Fra terra e mare… Livorno, Modigliani e il Cacciucco…

Non c’era più niente da fare… I Pisani avevano lottato a lungo ma dove una volta c’era il loro orgoglioso porto, ormai era tutta una distesa di sabbia, da cui  emergevano a tratti, in un’atmosfera  surreale, le antiche strutture marinare…  Era l’inizio del XVI secolo e questa fu la prima delle fortune di Livorno …  dove  ebbe inizio una straordinaria avventura! Era vicina a Pisa, c’erano già delle fortificazioni  e l’acqua lì, di certo non mancava. Così i Medici decisero di ampliarla e  costruirvi il nuovo Porto.  L’altra fortuna di Livorno fu l’arrivo dei mercanti Ebrei, che  scappavano perseguitati, ma con parecchi  averi, dalla penisola iberica, dopo “la reconquista” cristiana. A Livorno vissero  liberi  come gli altri cittadini e  al contrario del resto d’Italia e d’Europa , non c’era nessun ghetto dove andarsi a chiudere nelle ore serali … Evidentemente la libertà fa bene… Perché col tempo, divennero la più importante comunità ebrea d’Italia. Poi cominciarono ad arrivare  anche  altri mercanti, di “qualsivoglia natione” perchè i Medici, liberali e affaristi come erano sempre stati, avevano emanato quelle specialissime “Leggi Livornine” che garantivano a tutti libertà di culto e  annullamento di tutte le condanni penali… eccezion fatta per gli assassini e i falsari. …

  Non ci volle poi molto a fare le strutture portuali e la città nuova… Un doppio molo e  un canale navigabile tra Pisa e Livorno, mentre si progettava la “città ideale”… Con squadra, compasso e i minimi particolari… Una splendida città, con quartieri, piazze e strade di grande  respiro, ma anche una città-fortezza  a pentagono, avvolta dentro mura  imponenti, baluardi e fortificazioni …  Perchè all’epoca  risalivano ancora a depredare il Tirreno le navi pirata dei Mori e Saraceni…   Ma quello che segnò definitivamente il destino di Livorno fu la sua proclamazione  di  porto franco  che la fece diventare il porto  più ricco di tutto il Mediterraneo e  anche uno dei più caratteristici con le navi che  giravano tranquillamente dentro la città dove,  lungo i canali navigabili  di Venezia Nuova, c’erano i magazzini dei grandi Import – Export, pronti ad accogliere o caricare le merci che venivano da tutto il mondo.  Nei secoli la città crebbe… alla fine del ‘700 arrivarono i Granduchi di Lorena dopo che i Medici si erano estinti… Erano fissati con  l’irrigazione e le acque… A Livorno ampliarono  i canali,  costruirono  altre darsene interne, lungo il circuito delle nuove mura daziarie, seguendo l’inclinazione naturale della Città…   Mentre il mare entrava  docile nei muraglioni di contenimento e  formava nuove vie d’acqua.

Il primo colpo all’economia della città  pensarono bene di assestarlo, verso la fine dell’800, gli ottusi regnanti dell’Unità d’Italia… quelli dell’indipendenza  tanto desiderata che portò più danni che felicità… Tolsero il porto franco e i commerci precipitarono … Per fortuna  i Livornesi erano gente sveglia…  divennero in fretta centro industriale con i cantieri navali, poi accolsero l’Accademia Navale e infine si trasformarono in città turistica e centro benessere con gli eleganti stabilimenti termali e balneari…  Per il cinema poi ci fu una passione precoce perché già nel 1896  si proietta il Cinématographe Lumière …

Città di forti contraddizioni, nel 1921 vide  la nascita del Partito Comunista, ma poichè era anche la patria del genero di Mussolini, la famiglia Ciano pensò bene di dargli una nuova dignità urbanistica all’altezza del suo lignaggio e cominciò a sventrarla per fare spazio a imponenti e retoriche piazze e architetture di regime, sacrificando e ricoprendo alcuni canali… Il resto lo fece la guerra e i 99  bombardamenti sulla città per colpire il porto e le industrie …E questo si potrebbe anche capire. Quello che fu un delitto, fu la distruzione del centro storico con incursioni specificamente  dedicate.

