popolo dopo averlo fatto precipitare nella turbolenta cascata assieme al suo nemico Moriarty fu costretto a farlo resuscitare… Si dovette persino giustificare, dicendo che Holmes era andato a lavorare per i servizi segreti… Roba da top secret di cui non aveva potuto parlare  ai suoi lettori…

In realtà i soldi che Holmes guadagnava  servivano  a Sir Arthur per appagare la  sua più grande passione… Lo Spiritismo.  L’interessese subito eccessivo, per le sedute spiritiche era iniziato  nel 1887. Mentre stava scrivendo “Uno studio in rosso”,  ogni tanto liberava il tavolo dalle scartoffie  per far posto  al medium…   Voci strane, soavi  o cavernose, lingue straniere e sconosciute,   il tavolo che si alzava  per aria… Arthur Conan Doyle, il medico allievo del grande scienziato Bell, figlio del positivismo  ottocentesco e  padre  del personaggio più razionale di tutti, a cavallo dei due secoli era ormai sicuro che l’anima viveva  senza il corpo…  Tale era la sua passione che non si rese conto che molti cominciavano a prenderlo in giro  e a dubitare della sua sanità mentale… Soprattutto quando il fatto  venne enfatizzato   dalla storia di Cottingley Glen e dal suo libro sullo spiritismo…  Ma non ci fu niente da fare … La vita oltre la morte divenne  il suo credo definitivo sino alla fine… Si fa per dire fine, perché cominciarono le testimonianze postume… La sua voce parlò ancora e a lungo attraverso i più famosi medium dell’epoca come ad esempio, Eileen J.  Garrett, colei che l’aveva coinvolto nel caso Cottingley Glen… La Garrett arrivò persino a organizzare una seduta medianica a Londra, dove fu usato un complicato sistema di controlli a raggi infrarossi che, si dice, accertò  una materializzazione invisibile all’occhio umano… Ciò considerato, e’ troppo  da appassionati lettori di Sherlock Holmes, chiedere a Sir Arthur, di inviarci un raccontino, anche breve, dall’al di là?

In omaggio alle origini di Conan Doyle, proponiamo un piatto scozzese  con apporti indiani, diffuso in tutta l’Inghilterra vittoriana, che, se anche non è espressamente citato nel “Canone ” di Sherlock Holmes,  la sigrora  Hudson, la governante di origini scozzesi, sicuramente  avrà portato spesso in tavola per la colazione, nel salotto di Baker Street.

KEDGEREE

INGREDIENTI per 4 – 6 persone: 250 grammi di riso bhasmati, 450 grammi di haddock affumicato (che può essere ben sostituito dal  merluzzo fresco), acqua e sale per la cottura, 3 uova sode, una manciata di prezzemolo tritato,  20 grammi di burro, 1 cucchiaino di curry di Madras.

PREPARAZIONE: bollite il riso in una quantità di acqua doppia del suo volume, appena salata, per 15 minuti e senza mescolarlo. Poi scolatelo  e tenetelo da parte. In un tegame largo fate sobbllire una miscela formata da metà acqua e metà latte,sufficiente a coprire interamente il pesce che metterete nel tegame appena la miscela inizia a bollire. Fate cuocere per 8 minuti circa. Fate rassodare 3 uova mettendole nell’acqua bollente per 6 minuti circa tagliate poi a pezzi o rondelle e mescolatele al prezzemolo. Tagliate a pezzi il pesce bollito dopo averlo estratto dal tegame e mescolatelo con il burro fuso,,il curry e metà delle uova sode e rimettete il tutto per qualche istante nel tegame. Trasferitelo poi in una pirofila cosparso delle rimanenti uova sode e mettetelo in forno alla temperatura di 150°C per qualche minuto. Servitelo caldo.

 

Il Gaspacho di Pedro!

