Empanadas de Tango!

Tango Argentino… In realtà è platense perchè attorno al 1880 lo ballavano a Buenos Aires e a Montevideo, su tutte e due le sponde  del grande fiume, il Rio de la Plata… Il popolo di migranti  era lo stesso…  Le speranze perdute, una vita dura e la nostalgia della patria. Erano venuti da mezza Europa in quella terra spopolata  perché la fortuna sembrava facile… Ma per loro c’erano stati solo i lavori  umili, la difficoltà di comunicare… E quei quartieri desolati, “le orillas” venuti su dal niente e solo per loro. Strani migranti quasi tutti uomini… le donne erano rimaste  a casa aspettando il colpo di fortuna che non arrivava.

Ma i giorni di festa, nonostante tutto si ballava! Erano Polke, Mazurche, Valzer, Habanera portati da casa, che si mischiavano con il  Candombe,  danza dove la coppia non si toccava… E più che melodia erano percussioni. Quello lo ballavano i neri, da tanto sul territorio, ma soli come loro … e da secoli! Quando diventò Tango, di preciso non lo sa nessuno…   forse non si accorsero neanche loro, bianchi e neri,  che stavano creando il Tango, un universo nuovo.  Un ballo che si ballava solo fra gli uomini…Perché all’inizio di donne ce ne erano poche e in ogni caso era  immorale ballarlo con una donna… troppa, sfacciata l’allusione all’atto sessuale… Le donne  le trovavi solo se andavi nei bordelli di Buenos Aires  “a 10 centesimi il giro, compresa la dama” come racconta Borges… Dopo un po’ che la ballavano, quella strana  ibrida musica si riempì di canzoni. Molte si persero perchè nessuno sapeva scrivere la musica ma quelle che si salvarono come “El Choclo” erano allusive o direttamente oscene.. Per fortuna che spesso nemmeno le capivano perchè il linguaggio  era il Lunfardo, quell’idioma meticcio infarcito di tutte le lingue degli emigranti…

Anche tutto il resto tardarono un po’ a capirlo. Anche quando nei locali malfamati e nei bordelli il tango si aprì alle donne. C’era dentro tutto quello che non si può dire, c’era la nostalgia struggente e la tristezza…e la felicità, però più effimera  e illusoria…Soprattutto se era  felicità d’amore. E il Bandoneon lo strumento a mantice  che dopo un po’ arrivò col piano e il violino, aveva un suono denso  e frammentato  che sembrava fatto apposta per aumentare il disagio. Ma non c’era solo questo… Il tango sapeva di fantasia e di miracolo… Era l’improvvisazione. Bastava il passo base, la camminata … E poi i ballerini si scatenavano in tutte le figure possibili… l’uomo guidava e la sensibilità fisica e corporea di tutti e due costruiva quell’immediato fluido dialogo, fatto d’intesa, di movenze e di sesso … Ogni volta diverse …Perché non c’era limite… Il tango era libertà e liberazione. Quando i ricchi e i borghesi di  Buenos Aires cominciarono a  conoscerlo durante le loro incursioni  nei quartieri malfamati… Il tango se ne andò dall’Argentina.

