Pellegrino Artusi… I filetti d’orata del Padre della Patria!

Che nel  1860 l’Italia  fosse stata “fatta” è cosa nota, che, però, restassero da fare gli italiani, lo andava dicendo uno dei suoi figli più illuminati, quel Massimo d’Azeglio, che era stato statista scrittore,  pittore,  patriota….   Ma non era cosa facile da realizzarsi dopo  quattordici o quindici secoli che si viveva divisi in  Statarelli, Contee e  Marche, con le spalle rigirate l’un contro l’altro…  Le tradizioni  avevano  preso strade diverse e  persino i Santi protettori dei  paesi più vicini non si conoscevano fra di loro.  Non parliamo poi del linguaggio… Italiano si fa per dire… Una delle cause delle battaglie perse nel  1848,  durante la 1° guerra di Indipendenza, sembra  fosse dovuta al fatto  che il colorato esercito di entusiasti volontari calabro- lucano- napoletani non riuscisse a capire gli ordini che lanciavano loro quei  ruvidi ufficiali a cavallo, nel loro ostico linguaggio piemontese… Ciascuno  pensò dunque che era giunto il momento di  rimescolare le carte e, mentre,   in politica arrivavano i  deputati di tutte le regioni,  Manzoni, prima di tutti, andò a “risciacquare i panni in Arno”, cercando  di  far diventare Toscano  quel suo modo di scrivere che,  più che lombardo sembrava longobardo….

Ci fu qualcuno  che in questo sforzo all’unità prese  vie diverse… All’apparenza meno auliche e nobili, nella sostanza ugualmente importanti… Si chiamava Pellegrino Artusi e a parte la sua stazza notevole, poteva sembrare un borghese piccolo piccolo, per essere nato figlio di droghiere, aver fatto il mediatore finanziario e il commerciante di seriche stoffe… Nato suddito dello Stato della Chiesa, in quel di Romagna, morì italianissimo e toscano, dopo aver vissuto  gli ultimi 60 anni della sua lunga vita a Firenze, la città che fu per  ben cinque anni anche capitale del nuovo regno… Per la verità si era anche interessato di altri aspetti del sapere, ma non se ne era accorto quasi nessuno e finì per diventare il Padre della Patria  della “Scienza in cucina e l’arte  di mangiar bene…”

Pellegrino Artusi, l’immagine stessa dell’uomo tranquillo –  che per sua stessa ammissione  riconosceva solo nella nutrizione e nella propagazione della specie,  le funzioni principali della vita – aveva avuto invece alcuni momenti fortementte drammatici e movimentati…  La vita  sua e della famiglia   venne sconvolta per sempre dall’incursione del 25 gennaio 1851 a Forlimpopoli  del  Passatore, che  al di là di quello che  scrisse Pascoli,  forse era davvero il re della strada e della foresta, ma “cortese, inteso come brigante, non lo era affatto… Infatti  prese in ostaggio, nel teatro della città, tutte le famiglie più  facoltose, rapinandole una per una.  E in mezzo ci finirono pure gli Artusi, anche loro in bella vista  a Teatro  …  E non gli bastaroro i soldi dei signori e i gioielli delle signore…  Quelli della banda stuprarono alcune donne, e tra queste Gertrude,  una delle sorelle  di Pellegrino che, impazzita per lo shock,  non si riprese più e finì in manicomio.

Neanche la famiglia si riprese e fra vergogna  e rabbia, in pochi mesi si trasferì e se ne andò a Firenze… E pensare  che per poco si sarebbe potuto evitare quel dramma… Il  Passatore infatti morì ucciso solo due mesi dopo.

A Firenze l’ Artusi,  subito preso da quello spirito rinascimentale  che forse ancora aleggiava in città,  si dette tutto insieme alla scienza e alla letteratura, mischiandole in un unico sapere. Scrisse  una biografia di Ugo Foscolo e una critica a trenta lettere di Giuseppe Giusti. Di essi  pagò la stampa di tasca sua, ma  nessuno  li lesse mai …  Invece la sua passione per la scienza e soprattutto per quella applicata, tipica  del secolo del positivismo, ebbe più fortuna.

artusiIl manuale, dal titolo La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, dopo un  breve insuccesso al suo apparire  nel 1891,[3] fece raggiungere subito dopo  al suo autore la popolarità , che non è più venuta meno… e sono ormai  più di 120 anni… Ma cosa lo spinse a scrivere di cucina, lui  che era stato mercante e sapeva di finanza, ma che cuoco non era? Forse il fatto che proprio  la sua attività di venditore l’aveva portato a viaggiare e a provare i cibi di un bel pezzo d’Italia…   Così nacque la voglia di riunire in un ” testo unico” l’infinita varietà delle ricette  sparpagliate in ogni regione e dare ad esse un linguaggio   comprensibile a tutti… Tradurre cioè,  la confusa tradizione orale delle osterie  e gli scritti ancora più confusi  che sovrapponevano le fasi di cottura  e usavano termini  approssimativi  tipo un “mucchietto”, “un pezzo”, o un “appena appena” in qualcosa di più preciso che rendesse  facile e accessibile il lavoro del trattore o della donna di casa. Non sempre l’Artusi indica le quantità precise,  ma la strada verso la scienza della cucina l’aveva proprio spalancata…  Un vero lavoro da scienziato che usa un metodo induttivo e sperimentale, perché ogni ricetta prima di inserirla nella sua voluminosa opera, la volle testare più volte,  naturalmente assaporandola.  E neanche questo gli bastò…. Teneva una vera e propria corrispondenza, che andò avanti per anni con gli addetti ai lavori o le semplici casalinghe, che davano suggerimenti o raccontavano di varianti…  E lui tutto accoglieva e testava in un continuo processo  di comunicazione  a più vie… Alla fine fece più lui per unire gli italiani in un comune sentire, di tutti quei politici dotti , pomposi  e spesso corrotti che ben presto cominciarono a spargere sfiducia e delusione….

Molte delle ricette di Pellegrino Artusi hanno la ricchezza prorompente dei cibi di Romagna con tortellini, zamponi e ragù dalle molte carni, ma largo spazio  viene dato  anche a ricette semplicissime, condite con pochi ingredienti, per le quali, l’unica rigorosa  parola d’ordine è l’alta qualità delle materie prime…

Fra esse abbiamo scelto una ricetta di pesce,  in cui sono state precisate le quantità  – omesse dall’Artusi –  e  modificati i mezzi di cottura, dall’autore  previsti col fuoco di legna. Si tratta di una ricetta  molto estiva, affidata al profumo delle erbe e che può essere utilizzata per più tipi di pesce come  sogliola, spigola ,orata.