Una specie di Lampada di Aladino…  Non si finì nemmeno di svitare il tappo che venne fuori, irruenta e inarrestabile, col frastuono delle band, le parole urlate dei poeti  e i giovani  nelle strade, di notte, già immemori della cappa di piombo  che  tutto aveva avvolto   per quasi 40 anni … Arrivava la Movida, creativa, chiassosa, poetica, senza  freni, inneggiava  alla musica e alla droga insieme, nella disperata voglia di recuperare gli anni  letali della dittatura …Madrid, della “Movida” fu il  primo Testimone…  Il passato era quello che era…   Da dimenticare, il presente, invece era tutto da vivere e il futuro da immaginare…

All’epoca, ancor  prima  che iniziassero gli anni ’80, l’ultimo Don Chisciotte  venuto dalla Mancia si trovava a Madrid già da parecchio, nascosto sotto la divisa di un anonimo centralinista della  “Telefonica”, la Compagnia Nazionale  di Spagna. Una divisa che di sicuro gli stava stretta… ma non aveva fatto in tempo ad entrare nelle sospirate scuole di cinema perché il regime franchista le aveva chiuse tutte. Con lo stipendio  era riuscito però a comprarsi una macchina da presa… una Super 8… Dal 1972 al 1978 gira cortometraggi…, i suoi biglietti d’ingresso nel mondo della Movida  e il suo nome, sconosciuto ai più, diventa rapidamente famoso negli ambienti underground .  Fa l’attore di teatro coi “Los Goliardos “, scrittore di racconti  e di  fumetti porno… Patty Diphusa è una star in viaggio all’interno della “movida”, tra avventure, droghe, sesso, musica e  un catalogo dissacrante, ironico dei vizi cittadini…

Ma lui è prima di tutto Don Chisciotte e nel 1980 comincia seriamente a difendere le donne… Certo Pepi è una ragazza un po’ particolare che coltiva droga sul suo terrazzino, ma la violenza è sempre violenza e il poliziotto che l’ha fatta non se la caverà facilmente  “Pepi, Lucy, Bom e le altre ragazze del mucchio”, nel suo voluto trash è un film  di storie grottesche, esagerate e sempre più complicate che alla fine, come in altre opere di Almodovar, si scioglieranno  quasi miracolosamente nel ritorno alla normalità…  che sarà poi il  modo più graffiante  per  fare il verso alle telenovelas,  una delle chiavi di lettura di Almodovar. L’altra chiave di lettura  sono le donne e  fortunate le attrici che lavoreranno  nei suoi film  perchè diventeranno miti nel cinema internazionale, da Carmen Maura a Penelope Cruz…

Con Pepi, Almodovar è ormai lanciato  e a ritmo  serrato  girerà “Labirinti di passione”, con i suoi intricatissimi amori  omo ed etero e “L’indiscreto fascino del peccato” con una  incursione nel mondo dei conventi femminili dove però  accanto alla graffiante satira c’è  l’umana complicità col mondo  delle donne.

“Che ho fatto io per meritare questo?” sfiora il capolavoro con  la disperata figura di Gloria, una delle donne più difese e amate da Almodovar -Don Chisciotte… Gloria che sia pur non volendo,  ammazza il cattivo marito con quel provvidenziale osso di prosciutto, mentre il figlio 12enne  viene venduto al dentista gay e il figlio più grande spaccia droga col sogno tutto melò di tornare in paese con la nonna…

Quando nel 1987 Almodovar riuscirà ad avere una casa di produzione con il fratello  è già al top  e l’Occidente famelico  è  lì ad aspettare le nuove storie come se si trattasse di un lungo romanzo a puntate… “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” , dove le pazze isteriche donne sono sempre le migliori e le più generose, perché  il sarcasmo di Almodovar è tutto per gli uomini e   le segreterie telefoniche… Una piccola vendetta per i 12 anni passati alla reception… E poi a seguire “Legami” con un giovane ottuso Antonio Banderas, il tragico “Tacchi a spillo” con l’eccentrica  madre che in punto di morte salva la figlia e ” Carne  Tremula”

