Rita Hayworth e… I Tagliolini al Tartufo Bianco di Alba

Aveva poco più di tre anni quando suo padre decise che doveva ballare. Ballavano tutti in famiglia, lui il Flamenco, il nonno il Bolero… Non le piaceva molto ballare e  soprattutto non ebbe più un’infanzia. A 12 anni attraversava la frontiera e andava a ballare con il padre nei locali messicani perché in California era proibito far lavorare i minori nei locali notturni… Margherita Cansino sembrava voler  bruciare tutte le tappe e a 18 anni era già sposata con un uomo molto più grande di lei che aveva avuto però il merito di sottrarla  alla dittatura paterna e l’aiutava a muovere i primi passi nel cinema. Fu Harry Cohen, un altro dittatore, colui che faceva il bello e il cattivo tempo alla Columbia Pictures  ad accorgersi di quella ragazza, ma per diverso tempo, con quei capelli neri bassi sulla fronte le fece interpretare solo piccoli ruoli esotici. Alla fine le cambiarono look allargandole la fronte con l’elettrolisi e tingendole i capelli di rosso. Anche il cognome così mediterraneo non andava bene, Lei allora prese quello di sua madre e diventò Rita Hayworth, la più bella e famosa pin up americana. I film ora piovevano a raffica e nei primi anni ’40 cominciò il suo mito con film come “Sangue e Arena” in personaggi di donna fatale ed egoista. Ma i film migliori di quel periodo, a distanza di tanti anni sembrano le commedie musicali in cui si scatenava con Fred Astaire o Gene Kelly in ruoli più leggeri e divertenti, mentre metteva a frutto la sua eccezionale bravura di ballerina.

Ma l’etichetta della bellezza esplosiva e “fatale” Harry Cohen e la Columbia gliel’avevano stampata addosso e così dopo essere stata durante la guerra la cover girl un pò equivoca  di tutti i soldati al fronte, si trovò  immediatamente dopo, involontariamente legata alla bomba che gli americani avevano lanciato sull’atollo di Bikini e fu chiamata l”Atomica.” Si sentiva umiliata e offesa e voleva andare a protestare a Washington ma Harry Cohen glielo impedì. Sarebbe sembrato poco patriottico!

Sono di quegli anni i  film più famosi di tutta la sua carriera. “Gilda”, in fondo un film abbastanza stupido, è passato alla storia per il suo leggendario strip dei guanti neri, che mentre se li sfila lentamente è più sensuale   di quello che sarebbe stata nuda… Tacque per quarant’anni ma alla fine Glenn Ford lo dovette ammettere che sul set di Gilda era impazzito d’amore per Rita Hayworth.

Lei a quel tempo era sposata con  Orson Welles e anche se dichiarava che era faticoso vivere tutti i giorni con un genio, fu la docile interprete sotto la sua direzione de “La Signora di Shangai”. In un film poco capito all’epoca per gli intellettualismi e la simbologia  di cui lo caricò Orson Welles, Rita Hayworth apparve nella nuova veste di una gelida e  misteriosa signora bionda che, se anche piacque al pubblico mandò su tutte le furie Cohen e la Columbia perché falsava lo stereotipo della donna dalla ricca capigliatura rosso fiamma. Ma la scena finale del labirinto di specchi dove la coppia terribile finirà per uccidersi  fu ricordata, commemorata e citata tanti anni dopo da Woody Allen che la inserì nel finale del suo film “Misterioso omicidio a Manhattan” e sempre molti anni dopo un famoso critico David Kehr scrisse che la “Signora di Shangai” era “Il più strano grande film mai realizzato.”

Quella con Orson Welles fu una bellissima storia d’amore, lui si spogliava della sua eccentricità, del suo essere superiore e diverso  e si confessava come un bambino” Senza di te la gioia diventa un insopportabile dolore ” le scriveva quando erano lontani. Ma anche Orson con tutto il suo genio era un uomo fragile, economicamente schiavizzato  da Hollywood  che  faceva e disfaceva i suoi contratti  incurante che fosse il memorabile radiocronista della discesa dei Marziani sulla Terra e il regista di  “The Citizen Kane”, quello che ancor oggi molti ritengono “Il più grande film di tutti i tempi.”