FILETTI DI ORATA AL PIATTO. DSCN25212

INGREDIENTI  per 4 persone: 4 orate  freschissime non di allevamento, del peso medio ciascuna di 450 grammi, 4 spicchi d’aglio, 4 mazzetti di  prezzemolo, olio extra vergine di oliva, q.b. , sale e pepe q.b., 4 pomodorini pachino (facoltarivi), 1 bicchiere di vino bianco secco

PREPARAZIONE: preparate un battuto con il prezzemolo l’aglio, il sale, il pepe e l’olio e mettetelo da parte. Poi  sfilettate le orate. Per fare un buon lavoro avete bisogno  di tre attrezzi: un coltello flessibile e affilato, specifico per sfilettare il pesce, un paio di forbici da cucina e uno “squamatore”, un attrezzo che, appunto, toglie  le squame. Ponete  il pesce su un tagliere  poi con le forbici  fate un taglio sul ventre  sino sotto la testa ed estraete dalla cavità, con le mani, le interiora e gettatele via. Lavate bene il ventre del pesce sotto l’acqua corrente  e  poi passate a  eliminare  le pinne  tagliando  con le forbici prima le due  pinne laterali situate vicino alla testa  poi  la pinna caudale situata sotto il ventre. Con lo  squamatore squamate accuratamente l’orata,  andando “contro squama” cioè  passando ripetutamente l’attrezzo dalla coda verso la testa  e poi risciacquate il pesce sotto l’acqua corrente. Ponete  di nuovo l’orata sul tagliere ed eliminate le branchie (situate sotto le due aperture semicircolari poste ai lati della testa), estraendole manualmente, quindi con il coltello sfilettatore incidete la testa ed eliminatela,  poi  sempre con lo stesso coltello cominciate a muovete la lama  sotto pelle dall’alto verso il basso, orizzontalmente rispetto al piano di lavoro, per ricavare il primo filetto. Allo stesso modo procedete per ricavare il secondo filetto, spolpandolo però con molta attenzione dalla lisca con  cui si troverà a contatto.  A questo punto avrete ricavato tre filetti dalla prima orata. Non vi resta che procedere allo stesso modo  anche per gli altri pesci. Senza togliere la pelle di fondo ai filetti che l’hanno conservata, passateli ognuno nel battuto e lasciateli insaporire per circa mezz’ora. Poi scaldate  l’olio in una padella  insieme  a un’altra parte di  battuto e ponetevi sopra i filetti fino a riempire la padella stessa. Fateli cuocere senza rigirarli per circa 10 minuti e comunque sino a quando il filetto non diventi interamente bianco e poi aggiungete  il vino e fatelo  evaporare.  Il pesce così cucinato può essere mangiato anche dai bambini, perché l’alcol evapora completamente. A piacere in questi ultimi minuti potete aggiungere il pomodorino tagliato a pezzi, anche se la ricetta originale non lo prevede. Se la padella non è stata sufficiente per accogliere tutti i filetti ripetete l’operazione ripartendo battuto e vino. Serviteli caldi decorandoli con qualche ciuffo di prezzemolo.

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A Savona con Sandro Pertini e il Ciupin

Stabilimenti Penali di Pianosa, 26 febbraio 1933  “Mamma… Con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me….Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede che è tutta la mia vita… Non ho mai chiesto pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché dunque propormi un così vergognoso mercato?…”

Stabilimenti Penali di Pianosa 23 febbraio 1933 – “A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale – La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo  dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico Sandro Pertini”

“Io lasciai l’Italia nel 1926.La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze,quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un paese di violenti, gli anni ’20  furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi  da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti… Questo non è stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il 1 maggio andavo in giro con  una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale… Perché ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: Sotto il barbaro dominio fascista. Ho vissuto i miei 20 anni così e non me ne pento.”

Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge alla cattura scappando a Milano. Da lì  organizza la fuga di Filippo Turati, il grande leader del socialismo in pericolo. Tornano assieme a Savona dove li aspettano Ferruccio Parri,  Adriano Olivetti e Carlo Rosselli… Anche Pertini deve andarsene… Li porteranno con un motoscafo in Corsica…”Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino Verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino Verde c’era il ristorante “I pesci vivi”… Passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”…

Mentre gli amici che li hanno aiutati, a eccezione di Olivetti, finiscono tutti in carcere, Pertini in Francia resiste  poco più di due anni. Duro e orgoglioso rifiuta l’aiuto  di Turati e  trova lavoro come muratore,  lavavetri di taxi e   comparsa cinematografica. Non ha la minima difficoltà a svolgere lavori umili, ma si sente troppo frustrato e inutile, anche se a Nizza mette su una radio clandestina  per mantenersi in corrispondenza con i compagni…A marzo del 1929 torna in Italia con un passaporto falso, intestato allo svizzero Luigi Roncaglia. Ha grandi idee, prima fra tutte quella di ammazzare Mussolini, proprio mentre parla  dal balcone di Piazza Venezia… Ma i sotterranei sono sorvegliati e bisogna cercare un’ alternativa…

A Pisa mentre sta ancora lavorando all’attentato viene arrestato… La sua libertà è durata meno di un mese…  Al processo non si difende perché non riconosce l’autorità del Tribunale. A  novembre  del 1929 arriva  la condanna a quasi 11 anni di carcere… Mentre il giudice legge la sentenza lui grida “Viva il Socialismo, abbasso il Fascismo”

Nel carcere di Santo Stefano, le condizioni sono durissime … Ci rimane quasi due anni e si ammala di tubercolosi.” … Improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l’inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne…”

Lo trasferiscono al carcere di Turi dove praticamente mandavano tutti quelli a cui avevano rovinato la salute… C’é anche Gramsci e  nasce una grande amicizia. Pertini che per sè non chiede niente riuscirà, minacciando ricorsi, a non farlo più svegliare di notte dalle guardie che, sadicamente battono sulle sbarre appena vedono che chiude gli occhi… Poi otterrà che gli diano delle matite e dei block notes, una sedia, un tavolino… Ed è  in questo modo che ci sono arrivati  “I quaderni dal Carcere”. Quando tanti anni dopo uno dei ragazzi che lui tutti i giorni riceveva al Quirinale, gli chiederà il ricordo della persona a lui più cara in quegli anni di prigionia, risponderà senza esitazioni Antonio Gramsci.

Dopo circa un anno cambia di nuovo carcere… A Pianosa le sue condizioni di salute si aggravano ed è allora che sua madre firma la domanda di grazia che lui rifiuta sdegnosamente.. “E’ giusto dire che non fui il solo,” e  ricordava diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte lo avevano permesso  alle proprie famiglie. E poi aggiungeva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…”pianosa3

Nel 1934 esce dal carcere per essere inviato al confino… dove inviavano i dissidenti con reati minori o anche senza reati… Sono liberi ma non possono uscire dalla località in cui appunto sono stati… “confinati.” Quando nel 1936  scopppia la Guerra di Spagna però le condizioni dei confinati peggiorano… Pertini protesta e viene denunciato… Avrà un altro processo, viene assolto ma resterà al confino a Ventotene fino al 1940, quando la sua pena scade e dovrebbe tornare a casa…

Ma  interviene Mussolini… Ordinanza della prefettura di Littoria del 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.