Ci mise tanto a risollevarsi… Ma se vi capita di andarci potete  trovare ancora una parte della Venezia Nuova, la grande Fortezza circondata dall’acqua, il Museo Fattori  in una deliziosa villa dell’800 che ospita i macchiaioli … E la luna che di notte riesce ancora a creare  i suoi antichi miti… “Le Notti Bianche” non a caso l’hanno girato a Livorno.  In città c’è un’atmosfera  gentile, di grande cortesia… si sta proprio bene a Livorno, ma non andatelo a raccontare a nessuno … Loro non vogliono… Temono che arrivi troppo turismo!

L’arte a Livorno è stata sempre di casa e gli scambi culturali con quel porto spalancato sul mondo sono sempre stati ricchi… E tuttavia c’è stato un momento magico  quando con Parigi si era stabilito un rapporto  di scambio del tutto paricolare, tanto che Oscar Ghiglia uno dei post macchiaioli più cosmopoliti così scriveva “…C è stato un momento anni fa, quando Mascagni musicava a Parigi la Parisina e Cappiello era il re del cartellone francese e Niccodemi uno dei principi del teatro boulevardier e Modigliani dipingeva a Montparnasse quei suoi strani quadri (…) che Parigi poteva sembrare un mezzo feudo artistico dei livornesi…”

Ecco fra tutti gli artisti uno più grande dell’altro, un pensiero particolare va ad Amedeo Modigliani e non solo perché forse è stato il più grande di tutti, ma perché lui, ebreo sefardita, forse era il più livornese di tutti, erede di quei pionieri arrivati in fuga, che assieme al Granduca di Toscana dettero vita a una delle più originali e avveniristiche città e all’ inizio all’età moderna.

Una vita sciagurata fra malattia, droga e alcol, quella di Modi, il Maledetto, come suonava in francese quel diminutivo, dove solo l’arte annullava  le sue umane miserie e le sublimava nei dipinti e nelle  sculture, che non seguivano alcuna corrente  ma scendevano all’origine di tutte le rappresentazioni… All’arte primitiva, all’Africa nera, dove la forma era sintesi, eleganza ed emozione  mentre il colore  che ricopriva quella forma era caldo, sensuale ed esprimeva la gioia  e la passione di vita che lui  non sapeva trovare al di fuori…

Dopo qualche anno che stava a Parigi tornò a Livorno, era  roso di nostalgia ma  non ci rimase a lungo… Lì era sotto gli occhi di tutti con la sua malattia e tutto il resto.. Probabilmente sapeva che era un addio…  Ma preferì tornare a Parigi e perdersi a Montparnasse, sconosciuto e immenso  mentre faceva i suoi rapidi schizzi ai clienti dei ristoranti in cambio di un po’  di assenzio… per poter continuare a dipingere.!

A Livorno il Cacciucco è il piatto nazionale, non solo cibo, di sicuro un modo di vivere… All’inizio era un piatto dei poveri, che i pescatori preparavano con gli avanzi della pesca…Mascagni  era un appassionato e se lo cucinava da solo in estenuanti gare con Puccini… Forse anche Modigliani tornò a Livorno per sentire ancora  il colore e l’odore del mare  in quella zuppa di pesce…

CACCIUCCO ALLA LIVORNESEricetta-cacciucco-cacciucco-livornese

INGREDIENTI per 6 persone: 500 grammi di polpo, 500 grammi di seppie, 300 grammi di palombo a trancio, 500 grammi  di scorfano, gallinella o altro pesce da zuppa, 500 grammi di crostacei misti cicale, scampi, gamberi, 500 grammi di cozze, 500 grammi di pomodori pelati, 3 spicchi di  aglio, qualche foglia di salvia, due peperoncini secchi piccoli o anche qualcosa in più se piace, 1 cipolla,una carota,un gambo di sedano, 1 bicchiere di vino rosso,olio extra vergine di oliva 4 cucchiai, 6 fette di pane casereccio toscano, una manciata di prezzemolo.

