Passaggio a Nord ovest… I carciofi di Sacagawea!

“Il fiume Missouri e gli indiani che lo abitano, non sono  conosciuti abbastanza, come sarebbe invece richiesto dai rapporti che abbiamo con essi… Un ufficiale capace, con 10 o 12  uomini  scelti, potrebbe esplorare l’intera regione… sino all’Oceano Pacifico “… Con un messaggio del tutto informale al Congresso degli Stati Uniti,  il Presidente  Thomas Jefferson cominciava a rendere pubblico il progetto sul quale stava  lavorando da un anno e mezzo…. All’inizio erano state solo voci prive di conferma, poi il quadro si era fatto  più chiaro…. La Spagna stava restituendo l’ immenso territorio della Louisiana alla Francia… Agli Stati Uniti, nelle dinamiche del passaggio, sarebbe bastato poter mettere le mani su New Orleans, per avere  uno sbocco  nel Golfo del Messico, tutto in mano agli spagnoli … Ma altro che New Orleans…  Napoleone si voleva dar via l’intero territorio della Louisiana… Questo riferì da Parigi l’ambasciatore Americano…Di un territorio malsano, male occupato e contrastato Bonaparte  non sapeva che farsene … Preferiva i soldi, per finanziarsi quelle spaventose guerre che avrebbero messo l’Europa in ginocchio… ai suoi piedi. E per Napoleone, poi, ampliare il nuovo Stato Americano significava indebolire gli odiatissimi inglesi, mettendo a dura prova la loro supremazia nel continente Nord Americano…

15 milioni di dollari e ad Aprile del 1803 il Trattato di Trasferimento della Louisiana agli  Stati Uniti era cosa fatta… A giugno il Presidente  Jefferson dava l’incarico al  Capitano Meriwether Lewis di andare a esplorare quello sconosciuto territorio di cui l’ultima parte, l’Oregon sembrava ancora terra di nessuno…  “L’obiettivo della vostra missione è quello di esplorare il fiume Missouri, le sue principali correnti, il suo corso e  lo sbocco nell’Oceano Pacifico e verificare se il Columbia, l’Oregon o il Colorado o qualunque altro corso d’acqua possano offrire vie di comunicazione più dirette, attraverso l’intero continente, al fine  di agevolare o rendere praticabili i commerci…”

Lewis era un “giovin signore”della Virginia, figlio di piantagioni, nell’esercito per un po’ di avventura e  da un paio d’anni Segretario particolare del Presidente… Sapeva di botanica, astronomia e altre scienze  naturali… Tutto ciò che l’Illuminismo chiedeva di conoscere ai suoi figli migliori… Era anche un pò depresso, ma  fu capace di scegliere il suo compagno… Il Capitano William Clark era anch’egli  un Virginiano D.O.C, buona istruzione, eccellente cartografo, un gran senso pratico e voglia di comunicare… Aveva simpatia per gli indiani che durante la spedizione lo chiamavano familiarmente “Il capo Testa Rossa” e  lo rispettavano…

Si fa presto a dire Ovest, ma il viaggio andava preparato… “Acquistai le cose più disparate, racconta Lewis, dagli strumenti per la navigazione agli oggetti da regalare agli indiani, dai vestiti alle munizioni, dal cibo all’attrezzatura per gli accampamenti, dal tabacco alle medicine…” Clark  lo aveva preceduto partendo  da St Louis … a San Charles si riunirono. Alti quasi due metri, volti abbronzati,  abiti di pelle, lunghe giacche sfrangiate e  cappelli di castoro… Certo non lo potevano sapere, ma erano già entrati in un film western…. Anche  degli indiani  sapevano  poco… Si diceva che fossero i discendenti di una  qualche  tribù di Israele e alcuni, forse, addirittura di origine gallese… Gli Americani erano persino disposti ad assimilarli… se appena si fossero un po’ civilizzati…

Non fu un ‘inizio entusiasmante quando finalmente  salparono nel  mese di maggio del 1804… Le rive del Missouri erano desolate…Le zanzare una tortura…  Si sparsero di grasso dalla testa ai piedi…  Enormi  banchi di sabbia ostacolavano la navigazione, un po’ a vela, un po’ a remi, un po’ con le funi che dalla riva trascinavano  il barcone “ammiraglio” lungo 17 metri e due piroghe… Poi arrivarono i bisonti… Attraversavano il fiume da una “grande prateria” all’altra ed erano talmente tanti che ogni mandria fermava la spedizione per più di un’ora…

Gli indiani per quasi due mesi non li videro e, alle prime tribù che incontrarono, Oto e Missouri, parlarono con enfasi e ingenuità del Grande Padre  che stava a Washington  tutto diverso da quei  violenti e traditori  inglesi e francesi…. Quindi offrirono loro medagliette e bandierine per farli sentire parte della grande nazione americana… Ma  Little Thief e Big Horse, i  capi tribù già smaliziati  dal passaggio dei commercianti bianchi di pellicce , chiesero  invece solo whiskey e fucili e se ne andarono via parecchio  scontenti… Con i Sioux Teton del Nord a momenti arrivarono allo scontro… I Teton  controllavano i commerci  sul Missouri e  c’era il timore che gli americani li  soppiantassero e riempissero di fucili i loro nemici Mandan e Hidatsa… C ‘era già in questa prima spedizione, l’avvisaglia di guerra che tormentò  tutto  l’800.  Indubbiamente i due capitani poco capirono dei nativi… Del resto non era facile… Era anche per  gli indiani  un tempo di rapida evoluzione e le epidemie di vaiolo portate dai bianchi avevano stravolto le antiche gerarchie, lasciando qua e là vuoti di potere riempiti da nuovi capi emergenti…Finalmente Lewis e Clark arrivarono nel territorio dei Mandan e lì svernarono…  Al loro arrivo vi erano solo cinque villaggi, due Mandan e tre Hidatsa che si stavano  proprio allora riprendendo dopo la catastrofe delle epidemie. In uno di questi villaggi,un miglio più a nord, sul grande fiume,  viveva il commerciante francese della North West Company, Toussaint Charbonneau con le sue mogli indiane…

Charbonneau si  era offerto come interprete…   Conosceva la lingua hidatsa  e il francese che un membro della spedizione poi traduceva in inglese ai due capitani… In quel territorio era stato sufficiente,… Ma ora bisognava attraversare le Montagne Roocciose e anche il percorso linguistico si complicava…  Lì c’erano gli Shoshone e  l’interprete principale diventava Sacagawea, una Shoshone rapita circa 5 anni prima dagli Hidatsa e poi comprata o guadagnata al gioco da Charbonneau,   Lui ne aveva fatto una delle mogli… Lei avrebbe potuto tradurre in Hidatsa  a suo marito che poi  avrebbe tradotto in francese…

Quando  lasciarono Fort Mandan era ormai il mese di Aprile del 1805… Avevano dovuto costruire sei piccole canoe perché da quel punto in poi il fiume era più stretto… Sacagawea invece aveva cucito uno zaino da mettersi sulle spalle per il suo   bambino  nato a febbraio…  Il 4 di maggio la barca su cui era Sacagawea quasi si capovolse… Mentre il marito  mostrava tutta la sua inettitudine lei da sola recuperò  gli oggetti scaraventati fuori bordo…C’erano molte cose importanti, strumenti  e i  diari di bordo dei capitani…    A giugno però si ammala … Clark e Lewis  hanno ormai capito quanto lei sia importante  e la curano con la massima attenzione, mentre il marito seguita, durante il giorno, a caricarla di pesi…

All’improvviso si trovarono di fronte le “Great Falls.” Per oltre 15 chilometri il Missouri precipitava…   Caricarono  le barche e i bagagli su carretti improvvisati e li portarono su per le colline.. Quasi un mese per trasportare tutto e  comunque quando arrivarono in vista delle Montagne Rocciose  avevano anche raggiunto  le sorgenti del Missouri. Dovettero   abbandonare le barche…Le informazioni ricevute prima di partire non corrispond evano …  C’era ancora tanto da andare… E a piedi, senza cavalli  le Montagne Rocciose non le avrebbero mai superate.   Sembrava non ci fosse più acqua  nel “Passaggio a Nord Ovest” … Sacagawea li tranquillizza…   Si farà dare i cavalli dalla sua tribù e arriveranno al Pacifico…  

28 luglio, dal Diario di Clark…”Il nostro campo è proprio sul posto dove  gli indiani  Shoshone erano accampati al momento  in cui videro i  Minnetares ( Hidatsa)  cinque anni  prima, che si dirigevano contro di loro… Si ritirarono in fretta per  circa tre miglia fino al fiume Jefferson e si nascosero nei boschi,  ma furono  inseguiti e  attaccati… Furono uccisi 4 uomini, 4 donne, un certo numero di ragazzi, poi presero  prigionieri  tutte le bambine  e quattro maschi, Sacagawea era una delle prigioniere….”  Clark annota nel suo diario il racconto di quella terribile giornata che gli va facendo  Sacagawea e poi  aggiunge   “Lei non mostra alcuna emozione di dolore nel ricordare   la cattura e neanche gioia  nel tornare al suo paese natale… Io penso che  se ha abbastanza da mangiare e  qualche  ornamento da mettere sul vestito sia  perfettamente soddisfatta in qualunque posto …”

Ma il 17 agosto, mentre seguitano a viaggiare nel territorio degli Shoshone si deve ricredere. “Sacagawea, che era con il marito  100 metri più avanti, ha cominciato a ballare e a mostrare tutti i segni della gioia più  straordinaria, girando intorno a lui  e indicando diversi indiani, che ora si cominciavano a vedere mentre avanzavano a cavallo…  Lei, col linguaggio dei gesti, si  succhiava  le dita per indicare che erano della sua tribù nativa.

“Lei entrò nella tenda, si sedette e cominciò a  fare da interprete, quando nella persona di  Cameahwai, il Capo degli Shoshone, riconobbe suo fratello..  Immediatamente balzò in piedi,  corse e lo abbracciò, gettando su di lui la sua coperta e piangendo copiosamente.”

Ebbero i loro cavalli, ma dovettero dare i fucili agli Shoshone… Erano poveri e non sapevano come difendersi… Dopo le montagne rocciose ripresero  a navigare… stavolta era il Columbia …  Strada facendo Sacagawea sacrificò la sua bellissima cintura di cui si era invaghito un indiano… Era l’unico modo per avere le  pellicce di foca che Lewis e Clark volevano portare in dono al Presidente Jefferson… Finalmente il 7 Novembre 1805, dopo circa 6000 km il Capitano Clark scrisse sul suo diario:  Grande gioia nel campeggiare in  prossimità dell’Oceano”…Sacagawea volle andare con il primo gruppo e per la prima volta rivelò se stessa “Ho fatto tutta questa strada  per vedere le grandi acque,  ora voglio andare  subito… C’è la carcassa di una grande balena sulla riva… se tardo forse non riesco a vederla”  Aveva diciassette anni e nessuno le aveva mai insegnato nulla, ma aveva gli stessi interessi e la stessa curiosità di uno scienziato…

Era ormai inverno e piantarono il campo a Fort Clatsop.  A primavera cominciarono il viaggio di ritorno e i due capitani si divisero per un tratto…

15 luglio 1806… Dal Diario di Clark  “Sacagawea ha riconosciuto un  territorio  che aveva attraversato da bambina con la sua tribù Shoshone…Mentre io sto valutando i sentieri più adatti  per attraversare le montagne, la donna indiana che è è stata di grande aiuto come guida attraverso il paese, mi  indica un valico  più a sud … Passeremo di lì.” Più tardi quel  valico fu chiamato Bozenam Pass e   fu scelto come miglior luogo dove far passare la  Northern Pacific Railway.