Nel 1941 riesce a incontrare finalmente la madre  a Savona… “Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente…  Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva.  Al mattino vennero a prendermi  per ricondurmi a Ventotene.  Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto… Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
A  Ventotene  c’è un famigerato poliziotto  come direttore, Marcello Guida… Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che ha come esito quello di rendere le condizioni dei confinati  ancora più dure… Pertini è ritenuto un provocatore …

Nel  1969 dopo la strage di Piazza Fontana, il Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini  si recò  a Milano per rendere omaggio alle vittime dell’attentato e si incontrò faccia a faccia   con Marcello Guida. Aveva fatto carriera ed era diventato  Questore di Milano… Sandro Pertini si rifiutò di stringergli la mano e si girò dall’altra parte… Forse in cuor suo pensò ancora una volta  che Togliatti aveva sbagliato  a non  consentire, dopo la guerra, l’epurazione dei funzionari fascisti dalla Pubblica Amministrazioni…

Quando il 26 lugglio 1943 cade il fascismo gli 8oo confinati di Ventotene  non hanno nemmeno più la forza di esultare….Pertini va da Guida che siede terrorizzato dietro la scrivania… La foto del Duce  è già stata rimossa… Pertini sarà liberato per primo e da Roma comincia la battaglia burocratica per liberare anche gli altri… Rivedrà anche sua madre… e sarà l’ultima volta mentre il sogno di libertà si infrange subito dopo… A settembre   è a Roma, a Porta San Paolo a sparare contro i tedeschi che stanno occupando militarmente la città…   Poi gli daranno la Medaglia d’oro, ma intanto i nazisti riescono  a entrare in città. Due mesi di clandestinità  e viene nuovamente arrestato assieme a Giuseppe Saragat… Sono due Presidenti della repubblica”in pectore”, ma per il momento finiscono in carcere a Regina Coeli…  e ci vuol poco a condannarli a morte… Bisogna organizzare la loro fuga… Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli hanno ancora la carta intestata  del Tribunale Militare di cui erano stati giudici fino all’8 settembre… Scriveranno un perfetto ordine di scarcerazione con tutti i timbri a posto…  Ma Pertini riesce a complicare le cose… Non basta che facciano uscire lui e Saragat… Debbono liberare anche i loro compagni di cella…  4 ufficiali del breve governo di Badoglio…  Alla richiesta si gettano  tutti nel panico mentre Pietro Nenni, il Segretario del Partito Socialista si infuria… “Se è così allora fate uscire solo Peppino (Saragat)… Tanto Pertini a stare in carcere ci è abituato… ”  Naturalmente l’ebbe vinta lui, ci rideva ancora, quando nel 1973, lo raccontò durante un’intervista a Oriana Fallaci..

Raggiunge Milano nel maggio del 1944 sull’auto di un amico. L’atmosfera  è pesante e la pace lontana.. Milano è teatro degli attentati dei Gap e  delle rappresaglie tedesche. Lui da clandestino viaggia in tutto il settentrione  per organizzazione  la stampa clandestina socialista …Ma appena Roma è liberata Pietro Nenni lo richiama… Lui non riuscirà a tornare tanto facilmente. Da Prato a Firenze le la farà a piedi  appena in tempo per  prendere parte all’ insurrezione della città, l’8 agosto… Da una tipografia fa uscire un numero dell’ “AVANTI !”.

Arrivato a Roma ci resta poco…  Chiede di tornare a Milano  come Segretario del Partito Socialista per tutta l’Italia occupata  e come membro del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia

Alle 8 del mattino del 25 aprile, del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L’esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani  proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI  ” I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. “(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)

Lo stesso giorno Mussolini tenta una mediazione  per una resa onorevole  tramite l’Arcivescovo di Milano, presso cui si recherà lo stesso Mussolini e i Membri del CNLAI. Sarà l’unica volta che Sandro Pertini vedrà il Duce… Ma non lo riconosce … Lui avvisato in ritardo sta salendo le scale dell’Arcivescovado quando vede un gruppo di persone che scende. In mezzo a loro c’è uno con la faccia emaciata, livida e distrutta. Quando entra e capisce chi era l’uomo   Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini…” Il Duce si  è preso qualche ora per riflettere gli risposero…  Pertini dalla rabbia sembrava uscito pazzo..  e chiede subito che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI,  venga  consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati come prevedeva l’armistizio  firmato dal Re… Mussolini invece stava in quel momento già  fuggendo e quando i partigiani lo ritrovarono l’ammazzarono senza consegnarlo, né agli alleati né al Tribunale del popolo, in uno di quei misteri italiani di cui poco si è capito… Pertini amaramente commentò “L’insurrezione è disonorata”.

Sandro Pertini, Presidente della Repubblica 1978 - 1985Da allora Pertini diventò uno dei Padri della Patria… Mentre trovò il tempo di sposarsi con  Carla Voltolina,la fiera staffetta partigiana che aveva conosciuto al Nord, divenne Segretario del Partito Socialista e poi Membro dell’Assemblea Costituente, Senatore Deputato e poi Presidente della Camera per due Legislature … Andava sempre un po’ controcorrente e  in parecchi lo criticarono come quando da presidente della Camera vietò ai parlamentari democristiani di mostrare il loro voto, che doveva essere segreto,    ai notabili  del loro partito… ” Non mi meraviglia niente… ( L’avevano accusato di essere un po’ squilibrato)- disse in un intervista –  So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… Voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un’ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo… “

l’8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana. Furono anni durissimi  e tuttavia riuscì a fare della figura del Presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano.  I  cittadini si riavvicinarono alle istituzioni,    mentre imperversava il terrorismo  degli  anni di piombo…

Per un certo periodo Pertini diventò “Il presidente dei funerali di stato”:   fu  al funerale del sindacalista  Guido Rossa, davanti a 250.000 persone,   che  sferrò il più duro attacco alle  Brigate Rosse…  Era stato avvisato che  nell’ambiente del porto di Genova  c’era chi simpatizzava con le BR …  Lui  entrò in un   garage pieno di gente  e  disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.

  Sensa parlare del terremoto dell’Irpina, in cui dopo due giorni lanciò il suo grido desolato agli inconcludenti poteri dello Stato “Fate presto.” Erano morte quasi tremila persone  e le autorità erano allo sbando. Lui li  denunciò pubblicamente  in televisione e a reti unificate …. Sottolineò la scarsità  e l’inadeguatezza delle  norme  in materia di protezione  civile nella  prevenzione  e in emergenza,  denunciò  la mancanza di un organo di coordinamento nelle calamità  e ancor prima che accadessero,  i tentativi di quelli che avrebbero speculato sulle disgrazie come  nel terremoto del Belice. Dopo quell’appello disperato l’Italia ebbe una Protezione Civile che per parecchi anni fu  riconosciuta come una delle migliori di tutto il Mondo…

I ragazzi li adorava… Lui si era sposato tardi … di figli suoi non ne aveva… ma in qualche modo fu il padre di tutti i ragazzi… Bisogna ogni tanto rivedere come si rivolgeva a loro… completamente alla pari senza far pesare né carica, né anzianità…

Lottò con tutte le sue forze contro la mafia difendendo  l’estraneità delle popolazioni che la subivano, quando tutti in modo più o meno sottile volevano parlare di collusione dei cittadini…

Il suo modo di intervenire direttamente nella vita del Paese  fu  una grossa  novità, quasi al limite dei poteri costituzionali…  E per capirlo bisognava entrare nella sua ottica : “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale,come non vi può essere giustizia sociale senza libertà” Se chi, di dovere, se ne dimenticava, interveniva il Presidente della Repubblica… Sicuramente ha dato fastidio a tanti, ma è stato il Presidente più amato dagli italiani..

