Stinco di maiale all’Oktoberfest!

926hippodromForse perché la vita si sta allungando, ma i suoi duecento anni  non li dimostra affatto. Si chiama Oktoberfest, ma  si svolge a settembre e il mese di ottobre al massimo lo sfiora, perché da quelle parti sta già arrivando il freddo. Sull’immenso  prato un grande Luna Park e 6 enormi padiglioni, i Festhalle, dove di mangia si suona e si canta, ma soprattutto dove  la birra scorrerà a fiumi. Il primo sabato, quando la festa è già dichiarata, tutto in realtà è sospeso, fermo, in attesa della “Sfilata dei carri” che, dalle varie birrerie, traspostano i fusti di birra verso il luogo della festa. Suona la banda e il  Sindaco, in testa, guidaludwig1864 la parata. La festa può iniziare solo quando il Sindaco inserisce un rubinetto nella botte inaugurale e spilla la  prima birra. Poi pronuncia la frase magica: “E’ stappata! ” e  subito cominciano due settimane e tre weekend durante i quali Monaco di Baviera impazzisce. Qualche numero per rendersi conto?  6 milioni di persone in 16 giorni, negli enormi tendoni che  ne contengono ciascuno dai 3 mila ai 10 mila per volta, 7,5 milioni di boccali di birra e tutti da un litro, perché  se si chiede il bicchiere più piccolo c’è il rischio che ti guardino male e ti mettano a disagio.

Ma come è cominciato tutto questo?  Era l’anno di grazia 1810. Napoleone  allora si divertiva a ridisegnare l’Europa, dopo ogni battaglia vinta. Così grazie ai suoi buoni auspici, la Baviera, da secoli un po’ Contea e un po’ Ducato, proprio da poco era diventata un Regno e le nozze dell’erede al trono, che sarà poi Ludwig I di Baviera, furono particolarmente grandiose. Ai festeggiamenti, bontà reale, invitarono tutti i cittadini di Monaco e fu giocoforza  svolgerli  all’aperto, su un prato  fuori  città che, da quel momento, in onore della sposa, fu chiamato Theresienwiese.  Quell’anno ci fu una corsa di cavalli e l’anno successivo, visto il successo rifecero la festa, aggiungendoci la fiera dell’agricoltura.

ImperatriceSissiFortuna che Therese di Sachsen-Hildburghausen ebbe una bella cerimonia di nozze perchè,  pressappoco, fu tutto quello che potè avere dal suo volubile marito preso da ben da altri interessi. Donne a non finire, fra cui  la famosa ballerina straniera Lola Montez,  e la passione per le statue greche e romane, per  le quali, quasi svuotò le casse dello Stato.

Suo figlio Massimiliano era indubbiamente più saggio, ma poi arrivò il nipote Ludwig II, che aveva la passione  per i castelli. E’ il più famoso sovrano bavarese, il più controverso e il  più amato. Sale al trono che ha appena 18 anni, bellissimo con gli occhi azzurri e perdutamente innamorato del suo aiutante di campo e forse di sua cugina Sissi, l’imperatrice Elisabetta d’Austria Non riesce a star fermo a Monaco, ma ogni volta che si sposta ha bisogno di un castello dove andare ad abitare e così se lo fa costruire. Ha lasciato dietro di sé il drammatico Neuschwanstein, il castello rococò di Linderhof, già illuminato all’epoca con l’elettricità e il lago sotterraneo, dove  i cantanti lirici si esibivano con le opere di Wagner. L’ultimo castello è quello  di Herrenchiemsee che, appena si guarda, fa venire in mente Versailles. Sicuramente Ludwig aveva un po’ di megalomania con cui all’epoca distrusse le finanze dello Stato, tanto che alla  fine lo sbalzarono dal trono e probabilmente lo uccisero. Eppure, oggi, una bella parte dei redditi della Baviera viene dal turismo che si muove attorno a i castelli di Ludwig, nel ricordo di un Re forse troppo solo e la cui vita, fuori dall’ordinario e la tragica fine, gli hanno creato attorno tutti gli elementi della leggenda.