Emigrò a Parigi portato da un talento  eclettico, Angel Villoldo. Parigi era all’epoca moda, glamour, allegria e  audacia. La cultura aveva accettato già tutto, cubismo e astrattismo genio e sregolatezza. E fra tutto questo adoravano il ballo… Lì la vita del tango fu più facile… Un terreno fertile fra curiosità e passione  che prese  l’Europa. Quando tornò in Argentina, appena un po’ depurato delle figure troppo  sensuali c’era ad aspettarlo un mito… Si chiamava  Carlos Gardel ed era nato… forse da quelle parti, ma in una data imprecisata.  Probabilmente non lo iscrissero mai in nessun registro comunale. Durante l’infanzia e l’adolescenza  stava a  Buenos Aires in mezzo alle bande  dei giovani di strada… Lo chiamavanio “El Morocho”  e fu anche arrestato dalla polizia, però all’epoca imparò il Lunfardo… e cantava per la strada. Gli studi  li interrompe, ma in teatro ci arriva presto, magari dietro le quinte a fare il macchinista, ma fra una cosa e l’altra impara a suonare la chitarra. Solo notizie  a frammenti… Gardel  arrivato al top   capì che non era il caso i dare in pasto al pubblico la storia della sua giovinezza esclusa… Dal 1912  si comincia a sapere di più …E’ in un trio …Canta con Josè Razzano e  Francisco Matino suona la chitarra.  Nel 1913 canta in un locale esclusivo di Buenos Aires l’Armenoville dove l’avevano invitato dopo averlo sentito cantare in un bordello. Comincia a incidere dischi  e sono milongas, cifras e tonado… Il tango è ancora lontano… e la sua vita ha ancora lati oscuri….Lo feriscono in una rissa e un proiettile gli rimarrà in un polmone…

Ma arriva il 1917 e al Teatro Empire di Buenos Aires stavolta è tango! “Mi noche triste” con i versi in lunfardo  è l’inizio.. .Dopo vorranno in tutto il mondo la sua voce incredibile di baritono, estensibile sino ai registri di tenore e di basso. Lui è il protagonista del primo film argentino “Flor de Durazno”, nonostante il cinema sia  ancora muto… Suppliranno con il cantante e  l’orchestra in sala e fingeranno che sia lui a cantare dallo schermo. Intanto comincia a incidere dischi e saranno  900  alla fine. A Madrid è al Teatro Apollo, a Barcellona al Goya e a Parigi si esibisce con Josephine Baker. Quando arriva il sonoro,il cinema lo porta in trionfo perchè ormai il mondo intero canta e balla il Tango e Gardel è il suo  Profeta più schietto, appassionato e nostalgico. Morirà in un disastro aereo sulla pista di Medellin nel 1935… Un incidente misterioso qualcuno disse che a bordo di uno dei due aerei ci fu uno sparo prima che si scontrassero. Quell’aura di mistero, di  oscuro che l’aveva accompagnato per buona parte della sua vita riapparve al momento della sua morte… Quasi un destino che andò ad a alimentare il suo mito  e il  legame  con il tango… entrambi  usciti dai bassifondi per conquistare il mondo. Molti anni dopo l’Unesco dichiarerà la sua  unica ineguagliabile voce, Patrimonio dell’umanità.

Morì appena in tempo per non accorgersi che il Tango stava passando di moda… Ci vorranno molti anni e un musicista di eccezione per  riportarlo ai livelli di Gardel… E sarà un tango nuovo… Nonostante in Argentina si dicesse che tutto poteva cambiare meno il Tango. E all’inizio suonerà  come un delitto perchè il tango ormai è un classico. Ma Astor Piazzolla infrange la tradizione e mischia  senza paura il tango con il Jazz… usa le dissonanze e introduce altri strumenti  l’organo Hammond, il flauto, la marimba il basso elettrico… Tutto quello che sembrava proibito… E compone con un estro e una fantasia senza fine opere come il “Concerto para Bandoneon, orquesta, cuerdas y percusion” e” Adios Nonino”  solo per citarne qualcuna, perché hanno calcolato che in tutto abbia scritto 3000 brani…  Adesso anche lui è un mito… E il tango è in tutto il mondo più nuovo e più amato di prima….Carlos Gardel era stato il cantore della prima metà del secolo, Astor Piazzolla della seconda metà.Tutto insieme è stato il secolo del tango.

Qualche anno fa hanno intitolato ad Astor Piazzolla l’Aeroporto di Buenos Aires e il Papa argentino appena eletto  ha subito manifestato la sua passione per il tango… Almeno finora, è sempre stato un assiduo a tutti gli spettacoli… Ne ha fatta di strada la musica triste degli emigranti.