 Quando da Presidente riusciva ad andare a Savona, se ne andava sempre a mangiare il pesce, pretendendo, come al solito, di pagarlo di tasca sua anche agli uomini del seguito…  Doveva compensare  quella cena mancata, quando raccontò  ai carabinieri che stava andando   al ristorante “I pesci vivi” e invece stava scappando dall’Italia inseguito da un mandato di cattura…

Il Ciupin  è una zuppa di pesce tipica della Riviera. Una volta era proprio il piatto dei poveri che si preparava con i pesci di scarto o avanzati… Ma ora invecealici e sardine sono  considerati pesci  di grande appeal, per tutte le proprietà  di benessere che assicurano a chi ne mangia regolarmente…

CIUPIN

INGREDIENTI per 6 persone:  3 etti di alici,3 etti di sarde, 5 etti complessivamente  di triglie di scoglio, 2 etti di pannocchie e/ o gamberi  di media grandezza, 1 manciata di vongole e 1 di cozze 2 etti di seppie tagliate a striscioline, 6 pesci da scoglio,di proporzione  riferita a una singola persona, tipo scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo a pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 cipolla tritata finemente, 2 spicchi di aglio, 4 pomodori maturi spellati e tagliati a pezzi,1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, sale e pepe e a chi piace anche un po’ di peperoncino, 12 fette di pane abbrustolito, 3 acciughe salate.

PREPARAZIONE: occorre 1 pentola e 1 ampio tegame,un passaverdure,un colino a maglie strette e uno schiacciapatate.

Mettete nella pentola un trito composto di metà dell’aglio e della cipolla  e dell’olio, le due aggiughe salate tritate e fate imbiondire su fiamma media. Aggiungete le alici,le sarde e le triglie di scoglio a cui avrete tolto le  lische e girate delicatamente per poi aggiungere 1 litro d’acqua e far bollire lentamente.

Nel tegame mettete  un trito composto del restante aglio e cipolla, e fate colorire nell’olio di oliva, poi aggiungete i pomodori, le seppie e fate assorbire i liquidi. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino, fate evaporare e  infine aggiungete  i crostacei. Infine versate  il resto del vino e fate evaporare. Infine aggiungete 1 litro di acqua e fate bollire   per 15 minuti. pane,Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente di peperoncino. Le cozze e le vongole preventivamente pulite e fatte aprire  sul fuoco, in un’altra  padella  con poca acqua, le terrete a parte.

Riprendete  la pentola e con una frusta elettrica amalgamate l’intero contenuto riducendo il tutto a poltiglia, passatela nel passaverdure e poi filtratela nel colino, recuperate il contenuto residuo del passaverdura,inumiditelo con un po’ di brodo della pentola e ricavatene tutto ciò che è possibile con lo schiacciapatate. Aggiungete nel tegame il brodo ricavato dagli ingredienti della pentola e fate evaporare su fiamma media sino ad ottenere un brodetto consistente. Aggiungete i 6  da singola porzione, far bollire per 5 minuti e spolverate con il prezzemolo. Se fra i vari pesci c’è il grongo inseritelo nel tegame 5 minuti prima degli altri.

Per preparare i singoli piatti appoggiate sul fondo le fette di pane, aggiungete 1 pesce da singola porzione su ciascun piatto, decorate con qualche cozza o vongola ancora nel loro guscio tenute da parte, coprite con il brodetto e un filo di olio.

 

Valentino, l’eleganza e la Zuppa alla Pavese!

Si può perdere un trono, ma con eleganza…. Farah Diba, l’ultima imperatrice dell’Iran, cacciata dalla rivoluzione islamica di Khomeini, partì per l’esilio con un abito firmato Valentino… Si può anche sposare un uomo per interesse, e   nessuno quasi se ne accorgerà se la sposa indossa un castigato vestito color  avorio di Valentino…  Come quello  di  Jacqueline Kennedy sull’isola di Skorpios…Si può essere belle e brave come Julia Roberts, ma solo se si va a ritirare l’Oscar con un   abito nero, strascico e bordino bianco  di Valentino, si diventa “assolutamente stupefacente.”

Il più bel vestito di Valentino  non l’ha creato lui…  Fu una visione che si portò appresso tutta la vita… Era a Barcellona all’opera e così ha sempre ricordato  il momento della sua folgorazione “Da un palco appare una figura da fiaba. Una donna dai capelli grigi, molto elegante e bellissima. Indosso ha un abito di velluto rosso.  Fra tutti i colori indossati dalle altre donne mi è sembrata unica, isolata nel suo splendore… Un’eroina sanguigna e combattiva. Una Dea, una Musa”. Quel  colore di passione diventò una delle sigle del grande   stilista.

Il  primo abito invece  fu  per la zia Rosa, che aveva  un negozio di passamanerie a Voghera… Un abito di gratitudine  perché in quel negozio  trascorreva tutti i pomeriggi dopo la scuola….Fu il fascino di quegli oggetti tutti intrecci, colori e merletti che  lo trascinò nel mondo della moda…

 Il primo vestito celebre invece fu per Elizabeth Taylor …   Lei capitò nel suo atelier a Roma, a Via Congotti… Lui giovane alle prime armi, l’aveva voluto  subito in una strada famosa …  E’ lo stile di Valentino puntare  sempre al meglio… Più che un vestito celebre fu un vestito d’amore… Lei aveva appena incontrato Richard Burton…

dettagli-iconici-valentinoIl vestito più piccolo? Quello per Barbie…  In edizione limitata a 300  esemplari, era una copia  del vestito di Julia Roberts,  diventato un mito fra le adolescenti americane al ballo…

I vestiti del trionfo furono  quelli del 1962… A Pitti Moda di Firenze, Valentino divenne  uno dei più apprezzati e dei più popolari couturiers del mondo. Con due pagine tutte per lui da  Vogue  Francese,  fu consacrato  tra i grandi della moda.

 Per 45 anni  incanta il mondo intero con la straordinaria poesia delle sue creazioni. “L’eleganza è l’equilibrio tra proporzioni, emozione e sorpresa.” dice… E in lui ci sarà sempre delicatezza delle forme, sintesi di lusso e di grazia, capolavori di manualità e preziosismi…  Abiti da sera dal taglio immacolato,  linee asciutte e femminili che come d’incanto si impregnano di tocchi teatrali,  di volant, di ricami romantici… E quella  cifra inconfondibile fatta di fiocchi, fiori e nastrini   dei tessuti più pregiati!

Ma Valentino  soprattutto è  un grande umanista… Di quel Rinascimento  che  significa prima di tutto rispetto dell’individuo… Lui ha sempre voluto che  una donna o un uomo si sentissero davvero speciali quando indossavano un suo  abito firmato. E così di volta in volta li ha arricchiti, personalizzati, rivisitati secondo il gusto e lo stile  in cui ciascuno dei suoi clienti e dei suoi “aficionados”  si  potesse ritrovare ed esaltare   in un continuo crescendo di emozioni…

 Il grande stilista  nel 2007 si è ritirato..”La moda stava cambiando – ha detto – diventando puro mercato in mano alla gente della finanza, tesa al solo profitto. Si immagini se dopo decenni di lavoro libero e fortunato avrei potuto accettare di sentirmi dire, questo lo puoi fare, questo no, non è alla meraviglia che devi pensare, ma al prodotto, non al sogno ma alla realtà..