PREPARAZIONE: Prendete una casseruola di grandi dimensioni, possibilmente di terracotta e mettete a soffriggere a fuoco basso, nell’olio, 2 dei tre spicchi di aglio “in camicia,” e il ciuffo di salvia. Quando l’aglio è dorato,versate la metà del vino, aggiungete i peperoncini e fate sfumare a fuoco vivace. Togliete dalla casseruola l’aglio, la salvia e i peperoncini e metteteci  il pesce perfettamente pulito e lavato. Cominciate con  il polpo tagliato a pezzi e precedentemente battuto per ammorbidirlo. Dopo 15 minuti aggiungete le seppie tagliate a pezzi alle quali, durante la pulizia avrete tolto anche la sacca del nero. Fate rosolare e sfumate con il restante vino. Aggiungete i pomodori pelati a pezzi con la loro acqua, coprite e abbassate la fiamma. Mentre il pomodoro cuoce prendete una pentola riempita di acqua in cui metterete la cipolla, il sedano, la carota e i pesci da zuppa. Portate a bollore  e quando i pesci  sono cotti, toglieteli  dall’acqua e riduceteli a una polpa nel passatutto, togliendo prima allo scorfano la  sua corazza. Dopo che avrete versato la polpa ricavata, nella casseruola del pomodoro, mettete nel passatutto anche  la corazza dello scorfano da cui ricaverete  sicuramente altra polpa  e liquido da aggiungere alla casseruola dei pomodori. Ricordatevi di non buttare via il brodo di cottura perché potrebbe servire… Quando il polpo e  le seppie sono ammorbidite e ci vorranno circa  25 minuti dal momento in cui avete aggiunto le seppie, aggiungete i crostacei e il palombo  a rondelle. Fate cuocere per non più di 10 minuti altrimenti i gamberi possono indurirsi, aggiustate di sale e pepe  e aggiungete per pochi minuti ancora, le cozze. Quando le valve si aprono il cacciucco è pronto. Se il sugo si fosse troppo ristretto aggiungete  il brodo che avete tenuto da parte.

Servite su scodelle dove  su ciascuna di esse, avrete già poggiato una fetta di pane bruscato, strofinato con lo spicchio d’aglio non consumato e spolverizzate le porzioni col prezzemolo tritato. ATTENZIONE! Il Cacciucco, data la ricchezza del suo gusto, si accompagna esclusivamente con un vino rosso giovane.

Elvis Presley… e il cheeseburger!

Non era un attivista, nè un politico, nè tanto meno un predicatore, ma se c’è stato qualcuno che fra gli anni ’50 e ’60 ha dato un fortissimo contributo a risolvere il problema dell’integrazione fra bianchi e neri, quel qualcuno è stato quel ragazzo cresciuto a Memphis, che il problema della diversità non se lo è mai posto.

A Tupelo, nel Mississipi, dove visse i suoi primi anni, i giorni di festa sentiva la musica nella Chiesa Evangelica, ma gli altri giorni della settimana era inevitabile che gli giungessero  le sonorità afro americane dal quartiere dei neri, a pochi passi dalla loro povera casa, che non aveva trovato posto fra quelle dei bianchi. Aveva già una chitarra quando si trasferirono a Menphis e sapeva fare i primi accordi.

In un’ America dominata dal ritorno all’ordine, dove il taglio dei capelli era simile a quello dei militari  e l’abbigliamento più appropriato per i giovani era un’anonima T- shirt, Elvis appena adolescente dovette sorprendere non poco i suoi compagni di scuola! Portava le basette e un grande ciuffo sulla fronte e lui, ragazzo bianco, i vestiti  se li andava a comprare a due soldi nei mercatini di Beele Street. Divisa dal quartiere bianco, Beele Street è la mitica strada di colore che già nell”800 era stata il  punto di incontro dei musicisti neri che tenevano gli spettacoli sui battelli  in viaggio sul Missisipi, poi era diventata la patria del  “Memphis Blues” prima con il trombettista WC Handy e  poi con le leggende del jazz come BB King, Louis Armstrong, Albert King e tanti altri.  Elvis andava a comprarvi i suoi sgargianti abiti che gli servivano a nascondere la timidezza e mentre era lì ascoltava tutta la musica nera che riusciva a percepire e interiorizzare. Quando tornava nel quartiere dei bianchi l’aspettava la musica melodica delle canzonette e il “country ” con la mitologia della frontiera. Allora persino le emittenti radio erano divise fra quelle che trasmettevano musica bianca e musica nera ed Elvis risolveva il problema ascoltandole tutte. In questo suo atteggiamento disinibito, che gli faceva attraversare le diversità nella totale assenza di pregiudizi e nella immediata e totale capacità di sintesi, sta la grandezza di Elvis Presley.  Canzoni e  presenza scenica erano nuove e personalissime ma dentro, in una mirabile e irripetibile fusione c’è il grande passato della musica classica, del jazz e del folk e il futuro del R&B e del Rock.