Non trovarono l’intera rotta fluviale, ma scoprirono cinque passaggi attraverso le Montagne Rocciose e fornirono un documento eccezionale sulla natura e le ricchezze dei nuovi territori… Mentre tornavano verso St Louis incrociarono  i primi barconi in partenza  che seguivano la rotta da loro individuata…

Clark  visse a lungo pieno di onori e adottò il bambino di Sacagawea… Studi all’estero, incarichi… Ne fece quasi un Virginiano… Lewis non ce la fece nonostante l’incarico di Governatore della Luisiana… Era sempre più depresso e beveva… Si suicidò pochi anni dopo mentre stava andando a trovare il suo amico Presidente… Lei invece, trascurata dalla cronaca, entrò nel mito… Forse morì giovane o forse vecchissima… Qualcuno dice che lasciò il suo stupidissimo marito e si risposò… Forse ebbe una bambina Lisette, ma non è sicuro… Quasi certo che Clark se ne fosse innamorato…  l’ammirava troppo… Oggi è la donna americana che ha più statue e più monumenti in tutta l’America, strade,montagne, passi di montagna si chiamano Sacagawea…  Qualche anno fa il Presidente Clinton l’ha nominata Sergente degli Stati Uniti e le hanno dedicato una moneta da  1 dollaro dove è ritratta con il suo bambino sulle spalle… Peccato che fra tante immagini di Lewis e Clark non ce ne sia nemmeno una di lei… Almeno c’è da augurarsi che sia stata anche un po’ felice….

In alcuni tratti della spedizione la mancanza di cibo fu uno dei problemi principali… Quando   si ridussero  a mangiare del vecchio mais, Sacagawea  trovò  per loro dei  carciofi… Insegnò a Lewis il valore nutritivo di certe radici e della liquerizia. Difficile sapere come li cucinò quei carciofi… Per questo abbiamo scelto una ricetta semplice… Con qualche erba e molto sapore… Non saranno quelli di Sacagawea, ma di sicuro sono buoni.

CARCIOFI ALLA MENTA

INGREDIENTI  per 4 persone: 8 carciofi, 4 spicchi di aglio, menta fresca,  olio extra vergine di oliva, 2 limoni, sale.

PREPARAZIONE:  Lasciate attaccato un pezzo di gambo ai carciofi, poi iniziate a pulirli togliendo loro le prime foglie più dure, poi tagliate  di netto la cima con un coltello affilato e  rigirate subito dopo il coltello attorno alla sommità, come  si fa quando si sbuccia un’arancia, in modo da portar via la parte superiore delle foglie, che è sempre la più dura. Sbucciate anche il gambo e passate su tutta la superficie dei carciofi  la metà di un limone tagliato in modo da evitare l’annerimento. Poi aprite delicatamente il carciofo, asportate l’eventuale peluria che si può formare all’interno e  inserite  in ciascun carciofo  1/2 spicchio di aglio, qualche foglia di menta, salate e richiudete la sommità.  Poi fate scaldare in un tegame l’olio, aggiungete i carciofi a testa in giù  e copriteli a metà con l’acqua, inserite nel tegame qualche spicchio di limone e qualche foglia di menta, incoperchiate e fate cuocere per circa 25  minuti,  finché l’acqua non sia completamente  assorbita.

Francis Scott Fitzgerald e un Polpo in Provenza!

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Bisogna essere giovani e belli…  Spensierati e abbastanza cinici, ingurgitare allegria nervosa bevendo birra ghiacciata e,  fra una festa e l’ altra, andare e venire come   falene,  mentre  una grande orchestra, suona gialla musica da cocktail… Ma soprattutto bisogna avere molti soldi, perchè l’Età del Jazz  è un circolo esclusivo riservato agli eletti  edove successo e ricchezza sono  gli unici metri di giudizio. l’America vittoriosa in guerra  e ricca delle sue fabbriche  impone un nuovo stile di vita…dove non c’è posto per i poveri, per i deboli, per i falliti… Chi non ha  quattrini non  ha credito, e chi non ha  credito non  ha  quattrini.  Questo è il circolo vizioso e peggio per chi ci resta impantanato… A lui era già successo e non voleva che  capitasse ancora.. Almeno due momenti della sua vita… Uno peggio dell’altro. La prima volta  a Princeton, un’ Università esclusiva troppo in alto per lui…  Anche se suo padre era un gran signore del Sud …”Ho tentato, in un certo modo, di vivere all’altezza di quei criteri di noblesse oblige del passato… non ne rimangono che gli ultimi resti, sai, come le rose di un vecchio giardino che ci muoiono intorno… echi di strana raffinatezza e cavalleria ”  Ma proprio questo aristocratico gentiluomo era sempre stato un inconcludente lavoratore  che spesso non era riuscito a mantenere   la sua famiglia. Se Francis era arrivato a Princeton lo doveva ai soldi del nonno materno, un ricco commerciante di carni all’ingrosso, parte di quella nuova America  volgare e piena di vita, che suo padre disprezzava   e che Francis nonostante  tutto guardava con rispetto… I primi  tempi a Princeton furono per  lui i più spensierati della sua vita, trascorsi tra feste, musical e incontri sportivi… Lui era un gran ballerino, aveva la sua piccola rinomanza universitaria  di scrittore di commedie musicali e affascinava le ragazze con quell’aria elegante e il parlare fluido… Quando incontra Ginevra King, la figlia di un ricco finanziere di Chicago non sospetta il baratro che li separa… Incontri  d’amore, lettere di passione… Lei è la prima delle sue Flapper, le splendide costose diciottenni, disinvolte e sicure di sé, egoiste e  sbadate,  come Isabel  Al di qua del Paradiso o   Daisy Buchanan, il disperato amore di Gatsby… Testimoni universali di quel favoloso decennio  prima della grande crisi…  Pare che il padre di lei avesse già detto a Francis “I ragazzi poveri non dovrebbero nemmeno pensare di sposare le ragazze ricche…”, ma  appena lui lo chiese direttamente a Ginevra, lei gli fece educatamente sapere che stava per sposare il ricchissimo figlio del socio di suo padre… 20 anni dopo era ancora scottato da quel rifiuto classista… La incontrò a un party  e quando lei   con la stessa leggerezza  di allora, gli chiese  quale personaggio in ” Di qua del Paradisoi”  lei gli avesse  ispirato….  Lui col sorriso sulle labbra rispose “Which bitch do you think you are?”

Quella storia gli rovino’ l’Università … Come un romantico eroe d’altri tempi si arruolò per andare in guerra… ma non ci arrivò mai… “Il romantico egoista” , la sua storia di Princeton   seguitò a  scriverla, rivederla, correggere    fra  una base militare e l’altra … In una  di queste basi, in Alabama,    incontrò Zelda  Sayre, la bellissima, emancipata figlia di un giudice.

Arriva a New York a guerra finita, sicuro di sé, con il  manoscritto sotto il braccio. Glielo bocceranno  senza pietà…  E Zelda scompare… Non ha la minima intenzione di sposare “un ragazzo povero”…  Sembra che non ci siano più reti di protezione per  Francis  Scott Fitzgerald  che precipita nel  suo circolo vizioso senza credito e senza soldi…Forse fu allora che cominciò a bere o forse anche prima…  Torna   dai genitori e rivede per la quinta o la sesta volta il suo romanzo… E meno di un anno dopo arriva  il successo con “Di qua dal Paradiso”… E’ un mare di dollari. L’America  ricca, mondana, senza scrupoli ne è affascinata e non capisce nemmeno la sottile condanna di quel mondo, che traspare proprio dal suo più grande interprete…

Anche Zelda ritorna e il loro matrimonio nella chiesa cattolica più esclusiva di New York, la  Cattedrale di San Patrizio, è una spettacolare cerimonia … E’ già  iniziata “la grande leggenda della bellissima coppia, eroina, simbolo e interprete di tutte le prodezze sofisticate dell’età del jazz”. . Il Biltmore Hotel li caccia per ubriachezza già durante il viaggio di nozze… Ma  il loro comportamento anticonformista   entusiasma i giovani.

Lui ormai è lanciato e nel 1922  esce l’Eta del Jazz”  i racconti   dal titolo simbolo, con  le storie e i personaggi  “icone dell’epoca”,  e poi  “Belli e dannati” con il percorso maledetto, quasi nero  di Anthony e Gloria che, nella rincorsa all’eredità e al lusso, perderanno i loro sogni… Un’apologo moralista… Ma fanno più effetto gli eccessi alcolici di Anthony e il susseguirsi dei parties senza fine…

“Il Grande Gatsby” è la consacrazione di Fitzgerald, ma anche  il crollo morale del mito americano… però nessuno al momento se ne accorge, distratto dalla storia d’amore e dalla vita avventuriera di Gatsby…. Del resto gli anni ’30 sono ancora lontani.   Gatsby  all’apparenza, ma solo all’apparenza, è la realizzazione del mito,  la sua villa di uno sfarzo senza limiti è l’ammirazione e l’invidia di tutta la città … Luogo di leggendarie feste a cui  lui non partecipa, chiuso nella solitudine di un sogno che lo distruggerà… Lui con   tutto il suo passato di contrabbandiere borderline, ex ragazzo povero, è il più ingenuo e sprovveduto di tutti i personaggi…  Daisy e suo marito sono i cinici  e distratti ricchi di classe, che, nel loro egoismo,   condannato a morte Gatsby  ” Erano gente indifferente, Tom e Daisy – sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto”

 Dopo il successo di Gatsby,   la “bellissima coppia” non poteva farsi mancare la Francia e Parigi, la città dove  scriveva, dipingeva e si consumava, nella  versione europea dell'”Eta del Jazz”,  la “Lost Generation”.  Sono anni  da  brivido, nel salotto di Gertrude Stein… con  Hemingway, Dos Passos, Picasso  … La Costa Azzurra, la Provenza, ma  passati i primi tempi e l’entusiasmo del nuovo, diventano anche anni durissimi… Litigi, incomprensioni, conflitti… Sarà ancora bellissima, ma di sicuro  la  coppia nel tempo diventerà male assortita e lei andrà a cercare rifugio nella danza e   e nel suo unico romanzo “Lasciami l’ultimo valzer”… Di sicuro stava cercando una sua strada… ma non ci arriverà mai.

Lui  col tempo diventa più  angosciato … Devono stare all’altezza del mito e della vita da favola in cui si sono imprigionati…E la ricchezza di Fitzgerald è sempre di più  una ricchezza faticosa…se  mai  era stata spensierata. Per la ricchezza, spesso  si butta via, racconti frettolosi  che consentono però  a Zelda la vita che gli piace fare…  “

Ma quando nel 1934 esce “Tenera è la notte” la tragedia è già arrivata al suo culmine… Le stravaganze di Zelda, le sue spigolosità, le sue stranezze hanno ormai un nome preciso… si chiamano schizofrenia e lei ha cominciato ad andare e venire dalle cliniche… Lui invece  affonda nell’alcol  ed è sempre più spaventato dalle responsabilità…L’Età del Jazz  sembra   non sia mai esistita… La sua vita ora  é solo fatta di bollette da pagare per  le cliniche della moglie e la scuola della figlia… E se la protagonista del Grande Gatsby era forse ancora  Ginevra,  Nicole la protagonista   di questa Notte è sicuramenye Zelda… Lui forse le voleva ancora bene  perché nel finale del libro  Zelda – Nicole   avrà  la sua salvezza e il suo riscatto, mentre Dick  – Francis, il marito, finirà a fare il medico anonimo delle squallide province americane.

Ma Francis non ebbe nemmeno quello… Mentre sembrava aver ritrovato un po’ di serenità con  Sheilah Graham, un attacco di cuore lo stroncò … Zelda morì qualche anno dopo in un incendio della sua clinica… Il Jazz, si sa, non è quasi mai una musica allegra.

Meglio ricordarli all’apice del loro successo…  Nella Costa Azzurra  dove   all’inizio credevano che l’Età del Jazz ” non sarebbe mai finita… Dall’antico mare di Provenza   abbiamo scelto un piatto che forse  loro avevano apprezzato tante volte.