Hollywood è un quartiere dorato adatto ai giocatori di golf, ai giardinieri, ai vari tipi di uomini mediocri e alla soddisfatta gente di cinema. Io non sono nulla di tutto ciò”  Così disse Orson Welles e se ne andò in Europa tanto anche il suo matrimonio era arrivato al capolinea.

Per altre strade anche Rita Hayworth arrivò il Europa e conobbe il suo Principe che sembrava esattamente quello delle favole. Ali Khan all’epoca era pieno di fascino, di soldi e riempiva le cronache mondane di tutta Europa. Rimasero  incantati uno dell’altro, ma lei, anche se a livello probabilmente inconscio, aveva la speranza con quel matrimonio  di liberarsi dell’ingombrante contratto con la Columbia e soprattutto liberarsi di Cohen, per il quale era una specie di proprietà privata da sorvegliare sino a farle mettere i microfoni nascosti nel suo camerino. Invece non riuscì a risolvere i suoi problemi… Fu un matrimonio difficile sin dall’inizio. Per lui, perché sotto la patina mondana era comunque un capo religioso musulmano con una gran moltitudine di fedeli a cui rendere conto e per lei perché fu subito stigmatizzata per essersi unita con l’infedele. All’inizio fu felice di andare a vivere in Pakistan, ma loro due era impossibile che si capissero venuti da due realtà così lontane… Quando si separarono lei si batté con tutte le sue forze perché la figlia le fosse affidata e potesse crescere come una normale  ragazzina americana. Di quel mondo orientale aveva sentito l’imposizione  e la condizione subordinata della donna…  E così nonostante tutto preferì tornare da Cohen e da Hollywood… Ma non fu un gran ritorno.  Il primo film “Trinidad” ebbe poco successo e poi cominciarono a  utilizzarla in ruoli di prostitute e  e di donne fallite. Solo verso la fine degli anni ’50 riuscì a fare due buoni film  Pal Joey con Frank Sinatra e Tavole Separate con Burt Lancaster. Poi arrivò la malattia, non capìta e dissero che era un ‘alcoolizzata.  E poi l’oblio..

L’Europa le era piaciuta molto, si sentiva a suo agio, forse per le sue origini spagnole… E dall’Italia in particolare si portò via un bel ricordo. Un invito, questo si, favoloso, ad  Alba, in Piemonte. Nel 1949 era da pochi mesi sposata con Ali Khan e vollero offrirle, come ospite d’onore dell’annuale e internazionale “Fiera” un dono degno di lei,  proprio perché era appena diventata principessa… Quei tartufi bianchi, che si raccolgono unicamente  nelle zone delle Langhe, di Roero e del Monferrato e che fin dal  1700 sono considerati il cibo prelibato di tutte le Corti reali e principesche d’Europa. Ma da quando vennero offerti a Rita Hayworth, cominciarono a divenire  un Cult anche nel mondo dello spettacolo che ha voluto rendere omaggio al tartufo dandogli un posto d’onore e grande visibilità in tutte le manifestazioni artistiche dei Festival, dei Premi e delle Prime internazionali. E dal mondo principesco del Tartufo …

TAGLIOLINI AL TARTUFO BIANCO DI ALBA

INGREDIENTI per 3 persone: 300 grammi di tagliolini freschi, 50 grammi di burro, 3 cucchiai di parmigiano grattugiato, 1 tartufo bianco di Alba da 25 grammi, sale q. b.

PREPARAZIONE: Pulite accuratamente il tartufo con uno spazzolino dalle setole abbastanza dure. Mettete l’acqua per cuocere la pasta a fuoco vivo e quando bolle salatela e poi versateci i tagliolini. Mentre si cuociono fate scaldare in una padella  il burro sciogliendolo appena e quindi senza superare la temperatura di 40°C. Quando i tagliolini sono cotti, ma ancora al dente versateli nella padella dove è stato sciolto il burro e lasciateli qualche minuto sul fuoco basso rigirandoli e aggiungendo un poco della loro acqua di cottura affinché restino morbidi. Grattugiate sui tagliolini la meta del tartufo e aggiungete due cucchiai di parmigiano rimescolando il tutto. Impiattate e su ogni piatto grattugiate una parte del tartufo rimasto e terminate con una spruzzata di parmigiano.

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Elvis Presley… e il cheeseburger!