That’s All Right (Mama), Blue Moon of Kentucky, Good Rockin’ Tonight, Baby Let’s Play House furono i suoi trampolini di lancio e allora, la sua casa  discografica, lo cedette  nel 1955 alla RCA, perchè era diventata troppo piccola cosa per l’astro nascente. Lì fu affidato alle cure del Colonnello Tom Parker, che fu il suo manager sino alla fine e sicuramente la persona più importante nella vita di Elvis Presley.

Parker usciva vincente da un’intuizione all’altra, si trattasse di televisione o di gadgets, il mito di Elvis entrava nelle case degli americani. Certo l’impatto televisivo sull’America benpensante fu addirittura uno choc e per un pò di tempo proibirono di filmare il cantante dalla vita in giù, tanto li lasciavano  turbati le movenze  afro – sexy  di Elvis, soprannominato “The Pelvis”, ma  “Hearthbreak Hotel” e “Jailhouse Rock” e altre canzoni  di quell’epoca rimangono fra le più vendute in tutta la storia della musica.

Mentre il Colonnello Parker gli stava spalancando le porte del cinema, dopo 4 film, Elvis nel 1958 partì per il servizio militare. Un periodo davvero difficile, prima con la morte della madre, di cui Elvis non riuscì mai a elaborate il lutto, poi la partenza per la Germania e la carriera a rischio con quella lontananza forzata dalle scene di quasi due anni. Ma il capace manager riuscì a trasformare la partenza e il soggiorno in Germania in un evento mediatico con Elvis in divisa militare e con i capelli cortissimi, per la prima e unica volta in vita sua. I dischi editi e inediti li faceva uscire a ritmo scadenzato e i gadget …divennero l’affare del secolo.

I problemi, anche se all’inizio nessuno li poteva supporre, arrivarono con il ritorno di Elvis. Praticamente Parker lo annullò come cantante  svendendolo a ritmo serratissimo in poveri e stupidi film di cassetta dove tuttavia il guadagno, almeno  fino a metà degli anni ’60 fu elevatissimo, ma, di 33 film girati, quelli appena passabili non erano più di quattro. Tuttavia Elvis sapeva recitare e di questo se ne accorsero in parecchi. Già in passato aveva dovuto rinunciare a ruoli significativi per l’avidità di Parker, adesso fu la volta di “Un Uomo da Marciapiede” nella parte che poi fu di Jon Voight. Parker di nuovo chiese troppo ed Elvis perse  la possibilità di imporsi in un cinema di buon livello.

Dopo anni  di insuccessi sia di di pubblico che di guadagni, per Elvis l’unica vera possibilità era tornare alla musica. I tempi erano cambiati, si erano imposti 004_priscilia_elvis_presley_theredlistaltri miti come i Beatles e i Rolling Stones e il rischio per Elvis era alto anche perché il rientro era stabilito in televisione, con uno special natalizio diretto da Steve Binder.

Ma Elvis era sempre Elvis! Scomparsi i chili di troppo che si erano affacciati negli ultimi film, fasciato in un lucido completo nero, l’impeto  e la forza della sua performance ne fecero un successo vertiginoso che per ricordarlo, lo spettacolo fu poi semplicemente chiamato il “68 Comeback Special.”