POLPO ALLA PROVENZALE

INGREDIENTI per 4 persone: 1,300 Kg di polpo verace, 500 grammi di patate,2 foglie di alloro, 2 gambi di sedano ( la parte interna bianca), 2 carote medie,  1 ciuffo di prezzemolo,  1 cipolla rossa di Tropea, 3 cucchiai di olive nere, 3 cucchiai di aceto di vino bianco, olio extra vergine di oliva a piacere, sale e pepe

Pulite  il polpo fresco estraendo  dalla testa il liquame,  gli occhi e la ventosa, lavatelo e poi sbattetelo a lungo su una  superficie rigida per intenerirlo. Qualcuno, per intenerirlo,  lo mette qualche ora nel  freezer ma  la questione è controversa.
In una casseruola portate ad ebollizione l’acqua con l’alloro, 1 gambo di sedano e 1 carota a pezzetti,entrambi lavati, l’aceto e il sale. Tuffatevi il polpo e cuocetelo a fuoco moderato per 45 minuti circa. Scolatelo, fatelo intiepidire e passatelo sotto il getto dell’acqua fredda per spellarlo più facilmente. Sgocciolatelo e tagliatelo a pezzi.
Pelate e lavate le patate, tagliatele a tocchetti, affettate la cipolla e fatela appassire in una casseruola con 4 cucchiai d’olio poi  unite le patate e cuocete a fuoco vivo per 5 minuti rigirando spesso.
Aggiungete il polpo, salate, pepate, coprite e continuate la cottura a fuoco moderato per 10 minuti circa mescolando di tanto in tanto. Al termine, cospargete il polipo con il prezzemolo tritato, l’altra carota tagliata a julienne, l’altro sedano tagliato a  a tocchetti, le olive snocciolate,  mescolate e  portate in tavola.

Francesco Baracca e il Bustrengo, un dolce rustico della terra di Romagna!

Una  ricca famiglia di provincia, il padre proprietario terriero e una madre  nobile che portò in dote altre terre. Su quel figlio   avevano  riversato tutte le loro ambizioni…  Scuole di prestigio…  Il violoncello e l’accademia di Modena… Sua madre  se lo immaginava in una vita brillante, con un buon matrimonio, le feste del circolo ufficiali e più tardi l’amministrazione delle terre. Invece fu tutta un’altra storia…  Francesco era  un grande sportivo e all’improvviso nel 1912 gli prese quella folle passione  per il nuovo sport…. Il più alla moda di tutti…Il volo…  E il suo Reggimento di Cavalleria allora lo mandò a Reims a imparare a pilotare gli aerei…  L’estate del 1912 deve essere stata una stagione splendida, che Baracca passò volando sopra la Champagne, cavalcando e vistando Parigi. Alla madre la sua grande amica e unica confidente scriveva  tutto spensierato  “Facciamo una vita brillante e dispendiosa, come è sempre stata degli Ufficiali Aviatori…Ci divertiamo e cercheremo di restare in Francia il più che sarà possibile. Domani sera andremo a Parigi ed abbiamo già un programma meraviglioso da svolgere in tre giorni circa tutti i luoghi da visitare… e quelli fino a mezzanotte … E quelli dopo mezzanotte”

Tornato in Italia  continuò la splendida stagione… Sembrava tutto un grande gioco… Abilità e acrobazie di cui si era subito appassionato… Un ‘esercitazione a novembre con un volo in formazione di 8 velivoli…L’anno dopo portò suo padre in volo e prese parte alle esercitazioni della Cavalleria…   Per la prima volta in cielo c’erano   quattro squadriglie…

Lo scoppio della guerra lo sorprese e lo lasciò con l’amaro in bocca… Anche se era un militare forse non aveva mai pensato che sarebbe successo alla sua generazione…  Lo mandarono di nuovo in Francia ad allenarsi  … Adesso non si trattava più di imparare a gestire un aereo… Bisognava imparare la nuova tattica… Il combattimento  aereo, il duello…   Ma quegli  aerei erano già vecchi… Le armi a bordo poco efficaci … Ricominciarono l’allenamento da capo con nuovi comandi con il timone ai piedi… I giovani Ufficiali non lo capivano bene , ma le lettere di Francesco alla madre sono ormai più consapevoli e meno allegre: “Il Nieuport”che dobbiamo pilotare, che fa da 145 a 150 km. all’ora è difficile ed occorre procedere con prudenza; non so poi se nei nostri terreni potrà trovare applicazione, perché ha bisogno di un gran campo di partenza e di atterraggio; ma ora escono già altri apparecchi anche migliori del nostro “Nieuport”  …Forse potremo cambiare…”

Difatti i primi combattimenti non sono un successo… La prima volta che Baracca  intercetta  un aereo nemico che  stava bombardando Udine  la sua arma s’inceppa per due volte  e lo devono salvare i compagni…  Il suo aereo è  colpito in tre punti … La seconda volta pochi giorni dopo non va  meglio…   di nuovo l’arma lo tradisce. Si salva mettendosi in picchiata, mentre il mitragliere nemico gli sparava contro, colpendolo…

A ottobre gli danno finalmente un aereo nuovo, un Nieuport X , ma gli aerei nemici sembrano scomparsi… Loro non lo sanno, ma anche l’aviazione  austriaca è in serie difficoltà e sta cercando aerei piu efficienti!…  Le autorità  promettono un premio in denaro a chi abbatterà il primo aereo… Baracca ci scherza  su…” Ci potrei fare una buona puntata a Montecarlo… Da una parte la vita, dalll’altra il premio e la gloria” A novembre ce la fanno ad abbattere un aereo nemico, ma non gli verrà nemmmeno riconosciuto…

 Finalmente il 7 aprile 1916 con un Nieuport N.13 abbatte un Hansa-Brandenburg C.I austriaco presso Medeuzza,   La sua prima vittoria fu anche la prima vittoria italiana in un combattimento aereo nel corso del conflitto.   Ma la prima cosa che fa Francesco Baracca è scendere a terra per vedere cos’è successo al nemico… Così annoterà nel suo diario:”Il pilota, un cadetto viennese di 24 anni, ferito leggermente alla testa è salvo per miracolo perché ben otto palle lo hanno sfiorato; l’osservatore, un primo tenente, è invece ferito gravemente da tre palle e forse non e la caverà. L’apparecchio era tutto intriso di sangue coagulato al posto dell’osservatore, e dava una triste impressione della guerra. Ho parlato a lungo col pilota austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio poiché era molto avvilito; veniva dal fronte russo dove aveva guadagnato la croce di guerra e medaglia al valore che portava sulla sua uniforme azzurra. Non aveva potuto salvarsi dalla mia caccia e mi esprimeva la sua ammirazione con le poche parole di italiano che sapeva.”

Lo farà spesso,al termine delle battaglie…Ogni volta che gli sarà possibile… Diceva sempre  “E’ all’apparecchio che io miro, non all’uomo”. Quà e là ritroviamo le sue annotazioni “L’ufficiale osservatore è colpito al polmone e ad un braccio ma forse se la caverà. Gli ho parlato a lungo all’ospedale …Venivano da Villach”  E ancora,in un altra occasione, dopo un duello aereo terribile l’11 febbraio del 1917 «Il nemico con gran coraggio accettava combattimento, forse sicuro di respingerci tutti…  Poi colpito incominciò la discesa precipitosa ed atterrò verso Remanzacco urtando un albero e rovinando le ali. Immagina quale spettacolo hanno veduto da terra tutta Udine e decine di migliaia di persone.… Gli aviatori nemici erano stati già portati via: l’osservatore è un tenente di cavalleria polacco, di nobile famiglia. E due mesi dopo ancora annotava “Siamo stati a trovare il tenente   ferito a Udine: è molto malandato, ha ancora la ferita aperta ma guarirà, gli portai le fotografie dell’apparecchio, gli ho promesso un pezzo d’elica per ricordo e dei libri da leggere. La madre sua chiede con insistenza notizie per via della Svizzera: abbiamo saputo che è il terzo figlio, superstite unico della guerra e che la sua famiglia tiene un centinaio di nostri prigionieri che lavorano nei loro campi e sono molto ben trattati”. Pochi altri assi ebbero il rispetto e l’umanitàdi Francesco per le vittime …  Ma  lui in effetti era rimasto un antico cavaliere…

Fece la guerra per due anni, ma molto meno  ci mise per  diventare un mito…Tre vittorie seguirono presto  quella del 7 aprile…  A maggio sette vittorie individuali e tre in collaborazione… Una sequenza che sembra senza fine..  Gli danno un nuovo aereo  il Nieuport 17 Bébé  dove  dipinge il suo famoso “Cavallino Nero Rampante”… Un’immagine che  gli sopravviverà… Mentre  il numero crescente delle  vittorie aeree lo  rende famoso  e fa sognare l’Italia . Nel settembre 1917, con 19 vittorie al suo attivo, è l’asso italiano  Altri cinque  vittorie  in ottobre, con due doppi abbattimenti in due singoli giorni.  Nel 1918 lo mettono a riposo per alcuni mesi, ma  quando torna le  vittorie diventano 34… Di quelle riconosciute!

 Ma negli ultimi tempi non era sereno. Vedeva la guerra ormai affidata alla tecnica sempre pià sofisticata e crudele delle armi e non al valore individuale.  Alla madre scriveva tutto il suo dolore per l’uso di pallottole traccianti, quelle  con la carica pirotecnica   che si accendeva  all’atto dello sparo … Aveva    visto un aviatore austriaco, avvolto dalle fiamme, gettarsi nel vuoto da alta quota.  url-3

Il 19 giugno del 1918 mentre  era impegnato in un’azione di mitragliamento a volo radente  sul Montello, il suo aereo venne abbattuto. Baracca fu ucciso probabilmente da un colpo di fucile sparato da terra, mentre sorvolava le trincee austriache. Aveva  da poco compiuto 30 anni… Il giorno prima aveva trovato una pallottola penetrata nel suo giubbotto senza ferirlo e ci aveva riso sopra, con la sua aria di grande ragazzo che non credeva alla sfortuna… Non credeva nemmeno di essere un eroe  e invece lo era…   Perché aveva fatto quello,  che lui diceva sempre…  In guerra devi sempre fare più del tuo dovere…

Pochi lo sanno… Abituati come siamo a vederlo sulle favolose vetture della Scuderia  Ferrari, abbiamo quasi la sensazione che sia una cosa del tutto naturale  e magari sia nato  da qualche designer della Ferrari stessa. Invece  la storia del cavallino rampante è più  lunga e  affascinante e l’ha raccontata proprio Enzo Ferrari … Era il 1923 e   il «Drake» aveva appena  vinto  il primo circuito del Savio che si correva a Ravenna e proprio lì fra una congratulazione e l’altra conobbe il conte Enrico Baracca …A quel primo incontro ne seguirono altri… divenne un’amicizia profonda con tutta la famiglia…Poi un giorno  la Signora Francesca volle donargli l’emblema del “Cavallino”… Era il simbolo del figlio morto in battaglia, di sicuro faceva fatica a privarsene, ma sapeva che quello poteva essere il modo migliore per mantenere viva la memoria di quello che era stato l'”Asso”  della  1° guerra mondiale…”Ferrari- mi disse – metta sulle sue macchine il Cavallino Rampante del mio figliolo. Vedrà, le porterà fortuna…”

Era nato a Lugo, in terra di Romagna, in una terra che  era tutta una fertile campagna…  Gli abbiamo dedicato un dolce dei contadini, rustico e buonissimo!  La ricetta è rimasta in gran parte segreta e  per questo se ne hanno parecchie varianti… In alcune zone di montagna, fino a pochi anni fa  si cuoceva ancora sul focolare sotto una coppa metallica…

BUSTRENGO

INGREDIENTI per circa dieci fette: 10o grammi di farina gialla, 200 grammi di farina bianca, 100 grammi di pan grattato, 200 grammi di zucchero o miele, 500 ml di latte, 500 grammi di mele sbucciate e tagliate a tocchetti, 100 grammi di uva passa,100 grammi di fichi secchi a pezzetti, la scorza di un limone, la scorza di un’ arancia, 3 uova, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1 cucchiaino di sale, zucchero a velo.