Non era un attivista, nè un politico, nè tanto meno un predicatore, ma se c’è stato qualcuno che fra gli anni ’50 e ’60 ha dato un fortissimo contributo a risolvere il problema dell’integrazione fra bianchi e neri, quel qualcuno è stato quel ragazzo cresciuto a Memphis, che il problema della diversità non se lo è mai posto.

A Tupelo, nel Mississipi, dove visse i suoi primi anni, i giorni di festa sentiva la musica nella Chiesa Evangelica, ma gli altri giorni della settimana era inevitabile che gli giungessero  le sonorità afro americane dal quartiere dei neri, a pochi passi dalla loro povera casa, che non aveva trovato posto fra quelle dei bianchi. Aveva già una chitarra quando si trasferirono a Menphis e sapeva fare i primi accordi.

In un’ America dominata dal ritorno all’ordine, dove il taglio dei capelli era simile a quello dei militari  e l’abbigliamento più appropriato per i giovani era un’anonima T- shirt, Elvis appena adolescente dovette sorprendere non poco i suoi compagni di scuola! Portava le basette e un grande ciuffo sulla fronte e lui, ragazzo bianco, i vestiti  se li andava a comprare a due soldi nei mercatini di Beele Street. Divisa dal quartiere bianco, Beele Street è la mitica strada di colore che già nell”800 era stata il  punto di incontro dei musicisti neri che tenevano gli spettacoli sui battelli  in viaggio sul Missisipi, poi era diventata la patria del  “Memphis Blues” prima con il trombettista WC Handy e  poi con le leggende del jazz come BB King, Louis Armstrong, Albert King e tanti altri.  Elvis andava a comprarvi i suoi sgargianti abiti che gli servivano a nascondere la timidezza e mentre era lì ascoltava tutta la musica nera che riusciva a percepire e interiorizzare. Quando tornava nel quartiere dei bianchi l’aspettava la musica melodica delle canzonette e il “country ” con la mitologia della frontiera. Allora persino le emittenti radio erano divise fra quelle che trasmettevano musica bianca e musica nera ed Elvis risolveva il problema ascoltandole tutte. In questo suo atteggiamento disinibito, che gli faceva attraversare le diversità nella totale assenza di pregiudizi e nella immediata e totale capacità di sintesi, sta la grandezza di Elvis Presley.  Canzoni e  presenza scenica erano nuove e personalissime ma dentro, in una mirabile e irripetibile fusione c’è il grande passato della musica classica, del jazz e del folk e il futuro del R&B e del Rock.

That’s All Right (Mama), Blue Moon of Kentucky, Good Rockin’ Tonight, Baby Let’s Play House furono i suoi trampolini di lancio e allora, la sua casa  discografica, lo cedette  nel 1955 alla RCA, perchè era diventata troppo piccola cosa per l’astro nascente. Lì fu affidato alle cure del Colonnello Tom Parker, che fu il suo manager sino alla fine e sicuramente la persona più importante nella vita di Elvis Presley.

Parker usciva vincente da un’intuizione all’altra, si trattasse di televisione o di gadgets, il mito di Elvis entrava nelle case degli americani. Certo l’impatto televisivo sull’America benpensante fu addirittura uno choc e per un pò di tempo proibirono di filmare il cantante dalla vita in giù, tanto li lasciavano  turbati le movenze  afro – sexy  di Elvis, soprannominato “The Pelvis”, ma  “Hearthbreak Hotel” e “Jailhouse Rock” e altre canzoni  di quell’epoca rimangono fra le più vendute in tutta la storia della musica.

Mentre il Colonnello Parker gli stava spalancando le porte del cinema, dopo 4 film, Elvis nel 1958 partì per il servizio militare. Un periodo davvero difficile, prima con la morte della madre, di cui Elvis non riuscì mai a elaborate il lutto, poi la partenza per la Germania e la carriera a rischio con quella lontananza forzata dalle scene di quasi due anni. Ma il capace manager riuscì a trasformare la partenza e il soggiorno in Germania in un evento mediatico con Elvis in divisa militare e con i capelli cortissimi, per la prima e unica volta in vita sua. I dischi editi e inediti li faceva uscire a ritmo scadenzato e i gadget …divennero l’affare del secolo.