Un cinema sempre più trasgressivo, scatenato… Le sceneggiature sono  assurde   ma così  travolgenti  che lo spettatore le accetta come realtà quotidiana … Nel 1999  quello che vince l’Oscar, il David,  il Cesar e il Golden Globe “…E’ “Tutto su Mia Madre,”  il capolavoro… E’ una delle storie più strane fra tutte  quelle  strane di Almodovar…  Con  una bellissima trans padre di due figli, una  dolcissima suora incinta e  sieropositiva, un’elegia  senza fine del dolore e della salvezza… Forse  il top della raffinatezza formale e un cast di attori fantastico… Antonia San Juan nella parte di Agrado, la prostituta trans diventerà cult……

Il secolo nuovo  porta altri  film,  “Parla con Lei”, che prenderà un altro Oscar  e “Volver” quello che più si avvicina agli intricati rapporti femminili delle origini, ma Almodovar inesausto comincia a battere strade nuove col crudele fantascientifico “La Pelle che Abito” mentre  si abbandona al suo grottesco sarcasmo contro i passeggeri di un aereo in pericolo che diventano il simbolo della Spagna  nella crisi economica…

Dallo schermo gli infiniti personaggi di Almodovar sono li a guardarci, a scrutarci pronti a  cogliere le nostre debolezze, le nostre ipocrisie e anche  quel poco di buono che è in noi. Nonostante il mondo assurdo in cui vivono, in fondo è fin troppo  facile  capirli e identificarcisi,  anche perché i gesti quotidiani, le  tradizioni o i  sentimenti  sembrano identici…

Uno dei vettori che Almodovar adopera a piene mani per legare assieme personaggi e spettatori è la cucina… Che per lui e il suo vissuto è stata importantissima… Tutto nella sua infanzia si era consumato nella cucina dei suoi genitori…

E così davanti a un bicchiere di vino molti personaggi rivelano  se stessi,  nella cucina  si prendono le decisioni più importanti, e seduti ad un tavolo imbandito si cerca di salvare il salvabile o di trovare nuovi accordi.  Pepa in “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” prepara un gaspacho al sonnifero  per trattenere l’amante in fuga  e in quel frullatore che gira vorticosamente  mischia, con  i suoi dispiaceri, pomodori, cetrioli, peperoni, cipolla, sale e pepe… alla ricerca di equilibri impossibili.  Ne “Il Fiore del mio Segreto” Leo Marcia cerca di riaccendere la passione del marito che la vuole lasciare con  la “Paella”, “Tutto su mia madre” inizia  con Manuela  che prepara una ricca insalata… Lattuga, patate lesse, acciughe, pomodori,basilico e cipolla  mentre poi, dato che è la madre di tutti, preparerà per  Agrado  un pasticcio di carne e altre specialità.  Rosa invece  mangia  da un take away,    Benigno, in “Parla con lei” seduto al tavolino di un bar, intinge nel latte una brioche subito dopo aver abusato di Alicia  e in “Volver” la madre, fantasma, ma sempre madre, prepara maiale per le figlie…  Senza parlare dei cioccolatini con la scatola a forma di cuore di “Legami”  o il pane tostato con l’aranciata di “Carne Tremula” davanti ai quali la protagonista confessa il suo tradimento

gazpachoFrastornati dall’esuberanza di Almodovar naturalmente eccessivo anche in cucina, nell’imbarazzo della scelta che ne  è derivato   e nella primavera che ormai avanza,  alla fine abbiamo deciso per il “Gaspacho,” la fresca  zuppa estiva che è quasi un simbolo della Spagna in cucina… Ovviamente senza aggiunta di sonniferi o tranquillanti!