PREPARAZIONE: Amalgamate perfettamente tutti gli ingredienti e metteteli in una teglia tonda dal bordo sganciabile e infornate a temperatura di circa 160°C per circa un ora. Estraetela dal forno,sganciate il bordo appena si fredda e lasciatela riposare prima di tagliarla a fette e servirla, spolverizzata di zucchero a velo Si gusta piacevolmente con “Albana di Romagna Passito DOCG”

Evita Peron e la dolcezza degli Alfajores!

Un po’ sogno  e un po’ incubo quella bellissima signora bionda nell’ Europa stremata dalla guerra, appena finita. In sostanza la moglie di uno dei tanti dittatori del Sud America…  Ma questo  non si riusciva  a etichettare… Populista e fascista  si diceva, ma intanto nazionalizzava le  industrie come nel più  ortodosso dei paesi comunisti…  Lei era arrivata sorridendo a tutti  con un’eleganza ostentata da palcoscenico,  vertiginosi abiti da sera e gioielli che le pendevano da tutte le parti… Era quasi estate  ma scese dall’aereo a Madrid avvolta in un’opulenta pelliccia da grande Nord… Eppure  molti governanti fra l’ammirazione e l’imbarazzo dovettero riceverla.. Arrivava da uno Stato ricco e potente… Che poteva riempire di grano l’Europa affamata…  Era tutta una strana situazione… Una First Lady che non era al seguito del marito metteva in difficoltà i protocolli…  E ancor più lei metteva in difficoltà  i suoi ospiti andando in giro per i quartieri  poveri delle città… Parlava con tutti, si informava, lasciava  somme ingenti per aiutare…   Mancava di tatto e non nascose la sua indifferenza di fronte   alle meraviglie artistiche inserite nei programmi ufficiali. Dura, provocatoria, seguitava a ripetere “Mi commuovo solo di fronte al popolo, non di fronte alle cose inanimate”  In Spagna comunque fu un gran successo, almeno di facciata, a Roma fu ricevuta dal  papa Pio XII… 20 minuti di udienza come per le regine e non era poco per una dal passato così recente e così chiacchierato. In  Inghilterra non ce la vollero  proprio…. Quell’affronto di nazionalizzare i treni togliendoli a un’onorata compagnia britannica, non riuscivano a mandarlo giù. Appena gentili in Francia,  l’unico a mostrarle simpatia,  tutta  ricambiata, fu il nunzio apostolico di Parigi, monsignor Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Lui probabilmente andò oltre le apparenze…

Apparenze  che  facevano a pezzi la reputazione di Eva Peron…Alle spalle una famiglia di illegittimi… 5 fratelli  con un padre sposato a un’ altra donna, una mamma povera che cuciva sulla Singer e  a scuola le irrisioni dei bambini “bene”… Lei Eva cresce con un brutto carattere, mutevole e spaventato.. mangia poco per non ingrassare…Ha già capito che ha un’unica ricchezza… Il suo corpo comincerà presto a utilizzarlo…A quindici anni se ne va a Buenos Aires con Agustìn Magaldi, il cantore del tango, secondo solo a Gardel… Una vita durissima, per conquistarsi un posto …   Il mondo degli artisti  è spietato, vendicativo, meschino. Impara  la necessità di avere amicizie importanti per  evitare quando possibile lo”ius primae noctis” … Quello che si richiedeva dalle attricette sconosciute. Per 5 anni  resiste in  piccoli ruoli, spesso disoccupata, sempre  con  paghe da fame. Testarda, cocciuta seguitava a ripetere a sé stessa “Io non me ne vado” Nel 1939  ha ragione lei… Una compagnia radiofonica  trasmette radiodrammi  ed  Evita è la protagonista.  Diventa famosa con la sua voce calda e appassionata… Più in là ci infiammerà le piazze… adesso serve a far sognare gli argentini con i personaggi femminili  dalla vita tragica e dal finale allegro

Juan Peron lo conosce allo stadio nel 1943. C’è stato un terremoto a San Juan e hanno organizzato un Festival… Serve a raccogliere fondi… Eva ormai è un’attrice affermata che può anche essere presentata alle autorità.  Juan Peron nel governo in carica è Segretario al Lavoro e agli Affari sociali, come dire un ministro… Pare che sia stato amore a prima vista … Lui aveva il doppio degli anni di Eva, e gli piacevano le ragazze giovani… Ma lei cercava qualcuno   che potesse darle il mondo che sognava ad occhi aperti quando era piccola …  quello delle lenzuola di seta, dei telefoni bianchi, delle pellicce…  Cercava però anche  qualcuno a cui affidarsi, qualcuno solido… e considerò una fortuna questo colonnello, membro del Governo… Che l’avrebbe sostenuta a aiutata…  Invece fu lei a doverlo  fare… Il vento politico gli si girò intorno a Peron… Non a caso lo consideravano un fascista e lo cacciarono dal governo… Appena dietro l’angolo c’era pronto l’esilio… Lei con un’abilità da politico di razza,  senza esserlo mai stata, andò a cercare tutti i suoi sostenitori, uno per uno, nei quartieri poveri….

Il 17 ottobre, senza che nessuno avesse dato l’ordine, i “ descamisados“ occuparono Plaza de Mayo esigendo la liberazione di Perón…   Furono costretti a richiamarlo al Governo.  Gli uomini sudati si erano tolti le camicie, così la parola dispregiativa “descamisados”, usata  da “La Prensa, ”  è arrivata alla storia come il simbolo del movimento di Peron.

Lui volle sposare Eva…Adesso non temeva più l’entourage militare e i politici… Era il più forte.   Lei per l’occasione falsificò tutti i suoi documenti di nascita diventando figlia legittima e aggiungendosi quel vezzo di Maria che avevano, come primo nome. le ragazze della buona società…  Qualche mese dopo Peron vinse le elezioni e diventò Presidente.

E’ importante analizzare quello che Eva Peron fece  soprattutto quando tornò dall’Europa…  Spesso giudizi un pò superficiali e qualunquisti hanno dato un tono riduttivo o demagogico ai suoi interventi… Ma se guardiamo bene, innanzitutto in lei non ci fu nessuna metamorfosi rispetto a quando era un’attricetta povera o una ragazza qualunque… Dire che Eva fosse  maturata  non è renderle giustizia. Lei rimase quello che era sempre stata, con i suoi ricchi vestiti e i suoi gioielli da favola, solo che adesso aveva il potere e le risorse economiche per riscattare tutti i poveri dell’Argentina e, con loro, riscattare se stessa e tutte le umiliazioni.   Portava  con sè le parole di Monsignor Roncalli, sull’esigenza di sacrificarsi fino in fondo quando si abbraccia la strada della solidarietà..  e finì che dormiva due ore per notte…  Ma quello che soprattutto sorprende, in una donna che comunque lavorava all’interno di una dittatura, fu la straordinaria modernità e il rigore dei suoi interventi… Infatti  non ci fu in lei nessuna mano misericordiosa  tesa a  fare opere buone,  nessun pietismo da ballo di beneficenza, ma un organico, serrato disegno politico riformista,  tutto fatto di  leggi e di diritti ai cittadini. Il marito non aveva tempo  e  il mondo del sociale lo affidò a Eva…Un rapidissimo volgere di tempo e le donne ebbero il diritto di voto …

Legge 13010..Articolo 1: le donne argentine hanno gli stessi diritti politici e obblighi che la legge argentina impone agli uomini….Articolo 3: per le donne vige la stessa legge elettorale che per l’uomo…  Poi passa al  “Decalogo per la difesa degli anziani”,  per  stabilire i diritti della fascia più dimenticata … Il “diritto alla casa”, all’ “alimentazione”, alla “salute”… al “tempo libero”…   il diritto al “lavoro”, che è forse quello più stupefacente …”Quando lo stato di salute e le condizioni dell’anziano lo permettono, l’occupazione attraverso il lavoro produttivo deve essere fornita. Si eviterà così il declino della personalità”  E via su questo ritmo…  Evita Peron non ha avuto bisogno degli psicologi e dei sociologi degli ultimi 60 anni per formulare le sue riforme… L’impegno maggiore forse lo dedicò alle ragazze madri e a tutte le persone che non sapevano dove andare… Fece delle case di accoglienza in cui si insegnava un mestiere o una professione e si dava a tutti la possibilità di un un futuro migliore… Per quelle che avevano meno istruzione comprò le macchine da cucire Singer… Sua madre ci aveva dignitosamente mantenuto 5 figli…  La sanità…Sapeva che l’Argentina era in ritardo e fece uno sforzo enorme per riguadagnare il tempo perduto… Gli ospedali erano importanti… Ancora di più la preparazione del personale…  Fra il 1950 e il 1951 furono preparati 5000 infermieri con alta specializzazione… Andarono anche in Equador quando quell’anno ci fu il terremoto. Furono più di 20 gli ospedali che fondò in Argentina…L’ultimo, quello dei bambini era quasi pronto quando lei morì… Non fu mai portato a termine e nel 1976, con un atto di sfregio  non casuale, all’inizio della dittatura militare del Generale Videla   fu trasformato in un campo di concentramento per i desaparecidos…

A lei è rimasto un museo e una sepoltura in patria dopo che la sua cassa  fece il giro di mezzo mondo per sottrarla alle ire della dittatura. A noi resta il ricordo di una donna intelligente che voleva cambiare il mondo e portava i suoi vestiti e i suoi gioielli come una sfida  di tutto ciò che, di bello, di sognante e di spettacolare  fa parte del mondo  al femminile…

Mangiava poco Eva Peron… Aveva paura di non essere più amata se si fosse ingrassata… E non sapeva che c’erano milioni di persone che l’avrebbero accettata comunque… Se l’avesse saputo forse avrebbe apprezzato gli “Alfajores” i tipici biscotti argentini imbottiti di dolcezza…

ALFAJORES CON  DULCE DE LECHE

INGREDIENTI  per  circa 30  alfajores: 100 grammi di zucchero,130 grammi di burro ammorbidito, 3 tuorli di uova, 180 grammi di maizena, 120 grammi di farina 00, 1 cucchiaio di lievito per dolci, 1/2 cucchiaino di bicarbonato, 1 pizzico di sale,  .

INGREDIENTI PER IL DULCE DE LECHE: 1 litro di latte,300 grammi di zucchero, 1/2 bacca di vaniglia, 1/2 cucchiaino di bicarbonato

PREPARAZIONE DEL DULCE DE LECHE: mettete sul fuoco un pentolino antiaderente,versateci il latte e lo zucchero, rimestate con un cucchiaio di legno,unite il bicarbonato e scioglietelo seguitando a rimestare,poi unite la vaniglia  e seguitate a mescolare facendo raggiungere  il bollore  poi prolungate la cottura seguitando a mescolare sino a quando il latte non avrà raggiunto il colore marrone e la densità del caramello. Se resta troppo sul fuoco l’impasto diventerà troppo duro quindi testate frequentemente la densità sino a raggiungere una consistenza media. Se,in attesa di essere utilizzato si indurisse troppo rimettetelo qualche istante sul fuoco per ridargli morbidezza.

PREPARAZIONE DEGLI ALFAJORES: lavorate  il burro a crema con lo zucchero e il sale,aggiungete i tuorli, mescolate e unite la farina setacciata con la maizena e il lievito impastando il più velocemente possibile, formate una palla, avvvolgete con la pellicola trasparente,e mettete in frigo per circa tre ore. Stendete l’impasto raggiungendo lo spessore di 5 mm di diametro e con uno stampino o il bordo di un bicchiere ricavatene i biscotti tondi che poggerete su più teglie ricoperte di carta da forno. Riponete le teglie in frigo per circa 30 minuti e poi cuocete in forno riscaldato a  180°C per 30 minuti circa. Sfornate appena dorati e lasciate freddare i biscotti  su una griglia a perdere l’umidità. Poi farcitene la metà con piccole quantità di dulce de leche e ricopriteli con l’altra metà dei biscotti. Spolverate con zucchero a velo,se piace e servite.