I problemi, anche se all’inizio nessuno li poteva supporre, arrivarono con il ritorno di Elvis. Praticamente Parker lo annullò come cantante  svendendolo a ritmo serratissimo in poveri e stupidi film di cassetta dove tuttavia il guadagno, almeno  fino a metà degli anni ’60 fu elevatissimo, ma, di 33 film girati, quelli appena passabili non erano più di quattro. Tuttavia Elvis sapeva recitare e di questo se ne accorsero in parecchi. Già in passato aveva dovuto rinunciare a ruoli significativi per l’avidità di Parker, adesso fu la volta di “Un Uomo da Marciapiede” nella parte che poi fu di Jon Voight. Parker di nuovo chiese troppo ed Elvis perse  la possibilità di imporsi in un cinema di buon livello.

Dopo anni  di insuccessi sia di di pubblico che di guadagni, per Elvis l’unica vera possibilità era tornare alla musica. I tempi erano cambiati, si erano imposti 004_priscilia_elvis_presley_theredlistaltri miti come i Beatles e i Rolling Stones e il rischio per Elvis era alto anche perché il rientro era stabilito in televisione, con uno special natalizio diretto da Steve Binder.

Ma Elvis era sempre Elvis! Scomparsi i chili di troppo che si erano affacciati negli ultimi film, fasciato in un lucido completo nero, l’impeto  e la forza della sua performance ne fecero un successo vertiginoso che per ricordarlo, lo spettacolo fu poi semplicemente chiamato il “68 Comeback Special.”

Ma qualcosa si era rotto nell’equilibrio di Elvis. Il successo era tornato, ma tenerlo stretto doveva essere difficile anche per un genio. Fra il 1970 e il 1976 si sottopose a un ritmo frenetico di spettacoli, circa 1000 in sei anni al ritmo di uno ogni tre giorni circa…   E gli psicofarmaci divennero  di casa nella sua bellissima villa di Graceland, a Memphis dove un pò per volta fini per rinchiudersi, uscendone solo per i tour. Mangiava male e tendeva ad ingrassare. Poi doveva dimagrire in fretta se c’era qualche impegno a scadenza ravvicinata. C’è una foto del  1970, ricevuto dal Presidente Nixon, in cui il fisico di Elvis è, a dir poco, trasandato e stanco. La moglie Priscilla cominciò  a non sopportare più il suo disordine e le altre donne e, nel 1972  lo lasciò, portandosi via la bambina. Lui la rimpianse per sempre ma non ci fu più niente da fare.

E’ del 1973 l’ultimo successo planetario e forse l’ultima volta che Elvis apparve in gran forma. Via satellite si calcola che un miliardo di persone abbia visto “Elvis – Aloha from Hawaii”

BeFunky_elvis_presley_wallpaper_6-normal.jpgDopo ci sono troppi ricoveri negli ospedali  a cui seguivano ossessivamente altri spettacoli e altri viaggi, senza un attimo di respiro. E’ possibile che nessuno l’abbia fermato in tempo, che nessuno l’abbia costretto a riposare, a staccarsi da quella terribile dipendenza dagli psicofarmaci?  Ci voleva così poco a capirlo, ma nessuno ha voluto farlo. Elvis era una macchina che produceva tanti soldi e il meccanismo non si poteva rallentare… finché per suo conto, un giorno  si è spezzato. Elvis aveva solo 42 anni e forse poteva ancora essere felice…

Negli ultimi tempi della sua vita  ebbe  un pessimo rapporto anche con il cibo. E’ evidente che cercava una compensazione alla paura, allo stress, alla stanchezza.Ma anche questo sintomo nessuno l’ha voluto capire o tenerne conto, fra manager, medici e servi sciocchi che gli giravano attorno.

Ma dei tempi buoni, quando era un ragazzo molto giovane  e non aveva  le angosce e le ansie che l’avrebbero distrutto ci è rimasto il ricordo dei suoi indimenticabili “Cheeseburger” che   sono entrati a far parte del mito di Elvis, come simbolo di un ‘America in cui vivo è ancora il ricordo della frontiera e di quella musica country che  accompagnava i semplici pasti dei pionieri e le carni arrostite  sulla griglia…

CHEESEBURGER CLASSICO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 Hamburger di 130 grammi ognuno, 4 buns per hamburger, 4 foglie di insalata, 12 fette di pomodoro, 4 cetriolini in salamoia, 4 fettine di formaggio Cheddar o Monterey Jack o Emmenthaler, 1 cipolla rossa, salsa Jack Daniels.