 Ha detto addio con un gala per 600 invitati   al Tempio di Venere, cuore del Foro Romano, ricostruito dallo scenografo premio Oscar Dante Ferretti con un doppio filare di colonne corinzie in vetroresina…. Valerio Festi invece   arricchì lo spettacolo   con fuochi d’artificio e danzatrici aeree vestite in abiti da sera … Naturalmente Rosso Valentino.

Ha lasciato l’azienda in buone mani  e ora  si divide  in giro per il il mondo… Nel suo stile di vita noto a tutti  per l’opulenza leggendaria e  le scelte di alto profilo  vive tra il Castello di Wideville, vicino a Parigi, residenza  di 500 anni e parco  di  120 ettari, la villa a Roma sull’Appia Antica, il palazzo ottocentesco a Londra,  con i quadri di Picasso   e lo chalet a Gstaad… Spesso   è in giro sui mari…  con la sua famiglia allargata, tanti amici… e sei cani…  C’è da dirlo? La sua barca è da favola… 

Nel 2012 Valentino Garavani  ha compiuto 80 anni…  Il film documentario che gli hanno dedicato non poteva avere titolo più indovinato… “L’ultimo imperatore”!

A Valentino  dedichiamo un piatto della sua terra, una zuppa semplice, ma dal sapore principesco…

ZUPPA ALLA PAVESE

INGREDIENTI  per 4 persone: 12 fettine di pane casereccio tagliate sottili, 120 grammi di burro, 8 uova, 80 grammi di parmigiano grattugiato,  1 litri0 e 1/2  di brodo di carni miste. sale a piacere.

PREPARAZIONE:  Fate appena scaldare il burro in una padella antiaderente e poi immergetevi le fettine di pane, dorandole all’esterno con il fuoco abbastanza alto, ma ritirandole in fretta in modo che resti l’interno morbido. Adagiate sul fondo del piatto di ciascun commensale tre fettine di pane. Rompete  2 uova in ogni scodella, lasciando il tuorlo intero, versate sopra con delicatezza il brodo e spolverate con abbondante formaggio.

Un dolce rustico per Giorgio Armani: la sbrisolona

Fra sanzioni prima e tempo di guerra  poi, molte cose erano sparite dalla vita degli italiani…Il cibo era razionato  e di tessuti  se ne trovavano ben pochi e a prezzi spaventosi… Le persone grandi, girando, rigirando  e “rimodernando” –  come eufemisticamente si diceva –  cappotti e giacche, in qualche modo riuscirono ad arrivare a guerra finita… Ma per i bambini  era diverso… crescevano in fretta e riciclare i vestiti dell’anno prima era difficile. Per fortuna  si trovavano le stoffe militari… per le divise dei soldati… Così sua madre  si adattava con quei ruvidi tessuti e cuciva da sola i vestiti per Giorgio e sua sorella. Lei veniva da una famiglia in vista  a Piacenza e  le sembrava importante mantenere un certo decoro, nonostante i  tempi  difficili.. Probabilmente fu allora, che Giorgio  cominciò a interessarsi agli abiti e,  magari inconsciamente, a capire il valore simbolico che si portavano dietro…  L’equilibrio e il “meno che diventa più” lo intuì invece  appena un po’ dopo! Poteva avere 12 anni e la guerra era finita … Miracolosamente arrivò un pollo in casa…Era Natale  e la madre  volle decorare la tavola a festa… Sembrava a tutti bellissima sin quando Giorgio non  freddò l’ambiente “Troppi fiori… disse a sua madre,  togline un po'” Dopo pochi anni andarono via da Piacenza… Suo padre aveva trovato lavoro a Milano e per Giorgio fu uno choc… Non poteva allora immaginare quanto  Milano sarebbe stata importante… Quando tornò dal servizio militare abbandonò anche gli studi di medicina… Era rimasto deluso da entrambe  le esperienze e tanto per trovargli un lavoro un’amica  lo fece assumere come vetrinista a “La Rinascente”… Quello fu il suo ingresso nel mondo della moda, dalla scala di servizio, per 10 anni di fila…Poi l’incontro con Nino Cerruti… il design e  la gestione aziendale, con uno sguardo a 360 gradi. sul complesso mondo dell’alta moda… Ma “Giorgio Armani” lo diventa tardi.. quasi alle soglie dei quarant’ anni… Fu il suo amico Sergio Galeotti a spingerlo…Uno studio ufficio in due stanze arredato con i soldi ricavati della vendita delle loro auto…   A Porta Venezia  Giorgio disegnava e Sergio teneva i contatti col mondo.

Nel 1975 la prima linea uomo – donna pret a porter… che rende felice Giorgio perché da Cerruti si era occupato solo di moda maschile…La collezione che  fa gridare  al nuovo talento  arriva rapidamente  l’anno dopo nella Sala Bianca di Firenze, ed è l’inizio della sua rivoluzione: è   la “giacca destrutturata”…  un  unico stile per donne e uomini! Materiali di pregio, morbidi come il cashmire,  senza  imbottiture e  grandi spalline,  bottoni spostati, asole cucite a mano, impunture a vista e fessino aperto…  Se qualche supporto interno rimane è  solo  di prodotti naturali come il crine di cavallo. “Volevo che le donne portassero giacche, cravatte e smoking come gli uomini, ma che restassero il più femminili possibile.” E ciò ovviamente non sarebbe stato possibile con quelle giacche così rigide e pesanti.  E’ una donna del tutto nuova quella di Armani… che però veniva da lontano…la prima ispiratrice può essere stata Cocò Chanel  con gli smilzi vestitini di jersey , senza strozzature in vita dietro i quali  le linee del corpo giocavano a nascondersi e rivelarsi seguendo i  movimenti. Fra quelli più vicini a lui c’era Kenzo lo stilista giapponese figlio di più culture che mischiava  assieme con assoluta  nonchalance oriente e occidente…