Ma qualcosa si era rotto nell’equilibrio di Elvis. Il successo era tornato, ma tenerlo stretto doveva essere difficile anche per un genio. Fra il 1970 e il 1976 si sottopose a un ritmo frenetico di spettacoli, circa 1000 in sei anni al ritmo di uno ogni tre giorni circa…   E gli psicofarmaci divennero  di casa nella sua bellissima villa di Graceland, a Memphis dove un pò per volta fini per rinchiudersi, uscendone solo per i tour. Mangiava male e tendeva ad ingrassare. Poi doveva dimagrire in fretta se c’era qualche impegno a scadenza ravvicinata. C’è una foto del  1970, ricevuto dal Presidente Nixon, in cui il fisico di Elvis è, a dir poco, trasandato e stanco. La moglie Priscilla cominciò  a non sopportare più il suo disordine e le altre donne e, nel 1972  lo lasciò, portandosi via la bambina. Lui la rimpianse per sempre ma non ci fu più niente da fare.

E’ del 1973 l’ultimo successo planetario e forse l’ultima volta che Elvis apparve in gran forma. Via satellite si calcola che un miliardo di persone abbia visto “Elvis – Aloha from Hawaii”

BeFunky_elvis_presley_wallpaper_6-normal.jpgDopo ci sono troppi ricoveri negli ospedali  a cui seguivano ossessivamente altri spettacoli e altri viaggi, senza un attimo di respiro. E’ possibile che nessuno l’abbia fermato in tempo, che nessuno l’abbia costretto a riposare, a staccarsi da quella terribile dipendenza dagli psicofarmaci?  Ci voleva così poco a capirlo, ma nessuno ha voluto farlo. Elvis era una macchina che produceva tanti soldi e il meccanismo non si poteva rallentare… finché per suo conto, un giorno  si è spezzato. Elvis aveva solo 42 anni e forse poteva ancora essere felice…

Negli ultimi tempi della sua vita  ebbe  un pessimo rapporto anche con il cibo. E’ evidente che cercava una compensazione alla paura, allo stress, alla stanchezza.Ma anche questo sintomo nessuno l’ha voluto capire o tenerne conto, fra manager, medici e servi sciocchi che gli giravano attorno.

Ma dei tempi buoni, quando era un ragazzo molto giovane  e non aveva  le angosce e le ansie che l’avrebbero distrutto ci è rimasto il ricordo dei suoi indimenticabili “Cheeseburger” che   sono entrati a far parte del mito di Elvis, come simbolo di un ‘America in cui vivo è ancora il ricordo della frontiera e di quella musica country che  accompagnava i semplici pasti dei pionieri e le carni arrostite  sulla griglia…

CHEESEBURGER CLASSICO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 Hamburger di 130 grammi ognuno, 4 buns per hamburger, 4 foglie di insalata, 12 fette di pomodoro, 4 cetriolini in salamoia, 4 fettine di formaggio Cheddar o Monterey Jack o Emmenthaler, 1 cipolla rossa, salsa Jack Daniels.

PREPARAZIONE: salate e pepate i 4 hamburger prima di cuocerli.Preriscaldate la piastra liscia o la griglia, cuocete a fuoco alto per tre minuti su ciascun lato sino alla formazione della crosta. Ponete una fetta di formaggio sulla superficie di ciascun hamburger ancora caldo e lasciate fondere per qualche secondo. Mentre la carne cuoce tagliare in due ogni bun e tostare sulla piastra la parte interna per circa 1 minuto. Mettete la foglia di insalata sulla metà di ciascun bun (naturalmente non sulla parte ricoperta dai semi di sesamo), poi la carne con il formaggio aderente ad essa, aggiungete la salsa e poi sopra fette di pomodoro, anelli di cipolla e cetriolini.Ricoprite con l’altra fetta di bun… e buon appetito. E’ un piatto tutto affidato alla qualità della carne e alla freschezza del pane e delle verdure: Se gli ingredienti sono validi si tratta di un cibo sano, saporito e veloce da preparare!

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La Regina Ester e le Orecchie di Amman.