PREPARAZIONE: salate e pepate i 4 hamburger prima di cuocerli.Preriscaldate la piastra liscia o la griglia, cuocete a fuoco alto per tre minuti su ciascun lato sino alla formazione della crosta. Ponete una fetta di formaggio sulla superficie di ciascun hamburger ancora caldo e lasciate fondere per qualche secondo. Mentre la carne cuoce tagliare in due ogni bun e tostare sulla piastra la parte interna per circa 1 minuto. Mettete la foglia di insalata sulla metà di ciascun bun (naturalmente non sulla parte ricoperta dai semi di sesamo), poi la carne con il formaggio aderente ad essa, aggiungete la salsa e poi sopra fette di pomodoro, anelli di cipolla e cetriolini.Ricoprite con l’altra fetta di bun… e buon appetito. E’ un piatto tutto affidato alla qualità della carne e alla freschezza del pane e delle verdure: Se gli ingredienti sono validi si tratta di un cibo sano, saporito e veloce da preparare!

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SOUFFLE’ ROTHSCHILD ALLE ALBICOCCHE

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2wfpekgNapoleone era troppo impegnato  a giocare a Risiko in Europa e in America ( dove si vendette persino la Louisiana) per aver tempo e voglia da dedicare alla cucina. Ma non era stupido e sapeva che, in buona parte, le trattative  fra Stati si fanno con le relazioni sociali… e 901buona parte delle relazioni sociali, si fanno  a tavola… Così  nel 1804, mentre la Francia era al massimo della potenza e Napoleone cominciava a raggiungere il top della sua megalomania, chiamò il Ministro degli Esteri Talleyrand e  lo incaricò di comprare  un Castello e utilizzarlo esclusivamente per i ricevimenti diplomatici. Talleyrand, che apparteneva alla vecchia nobiltà e aveva gusti raffinati, comprò  lo Chateau de Valençay, un’immensa tenuta appena fuori Parigi, che anni dopo George Sand definì uno dei luoghi più belli del mondo. Talleyrand sapeva che le corti europee, pur avendo una terribile paura di Napoleone, lo consideravano un parvenu e, appena riprendevano fiato, fra una sconfitta e l’altra, lo prendevano in giro egli ridevano dietro. C’era dunque bisogno di restituire  alla Francia il suo antico decoro e cosi, quando Talleyrand a andò a prendere possesso di quel castello da favola, volle con se’ quello che  era considerato il più splendido cuoco di Francia, Marie Antoine Careme. Era giovanissimo, poco più di vent ‘anni, ma era già famoso per l’opulenza e lo sfarzo delle sue  preparazioni culinarie, vere e proprie architetture di marzapane e zucchero a forma diarchitetture di marzapane, piramidi,piramidi. Potevano innalzarsi sino a un metro di altezza e, il disinvolto Chef, le adoperava come centro tavola. Era ciò che ci voleva – pensò Talleyrand – per mettere a tacere tutte le teste coronate d’Europa  e i loro ambasciatori…

Ma come aveva fatto il giovane Chef ad arrivare così in alto? Una questione di genio e tanta fantasia perché, come fortuna, il ragazzo ne aveva avuta proprio poca. Era nato in una famiglia poverissima, si parla addirittura di due dozzine di fratelli, tanto che il padre quando aveva 12 anni pensò che era abbastanza adulto e lo abbandonò per le vie di Parigi. Il primo lavoro lo trovò in una bettola dove mangiava e dormiva, ma quando era libero andava in biblioteca per imparare a  leggere e scrivere. Fu così che  si imbatté nei pesanti trattati di architettura, le cui immagini,  finirono per diventare le sue più lievi  costruzioni di marzapane. Poi lo scoprì in famoso pasticciere di Parigi che capì la grandezza di quel ragazzo appena sedicenne e  gli lasciò lo spazio necessario per le sue invenzioni

Andrea careme-1Con Talleyrand era cominciata la fortuna di Careme. Il Ministro, grande esperto dal palato sensibile, lo incoraggiò a creare una cucina più raffinata utilizzando erbe fresche, verdure di stagione, e salse meno complicate di quelle in voga, che ancora risentivano della elaborata gastronomia rinascimentale. Il ragazzo non aspettava altro per rivoluzionare tutto. Dalle pietanze, che  cominciò a servire  in logica successione, una alla volta anziché in una disordinata presentazione in contemporanea, alla classificazione delle salse raggruppate in 4 gruppi fondamentali. Si inventò anche l’alto cappello bianco che ancor oggi siamo soliti vedere sulla testa degli chef, almeno i più importanti.