GASPACHO ANDALUSO

INGREDIENTI per la zuppa, per 4 persone: 1 peperone verde e 1/2 rosso, 1 cetriolo,  1 cipolla rossa di Tropea, 1 spicchio di aglio, 1/2 bicchiere di aceto bianco, 50 ml di olio extra vergine di oliva,  100 grammi di mollica di  pane raffermo, sale e pepe a piacere, pomodoridsa sugo rossi 600 grammi,

INGREDIENTI per accompagnare la zuppa: 2 pomodori rossi tagliati a dadini,2 fette di pane  tostato  tagliato a piccoli pezzi, 1 cetriolo  tagliato a listarelle o a dadini, 2 uova soda  sbriciolate,  2 cipolle di Tropea a strisce sottili.

PREPARAZIONE: fate ammorbidire il pane raffermo nell’acqua e l’aceto, tagliate a piccoli pezzi i pomodori, i peperoni,il cetriolo, la cipolla e l’aglio e frullate il tutto aggiungendo l’olio poco per volta  sino a ottenere una vellutata a cui aggiungerete il pane, il sale e il pepe e frullerete nuovamente. Fate riposare il Gaspacho per qualche ora e al momento di servire, se già si sente il caldo estivo, aggiungete in ogni singola  scodella un cubetto di ghiaccio e portate in tavola le verdure , le uova e il pane di accompagnamento che i commensali,a loro piacimento,aggiungeranno alla zuppa.

Fra terra e mare… Livorno, Modigliani e il Cacciucco…

Non c’era più niente da fare… I Pisani avevano lottato a lungo ma dove una volta c’era il loro orgoglioso porto, ormai era tutta una distesa di sabbia, da cui  emergevano a tratti, in un’atmosfera  surreale, le antiche strutture marinare…  Era l’inizio del XVI secolo e questa fu la prima delle fortune di Livorno …  dove  ebbe inizio una straordinaria avventura! Era vicina a Pisa, c’erano già delle fortificazioni  e l’acqua lì, di certo non mancava. Così i Medici decisero di ampliarla e  costruirvi il nuovo Porto.  L’altra fortuna di Livorno fu l’arrivo dei mercanti Ebrei, che  scappavano perseguitati, ma con parecchi  averi, dalla penisola iberica, dopo “la reconquista” cristiana. A Livorno vissero  liberi  come gli altri cittadini e  al contrario del resto d’Italia e d’Europa , non c’era nessun ghetto dove andarsi a chiudere nelle ore serali … Evidentemente la libertà fa bene… Perché col tempo, divennero la più importante comunità ebrea d’Italia. Poi cominciarono ad arrivare  anche  altri mercanti, di “qualsivoglia natione” perchè i Medici, liberali e affaristi come erano sempre stati, avevano emanato quelle specialissime “Leggi Livornine” che garantivano a tutti libertà di culto e  annullamento di tutte le condanni penali… eccezion fatta per gli assassini e i falsari. …

  Non ci volle poi molto a fare le strutture portuali e la città nuova… Un doppio molo e  un canale navigabile tra Pisa e Livorno, mentre si progettava la “città ideale”… Con squadra, compasso e i minimi particolari… Una splendida città, con quartieri, piazze e strade di grande  respiro, ma anche una città-fortezza  a pentagono, avvolta dentro mura  imponenti, baluardi e fortificazioni …  Perchè all’epoca  risalivano ancora a depredare il Tirreno le navi pirata dei Mori e Saraceni…   Ma quello che segnò definitivamente il destino di Livorno fu la sua proclamazione  di  porto franco  che la fece diventare il porto  più ricco di tutto il Mediterraneo e  anche uno dei più caratteristici con le navi che  giravano tranquillamente dentro la città dove,  lungo i canali navigabili  di Venezia Nuova, c’erano i magazzini dei grandi Import – Export, pronti ad accogliere o caricare le merci che venivano da tutto il mondo.  Nei secoli la città crebbe… alla fine del ‘700 arrivarono i Granduchi di Lorena dopo che i Medici si erano estinti… Erano fissati con  l’irrigazione e le acque… A Livorno ampliarono  i canali,  costruirono  altre darsene interne, lungo il circuito delle nuove mura daziarie, seguendo l’inclinazione naturale della Città…   Mentre il mare entrava  docile nei muraglioni di contenimento e  formava nuove vie d’acqua.