4851271438_5760aea81c_zNonostante la tradizione che vuole gli Ebrei a Venezia, quasi all’inizio della sua  fondazione, quelli che nel X secolo si incontravano  sulla riva orientale di Rialto a commerciare  e prestate sodi ai primi armatori veneziani, li dobbiamo considerare, in realtà, come “pendolari d’avanguardia”. Aver casa e dormire a Venezia non era tanto facile  perché la gente, forse istigata dai preti, poco li tollerava. Completamente sfatata l’ipotesi che la Giudecca fosse il loro quartiere perché l’etimo risale alla radice “giustizia” e  non Giudea. Di sicuro Venezia  aveva anche un forte spirito cristiano che, come un po’ in tutta Europa, tendeva a emarginare gli ebrei, ma  aveva anche un grande senso pratico e sapeva che difficilmente avrebbe potuto fare a meno, per i suoi commerci e per le nascenti basi d’oltremare, dei finanziamenti degli Ashkenaziti,  gli ebrei che scendevano dalla Germania. Così un po per volta finì per accettarli.

Alla fine del 1300, gli Ashkenaziti erano in buona posizione e in pianta stabile, con uno spazio abitativo su un isolotto in città e un Cimitero tutto loro al Lido. Peccato che un Prestatore di soldi, un banchiere come più eufemisticamente  si dice oggi, combinasse qualche pasticcio finanziario, che portò alla revoca del permesso di soggiorno illimitato. Ovviamente in città ci potevano venire, – c’era troppo bisogno di loro – ma per periodi limitati e portando, per farsi riconoscere e  starne alla larga, un cerchio giallo sul mantello e un berretto giallo che poi divenne rosso. Per tutto il 1400 Venezia riuscì a tenerli fuori città, ma poi fu sopraffatta, quando si ruppero gli equilibri fra i principi italiani e gli stranieri cominciarono a invadere la Penisola. Il Papa Giulio II° alleato della Francia ben presto conquistò l’entroterra veneziano, mettendo in fuga le popolazioni  e soprattutto  gli Ebrei che trovarono  rifugio a Venezia.

Questa volta fu gioco forza accettarli in città.

Per loro fu creato, primo esperimento nel suo genere, il Ghetto Nuovo, nel quartiere di Cannareggio, dove all’origine c’era una fonderia,”geto”, in dialetto veneziano,  che stava a significate la gettata del metallo. Lì abitavano, in condizioni di apartheid, con due soli ingressi che di notte venivano chiusi e sorvegliati da guardie cristiane, pagate per colmo di ironia, dagli ebrei stessi. Comunque era dato loro il permesso di  gestire i banchi di pegno e vendere la  “strazzeria”, quella che oggi  si è nobilitata nel “Vintage”. Infine potevano fare i medici e in questo caso avere più libertà di uscire dal  Ghetto anche di notte.

Poi la comunità ebraica si arricchì  di nuovi gruppi. Prima arrivarono gli ebrei  vittime della riunificazione  della Spagna e della scarsa tolleranza dei nuovi Cristianissimi Regnanti. Poi i commercianti dell’Africa e poi i Romani, cui  993_1037ala carità  del Papa e della Curia, stava rendendo impossibile la vita. Quando il Ghetto Nuovo risultò insugfficiente furono assegnati agli ebrei altri spazi che presero il nome di Ghetto Vecchio e Ghetto Novissimo. Ma nonosrante la contiguità ogni gruppò riusci a mantenere le sue tradizioni, le sue cerimonie, distinte sinagoghe e…la sua cucina. Del resto erano più di mille e cinquecento anni che li avevano frantumati e  a parte  la conservazione religiosa, i vari gruppi della diaspora avevano finito per assimilare cultura, usanze e cibo dei paesi ospitanti. Pensate che spettacolo doveva essere girare per il ghetto e trovarsi vicino vicino un ebreo ashkenazita col suo severo vestito nero e un Sefardita dalle ricche vesti di broccato  e il rutilante turbante. L’inizio del  XVII secolo fu un’età dell’oro, non solo per Venezia, ma anche per gli Ebrei. Erano tutti contenti perchè la Serenissima incassava  tasse altissime e gli ebrei erano sempre più ricchi.

Poi la peste e il  lento declino di Venezia ormai ristretta nel suo mare chiuso, mentre i grandi traffici solcavano l’Atlantico. Gi ebrei cominciarono a sparpagliarsi. Molti andarono a Livorno, molti ad Amsterdam e ad Amburgo…   e alla fine arrivò Napoleone che sotto l’egida della fraternitè e dell’egalitè aprì  o … come dire, chiuse  il Ghetto.