All’Argentina e al suo mitico Tango dedichiamo un piatto di grande tradizioni “Las Empanadas” che venivano un tempo preparate dalle donne per festeggiare il ritorno degli uomini dalle Pampas.

20081116122346EMPANADAS ARGENTINAS

INGREDIENTI  per 10 empanadas del diametro di circa 10 – 12 centimetri: farina 250 grammi, olio extra vergine di oliva 4 cucchiai  di olio extra vergine di oliva più abbondante olio extra vergine di oliva per friggere, sale q.b., acqua tiepida 120 ml,  olive verdi o nere 5, carne bovina tritata 250  grammi, 2 uova, 250 grammi di cipolle, grammi 30 di uvetta, peperoncino piccante in polvere 1 cucchiaino, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato,  1 cucchiaio di maggiorana fresca.

PREPARAZIONE: Mettete in una ciotola 2 cucchiai di olio e la farina. Sciogliete il sale nell’acqua tiepida e versate nella ciotola, mescolatelo e poi lavorate il composto sulla spianatore sino a quando diventa liscio e omogeneo: Avvolgetelo nella  pellicola trasparente e fate riposare in luogo fresco per un’ora. Nel frattempo preparate il ripieno mettendo in ammollo l’uvetta in acqua calda per circa 10 minuti  e comunque sino a quando diventi morbida e allora strizzatela. Tritate la cipolla e fatela soffriggere a fuoco basso nell’olio di oliva per circa 10 minuti. Attenzione a non farla bruciare! Unite alla cipolla la carne di manzo e fate cuocere a fuoco medio per 10 minuti, aggiungete il peperoncino e mescolate il tutto. Spegnete il fuoco e aggiungete l’uvetta, il prezzemolo, la maggiorana e il sale.Trasferite la carne in una ciotola e fatela freddare. Fare rassodare due uova, sbucciatele e tagliatele a fettine. Dividete in due ciascuna oliva. Togliete la pellicola alla pasta e stendetela sulla spianatora sino ad uno spessore di 2 millimetri, quindi ricavate dei cerchi del diametro di 10 – 12 centimetri servendovi di una coppetta appoggiata sopra la sfoglia e della rotella tagliapasta. Ponete su ogni cerchio un cucchiaio di impasto quindi aggiungete mezza oliva e una fettina di uovo. Spennellate con acqua i bordi di ciascun cerchio e richiudeteli su se stessi, formando intorno un cordoncino. Friggete le impanadas in abbondante olio e scolatele su carta assorbente prima di servirle.

Rotolini di Cinghiale selvatico all’uva bianca, serviti con puré, verza stufata e castagne

640px-Rubens-Death-of-SemeleUna vita davvero avventurosa quella di Dioniso… fin dalla nascita e, anzi, per essere precisi, anche un po’ prima! Suo padre Zeus, infatti, aveva combinato un bel pasticcio  quando, tutto  parato a festa, nel  suo pieno  fulgore di fulmini e saette, era  apparso a sua madre  Semele e senza volerlo, in un baleno, è proprio il caso di dirlo, l’aveva incenerita. La poverina era incinta di 6 mesi  e il  maldestro padre, pieno di rimorsi e pentimenti, cercò  almeno di  salvare il bambino. Così se lo fece cucire  dal vecchio Efesto all’interno di una coscia e lì lo tenne per tre mesi a fargli  da incubatrice. Ma poi, appena nato, fu subito costretto a mandarlo lontano, per sottrarlo alle ire della sua gelosissima moglie Era. Fu così che  il piccolo Dioniso finì  sul Monte Nisa, allevato amorevolmente dalle  numerose Ninfe che lì avevano preso  la loro residenza. Iniziò da quel momento il suo destino, che dioniso_michelangelolo volle poi, per il resto della sua vita umana e divina, sempre circondato da bellissime fanciulle. Lo ritroviamo, appena cresciuto, che era un po’ fuori di senno e ogni tanto si abbandonava a terribili sfuriate o perfide vendette. I più dicono che si trattasse  di una maledizione della sempre gelosa Era, ma si può anche ritenere che avesse già cominciato a bere vino e ogni tanto  alzasse un po’ il gomito.