Da allora, di tempo, sulla Baviera ne è passato tanto, i re sono scomparsi e il XX secolo più di una volta ha colpito duramente Monaco, semidistrutta dalla II guerra mondiale  e colpita al cuore dall’attentato terroristico delle Olimpiadi del 1972. Ma Monaco è città che non si arrende, si è ricostruita  i suoi palazzi e la sua ricchezza, con determinazione e un impegno senza limiti.

Ma una volta l’anno la città  si spoglia di tutta la sua serietà e va a recuperare le sue forze e la sua allegria nella festa più grande del mondo, quell’Oktoberfest a cui Monaco ha rinunciato pochissime volte, soprattutto negli anni delle due guerre mondiali, perchè tutti sanno  che  fra la città e la  Festa c’è un legame talmente forte che nessuno dei due potrebbe sopravvivere a lungo se non ci fosse l’altro. All’Oktoberfest si beve birra si canta e si balla, ma ovviamente si mangia, soprattutto wursteln e stinco di maiale, che è diventato parte integrante della festa stessa.

STINCO DI MAIALE AL FORNOUmido_di_Stinco_019

INGREDIENTI (per 6 persone): 3 stinchi da 1 kg circa l’uno, 1 bicchiere di vino bianco secco, 3 manciate di sale grosso, 5 o 6 foglie di salvia, 2 rametti di rosmarino, 3 rametti di maggiorana, 4 o 5 rametti di timo, pepe nero q.b., 20 bacche di ginepro, olio extravergine di oliva q.b.

PREPARAZIONE: lavate le erbe e sistemarle su un tagliere con le bacche di ginepro, poi tritate il tutto. Mettete in un tegame gli stinchi con poco olio, il trito di erbe e spezie, il sale grosso, un po’ di pepe tritato al momento. Coprite con la pellicola trasparente e mettete in frigo per almeno 12 ore.

Trascorso questo tempo fate rosolare gli stinchi con poco olio, su tutti i lati facendo attenzione a non bucarli. Ponete gli stinchi e il loro condimento in un tegame da forno e infornate a 180° e cuocete per 1 ora e mezza circa.

Estraete il tegame dal forno e aggiungete un bicchiere di vino bianco. Proseguire la cottura per un ulteriore ora e mezza circa.

18 bellotto - monaco di baviera

El Pavon de las Indias

montezumaIn Europa non li conosceva  ancora nessuno quando in Messico, alla corte di Montezuma, se ne consumavano  1000 al giorno, di cui una parte era destinata ai dignitari e l’altra agli uccelli rapaci che il sovrano allevava. Il popolo, invece, come sempre accade, si doveva accontentare di poco e per lo più mangiava qualche schiacciatina di mais. Comunque era già una lunga conoscenza, quella che i messicani avevano con il tacchino, perché risaliva ormai a più di 1000 anni prima. Da animale selvaggio che scorazzava liberamente nelle praterie e nei boschi, l’avevano reso domestico per ammorbidirgli le carni e tenerlo a portata di mano quando, con le  sue colorate piume, dovevano adornare copricapi e lance.

Sembra che il primo a portarlo in Europa sia stato Colombo nel 1511, ma già pochi anni dopo, nel 1525, columbus_ships_1992era stato  oggetto di un dotto “Summario de la Historia Natural de las Indias Occidentales”, scritto direttamente dal Governatore di Hispaniola. Certo che quell”animale dava da pensare un po’ a tutti, per quanto era strano! Dormiva sugli alberi e somigliava di sicuro a un grosso pollo, ma faceva anche la ruota, come fosse stato un pavone. Più tardi avrebbero anche scoperto che  i maschi si disinteressavano della prole mentre le madri erano tenerissime e  spesso rischiavano di morire di fame per non allontanarsi dai piccoli che tenevano sotto le ali come in un’incubatrice. Comunque per non far torto a nessuno, in Francia lo chiamarono “Le Coq d’Inde” e in Spagna  “El Pavon de las Indias”, convinti ancora come erano che glielo avessero portato dall’India.