Ciononostante una piccola, elitaria comunità è rimasta a Venezia, così vicina al centro e già così diversa. Si traversa un ponte, si incontra una piazza e l’ atmosfera cambia, C’è più tranquillià e si passeggia con piacere. Piccoli caffè e ristoranti che sono poco più di osterie, ma simpatici, piacevoli e pieni di specialità ebraiche, ormai  forse un po’ confuse fra loro… chissà quali saranno sefardite  o aschkenazite, ma in ogni caso ci sentiamo felicemente distanti anni luce dai locali del turismo mordi e fuggi che è solo a poche centinaia di metri più in là.

michelangelo_aman_01aPoichè  oramai si avvicina Carnevale abbiamo voluto scegliere, all’interno del Ghetto, questi deliziosi dolcetti, che si mangiano in questo periodo e che somigliano alle frappe, anche se ripieni e  ritaglati,  che hanno però un nome insolito e  un po’ minaccioso: “Le orecchie di Amman.” Si tratta di un dolce antichissimo ché é legato alla storia della Regina Ester, un ‘ebrea divenuta nel V secolo avanti Cristo, la favorita del re Achemenide Serse , riportato nella Bibbia come Assuero.

La storia narra come il potente primo Ministro del re, Amman, avesse deciso, all’insaputa del re stesso, di mandare a morte l’intera comunità ebraica, che viveva nel regno in condizioni di semi schiavitù. Fu Ester, di cui il re ignorava l’origine ebraica, a sfidare le rigide regole di Corte e a presentasi al Re, senza essere stata convocata, dopo tre giorni di digiuno. Con la sua grazia e la sua dolcezza riuscì a sventare le mire del perfido Amman e a salvare il suo popolo. Amman fu crocifisso e questa storia biblica, così famosa, si può ancora andare a vedere in un pennacchio della Cappella Sistina, effigiata da Michelangelo.

Ma facendo un piccolo passo indietro, visto che Ester e tutto il popolo ebraico, avevano digiunato per tre giorni, subito dopo lo scampato pericolo, cercarono di rifocillarsi e  prepararono questi dolcetti che vollero chiamare, sia pure con un pò di comprensibile crudeltà “Le orecchie di Amman”. Nel Ghetto ebraico è facile trovarli durante la festa di Purin, che ricorda la storia di Ester e la salvezza del Popolo Ebraico e che cade fra il mese di febbraio – marzo, proprio come si diceva, in coincidenza con i nostro Carnevale. Questo è il motivo per cui  ci è sembrato giusto, fornire adesso, la ricetta.haman1

ORECCHIE DI AMmAN

INGREDIENTI.

Per l’impasto: Farina bianca (250 g), zucchero (2-3 cucchiai), burro(150 g), latte (3 cucchiaini), essenza di vaniglia (3-4gocce), tuorlo d’uovo (1), albume d’uovo (1).

Per il ripieno: Semi di papavero(150g), miele (2 cucchiai), zucchero (4 cucchiai), uvetta (4 cucchiai), limone grattugiato (1), succo di limone (2 cucchiai), latte (170 ml), burro (1 cucchiaio abbondante).

PREPARAZIONE:

In una zuppiera mescolare la farina, lo zucchero e l’essenza di vaniglia. Aggiungere il burro tagliato a piccoli pezzi, lavorare il tutto aggiungendo il latte. Continuare a lavorare l’impasto fino a dare alla pasta una forma rotonda.

A parte preparare il ripieno: unire i semi di papavero al latte facendoli bollire per 15 minuti. Aggiungere il miele, lo zucchero, l’uvetta, il burro e cuocere per altri 5 minuti. Infine il succo e la scorza di limone. Distendere la pasta in modo che sia sottile, disporre in una pirofila infarinata arrotolarla su sé stessa, spennellare con l’albume ben sbattuto e cuocere in forno per 20-25 minuti a 190°- 200°.

Tagliare, una volta raffreddato il tutto, a forma di triangoli.

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