Grande tentazione quella dell’oriente che in Armani si riaffaccerà periodicamente… All’inizio degli anni ’80 Armani è già un mito e  Hollyvood  abbandona i suoi sarti  per  Armani  quando si tratta di vestire Richard Geere che deve interpretare l’equivoco bellissimo “American Gigolo”. Nel 1982 Time gli dedica una copertina… E’ la consacrazione”  Con l’andar del tempo Armani muta  e si invaghisce di tante donne diverse che a ben guardare però sono sempre le stesse con pochi  colori per volta, tanti grigi, neri e bianchi e il suo tipico azzurro. Lo stile inconfondibile è  fatto di  cose essenziali e qualche improvviso guizzo di fantasia nel drappeggio, nel colore, nell’oriente…  All’inizio, negli anni ’70 la donna Armani  è  sportiva, classica  e confortevole, con qualche riferimento retrò (cappello cloche)  …. Nel pieno degli anni ’80 ha un  look tipicamente yuppie, caratterizzato da un mood femminista e androgino… spalle larghe e camicie “baby” con tessuti soft e cascanti.  Nel ’90 si lascia tentare  da  quelle  strane dive  americane, alte flessuose… con qualche tratto maschile come  Marlene Dietrich o Greta Garbo che  spesso indossavano  larghi pantaloni  alti in vita, ma nello stesso tempo l’oriente  coloniale si affaccia prepotentemente   ne “Il te nel Deserto” … Ancora  dagli anni duemila in poi ritorna allo stile degli anni 20 e 30 e alle  le sarte hollywoodiane  che preparavano  sontuosi abiti fatti di tessuti leggerissimi  e appena velati  su cui poggiavano complicati ricami di paillettes.  Un mondo di fragili eleganze tutto da rivisitare e mischiare disinvoltamente assieme a gheishe e ai fior di pesco come nella collezione del 2011…E in tutto questo Armani è rimasto fedelissimo alla moda uomo con cui aveva iniziato  puntando  sui jeans  da abbinare  spesso alla  giacca e alla cravatta a farfalla in un casual che diventa unico … e  imitatissimo, alle bluse morbide che va a saccheggiare  nei guardaroba femminili e  i nuovissimi trench con le bretelle anziché con la cinta. L’intimo uomo poi è  stato un successo nel successo  per il  modo di modellare  e di equilibrare  fatto di tagli perfetti e pochi colori… qualche anno fa pare che abbia pagato cifre astronomiche per avere come Testimonial  David Beckham, Rafael Nadal e Christiano Ronaldo.

Lo chiamano Re Giorgio, ma il suo ormai è un Impero… A lui hanno chiesto tutto … e tutto si è inventato… Profumi dai nomi deliziosi come “Acqua di Jo”, la cantante Beyoncè  che  presenta  Emporio Armani Diamonds, occhiali, accessori, gioielli, borse, scarpe.. La passione per l’arredamento, fortissima, invece  ha fatto nascere “Armani Casa”  con sontuosi alberghi come quello di Dubai o con centri vendita come  l’Armani Ginza Tower a Tokio  o la sede di Milano a Via Bergognone …

Un settore dove Armani ha rivelato se stesso sino al più profondo del suo cuore… Purissime linee dove  l’ essenzialità si è mischiata  allo spirito dell’oriente… ma a quel particolare oriente che è lo  Zen  e ha dato vita ad ambienti rigorosi, con pochi colori… Il suo stile minimalista  che ha raggiunto il massimo del “less is more…” Fra le realizzazioni di Armani Casa c’è anche il suo ultimo  yacht … Il “Main” 65 metri di lusso, raffinatezza e semplicità.. Peccato che Armani non lo possa dividere con Sergio Galeotti, il suo grande compagno degli inizi, quello che con il suo coraggio e la sua ammirazione gli ha dato la forza per cominciare  “Quando siamo partiti, io non ero uno stilista e lui non era un manager. Ma si è applicato, con ostinazione, con testardaggine, fino a diventare un personaggio …. E’ stata sua l’ idea di fare una struttura tutta nuova, senza produzione, ma solo ideazione e, in qualche caso, vendita. ..”   Così lo ricorda Armani… Perchè Sergio  morì molto presto, nel 1985 … e lui non è più riuscito a dimenticarlo.

Armani  ormai è conosciuto anche per i suoi alberghi e i suoi ristoranti sparsi ai quattro angoli della Terra  dove si mangiano le specialità esotiche più raffinate e particolari… Ma in fondo, nonostante il mondo intero sia ormai la sua patria, una parte di Armani è sempre rimasta a Piacenza, in quella provincia dove si sentiva protetto  e da cui ha fatto tanta fatica a staccarsi. E da Piacenza abbiamo scelto questo rustico e leggendario dolce  tipico della Lombardia e ospite indiscusso delle tavole piacentine che è:

LA TORTA SBRISOLONA

INGREDIENTI per 8 persone circa: Farina di mais 250 grammi, farina di mais macinata più finemente detta “fumetto”  150 grammi,mandorle pelate 150 grammi, mandorle non pelate 50 grammi, zucchero 200 grammi, burro 110 grammi, strutto 100 grammi, vanillina 1 bustina, la buccia grattugiata di un limone, 2 tuorli di uova.

PREPARAZIONE: tritate grossolanamente le mandorle trattenendone 50 grammi intere per la decorazione. In una terrina di grandi dimensioni mettete la farina di mais nelle due versioni, le mandorle tritate, il burro, lo strutto, la vanillina, la scorza di limone, i due tuorli di uova e lo zucchero, trattenendo a parte due cucchiaiate. Lavorate velocemente tutti gli elementi senza amalgamarli troppo perché l’impasto deve rimanere un po’ grossolano,. Imburrate una tortiera del diametro di circa 25 cm. di alluminio usa e getta perché  al termine sarà più facile liberare la torta.Distribuite l’impasto sulla tortiera  sbriciolandolo con le mani mentre lo inserite e senza pressarlo sul fondo. Sulla superficie poggiate le mandorle  intere formando un disegno a piacere. Cuocete nel forno preriscaldato a 180°C per circa un’ora, poi toglietela dal forno e fatela freddare prima di estrarla dalla tortiera. Poggiatela sul piatto da portata e cospargetela di  zucchero prima di servire. Attenzione: c’e un rito da rispettare! La torta Sbrisolona si spezza con le mani. Vietati i coltelli.

A Teresa Mattei con un omaggio tutto particolare … Gli spaghetti al tonno!

La ragazza era fuori il portone dell’Accademia, un po’ in disparte e chiacchierava con due amici. Anche se era un po’ di tempo che non la vedeva, il Professore la riconobbe subito… Era stata sua allieva alla facoltà teresamattei-465x648di filosofia… una  ragazza intelligente, brava… chissà  se in quel momento si ricordò  anche che si chiamava Teresa… come sua figlia. Comunque fu lui a salutare per primo e la ragazza apparve un po’ imbarazzata… Forse intimidita… Del resto lui era Giovanni Gentile, uno dei più grandi filosofi  del ‘9oo, già Ministro del Regno d’Italia, autore di una grande riforma scolastica  ed ora Presidente dell’Accademia d’Italia, su incarico del Governo della Repubblica Sociale… Lo  confermò la stessa ragazza, molti anni dopo, che in quel momento si era sentita un po’ in imbarazzo… ma per altri motivi! Lei era lì perché il Professore doveva morire…  Stavano studiando le sue abitudini, i suoi percorsi e lei che lo conosceva, lo stava in quel momento segnalando agli altri due… quelli che più tardi materialmente l’avrebbero ucciso… Assolutamente niente di personale, Teresa era una persona mite e dolcissima come dimostrerà  in seguito e in tantissime occasioni… Ma c’era la guerra e non c’era spazio per i sentimenti… Anche suo fratello era morto…nemmeno due mesi prima. Si era impiccato in carcere con la cinghia dei pantaloni. L’avevano già torturato e non aveva parlato… Ma non sapeva se ne  avrebbe resistito   un’altra volta…Pochi giorni prima a Firenze 5 ragazzi erano stati fucilati, perchè si erano rifiutati di entrare nell’esercito della Repubblica di Salò… Di questo i Partigiani davano ampia colpa a Gentile, “ideologo al servizio di un esercito di invasori”… E così si era giunti alla decisione di eliminarlo…

In seguito la lotta dei partigiani di Firenze fu raccontata da Rossellini in uno dei suoi più bei film “Paisà” e quando tutto finì Teresa Mattei era Comandante di Compagnia… Ma in mezzo a tutti gli orrori della guerra c’era stato anche quel casolare vicino Perugia, quando 5 nazisti l’avevano violentata per una notte intera… Forse nacque da lì  il rinnovato impegno di tutta la sua vita, in favore delle donne.

