SOUFFLE’ ROTHSCHILD ALLE ALBICOCCHE

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2wfpekgNapoleone era troppo impegnato  a giocare a Risiko in Europa e in America ( dove si vendette persino la Louisiana) per aver tempo e voglia da dedicare alla cucina. Ma non era stupido e sapeva che, in buona parte, le trattative  fra Stati si fanno con le relazioni sociali… e 901buona parte delle relazioni sociali, si fanno  a tavola… Così  nel 1804, mentre la Francia era al massimo della potenza e Napoleone cominciava a raggiungere il top della sua megalomania, chiamò il Ministro degli Esteri Talleyrand e  lo incaricò di comprare  un Castello e utilizzarlo esclusivamente per i ricevimenti diplomatici. Talleyrand, che apparteneva alla vecchia nobiltà e aveva gusti raffinati, comprò  lo Chateau de Valençay, un’immensa tenuta appena fuori Parigi, che anni dopo George Sand definì uno dei luoghi più belli del mondo. Talleyrand sapeva che le corti europee, pur avendo una terribile paura di Napoleone, lo consideravano un parvenu e, appena riprendevano fiato, fra una sconfitta e l’altra, lo prendevano in giro egli ridevano dietro. C’era dunque bisogno di restituire  alla Francia il suo antico decoro e cosi, quando Talleyrand a andò a prendere possesso di quel castello da favola, volle con se’ quello che  era considerato il più splendido cuoco di Francia, Marie Antoine Careme. Era giovanissimo, poco più di vent ‘anni, ma era già famoso per l’opulenza e lo sfarzo delle sue  preparazioni culinarie, vere e proprie architetture di marzapane e zucchero a forma diarchitetture di marzapane, piramidi,piramidi. Potevano innalzarsi sino a un metro di altezza e, il disinvolto Chef, le adoperava come centro tavola. Era ciò che ci voleva – pensò Talleyrand – per mettere a tacere tutte le teste coronate d’Europa  e i loro ambasciatori…

Ma come aveva fatto il giovane Chef ad arrivare così in alto? Una questione di genio e tanta fantasia perché, come fortuna, il ragazzo ne aveva avuta proprio poca. Era nato in una famiglia poverissima, si parla addirittura di due dozzine di fratelli, tanto che il padre quando aveva 12 anni pensò che era abbastanza adulto e lo abbandonò per le vie di Parigi. Il primo lavoro lo trovò in una bettola dove mangiava e dormiva, ma quando era libero andava in biblioteca per imparare a  leggere e scrivere. Fu così che  si imbatté nei pesanti trattati di architettura, le cui immagini,  finirono per diventare le sue più lievi  costruzioni di marzapane. Poi lo scoprì in famoso pasticciere di Parigi che capì la grandezza di quel ragazzo appena sedicenne e  gli lasciò lo spazio necessario per le sue invenzioni

Andrea careme-1Con Talleyrand era cominciata la fortuna di Careme. Il Ministro, grande esperto dal palato sensibile, lo incoraggiò a creare una cucina più raffinata utilizzando erbe fresche, verdure di stagione, e salse meno complicate di quelle in voga, che ancora risentivano della elaborata gastronomia rinascimentale. Il ragazzo non aspettava altro per rivoluzionare tutto. Dalle pietanze, che  cominciò a servire  in logica successione, una alla volta anziché in una disordinata presentazione in contemporanea, alla classificazione delle salse raggruppate in 4 gruppi fondamentali. Si inventò anche l’alto cappello bianco che ancor oggi siamo soliti vedere sulla testa degli chef, almeno i più importanti.

Marie Antoine fu veramente grato a Talleyrand  tanto che non volle abbandonarlo nel momento più difficile della sua vita quando, dopo Waterloo, il Ministrò andò a trattare a Vienna per una Francia ridotta l’ombra di se stessa. Cucinò per tutti i vincitori e solo dopo, sapendo che ormai la Francia era salva, se ne andò…

L’Europa l’aspettava a braccia aperte. Fu a Londra, chef del Principe Reggente e a Mosca alla corte dello Zar. Tornò a Parigi diversi anni dopo e, nonostante ci fosse di nuovo un re, i tempi erano cambiati e la persona più importante, adesso… era un banchiere!