Rudy Valentino e un ricordo di Taranto… Le cozze arraganate!

Contraddizioni, confusioni, omissioni, anche persecuzioni… C’è di tutto dietro al mito Valentino… Un grande amatore  spaventato dalle donne, sex simbol e  ragazzino gracile dalle orecchie a sventola ….Ed era stato così fin dall’inizio… Una famiglia di notabili in un  arretrato borgo del Sud,  nell'”Italietta” di fine ‘8oo… A Castellaneta il padre è  un veterinario, malato di snobismo che  studia l’araldica in cerca del suo  quarto di nobiltà … Approda a quel ridicolo suffisso “di Valentina d’Antonguella” che non si sa bene che significhi, ma, se non altro, servirà al figlio per ricavarne uno pseudonimo… La madre ,invece, era una vera figlia di nobili, vissuti in Francia, ed  era stata dama di compagnia di una marchesa locale.. Aveva una gran cultura… E Rudy ricevette da lei un’istruzione al di sopra della media… Con molte lingue straniere e un’apertura mentale  tutta europea, impensabile per i suoi compagni  della provincia Tarantina…  Cominciava così la sua  odissea  dell’essere diverso!

Poi il padre muore  presto   e lui finisce  in collegio … A Perugia. La chiave del personaggio Valentino sta sicuramente lì,  in quegli  anni   lontani dalla madre..  coperti dal silenzio e dalle omissioni …  Se ne conosce però la  conclusione… Cacciato per indisciplina  a 14 anni… Dietro c’era sicuramente un triste, freddo orfanatrofio per ragazzi poveri, dai muri grondanti umidità e dalle rigide imposizioni, dove   lui era preso in giro perchè bruttino… ma forse   anche molestato da qualche ragazzo più grande… Sarebbe bastato molto meno  a ferire un ragazzino sensibile come Rudy… uno che a Hollywood, dopo tutto il cinismo ingoiato, sarà ancora capace di scrivere… “Meglio essere un filo d’erba che conosce  i battiti del cuore di Madre Terra, piuttosto che una pianta travasata, viziata e relegata”

Quegli anni di collegio  fanno di Rudy un disadattato e un ribelle… Soprattutto poi quando lo rifiutano all’Accademia navale di Venezia perchè è miope… E pensare che sarà la miopia a dare a quegli occhi  sensualità e profondità … Saranno  ondate di donne a cadere ai suoi piedi… In qualche modo la madre riesce a fargli prendere il diploma di agrario… Chissà pensava di farne  un amministratore per i terreni della marchesa… Ma il ragazzo che torna in Puglia è irrequieto e non trova pace… E poiché sua madre gli ha insegnato anche il Francese va a Parigi… Lì c’era la “Belle Epoque” e lui non  tardò a immergersi e divenne un abilissimo ballerino… Pensava di darsi alla vita dissoluta e invece  aveva imparato un mestiere …Pare che per mantenersi  facesse il gigolò .

Ma a Taranto comunque non ci voleva proprio più rimanere …   Troppa la ristrettezza mentale di chi lo circondava… E  in America ci arrivò a bordo del transatlantico Cleveland… 

New York, New York…un sogno amaro per il giovane Rudy… Dormiva al parco e faceva il lavapiatti …  Poi incontrò Ugo Savino, cantante e amico di famiglia  che lo mise a lavorare da Maxim … “taxy-boy” danzante per le donne, in cambio di due pasti e delle mance delle clienti, sempre che le accompagnasse a casa... Quando comincia a fare seriamente il ballerino resta coinvolto  come testimone in una causa di divorzio durante la quale la moglie uccide il marito…  I soliti lati oscuri della vita di Rudy che scappa letteralmente in California… Li c’è un vecchio amico  o qualcosa di più, che lo inserisce nel Cinema…

“Allora alzai lo sguardo e colsi il profilo della bellissima testa di Rudy. Immediatamente mi colpì la speciale qualità dei lineamenti perfetti, qualità che i francesi avrebbero chiamato fotogenia. Era il mio lavoro di regista cercare nuove facce e certo, se solo la recitazione del ragazzo si fosse mostrata all’altezza del suo profilo, mi trovavo davanti a una scoperta eccitante” Questa è la testimonianza  di  D.W. Griffith  quando Rodolfo Valentino sta  per diventare  il più incredibile mito del cinema di tutti i tempi.

Lavorava già parecchio a Hollywood … In tante parti esotiche e in  secondo piano…  Ma nell’ambiente  non  si muoveva con disinvoltura… Avrebbe voluto sua madre, ma lei morì prima di poterlo raggiungere. Forse fu per questo che si sposò poco dopo con una donna bellissima, l’attrice Jane Acker, che però era completamente lesbica e lo tenne fuori la porta della camera da letto la prima notte di nozze … E anche quelle a seguire! E non gli andò meglio neanche con la seconda moglie, anche lei lesbica, che però gli affinò lo stile e il gusto… Quasi una sua seconda mamma…

Per fortuna  l’incontro decisivo della sua vita arrivò lo stesso, ma nel  lavoro!   Fu quello con la sceneggiatrice June Mathis, donna di enorme talento e potere nella Hollywood del tempo.
Quando lo vide nel solito ruolo secondario in “Eyes of youth”, ne restò folgorata, lo trovò perfetto per il personaggio di Julio Desnoyers, eroe romantico e sconfitto de I quattro cavalieri dell’Apocalisse, il romanzo che stava sceneggiando…  Lo  impose, riscrisse il ruolo  sui suoi occhi tenebrosi e iniziò il  mito di Valentino… In un fumoso locale da ballo dell’America latina, vestito da gaucho, Rudy strappa la donna a un rivale  e la trascina in una violenta indimenticabile  sequenza di tango…

Dopo di allora in ogni personaggio  che  interpretò proiettava  un’aura epica, fantastica, ultra romantica…  Tutto era più grande e più emozionante d’ogni vita immaginata e vissuta   dagli spettatori… Anzi dalle spettatrici…  Non era l’unico bel seduttore un po’ esotico,un po’ mediterraneo, ma solo  a lui fu dato  un carisma senza precedenti e senza seguito.  Un’assoluta fotogenia e un’ allusiva carica erotica, ma soprattutto tanta letteratura di infimo ordine che per la prima volta si affidava a lui, l’archetipo  dell’eroe, di volta in volta sentimentale, avventuroso eroico… o erotico… Diventò  l’immaginario collettivo delle donne americane.

Lo “Sceicco”    lo sfumò di passione romantica, d’esotismo e di virilità selvaggia… E del famoso rito che diventò poi quasi il suo marchio di fabbrica… La vestizione-svestizione in scena, che si ritroverà ancora in Sangue e arena, Monsieur Beaucaire, Aquila nera, Il figlio dello sceicco…  Tutto   poneva l’accento sul corpo  di Rudy come oggetto di culto collettivo.

Ma Rudy era anche un vero attore, dotato di grandi  doti di eleganza e sensibilità. Lo aveva da subito capito Charlie Chaplin  che   così lo ricordò il giorno dei suoi funerali a tutti quelli che, offuscati dal suo sguardo obliquo e dal suo corpo perfetto, poco ci avevano badato. “La morte di Valentino è una delle più grandi tragedie che abbia mai colpito il mondo cinematografico. Come attore egli possedeva arte e distinzione. Come amico, riscuoteva affetto e ammirazione. Noi che apparteniamo all’arte cinematografica, con la sua morte perdiamo un carissimo amico ed un compagno di grande valore. »

Una meteora, una morte improvvisa a 31 anni per una peritonite, nascosta però, dietro un’ulcera gastrica… il testimone muto delle sue ansie, della sua fallita vita matrimoniale e del montare  del gossip, a stento trattenuto dalle produzioni, gossip   che voleva parlare di lui al suo adorato pubblico femminile,  come del  “Piumino di Cipria”… Era giunta anche in Patria la diceria e il regime fascista lo teneva lontano… Forse se ne era andato appena in tempo, prima di compromettere la sua leggendaria carriera.. che in fondo era l’unica cosa che era riuscito ad avere.

Per il bellissimo Rudy, le buonissime cozze della sua terra, una ricetta che viene da  Taranto,la città dei due mari e della sua prima giovinezza…

COZZE ARRAGANATE

INGREDIENTI per 3 persone: 1 kg di cozze, 100 grammi di mollica di pane, 1/2 bicchiere di vino bianco secco, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 spicchio di aglio,  2 cucchiai di passata di pomodoro,  2 cucchiai di olio extra vergine di oliva, pepe . Per quanto riguarda il sale il consiglio è di assaggiare prima della preparazione una cozza fatta aprire in padella perché ci sono tratti di mare più salati di altri o periodi dell’anno particolari,in cui le cozze hanno già la giusta sapidità e aggiungere altro sale sarebbe dannoso per gli esiti della ricetta).

PREPARAZIONE: spazzolate le cozze con  la paglia d’acciaio e  strappare  a ciascuna il filamento il cui  tratto finale esce all’esterno. La pulizia deve essere molto meticolosa e alla fine la buccia della cozza deve essere lucente. Lavatele a lungo, ma esclusivamente sotto l’acqua corrente e non in acqua ferma. Poi ponetele sul fuoco con un poco di acqua e aspettare che i gusci si aprano. Non forzate l’apertura di quelle che rimarranno chiuse, limitatevi a buttarle via. Una volta aperte eliminate una delle due valve, vuota e, le altre, con il frutto di mare al loro interno, ponetele su una teglia sul cui fondo avrete messo un po’ di acqua. In una ciotola amalgamate la mollica di pane con il prezzemolo ben tritato, l’origano, la passata di pomodoro, una parte dell’olio, l’eventuale sale, il pepe e, una volta che il tutto sia ben amalgamato, spolverizzatelo sulle cozze. Spargete su di esse un filo uniforme di olio e ponetele nel forno caldo a 200 gradi centigradi per circa 15 minuti, finché non siano gratinate. A metà cottura estraetele dal forno e distribuite il vino uniformemente. E’ un piatto che si gusta caldo!

 

 

Gina Lollobrigida, la Bersagliera e gli spaghetti alla carbonara!