Adesso si trattava di rifare lo Stato e nel 1946 fu eletta nell’Assemblea Costituente. Aveva 25 anni, era la più giovane e sembrava ancora più giovane, così quando entrava a Montecitorio, i commessi la fermavano… Sembrava impossibile  che fosse un’addetta ai lavori… Una delle future madri della Costituzione. In tutto erano 21 donne e su di loro si addensava invadente la voglia di gossip… “Tutti a Montecitorio aspettano il giorno in cui le deputatesse dei vari settori si scontreranno su un argomento qualunque” scriveva ironica “La Tribuna Illustrata” … Invece  c’era senso di responsabilità e una tacita alleanza così quando ci si preparava a votare  l’articolo 11 della Costituzione, con cui l’Italia avrebbe”ripudiato  la guerra,” all’improvviso  le 21 donne si alzarono dai loro scranni, scesero  al centro dell’emiciclo e formarono una catena stringendosi per mano…

Teresa Mattei era una donna colta, era una donna pratica, era una persona diretta. Quando fu in discussione l’art 3, sulla “pari dignità sociale di tutti i cittadini”, prima riconobbe valida la dichiarazione di intenti e poi pretese che si venisse “ai fatti”…  Al comma 2 dell’articolo, fece aggiungere proprio quelle due parole ” di fatto” che sembravano un inciso  e invece  stavano a significare, a riconoscere, a prendere atto che pari dignità non c’era e che la strada era tutta in salita…

La mimosa alle donne per l’8 marzo la dobbiamo a Lei… Luigi Longo voleva un fiore simbolo come il garofano rosso lo era per i lavoratori e Teresa Mattei propose la mimosa. A marzo era di stagione, costava poco e si trovava nei campi.

Ma era troppo leale per sottostare agli infiniti compromessi della politica… Non si ripresentò come candidata e nel 1955  fu espulsa dal partito comunista. Dopo   Stalin molti volevano una linea più distante dall’Unione Sovietica… forse un’apertura socialdemocratica… un revisionismo. Ma i tempi non erano maturi… Vinse l’intransigenza di Togliatti  e Teresa fu cacciata. Per il partito ormai era un’eretica e fece del tutto per dimenticarla e farla dimenticare. Solo nel 1995 si ricordò di lei  il Presidente della  Repubblica Scalfaro, che era un democristiano, con la prima delle due onorificenze,  “Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.” Anche l’altra onorificenza nel 2005 gliela consegnò un Presidente che comunista non era mai stato, Carlo Azelio Ciampi.

Dopo che fu cacciata non pensò nemmeno per un momento di stare con le mani in mano…  Già nel 1943  si era iscritta all’UDI “l’Unione Donne Italiane” e ne era stata dirigente. Nel 1947 fonda “l’Ente per la tutela morale del bambino”, nel 1960 un Centro Studi a Milano per la progettazione di nuovi servizi per i bambini.

E quando il cinema diventò la sua grande passione  fondò  la Cooperativa di Monte Olimpico dove assieme a Bruno Munari insegnarono ai bambini delle scuole elementari e a quelli handicappati a usare la macchina da presa e imparare a esprimersi con le immagini. Di conseguenza in Toscana dette vita alla  “Lega per il diritto dei bambini alla comunicazione” e poi chiese la modifica dell’articolo 3 della Costituzione, quello che era stato il suo cavallo di battaglia  perché la “pari dignità” venisse esplicitamente  estesa anche ai bambini.

Adesso se ne è andata… ma solo dopo aver festeggiato per l’ultima volta l’8 marzo e le donne.  Uno dei suoi ultimi messaggi è stato per i giovani e per i bambini ai quali disse con forza e con fede al termine di una delle sue ultime apparizioni in pubblico “Voi sarete meglio di noi!”

Da Bruno Sanguinetti aveva avuto un figlio… un ‘odissea… si poterono sposare solo in Ungheria perché  lui aveva un precedente matrimonio alle spalle e in Italia non c’era il divorzio… Per l’Italia lei poteva apparire una ragazza madre e fu il partito a farle tenere nascosta la sua gravidanza. Dopo alcuni anni che Bruno Sanguinetti morì e lei era ancora una donna molto giovane, si risposò ed ebbe 4 figli … Questo grande amore per le donne  e i bambini fu  anche per le sue vicende personali… Di sicuro ne aumentò la sensibilità…

Bruno era stato veramente il suo grande  giovane amore… Si erano conosciuti durante la guerra partigiana poco prima  dell’uccisione di  Giovanni Gentile…Lui morto giovane è diventato un mito… Era figlio di uno dei piu ricchi e potenti industiali italiani quelli dell”Arrigoni” l’industria dei cibi in scatola, ma quando morì il padre, Bruno, colto, stravagante  amico di poeti  e marxista  d.o.c., regalò gran parte del suo denaro agli operai se se andò a fare la guerra partigiana. Anche lì diventò un mito… di coraggio, di allegria, di umorismo. Ad un certo punto fu catturato dai fascisti che ignoravano che era partigiano… Pensavano solo che si trattasse del ricco industriale renitente alla leva di Salò e pensarono bene di ricattarlo. Lui se la cavò facendogli arrivare un intero vagone di prodotti alimentari e fu lasciato libero… Soltanto – e rideva felice quando lo raccontava – gli fece consegnare un vagone di merce avariata, in transito per andare al macero…

Abbiamo voluto chiudere la storia di Teresa con un ricordo  divertente anche se non del tutto allegro, sicuri che a lei avrebbe fatto piacere… In ricordo di Bruno Sanguinitti, del  tonno in scatola che era uno dei prodotti di punta  della sua azienda… e delle risate che Teresa e  Bruno si fecero su  quel famoso vagone  proponiamo:

SPAGHETTI CON IL TONNO

INGREDIENTI per 4 persone: spaghetti 350 grammi, prezzemolo tritato 1 cucchiaio e 1/2, tonno in scatola 200 grammi, 2 spicchi di aglio, 1 pizzico di peperoncino piccante in polvere, olio extra vergine di oliva, 5 o 6 capperi sotto sale, 6 olive greche  kalamata, 1 pizzico di origano, due dita di vino bianco secco, sale, pomodoro a pezzi 400 grammi.

PREPARAZIONE: Fate soffriggere l’aglio intero in un tegame, toglietelo dal fuoco appena avrà raggiunto un tono madreperlaceo, versate nel tegame il tonno scolato del suo olio, rimettete sul fuoco e dopo pochi minuti sfumate con il vino. Subito dopo aggiungete il pomodoro, il sale e  il resto degli ingredienti lasciando da parte  metà del prezzemolo. Portate a bollore una pentola d’acqua, salate e versate gli spaghetti che farete cuocere molto al dente. Scolateli e versateli in una padella dove li condirete con il sugo e li “ripasserete” pochi minuti a fuoco caldo. Al termine versateli nel piatto da portata a cospargeteli con il resto del prezzemolo. Si possono mangiare  molto caldi o aspettare qualche minuto perché tutte le paste condite con il pesce prendono in questo modo più sapore. In quest’ultimo caso attenzione alla cottura! Devono essere ancora al dente al momento di portarli in tavola.