Marie Antoine fu veramente grato a Talleyrand  tanto che non volle abbandonarlo nel momento più difficile della sua vita quando, dopo Waterloo, il Ministrò andò a trattare a Vienna per una Francia ridotta l’ombra di se stessa. Cucinò per tutti i vincitori e solo dopo, sapendo che ormai la Francia era salva, se ne andò…

L’Europa l’aspettava a braccia aperte. Fu a Londra, chef del Principe Reggente e a Mosca alla corte dello Zar. Tornò a Parigi diversi anni dopo e, nonostante ci fosse di nuovo un re, i tempi erano cambiati e la persona più importante, adesso… era un banchiere!

James Rothschild, spedito dal padre a Parigi a soli 20 anni, col DNA di famiglia aprì in poco tempo una Banca di gran successo le “Freres de Rothchild”, che prestava  i soldi ai Governi, investiva  in miniere e in ferrovie e faceva della Francia un paese ad alta vocazione industriale. Doveva forse essere un destino che i due, “Enfant Prodige” ciascuno nel proprio settore, si incontrassero e si capissero. James  Rothchild era anche un grande e intelligente protettore delle arti e non c’è dubbio, capì subito che quella di Marie Antoine era una grande James_de_Rothschildarte, in continua evoluzione.

Fra i tanti piatti dedicati da Careme a James Rothchild, abbiamo scelto questo delicato “Soufflé Rothchild alle albicocche”, perché con un “esprit” tutto parigino, il Grand Chef  si divertì a prendere  garbatamente in giro il grande banchiere, nuovo Re Mida del secolo, inserendo nella ricetta il “Danziger Goldwasser”, un liquore in suo onore, che conteneva foglie d’oro. Difficile ricostruire totalmente la ricetta di Careme, ma anche quella che presentiamo è all’altezza del suo inventore.

534391423_91ae9fc37e_bSOUFFLE’ ROTHSCHILD ALLE ALBICOCCHE (per 6 persone)

INGREDIENTE: 4 uova, non conservate in frigorifero, 3 cucchiai di farina 00, 180 ml di latte, 60 grammi di zucchero +1 cucchiaio, 3 cucchiai di burro morbido, uno dei quasi servirà per ungere gli stampini, 100 grammi di albicocche a pezzetti e denocciolate, 60 ml di Kirsch, 3 cucchiai di essenza di vaniglia, 1 pizzico di sale.

PREPARAZIONE:  preriscaldate il forno a 180°C . Imburrate 6 stampini da soufflé. rivestiteli di zucchero e buttate via quello in eccesso. Mettete a macerare le albicocche a pezzetti bagnandole con il kirsch.

Cominciate a preparare la crema di base separando i tuorli dagli albumi,poi scaldate il latte togliendolo dal fuoco qualche istante prima che inizi a bollire. Mentre il latte si scalda mescolate con una frusta in una ciotola i tuorli d’uovo con lo zucchero per un paio di minuti, aggiungete la farina setacciata per evitare la formazione dei grumi. Aggiungete al composto una piccola parte di latte,un cucchiaio di essenza di vaniglia,amalgamate il tutto e mettetelo sul fuoco aggiungendo il rimanente latte. Cuocete a fuoco medio seguitando al amalgamare con la frusra finché la vrema non si sia addensata. Togliere subito dal fuoco,unite i due cucchiai di burro e fatela raffreddare.

In una ciotola di vetro o di alluminio montate, a neve ferma, gli albumi con una frusta, aggiungendo un pizzico di sale e il cucchiaio di zucchero. Unite gli albumi montati alla crema e infine anche le albicocche con il liquore mescolando delicatamente con una spatola dal basso verso l’alto per non smontare il composto.

Riempite con il composto gli stampini  per 3/4 della loro altezza e cuocete in forno per 30 minuti senza mai aprire lo sportello. Al termine della cottura lasciate gli stampini in forno  per altri 5 minuti e poi servire.

Chateau-de-Valencay