Un corpo snello e ben proporzionato, un viso dolce con grandi occhi castani, un naso delicato e una bocca morbida… Una bella ragazza che veniva da Subiaco, un paese della Provincia di Roma e si era classificata terza al concorso per Miss Italia… Ma così com’era poteva essere confusa con tante  altre… Fu quindi necessario creargli un’immagine inconfondibile  esasperando al massimo la moda dell’epoca che voleva donne dal seno procace e fianchi in rilievo. A  lei  la  strizzarono entro perversi “stringivita”   simili a quello che si usavano nell’800 per far svenire le signore che rimanevano senza fiato… In  questo modo seni e fianchi dovevano per forza traboccare da qualche parte… Per il viso  grandi sopracciglia circonflesse, labbra turgide e tanti ricciolini tutto attorno al viso… La bambola che milioni di italiani sognavano… Era difficile sfuggire ai cliché del cinema commerciale degli anni ’50… in cui  alla donna si chiedeva di essere solo la “maggiorata fisica”… di  improbabili telenovelas  strappalacrime  o di volgari commedie dozzinali…

Aveva cominciato con piccole parti fino ad assumere ruoli più impegnativi con “Campane a martello” , “La sposa non può attendere,”  “Altri Tempi,” quando la  fama della sua bellezza giunse alle orecchie di Howard Hughes, l’eccentrico miliardario americano che aveva il vizio di andarsi a scegliere le sue donne fra le attrici del cinema.  Sperò di far cadere nella sua trappola anche Gina  e l’invitò a Holliwood… ma il colpo gli riuscì solo a metà… Lei aveva già firmato il contratto, ma con quell’innato buonsenso che  gli derivava dalla sua famiglia di piccoli imprenditori di paese, capì che stava cadendo in una  gabbia dorata,  dove  più che l’attrice per i prossimi anni avrebbe fatto la donna ancella di Hughes… Allora  scappò letteralmente dall’America… Aspettò quasi dieci anni prima di tornarci… Che scadessero gli ultimi vincoli contrattuali che sul suolo americano la legavano a Hughes …

Poi  a Roma arrivò la sua grande occasione… E riuscì a trasformare quella  pesante icona “oggetto del desiderio” ne “La bersagliera,” un personaggio, fresco, spontaneo, con un garbato neorealismo tutto paesano, che non fu per Gina Lollobrigida  forse nemmeno difficile da interpretare, visto che quello in fondo era il suo retroterra. .. “Pane, Amore e Fantasia”  lanciò sicuramente nel mondo un’immagine  manierista e falsa di un’Italia già rampante, che si avviava verso il miracolo economico, ma fece di Gina Lollobrigida lo standard della bellezza  all’italiana che poi lei si è portata appresso per tutta  la vita. Quell’anno  il film vinse il “Nastro d’Argento…”

Luigi Zampa stava realizzando il film  “La Romana” tratto dal romanzo di Alberto Moravia… All’ inizio del libro così si descrive  la protagonista ” Avevo il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po’ largo in basso, gli occhi lunghi, grandi e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, la bocca grande, con le labbra belle, rosse e carnose e, se ridevo, mostravo denti regolari e molto bianchi. La mamma diceva che sembravo una madonna…” La descrizione di Adriana,  sembra l’immagine stessa della Lollobrigida… Era fatale che le affidassero la parte…  Ormai stava diventando anche la musa degli intellettuali…

Per quasi 20 anni la carriera di Gina lollobrigida non conobbe ostacoli… Le mode cambiavano, le donne si assottigliavano, il look diventava più semplice e sofisticato, ma in Italia, Francia e Hollywood seguitavano a volere Gina Lollobrigida così com’era… Con i vestiti troppo ricchi e drappeggiati, la testa rigonfia, i tacchi a spillo che non portava più nessuno,  ma, ciononostante, le maggiori produzioni  non fecero altro che contendersela…  “La Regina d’Africa”, “Il gobbo di Notre Dame”, “Il Sacro e il Profano”… Con “La donna più bella del Mondo”e con “Buonasera Mrs Campbell”  vinse  il Davide di Donatello… con “Torna a settembre” il Golden Globe .. e poi tante nominations, riconoscimenti, la presentazione alla Regina di Inghilterra…

Ma a metà degli anni ’70, ancora bellissima, Gina Lollobrigida sparisce.. Tornerà una sola volta sullo schermo molti anni dopo…. Aveva poco più di 45 anni e per molte sue colleghe iniziava una nuova carriera… Lei orgogliosa preferì lasciare. Quell’immagine che all’inizio le avevano imposta era diventata se stessa, l’aveva fatta sua  e ora non la voleva vedere sullo schermo incrinata dai piccoli segni dell’età… Anni dopo dirà di Sofia Loren ” Era brava, l’ammiravo moltissimo… Ma forse si è ritirata troppo tardi”

Però torna presto alla ribalta… Già prima di abbandonare del tutto lo schermo era diventta fotografa e  girava  il mondo… All’inizio nessuno sembra dargli credito… sembrano un po’ i capricci della diva annoiata…Ma Gina aveva talento, quel talento per le arti che giovanissima aveva coltivato al liceo artistico e poi aveva dovuto mettere da parte… perché guadagnava di più  come comparsa al cinema che fare ritratti a carboncino….  Il suo occhio fotografico gira per i paesi più poveri del mondo e sempre più spesso i suoi soggetti sono i bambini… oppure vecchi borghi dimenicati o grandi immobili paesaggi…

Le riviste “Life” e “Time Magazine” scoprono Gina fotografa e le chiedono di fare  un libro sull’Italia. Per riuscire a fotografare indisturbata , Gina si aggira per l’Italia per due anni e mezzo travestita da eccentrica e originale turista e nasce la raccolta “Italia mia”… Fidel Castro l’accoglie a Cuba… Lui racconta… “”L’ ho conosciuta bene… Siamo stati anche innamorati, pero’ era un amore platonico. E poi aveva sempre la mania di fare fotografie”… Difatti ne venne fuori un bellissimo documentario …

Dopo la passione della fotografia …La scoperta della scultura! Manzù l’aveva incoraggiata  quando, poco prima di morire, completava il suo busto… E lei va a Pietrasanta in Toscana… dove ci sono le migliori botteghe di fusione… Comincia a fare enormi colorate sculture dove mischia verdi e oro e … Stranamente i soggetti sono i personaggi che lei ha interpretato al cinema… da Paolina Borghese a  Esmeralda la protagonista di Notre Dame de Paris…Nel 2008 a Pietrasanta nella grande piazza fanno una mostra all’aperto delle sue opere … La folla è enorme e lei  è commossa e felice perchè può rivedersi  e mostrarsi giovane  ormai per sempre in quei marmi e quei bronzi…

Ma non le potevano bastare  le soddisfazioni personali… I suoi scatti fotografici in giro per il mondo le hanno fatto avvicinare i più poveri, i più bistrattati… E per  tutto quel dolore che aveva  accumulato ha finito per dedicare la maggior parte del suo tempo alle attività umanitarie, come rappresentante speciale per  l’UNICEF  e come ambasciatrice di buona volontà della FAO…Gina Lollobrigida  sembra instancabile e negli ultimi 10 anni   ha girato dappertutto per raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica nella lotta contro la fame. Adesso si sta vendendo all’asta una parte dei suoi favolosi gioielli… due bracciali che si potevano riunire a formare una tiara, orecchini di perle, un anello di smeradi, altri orecchini… Spera di ricavare un milione di euro e vuole destinarlo alla ricerca  e alla cura con le staminali… Nella lentezza con cui in Italia si stanno compiendo i primi passi nella sperimentazione, la giovanissima Gina Lollobrigida, una bella ed entusiasta  signora di 85  anni insegnerà forse qualcosa in materia di efficienza e di umanità ai nostri indecisi e un po’ pavidi  governanti…

Di Gina si sa che quando lavorava al cinema era rigorosissima… puntuale e precisa. In America, quando girava “Il Sacro e il Profano” era molto interdetta quando  le riprese la mattina iniziavano  tardi per aspettare Frank Sinatra che si doveva riprendere della sbronza della sera prima…  Seguitava a  studiare le lingue  e recitava direttamente senza doppiatori sia in inglese che in francese…Faceva ginnastica e quando era sul set mangiava pochissimo… ma quando   poteva… un buon piatto di pasta asciutta era la sua  gioia… Per questo le abbiamo dedicata questa ricetta di :

SPAGHETTI ALLA CARBONARA

INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di spaghetti, 2 etti di guanciale, 2 spicchi di aglio,1 peperoncino piccante di media grandezza secco, olio di oliva extra vergine, 4 tuorli più 1 uovo intero, sale q. b., pepe in abbondanza, 1 cucchiaio di panna liquida, 100 grammi di pecorino, qualche foglia di basilico fresco.

PREPARAZIONE: tagliate il guanciale a tocchetti, poi in una ciotola sbattete le uova con il sale e il pepe, il  pecorino grattugiato e qualche fogliolina di basilico spezzata con le mani. Mettete a cuocere gli spaghetti in acqua che bolle aggiungendo il sale  nell’acqua solo dopo avervi immerso gli spaghetti. Mentre gli spaghetti cuociono, in una padella fare soffriggere prima l’aglio e il peperoncino spezzato in due e appena l’aglio  ha assunto un lieve colore madreperlato toglietelo dalla padella insieme al peperoncino  e fatevi rosolare il guanciale sino a farlo divenire croccante, ma facendo attenzione a non indurirlo. Solo dopo rimettete nella padella l’aglio e il peperoncino espegnete il fuoco. Appena gli spaghetti sono cotti al  dente versateci sopra il guanciale e il peperoncino,togliendo l’aglio,poi mescolando velocemente aggiungete l’uovo e un cucchiaio di panna liquida per fare in modo che l’uovo non si rapprenda ma resti morbido come una crema. Servite subito.

Cent’anni di guerra… Per una Zuppa Inglese!

100 anni e qualcosa in più …  Alla fine  gli unici a guadagnarci furono i Re di Francia,  non certo il popolo…   I contadini  poi… Si videro addirittura  uccidere  Giovanna, il  loro unico,  grande condottiero.. Il re, che a lei doveva tutto, non fece  neanche un gesto per salvarla … Per  la memoria inglese invece, sempre restia ad ammettere le sconfitta degli anni ’30, la guerra finì probabilmente nel 1415 con la Battaglia di Agincourt   e la vittoria di Enrico V … . Oggi la “Guerra dei cento anni ” è  forse solo un ricordo confuso e un difficile  intrico di date …  E non chiedetene il senso… Difficilmente  qualcuno ve lo potrà spiegare!

Ma nonostante tutto, solo a sentirli nominare, Enrico V e Giovanna D’Arco  fanno ancora balzare  il cuore!  A loro ci hanno pensato gli scrittori, i poeti, i musicisti e alla fine il cinema!  Qualcuno potrebbe ancora obiettare  che Enrico V  è stato un invasore in terra di Francia… Ma attenzione, all’epoca non era questione di nazioni o popoli era  solo un discorso di troni e niente altro… Sia Enrico V  che Carlo VI, il re  di Francia, avevano  gli stessi antenati… E questo aveva fin dall’inizio scatenato le rivendicazioni. Se non ci fosse stato Shakespeare, Enrico V forse sarebbe ricordato solo come un grande re, forte e vincitore  ma il Bardo, che lui si, moriva di amor di patria, vide in lui il più puro eroe dell ‘epopea nazionale. Quando Laurence  Olivier o Kenneth Branagh  parlano ai soldati prima della battaglia di San Crispino, viene  quasi voglia di andarci… Perché in un epoca cinica e dissacratoria, almeno per un istante sembra un privilegio, andare a combattere o a morire  ad Agincourt!

 Dopo la Francia stava messa proprio male… Carlo VI,  sicuramente pazzo oltre che sconfitto,  riconosceva Enrico come  successore, di  suo figlio Carlo disse che era solo un bastardo e  quanto a sua figlia Caterina, le fece imparare  l’inglese e la  dette in sposa a Enrico!…

Carlo, il figlio, fuggì al Sud per organizzare un po’ di resistenza, ma ormai nell’anno 1428 era anche lui allo stremo. Enrico era morto, ma gli inglesi  erano sempre saldi a Nord…  E, orrore…Parigi era nelle loro mani e  il Duca di Borgogna li aiutava.

 Era iniziato l’assedio a  Orléans e se gli inglesi l’avessero  presa, sarebbero calati a sud senza freni…Attorno a Orléans c’era il fior fiore dell’esercito francese, ma il  primo a non crederci più era proprio Carlo…  Quando inaspettatamente arrivò l’aiuto del popolo francese, ribelle ai nobili,  sfinito dalle carestie e dagli inglesi… Al popolo  rimaneva solo la casa reale  e quella strana ragazza  che aveva voluto corazza e cavallo per andare a combattere… Giovanna andò  da Carlo… Lui  non aveva vie di uscita e l’ascoltò. Era quasi obbligato a farlo… Lei rappresentava  le masse popolari! Ma questo era l’aspetto formale. In realtà Giovanna aveva un magnetismo, una forza… una capacità davanti alla quale  non si  resisteva. Era una strega come la definì un secolo e mezzo dopo Shakespeare, ancora umiliato dalle sconfitte inglesi, oppure una Santa con la luce di Dio? Una ragazzina di 17 anni che aveva abbattuto le diffidenze  di un popolo e ora stava convincendo l’erede al trono…Carlo la proclamò “condottiera delle azioni militari” e lei vinse a Orleans trascinandosi dietro, nello sbalordimento generale, un intero esercito all’improvviso pieno di slancio e patriottismo. Poi obbligò quello stupido delfino ( Sua Maestà la stoltezza lo definirà Roberto Rossellini nel suo film del 1954) a farsi incoronare re a Reims perché voleva un segnale forte e, infatti, mentre attraversavano la Francia, le città si ribellavano agli inglesi e giuravano fedeltà a Carlo.