Il primo colpo all’economia della città  pensarono bene di assestarlo, verso la fine dell’800, gli ottusi regnanti dell’Unità d’Italia… quelli dell’indipendenza  tanto desiderata che portò più danni che felicità… Tolsero il porto franco e i commerci precipitarono … Per fortuna  i Livornesi erano gente sveglia…  divennero in fretta centro industriale con i cantieri navali, poi accolsero l’Accademia Navale e infine si trasformarono in città turistica e centro benessere con gli eleganti stabilimenti termali e balneari…  Per il cinema poi ci fu una passione precoce perché già nel 1896  si proietta il Cinématographe Lumière …

Città di forti contraddizioni, nel 1921 vide  la nascita del Partito Comunista, ma poichè era anche la patria del genero di Mussolini, la famiglia Ciano pensò bene di dargli una nuova dignità urbanistica all’altezza del suo lignaggio e cominciò a sventrarla per fare spazio a imponenti e retoriche piazze e architetture di regime, sacrificando e ricoprendo alcuni canali… Il resto lo fece la guerra e i 99  bombardamenti sulla città per colpire il porto e le industrie …E questo si potrebbe anche capire. Quello che fu un delitto, fu la distruzione del centro storico con incursioni specificamente  dedicate.

Ci mise tanto a risollevarsi… Ma se vi capita di andarci potete  trovare ancora una parte della Venezia Nuova, la grande Fortezza circondata dall’acqua, il Museo Fattori  in una deliziosa villa dell’800 che ospita i macchiaioli … E la luna che di notte riesce ancora a creare  i suoi antichi miti… “Le Notti Bianche” non a caso l’hanno girato a Livorno.  In città c’è un’atmosfera  gentile, di grande cortesia… si sta proprio bene a Livorno, ma non andatelo a raccontare a nessuno … Loro non vogliono… Temono che arrivi troppo turismo!

L’arte a Livorno è stata sempre di casa e gli scambi culturali con quel porto spalancato sul mondo sono sempre stati ricchi… E tuttavia c’è stato un momento magico  quando con Parigi si era stabilito un rapporto  di scambio del tutto paricolare, tanto che Oscar Ghiglia uno dei post macchiaioli più cosmopoliti così scriveva “…C è stato un momento anni fa, quando Mascagni musicava a Parigi la Parisina e Cappiello era il re del cartellone francese e Niccodemi uno dei principi del teatro boulevardier e Modigliani dipingeva a Montparnasse quei suoi strani quadri (…) che Parigi poteva sembrare un mezzo feudo artistico dei livornesi…”

Ecco fra tutti gli artisti uno più grande dell’altro, un pensiero particolare va ad Amedeo Modigliani e non solo perché forse è stato il più grande di tutti, ma perché lui, ebreo sefardita, forse era il più livornese di tutti, erede di quei pionieri arrivati in fuga, che assieme al Granduca di Toscana dettero vita a una delle più originali e avveniristiche città e all’ inizio all’età moderna.

Una vita sciagurata fra malattia, droga e alcol, quella di Modi, il Maledetto, come suonava in francese quel diminutivo, dove solo l’arte annullava  le sue umane miserie e le sublimava nei dipinti e nelle  sculture, che non seguivano alcuna corrente  ma scendevano all’origine di tutte le rappresentazioni… All’arte primitiva, all’Africa nera, dove la forma era sintesi, eleganza ed emozione  mentre il colore  che ricopriva quella forma era caldo, sensuale ed esprimeva la gioia  e la passione di vita che lui  non sapeva trovare al di fuori…

Dopo qualche anno che stava a Parigi tornò a Livorno, era  roso di nostalgia ma  non ci rimase a lungo… Lì era sotto gli occhi di tutti con la sua malattia e tutto il resto.. Probabilmente sapeva che era un addio…  Ma preferì tornare a Parigi e perdersi a Montparnasse, sconosciuto e immenso  mentre faceva i suoi rapidi schizzi ai clienti dei ristoranti in cambio di un po’  di assenzio… per poter continuare a dipingere.!