Comunque, in quel periodo, viaggiava molto col suo tutore Sileno e un gruppo di giovani donne, il suo corteo di Menadi che di giorno lo seguivano danzando attorno al suo carro e la sera bevevano e cantavano in coro. Ma  nulla di più sbagliato pensare  che il suo  andare per il mondo rientrasse nei viaggi turistici, organizzati per i gruppi, perché già nella sua prima tappa, sembra  in Egitto, dovette combattere contro i Titani, per fare un favore al Dio Ammon  a cui, quei perfidi, avevano rubato lo scettro. Poi si diresse verso l’India sconfiggendo  tutti i re che incontrava sul cammino, compreso la sventurato re di Damasco che fu  scorticato da Dioniso in persona. Solo dopo aver sottomesso tutta l’India, come benemerenza, lo resero immortale. Ma sconfiggere i nemici non doveva essere stato nemmeno l’obiettivo principale degli dei che lo avevano mandato, per così tanto tempo, in missione all’estero, perché, in realtà, in tutto il suo pellegrinare, il compito principale di Dioniso era stato quello di insegnare agli uomini a coltivare la vite  e a farne vino, perché, se pure in qualche paese, la vite già esisteva, fino a quel momento non era stata altro che una bella pianta ornamentale.

Più in là dell’India in quei lontani tempi, non era tanto facile andare e così Dioniso iniziò il suo viaggio di ritorno. Si hanno precise notizie che sia stato in Tracia, in Beozia e nelle isole dell’Egeo perché tutti questi posti rivendicano per  sé la prima coltivazione della vite, anche se si può ragionevolmente supporre che la prima tappa Dioniso l’abbia fatta anziché in Egitto, nel Caucaso, fra il Mar Caspio e il Mar Nero, dove sono state ritrovate  tracce di vino in grossi contenitori che risalgono a 9.000 anni a.C.

381px-Illustration_Vitis_vinifera0Comunque Dioniso, dopo essere stato a Creta, prese in affitto una nave per recarsi all’isola di Nasso, ma fu davvero sfortunato perché l’equipaggio era composto tutto di pirati. Fortuna che se ne accorse in tempo, così riuscì a catturarli, gettarli fuori bordo  e a trasformali in delfini, che, da allora, sono rimasti sempre lì, pronti a salvare i naufraghi, quando sull’Egeo soffiano i venti e si agitano le tempeste. Dioniso  invece in qualche modo arrivò a Nasso, ma lì non ebbe assolutamente tempo di occuparsi della vite perché all’improvviso si imbatté in una disperata fanciulla che piangeva tutta sola su uno scoglio. Chiedi e richiedi alla fine viene fuori che era  Arianna, la figlia del re di Creta, che aveva aiutato Teseo a uccidere il Minotauro nel labirinto, dandogli un grosso rotolo di filo, il cosiddetto filo di Arianna, con cui Teseo aveva ritrovato l’uscita dal labirinto  dato che, all’andata, a mano a mano che avanzava, aveva seguitato  a sciogliere il gomitolo. Chiunque altro sarebbe stato assai grato alla bella Arianna, ma non Teseo che, dopo essere scappato con lei da Creta, poi era fuggito da  Nasso nottetempo, lasciando Arianna sedotta e abbandonata. Dioniso di donne ne aveva conosciute tante, anzi ci viveva proprio in mezzo, ma Arianna fu l’unica di cui si innamorò follemente e per sempre. Forse aveva ragione Marilyn Monroe quando diceva [immagini.4ever.eu] marilyn monroe 152102n“Non correre mai dietro un autobus o dietro a un uomo, tanto dopo un po’ ne passa sempre un altro”. Così fu anche per Arianna che si sposò con Dioniso ed ebbe tre figli, che  per mantenere alte le tradizioni di famiglia si chiamarono, Enopio, “il Vinaio”, Euante,” il Fiorito” e  Stafilo, “il Grappolo d’Uva”.