Se Giovanna fosse stata saggia si sarebbe fermata lì…  Lei non lo sapeva, ma  Carlo  preparava l’accordo con i nemici e a lei, per togliersela di torno offrì onori e soldi…Che ovviamente rifiutò mentre seguitava  a combattere… Sembrava invincibile, ma solo per i nemici, non per gli amici..  A Compiègne, dopo una battaglia campale… Non rientrò in città. Le sbarrarono le porte in faccia mentre si avvicinava inseguita dai nemici…  La catturarono i  Borgognoni, alleati agli inglesi a cui la vendettero per una bella cifra … Carlo la fece riabilitare  venti anni dopo che l’avevano arsa viva, dopo un processo farsa… Ne andava anche della sua dignità! In giro si mormorava che era stato salvato e incoronato da una strega eretica…

 Troppo insolita la sua vita, troppo ingrati i suoi amici, troppo ingiusta  la sua morte…  Giovanna d’Arco  è rimasta una presenza vivissima e attuale… Mito reincarnato, dalle  mille immagini  perché lei è storia, politica, religione, tutto insomma in una persona  che continua a far discutere. L’800  forse fu il suo periodo d’oro in Teatro… Se ne vollero occupare i migliori  da Shiller  a Berbard Shaw,  da Verdi a Tchajkovskji  e anccora Brecht nel 1900… Il cinema addirittura è impazzito… Dalla fine dell”800 a oggi ci sono più di 100 film… dai fratelli Lumiere a Melier, da De Mille a Dreyser,  da Roberto Rossellini ai giapponesi.

 Nessun arma fu esclusa durante la “Guerra dei cento anni”, anzi quella fu una delle più grandi occasioni storiche  per riformare gli eserciti e testare nuove  armi … Ma, fra le tante con cui  francesi e inglesi si sfidarono, ce n’è stata qualcuna che vale la pena di ricordare perché meno cruenta … Tanto da riuscire a gettare  una  sia pur piccola luce di sollievo divertito su quei tempi oscuri … Incredibile a dirsi, ma quell’arma  è la “Zuppa Inglese”, il dolce coloratissimo che in molti dicono  sia stato inventato appunto dai  francesi, che  la fecero  soffice e morbida  chiamandola  “Zuppa Inglese” per schernire gli avversari  accusandoli di scarso valore e poca forza virile… Anche se non ci sono conferme nella cucina ufficiale e ciò non desta meraviglia dato che  era nata in zona di guerra, ci sono tuttavia alcuni scritti dell’epoca che avvalorano questa storia oltre al fatto che Alchermes e Rosolio, i liquori tipici della Zuppa inglese all’epoca erano ben  noti. Ovviamente trattandosi di un dolce così antico e così diffuso – era ad esempio uno dei dolci più amati presso la Corte Estense a Ferrara –  le varianti si sono succedute nel corso dei secoli e quello che compare nei testi odierni è una versione molto vicina alle ricette ottocentesche.

ZUPPA INGLESE

INGREDIENTI per 4 – 5 persone: 200 grammi di Pan di Spagna, 150 ml di liquore alchermes, 125 grammi di zucchero, 5 tuorli d’uovo, 50 grammi di maizena, 500 ml di latte, 1 stecca di vaniglia,  50 grammi di cacao amaro più   scagliette di cioccolato fondente  per il decoro per il decoro,  acqua 150 ml, qualche fragola opzionale.

PREPARAZIONE:  Iniziate preparando la crema pasticcera. Fate sobbollire una stecca di vaniglia nel latte per 5 minuti e poi estraetela dal pentolino. In una terrina mescolate i tuorli con lo zucchero  e la maizena e usate  la frusta elettrica  per ottenere una crema molto liscia e omogenea. Aggiungete il latte tiepido a filo, mescolate bene e poi versate in una casseruola con il fondo spesso. Ponete sul fuoco a fiamma bassa e cuocete per 10 minuti mescolando per non creare grumi. Quando la crema inizia ad addensarsi toglietela dal fuoco e seguitate a mescolare con un cucchiaio di legno. Dividete la crema in due parti uguali e in una delle due incorporate un po’ per volta il cacao amaro facendo attenzione a non creare grumi. Riempite un sac  à poche con la crema chiara e un altro con la crema al cioccolato. Miscelate l’alchermes con l’acqua e bagnatevi il Pan di Spagna diviso in  parti. Formate un primo strato di Pan di Spagna che potrete porre o in una pirofila trasparente in modo che di profilo appaiano i colori stratificati o in coppette di vetro singole. Ponete sul Pan di Spagna uno strato di crema pasticcera chiara, su cui appoggere un altro strato di Pan di Spagna  seguito dalla crema pasticcera al cioccolato.  Terminati gli ingredienti decorate con le scagliette di cioccolato  o con ciuffetti di crema chiara o anche pezzetti di fragole a piacere. ( Attenzione: per la preparazione del Pan di Spagna, cliccate qui)

 

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Dal Rinascimento… La zuppa di mele per Caravaggio!

Per misteriose e rapide vie di comunicazione, di cui  non c’è memoria, la sua fama  si era sparsa in  Europa e  gli artisti del nord cominciarono ad affluire a Roma. Venivano dalla Francia, dalla Spagna  e  dall’Olanda soprattutto e, in seguito, molti sarebbero diventati, magari a loro insaputa, Caravaggeschi. Ma per il momento ciò di cui andavano in cerca  era il genio che aveva stravolto la pittura e reinventato la luce… Si dovettero accontentare di vedere le sue opere, a San Luigi dei Francesi, a Piazza del Popolo, presso i nobili signori che avevano acquistato le sue tele…   perché il genio non si trovava. Lo cercò disperatamente anche Rubens…   Che sulle tracce di  Caravaggio andò a vedere il quadro dello scandalo, che la famiglia Lelmi aveva rifiutato. Si diceva che Caravaggio ne avesse fatto una mezza tragedia per quel rifiuto, ma  la Madonna  col volto e il ventre gonfio della  prostituta affogata nel Tevere … non si poteva proprio accettare. Rubens invece rimase quasi in adorazione  di quella scena così spoglia e così ricca di umanità dolente, di quel modo di comporre  dove in primo piano c’è un personaggio secondario, la Maddalena piegata su se stessa dalla sofferenza,  mentre alla Madonna, su quel lettino  stretto e i piedi nudi, il pittore aveva tolto ogni sacralità. Quando tornò a Mantova, Rubens era ancora talmente  colpito che convinse il Duca ad acquistarla senza aver mai visto il quadro… Ma di Caravaggio non era riuscito  a trovare traccia! Lui era in fuga, chissà se stava ancora nelle tenute  del Lazio dove i principi  Colonna lo nascondevano, depistando i suoi inseguitori o era già arrivato a Napoli. La condanna stavolta era stata durissima. La decapitazione e, chiunque lo avesse incontrato,  era autorizzato a farlo… Adesso Michelangelo Merixio aveva perso  la sua spavalderia e questo  si vede già nella “Cena in Emmaus”, che dipinse durante la fuga. Cupa, quasi senza colore… I personaggi che  si stringono in tondo come in un ultimo istinto di difesa, quel pane  spezzato sulla tavola che è già  disfatto…  Poi, già in salvo a Napoli, arriveranno gli incubi, di cui  lui  negli anni a venire cercherà di liberarsi, dipingendo quegli ossessivi personaggi  con la testa mozzata, Golia, Oloferne  o Giovanni Battista, dove il suo macabro autoritratto prende spesso il posto del condannato.  Va a capire cosa  era passato nella testa “in pericolo” di  Michelangelo…Avrebbe potuto essere felice a Roma, anche se ogni tanto qualcuno  criticava i suoi quadri più “stravaganti”… Lavorava sempre parecchio con l’ammirazione e l’appoggio dei potenti… Ma aveva anche un caratteraccio,  pronto a infiammarsi e a cacciarsi nei guai. Di giorno le sue frequentazioni, erano almeno rassicuranti, Cardinali, Principi e i Priori delle Chiese dove andava a dipingere… Ma  appena arrivava la sera non ce la faceva a rimanere lontano dalle osterie, dalle prostitute,  dal gioco d’azzardo… Chissà, forse sperava di trovare gli ambienti  semplici e genuini della sua infanzia povera, lontano dall’etichetta e dai formalismi dei grandi apparati e invece finiva sempre per bere troppo e litigare con qualcuno…

 Una sera aveva lanciato un piatto pieno di carciofi contro un garzone d’osteria, un giorno aveva preso a bastonate un  amico del Cardinale Dal Monte che li ospitava tutti e due… Non era la prima volta che sulla scena  arrivavano i coltelli,  una volta ci aveva ferito un notaio che gli voleva portare via la sua donna, un’altra era finito all’ospedale affermando spudoratamente di essere caduto sulla sua spada, ma quella sera di maggio il limite era stato superato! Michelangelo ne era uscito ferito, ma il suo avversario era proprio morto…. Ed ora scappava dolorosamente, lontano da Roma…  la sua seconda Patria e, per non pensare, dipingeva un capolavoro triste dietro l’altro. Naturalmente non c’era più alcuna traccia dei canestri di frutta vividi di colori nè l’incanto dell’ Angelo  bianco  che durante la “Fuga in Egitto”, suonava la nanna nanna a Gesù! Ma c’era sempre quell’ “occhio fotografico”  che anticipava di  qualche secolo le istantanee della Polaroid, in cui la realtà e, sempre più spesso il male di vivere, si fissavano sulla tela nell’istante stesso in cui arrivava la scena clou!  Una volta era riuscito a sorprendere un ragazzo nel momento preciso in cui veniva punto da un ramarro e aveva scovato Narciso sognante nel bosco, che si  innamorava nella sua immagine riflessa! A Napoli  in quella chiesa barocca oggi così morbida ed elegante, fece irrompere drammatiche  e concitate  le figure trasversali in volo di due angeli, mentre nella parte inferiore le “Sette  opere  di misericordia”, incredibilmente serrate le une alle altre, sembrano  vivere in simultanea  in uno stretto vicolo napoletano. Dopo un anno Michelangelo  salperà per Malta, il Principe Colonna  gli trova un contatto con il gran maestro Alof de Wignacourt, a cui il pittore fa anche un ritratto. Se riuscirà a farsi nominare Cavaliere del Sovrano Militare Ordine  avrà anche l’immunità e potrà tornare a Roma… Era un piano quasi perfetto se Michelangelo non avesse litigato con un Cavaliere di rango superiore…  Poteva essere una sciocchezza… ma venne fuori tutto il suo passato e l’imprigionarono. Lui riuscì  avventurosamente a scappare, lasciando però  nella cattedrale di La Valletta  il suo quadro più grande la  Decollazione di san Giovanni Battista, un altro dei suoi quadri incubo dove il rapporto figure-spazio è rovesciato  creando  ampie zone di buio  e una scena del dramma con qualche luminoso  sprazzo di colore  e il resto immerso nella penombra.