In ogni caso  la diffusione era stata rapidissima e già nel 1524 lo troviamo in Inghilterra sulla tavola di Enrico VIII  mentre, nel 1565, i monaci di Bourges, in Francia, aprirono  un grosso allevamento che gli dovette andar subito a gonfie vele, perchè pochi anni dopo, il tacchino fece il suo ingresso a corte, ospite d’onore alle nozze del Re Carlo IX con Elisabetta d’Austria. E Carlo, da quel momento lo dovette tenere in grande considerazione perché, quando si trattò di fare un dono di riguardo al Papa Gregorio XIII, gli inviò 12 tacchini.

tacchino[1]Pur essendo arrivato  trionfalmente in Europa, il tacchino non si era dimenticato della sua terra di origine e seguitava  ad essere il pranzo di gala per i nativi americani, che, secondo la leggenda lo fecero conoscere ai “Padri Pellegrini” con i quali generosamente lo spartirono il giorno che questi riuscirono ad ottenere il primo raccolto e ne vollero rendere grazie a Dio.

Fino al secolo XIX il tacchino fu cucinato in modo abbastanza semplice, intero, arrosto o allo spiedo, poi considerato che era il cibo delle grandi occasioni, e a Natale era d’obbligo, qualche famoso cuoco pieno di inventiva e di complicanze come Escoffier e Ali Bab pensarono di adoprarlo come uno scrigno, racchiudendovi dentro  i più complicati, fantasiosi  e stravaganti ingredienti: era nato il “tacchino farcito”. E furon prugne, castagne, erbe provenzali, carni miste, mirtilli  e chi più ne ha più ne metta  tanto, “Semel in anno licet insanire ” e Natale viene una volta sola.

Tacchinella arrosto ripiena alla frutta

Ingredienti per 4 persone

1 tacchinella  di circa 2 kg già svuotata, 100 grammi di burro fuso, 2 cucchiai di olo di oliva extra vergine, 200 grammi di mollica di pane casereccio raffermo, 2 mele renette, 120 grammi di prugne secche snocciolate, 60 grammi di gherigli di noce, il succo di un limone, 1 cucchiaio di pepe verde secco, salvia,rosmarino, timo, sale, pepe, .

Per legare la salsa: 1 cucchiaio di burro e un cucchiaio di farina.

Si lavano le prugne e si mettono in acqua calda sino a quando si ammorbidiscono.

Si sbucciano le mele, si tagliano a piccoli pezzi e si cospargono di limone per non farle scurire

Si taglia a pezzetti il pane e si cosparge di burro fuso, mescolandolo in una ciotola.

ricette-natale--tacchino-ripieno-arrostoAlla mollica di pane si aggiungono le mele, le prugne a pezzi, le noci tritate, un’abbondante spolverata di pepe, un cucchiaio di sale  e si mescola.

Si lava e si asciuga la tacchinella, si insaporisce all’interno con sale e pepe e si riempie con la farcia. Si cuciono i due fori praticati nella tacchina con l’apposito filo bianco resistente  e si legano  ali e cosce aderenti al corpo.

Si tritano insieme pepe verde, gli aghi del rosmarino, 6 foglie di salvia e 1 cucchiaino di timo e si fanno aderire sulla superficie esterna della tacchina, unta completamente di olio extra vergine di oliva.

Si pone la tacchinella  in una teglia possibilmente ricoperta di una griglia interna e si pone nel forno già scaldato a 180°.

Dopo circa 1/2 ora di cottura è necessario coprire il petto della tacchina con carta di alluminio che verrà poi tolta durante l’ultima ora di cottura.

Complessivamente la tacchina dovrà rimanere in forno circa 3 ore e 1/2 e durante questo tempo andrà inumidita spesso con il fondo di cottura e, se la teglia non ha la griglia, occorre rigirarla ogni mezz’ora circa.

A metà della cottura si spolverizza di sale.

Dopo la cottura si trattiene la tacchinella  nel forno caldo, ma spento sino al momento di portarla in tavola.

Si toglie il fondo di cottura dalla padella e lo si sgrassa, eventualmente dopo averlo raggelato, per fare in modo che la parte grassa affiori in superficie, si aggiunge ad esso il cucchiaio di farina, il burro e si fa amalgamare a fuoco caldo.  Al termine si aggiunge 1/2 bicciere di cognac e uno spruzzo di salsa Worcester che si fanno sfumare sul fuoco.

Si adagia la tacchinella sul piatto da portata e si porta in tavola, dove si affetta in presenza dei commensali. Su ciascuna fetta si versa infine qualche cucchiaio di salsa.

TenochEstrella