E dovendo preparare, sempre nel rispetto della tradizione, una pietanza d’eccezione per il Capodanno è a Stafilo che ci siamo rivolti e con lui abbiamo ideato:”I Rotolini di Cinghiale Selvatico Brasati all’Uva Bianca con Puré, Verza stufata e castagne”

INGREDIENTI per 4 persone:

Per i Rotolini di cinghiale: 600 grammi di polpa di cinghiale, 200 grammi di lardo di Colonnata, 8 coste di sedano utilizzando solo la parte bianca più tenera, 4 cipolle, 4 carote, 4 foglie di alloro, 2 cucchiaini di  Timo, 8 bacche di ginepro, 2 rametti di rosmarino, 8 foglie di salvia, 40 chicchi di uva bianca,  vino rosso 3/4 di litro, brodo di carne 1 litro, , olio extra vergine di oliva, sale fino.

Per la verza stufata: 1 verza, 2 spicchi d’aglio, brodo vegetale, maggiorana, olio extra vergine di oliva.

Per il puré di patate: 100 grammi di patate, 2 decilitri di latte, 1 noce di burro.

Per  le castagne: 300 grammi di castagne.

PREPARAZIONE

Si fa marinare la polpa del cinghiale per 12 ore, immersa nel vino rosso, unitamente a : 4 coste di sedano, due carote, due cipolle  il tutto tagliato a minuscoli dadini non superiori e 3 mm di lato, aggiungendo 2 foglie di alloro sminuzzate, 1 cucchiaino di timo, 4 bacche di ginepro, tutti gli aghi staccati da 1 rametto di rosmarino, 4 foglie di salvia sminuzzate.

Tagliare a fette la polpa di cinghiale marinata, poggiare su ciascuna di esse una fetta di lardo di Colonnata e arrotolarle su se stesse. Fissare gli involtini con uno stuzzicadenti.

In una padella versare abbondante olio extra vergine d’oliva, le restanti 2  cipolle, le 2  carote e  le 4 coste di sedano tagliate grossolanamente  unitamente  alle restanti 2 foglie di alloro  intere, l’ultimo cucchiaino di timo, il rametto di rosmarino al  quale non vanno staccati gli aghi, le 4 bacche di ginepro e le 2 foglie di salvia. Non  usare assolutamente le verdure e le erbe utilizzate per la marinata, perché il loro sapore e la loro consistenza sono stati alterati nella lunga macerazione.

p66376nFate appena scaldare le verdure e le erbe e poi mettete in padella i Rotolini di cinghiale che verranno prima fatti rosolare uniformemente su tutta la superficie, poi sfumati con vino rosso e infine fatti cuocere coperti di brodo. Prima di togliere dal fuoco fate insaporire assieme ai rotolini per circa 2 minuti i 40 chicchi di uva bianca.

Per cuocere la verza fate scaldare in una padella un pò di olio extra vergine di oliva in cui fare appena imbiondire  2 spicchi d’agli. Subito dopo aggiungete la verza tagliata a julienne, salate, pepate, aggiungete un pizzico di maggiorana e coprite con il brodo vegetele sino a cottura ultimata che richiederà circa 40 minuti.

A parte cuocete in acqua bollente le castagne e a cottura ultimata togliete loro la buccia esterna e la pellicola interna. Al termine mescolare con la verza stufata.

Per il puré si lessano le patate in acqua bollente e a fine cottura si estraggono dalla pentola,togliendo la buccia, tagliandole a dadini e successivamente  mettendole nel passaverdura dove saranno ridotte in polpa. Si rimetteranno sul fuoco unendo la noce di burro, il sale e il latte  a piccole dosi sino a completo  assorbimento.

Servire in tavola i Rotolini di Cinghiale, dopo aver estratto gli stuzzicadenti, sopra il puré e contornati dalla verza mescolata alle castagne.

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