A Siracusa  sembra per un momento trovare la serenità, ospitato da un vecchio amico e a spasso per le Latomie… Sarà lui a chiamarle poeticamente “L’orecchio di Dioniso” e in esse  ambienterà quello che da alcuni critici è ritenuto il suo capolavoro, ” Il Seppellimento di Santa Lucia”… La scena sembra ambientata all’ingresso e sono i due enormi becchini in primo piano a dare il senso  di una  realtà  avvolta nel male. La Santa, qusi schiacciata in terra  sembra avere un taglio sul collo, ma osservando da vicino la trama della pittura c’è invece il ripensamento di una testa  che in una prima versione era staccata… Ma, nonostante il ritmo opprimente delle figure è la luce la vera protagonista non più orientata ed uniforme come nelle opere romane, ma tragicamente rivestita di diverse  tonalità sanguigne e ocra  che quasi cancellano le figure..

Dalla Sicilia tornerà a Napoli dove qualcuno lo sfregerà e… come una profezia, si diffonderà la voce che è morto. Invece gli arriva la notizia che è in arrivo la grazia del Papa. Pazzo di gioia prenderà la prima nave in partenza per Porto Ercole… Pensa di scendere a terra a Palo, nel Lazio e di lì raggiungere Roma con un  tela, Il “San Giovanni Battista” della Galleria Borghese, che si trascina appresso e sarà il prezzo da pagare … per quella sospirata  libertà. Ma  appena arriva a Palo lo  fermano per accertamenti… mentre la nave riparte. Dopo due giorni con un’altra  nave che i principi Orsini gli mettono a disposizione cercherà di raggiungere  i suoi preziosi bagagli a Porto Ercole. Ma è troppo tardi, la nave è appena ripartita e lui morirà su quella spiaggia malsana poco dopo.. forse un’infezione, forse la malaria… mentre la grazia arriverà 4 giorni dopo.

Da allora lo dimenticarono… per più di trecento anni… era una persona  imbarazzante ed era un genio troppo moderno per il barocco che stava arrivando  con il suo tripudio di luci e per il severo classicismo che  venne dopo. Ci volle  la pittura rivoluzionaria del primo ‘900 e poi fu possibile riscoprire Caravaggi0… quasi fosse un contemporaneo con cui poter condividere valori e tecniche, una realtà che non poteva esistere senza le luci e le ombre con cui lui  l’andava a scoprire e la sua infinita capacità di cogliere gli attimi fuggenti…2223

Ripensando alle sue nature morte abbiamo pensato  di dedicargli un piatto rinascimentale preparato con la frutta, appena riadattato dalla ricetta del grande Bartolomeo Scappi..

MINESTRA DI MELE

INGREDIENTI per 4 persone: 1 Kg e 1/2 di mele renette, 1 ramoscello di finocchio selvatico, 1 gambo di sedano, 1 cipolla rossa di Tropea di piccole dimensioni, 250 grammi di pancetta, olio extra vergine di oliva a piacere, sale  e pepe nero q.b.

PREPARAZIONE: sbucciate le mele e mettete il torsolo e le bucce in un pentolino coperti di acqua. Dovranno bollire per circa un quarto d’ora a fuoco basso. Poi filtrate il liquido e mettetelo da parte. Soffriggete  nell’olio, in un tegame ampio, la cipolla, il sedano tritato e la pancetta tagliata e dadini. Il fuoco dovrà essere basso e la cottura prolungata per non bruciare la cipolla. Appena avrà assunto un colore dorato aggiungete le mele tagliate a pezzi e fatele insaporire per qualche minuto ,poi aggiungete il liquido ricavato dai torsoli e dalle bucce, il rametto di finocchio selvatico e  se necessario altra acqua per coprire il composto. Fate cuocere finchè le mele non siano del tutto disfatte.  Al termine la minestra si dovrà presentare con  una densità cremosa, pertanto se l’acqua fosse troppo abbondate fatela restringere prolungando per qualche minuto la cottura. Togliete allora il rametto di finocchio selvatico,aggiungetene per decorazione un altro fresco e servite  la minestra calda.

Riso al barolo… per Silvana Mangano.

Un grande affresco neorealista sulla vita delle mondine, su un mestiere infame, uno dei più infami … con le donne a testa china, le gambe in acqua otto ore al giorno a prender su riso nella palude, in  mezzo alle zanzare..  Ma era anche un melo … eccessivo, sopra le righe, pieno di stereotipi, che tenta, senza riuscire convincente, la via del noir,  fra colei che si perde, colei che si ritrova, il cinico seduttore, il bravo ragazzo. Poteva essere uno di quei film di serie B degli anni ’50, che non superarono mai le frontiere nazionali… Invece  era “Riso Amaro” e ne nacque un’icona a se stante, che valicò i destini del film e rimase simbolo di bellezza, di sesso e di femminilità per più di un decennio. Anche la storia della location, è quanto meno insolita. Il filn fu in buona parte girato a Venaria, nella tenuta di Gianni Agnelli che fu felicissimo di prestarla per un film di protesta sociale a quel rigido comunista che era il regista Giuseppe De Santis.

Quando Silvana Mangano si presentò ai provini, Giuseppe de Santis la scartò… Troppo truccata, troppo costruita per la parte di una contadina… poi la incontrò per caso in un giorno di pioggia e quella ragazza dai capelli bagnati e senza un filo di trucco ottenne immediatamente la parte.

Con quel film dunque la nuovissima attrice diventa un fenomeno  esplosivo… E impone  il successo internazionale del film …   Qualche anno dopo i critici cinematografici ancora cercavano  di spiegarselo “E’ un fatto fuori dal normale la consacrazione di un mito con un solo film…  Fu un imporsi di colpo e la ragione fu  il legame al personaggio, misteriosamente suo…Complici  le risaie dove gli inediti corpi delle mondine potevano spiccare in tutta la loro sensualità”

Erano tempi di maggiorate fisiche e l’Italia imponeva le sue migliori, Sofia Loren, Gina Lollobrigida… anche Silvana Mangano sembrava una di loro… Invece il suo fu un percorso tutto alla rovescia.

Il produttore di “Riso amaro” si chiamava Dino de Laurentis e quando si sposarono tutti pensarono che  lei l’avesse fatto per la carriera… solo dopo, molto dopo si capì che con quel matrimonio si voleva mettere al sicuro, uscire di scena. Invece non le fu possibile… Incredibilmente e per diverso tempo furono proprio i suoi film a dare forza a denaro alla produzione di suo marito. I melo seguitavano ad andare di moda e lei diventò “Anna”, la ballerina ceduta alla vita monastica in un film tutto strappalacrime, ma di grande successo finanziario…  L’unica cosa bella del film è Silvana Mangano che balla il Mambo in un mix incredibile di tecnica, innocenza e consapevolezza… come del resto seguiterà a fare anche in “Mambo…

All’apparenza sembrava che tutto andasse bene… in pochi anni lei  avrà quattro figli e un affetto immenso da parte del marito che la vizia e la coccola. In realtà   non voleva più recitare… Chissà quando e perché, ma in lei si era rotto qualcosa … Un dramma che non le darà più pace… Si sentiva inadatta e seguitava a negarsi attrice “Non ho mai avuto nessuna scuola alle spalle… Io improvviso ”  Ma c’erano gli interessi di famiglia e lei  doveva seguitare a lavorare. Su questo la produzione … e il marito,  erano inflessibili.

C’è da chiedersi come abbia fatto con tutta la sua insicurezza e la sua paura a interpretare per anni e così bene i ruoli più diversi. A parte i film  “Peplum,” come Ulisse, di cui anche lei fu vittima, nei ruoli inespressivi di Circe e Penelope, c’è per esempio l’umanissimo ritratto della prostituta Costantina de “La Grande Guerra” dove lei  è spigliata,  un po’ aggressiva, a tratti comica e non lascia assolutamente sospettare  l’insofferenza e il disagio  di cui era vittima. Anche in un film dolente come “La diga sul Pacifico” è di nuovo una scatenata e disinibita ballerina  al fianco di Anthony Perkins  e tutta la Francia si infiamma per lei…  C’era solo un fatto che poteva far capire  la nevrosi che l’agitava, ma all’epoca non c’erano i dati per interpretarlo. Era il suo fisico in  metamorfosi… Qualcosa che cominciò quasi in sordina e ad un certo punto nei primi anni ’60 divenne evidentissimo… In lei non c’era più niente della ragazza dal fisico esuberante, che l’aveva  lanciata in Riso Amaro”. Quel fisico lei aveva imparato a disprezzarlo e odiarlo come qualcosa di volgare, di contaminato.. e un po’ per volta divenne una signora diafana, estremamente  magra, quasi esile e senza più nessuna delle sue curve leggendarie… Era bellissima, ma non era più lei…  Ormai la chiamavano l’antidiva per quel suo modo di sottrarsi, di non apparire, di vivere sempre più appartata. Ma anche questo non era possibile…La volevano i più importanti registi e non perché era la moglie del produttore, ma solo perchè era Silvana Mangano, anche se lei faceva fatica a capirlo. Però quando saliva sul set  si trasformava, si identificava, si dava completamente al personaggio. Spesso  è strepitosa, anche in un dubbioso film di Pasolini come “Teorema”. Sono tanti i personaggi che affollano  la trama, ma è solo lei che dà credibilità alla storia, in un ruolo difficile… Quello della signora borghese che si abbandona a tante esperienze sessuali in cerca di un’improbabile salvezza. E’ felice anche la collaborazione con Visconti …  Sorprende la verve con cui si cala, lei così timida e introversa, nell’ esuberante, eccessiva affittuaria che sconvolge la quiete del solitario professore in “Gruppo di famiglia in un interno”…  E già prima Visconti doveva averla amata alla follia quando  interpretò la madre del giovane Tazio in “Morte a Venezia”. Per capire tutto Visconti basterebbe solo guardare lei, eterea, distante, splendidamente seduta al caffè fra i suoi veli e i grandi cappelli… in quella magica e torbida atmosfera di Venezia.

Poi ci fu la terribile disgrazia del figlio e lei non voleva più saperne di cinema e di nessuno. Ancora una volta fu il marito, quasi a costringerla, perché accettasse un ruolo in Dune, il film  di fantascienza che produceva con la figlia Raffaella… Stavolta Dino non la voleva usare, come lei troppe volte,  forse a torto aveva pensato…  La voleva solo aiutare, ma forse lei nemmeno lo capì.

L’ultima interpretazione “Oci Ciornie” con Mastroianni  invece fu quasi un dono…  Per lei che non aveva avuto quasi mai voglia di recitare… Adesso invece ne era felice. Si ritrovava, ora che il suo ciclo stava per finire e lei lo sapeva, proprio con Marcello, l’amore della sua prima giovinezza, il ragazzo che la baciava su una panchina dei giardinetti di  San Giovanni solo di pomeriggio, perché il padre siciliano  non voleva che la figlia uscisse di sera… E’ bello  sapere che alla fine, almeno in parte si è riconciliata con se stessa e forse ha capito, lei che non ci voleva credere, quante persone l’hanno ammirata e le hanno voluto bene.

Sarà ovvio ma è anche giusto dedicare a Silvana una ricetta a base di riso, quel riso che lei ha reso tanto famoso in  “Riso Amaro” e “La diga sul Pacifico.” E’ solo un piccolo omaggio ma lo facciamo tutti di cuore.

RISOTTO AL BAROLO

INGREDIENTI per 4 persone: 350 grammi di riso, 1 cipolla, 1 sedano, 500 ml di brodo vegetale, 70 grammi di burro, 2 bicchieri di vino barolo, 1 carota, parmigiano reggiano a piacere, olio extra vergine di oliva,sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE: tritate la cipolla, il sedano e la carota e fate appassire in un tegame con olio e  circa 20 grammi di burro a fuoco molto basso. Quando le cipolle sono appassite, aggiungete tutto il vino Barolo e fate evaporare. Versate quindi il riso e portatelo a cottura aggiungendo poco alla volta il brodo vegetale caldo. Mescolate spesso per non farlo attaccare e aggiustate di sale solo verso la fine della cottura. Quando il riso sarà cotto aggiungete il burro, il parmigiano e una spolverata di pepe.