A Livorno il Cacciucco è il piatto nazionale, non solo cibo, di sicuro un modo di vivere… All’inizio era un piatto dei poveri, che i pescatori preparavano con gli avanzi della pesca…Mascagni  era un appassionato e se lo cucinava da solo in estenuanti gare con Puccini… Forse anche Modigliani tornò a Livorno per sentire ancora  il colore e l’odore del mare  in quella zuppa di pesce…

CACCIUCCO ALLA LIVORNESEricetta-cacciucco-cacciucco-livornese

INGREDIENTI per 6 persone: 500 grammi di polpo, 500 grammi di seppie, 300 grammi di palombo a trancio, 500 grammi  di scorfano, gallinella o altro pesce da zuppa, 500 grammi di crostacei misti cicale, scampi, gamberi, 500 grammi di cozze, 500 grammi di pomodori pelati, 3 spicchi di  aglio, qualche foglia di salvia, due peperoncini secchi piccoli o anche qualcosa in più se piace, 1 cipolla,una carota,un gambo di sedano, 1 bicchiere di vino rosso,olio extra vergine di oliva 4 cucchiai, 6 fette di pane casereccio toscano, una manciata di prezzemolo.

PREPARAZIONE: Prendete una casseruola di grandi dimensioni, possibilmente di terracotta e mettete a soffriggere a fuoco basso, nell’olio, 2 dei tre spicchi di aglio “in camicia,” e il ciuffo di salvia. Quando l’aglio è dorato,versate la metà del vino, aggiungete i peperoncini e fate sfumare a fuoco vivace. Togliete dalla casseruola l’aglio, la salvia e i peperoncini e metteteci  il pesce perfettamente pulito e lavato. Cominciate con  il polpo tagliato a pezzi e precedentemente battuto per ammorbidirlo. Dopo 15 minuti aggiungete le seppie tagliate a pezzi alle quali, durante la pulizia avrete tolto anche la sacca del nero. Fate rosolare e sfumate con il restante vino. Aggiungete i pomodori pelati a pezzi con la loro acqua, coprite e abbassate la fiamma. Mentre il pomodoro cuoce prendete una pentola riempita di acqua in cui metterete la cipolla, il sedano, la carota e i pesci da zuppa. Portate a bollore  e quando i pesci  sono cotti, toglieteli  dall’acqua e riduceteli a una polpa nel passatutto, togliendo prima allo scorfano la  sua corazza. Dopo che avrete versato la polpa ricavata, nella casseruola del pomodoro, mettete nel passatutto anche  la corazza dello scorfano da cui ricaverete  sicuramente altra polpa  e liquido da aggiungere alla casseruola dei pomodori. Ricordatevi di non buttare via il brodo di cottura perché potrebbe servire… Quando il polpo e  le seppie sono ammorbidite e ci vorranno circa  25 minuti dal momento in cui avete aggiunto le seppie, aggiungete i crostacei e il palombo  a rondelle. Fate cuocere per non più di 10 minuti altrimenti i gamberi possono indurirsi, aggiustate di sale e pepe  e aggiungete per pochi minuti ancora, le cozze. Quando le valve si aprono il cacciucco è pronto. Se il sugo si fosse troppo ristretto aggiungete  il brodo che avete tenuto da parte.

Servite su scodelle dove  su ciascuna di esse, avrete già poggiato una fetta di pane bruscato, strofinato con lo spicchio d’aglio non consumato e spolverizzate le porzioni col prezzemolo tritato. ATTENZIONE! Il Cacciucco, data la ricchezza del suo gusto, si accompagna esclusivamente con un vino rosso giovane.