Il Papero al Melarancio

CatherineMediciMargot1560Di sicuro alla nascita non fu fortunata, perché i suoi genitori morirono quando aveva pochi mesi. Allora  fu giocoforza affidarla alle cure degli zii, i quali, buona parte della sua infanzia gliela fecero trascorrere a Roma, da dove loro poco si potevano spostare perché,  sia Leone X che Clemente VII,  a Roma  ci stavano per fare il Papa. La giovanissima Caterina si trovò a vivere in una delle Corti più raffinate di tutto il Rinascimento e sicuramente  ne assorbì la cultura, l’arte e il clima festoso di cui, più tardi, si farà ambasciatrice in terra di Francia. Già perché quello, inevitabilmente, doveva essere il  suo destino, considerata l’alleanza sempre più stretta fra Clemente VII e Francesco I. Si proprio lui, quello che dopo la battaglia di Pavia, aveva scritto alla madre, raccogliendo i frammenti della sua dignità, “Signora tutto è perduto, fuorché l’onore”. E doveva essere vero, quello che aveva detto, perché il motivo fondamentale delle nozze, fra il suo secondogenito Enrico e la nipote del Papa, era la necessità di  colmare l’immane debito delle esangui finanze francesi. Lei, l’ultima dei Medici, si trovava a Firenze, quando le comunicarono  di recarsi a Marsiglia, dove già l’aspettavano il  Pontefice e lo sposo. Lì fu accolta con entusiasmo e le fecero grandi feste, probabilmente  perchè ci misero parecchi giorni a scaricare tutte le ricchezze e i soldi che Caterina portava in terra francese. 2275f083aabf99025446c3bf5b2629755c2f78116122546Ma, ciononostante, a corte fu relegata in un  angolo, fino al giorno in cui  morì l’erede al trono e per lei, che adesso era la moglie del futuro re, ci fu più considerazione. A 28 anni Caterina divenne regina di Francia, ma sicuramente non fu una donna felice, con il timore di essere ripudiata, che si trascinò appresso per 10 anni, perché i figli non venivano, mentre suo marito, nel frattempo, esibiva e onorava in pubblico la sua bellissima amante, Diana di Poitiers, come una costante  sfida a Caterina che  bella non era. Lei, invece, a quel marito doveva voler bene  perché, oltre a dargli, appena le fu possibile, un figlio l’anno, seguitava ad avere per lui piccoli pensieri, come quello di fargli arrivare spesso il profumo da Colonia, dato che sua Maestà, il re Enrico II, pare che puzzasse un po’. Quando poi Enrico mori lei indossò neri abiti da lutto che non si tolse più, ma il giorno dopo era già al fianco del figlio a condividere le sorti della Francia. E questo, pur senza avere incarichi ufficiali, lo fece per i trenta anni successivi. Erano tempi difficili, in una Francia sempre impegnata nelle guerre esterne e nelle lotte di religione interne, dove si dilaniavano Ugonotti e Cattolici. Caterina per lungo tempo fece mediazione e  dimostrò grande tolleranza, ma ciò non le servì a niente perché, dopo la “Strage degli Ugonotti”, le fu attribuita completamente la colpa e il marchio d’infamia se lo portò appresso per secoli. E, come se non bastassero gli storici, ci si misero pure i famosi scrittori di Francia, come Alessandro Dumas  e Honoré de Balzac a rinforzare la leggenda della “Regina nera,” con i romanzi gossip sugli ultimi dei Valois.

Peccato, perchè Caterina, nonostante i suoi guai, era la persona più gaia e ottimista di questo mondo e voleva veramente bene alla Francia. Donna di grande cultura creò una biblioteca fra le più ricche del Paese, ampliò il Louvre, fece costruire il Castello di Monceau e iniziò Les Tuileries. Le piacevano anche le feste, memore di quelle fastosissime a cui aveva partecipato nella Roma  della sua prima giovinezza e la buona tavola, che aveva imparato ad apprezzare durante  gli anni della sua ricercata formazione.  Quando le fu ordinato di trasferirsi, non fidandosi di ciò che avrebbe trovato in  quella terra di Francia, ancora un p0′ selvatica e non uscita, con entrambi i piedi dal Medioevo,  – figuriamoci, le avevano detto, non usano neanche le forchette – si era portata appresso un’equipe di tutto rispetto. cuochi, scalchi, pasticceri e perfino un gelataio che veniva da Urbino, tutti professionisti che mise immediatamente a disposizione della corte e con i quali aprì una scuola di gastronomia. Dai palazzi dei Medici, la cucina toscana si stava trasferendo, tout court, ai castelli francesi!  E così la “Salsa Colla” fu rielaborata e si chiamò “Bechamel, la Zuppa di Cipolle,” “Soupe d’Oignons, le  familiari “Pezzole della Nonna” divennero le più raffinate “Crepes” e, le modeste “Frittate,” acquistarono il più altisonante nome di “Omelettes,” mentre Popelini, uno degli Chef toscani celebrò il 1540 con l’invenzione del “Paté a Choux”.

anatra_all_aranciaE neanche il “Papero al Melarancio,”  il piatto preferito di Caterina, rimase indenne dalla cucina francese, quando un aiuto cuoco di Corte, non trovando in giro paperi, riuscì ad agguantare un’anatra nello stagno di Palazzo e  corse in cucina, dove, il capocuoco, la servì in tavola trasformata in “Caneton a l’Orange”.

Ma, per un attimo, lasciamo che a prevalere sia  l’orgoglio nazionale e prepariamoci questo superbo piatto nella versione toscana, sia pure con qualche piccola variante, mettendolo a centro tavola, proprio come merita, il giorno di Natale.

Per 4 persone occorre un papero (oca giovane) di circa 1,5 kg, tagliato a pezzi.

In un largo tegame si fanno fondere 100 grammi di burro e appena è tutto sciolto vi si fa rosolare il papero tagliato a pezzi. Quando è ben dorato si sala e ci si versa sopra il succo di tre arance. Si fa sfumare e  si riprende la cottura che dovrà durare circa un’ora e mezza o fino a quando il papero diventi tenero. Si aggiunge durante la cottura qualche mestolino di brodo per non farlo bruciare. Al termine si  versa mezzo bicchiere  di cognac mischiato a due cucchiai di zucchero e si  lascia sul fuoco per qualche altro minuto fino ad assorbimento. Per dargli  un tocco di maggior di attualità, si può aggiungere, mentre cuoce, una spruzzata di pepe e una foglia di alloro.

Si serve guarnito  con spicchi d’arancia a cui è stata tolta la pelle e spinaci appena scottati.

E per finire  il punto  sulle ricerche degli ultimi 30 – 40 anni! Gli storici hanno completamente rivalutato la figura di Caterina, mettendone in risalto soprattutto la grande opera di mediazione fra le opposte fazioni, fatta nella consapevolezza che al di là di ogni credenza religiosa, la cosa più importante fosse evitare alla Francia, conflitti e guerre interne.

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