James Rothschild, spedito dal padre a Parigi a soli 20 anni, col DNA di famiglia aprì in poco tempo una Banca di gran successo le “Freres de Rothchild”, che prestava  i soldi ai Governi, investiva  in miniere e in ferrovie e faceva della Francia un paese ad alta vocazione industriale. Doveva forse essere un destino che i due, “Enfant Prodige” ciascuno nel proprio settore, si incontrassero e si capissero. James  Rothchild era anche un grande e intelligente protettore delle arti e non c’è dubbio, capì subito che quella di Marie Antoine era una grande James_de_Rothschildarte, in continua evoluzione.

Fra i tanti piatti dedicati da Careme a James Rothchild, abbiamo scelto questo delicato “Soufflé Rothchild alle albicocche”, perché con un “esprit” tutto parigino, il Grand Chef  si divertì a prendere  garbatamente in giro il grande banchiere, nuovo Re Mida del secolo, inserendo nella ricetta il “Danziger Goldwasser”, un liquore in suo onore, che conteneva foglie d’oro. Difficile ricostruire totalmente la ricetta di Careme, ma anche quella che presentiamo è all’altezza del suo inventore.

534391423_91ae9fc37e_bSOUFFLE’ ROTHSCHILD ALLE ALBICOCCHE (per 6 persone)

INGREDIENTE: 4 uova, non conservate in frigorifero, 3 cucchiai di farina 00, 180 ml di latte, 60 grammi di zucchero +1 cucchiaio, 3 cucchiai di burro morbido, uno dei quasi servirà per ungere gli stampini, 100 grammi di albicocche a pezzetti e denocciolate, 60 ml di Kirsch, 3 cucchiai di essenza di vaniglia, 1 pizzico di sale.

PREPARAZIONE:  preriscaldate il forno a 180°C . Imburrate 6 stampini da soufflé. rivestiteli di zucchero e buttate via quello in eccesso. Mettete a macerare le albicocche a pezzetti bagnandole con il kirsch.

Cominciate a preparare la crema di base separando i tuorli dagli albumi,poi scaldate il latte togliendolo dal fuoco qualche istante prima che inizi a bollire. Mentre il latte si scalda mescolate con una frusta in una ciotola i tuorli d’uovo con lo zucchero per un paio di minuti, aggiungete la farina setacciata per evitare la formazione dei grumi. Aggiungete al composto una piccola parte di latte,un cucchiaio di essenza di vaniglia,amalgamate il tutto e mettetelo sul fuoco aggiungendo il rimanente latte. Cuocete a fuoco medio seguitando al amalgamare con la frusra finché la vrema non si sia addensata. Togliere subito dal fuoco,unite i due cucchiai di burro e fatela raffreddare.

In una ciotola di vetro o di alluminio montate, a neve ferma, gli albumi con una frusta, aggiungendo un pizzico di sale e il cucchiaio di zucchero. Unite gli albumi montati alla crema e infine anche le albicocche con il liquore mescolando delicatamente con una spatola dal basso verso l’alto per non smontare il composto.

Riempite con il composto gli stampini  per 3/4 della loro altezza e cuocete in forno per 30 minuti senza mai aprire lo sportello. Al termine della cottura lasciate gli stampini in forno  per altri 5 minuti e poi servire.

Chateau-de-Valencay

Rosso di Sera

Bona-Sforza-1nIn Francia dovete chiedere una “Salad Piemontaise,” ma se siete in Russia, uno dei modi per averla al tavolo è  ordinare  un’ “Insalata alla Francese”. In Germania  invece, ve la serviranno solo se la chiamerete “Insalata all’Italiana” e in Spagna, per non sbagliare, ordinate un ‘Insalata Imperiale”.  La confusione regna sovrana e non è detto che parlandone si risolva il problema, ma almeno ci si può provare. Risalendo indietro al  tempo del  Rinascimento, quando la cucina era tutta italiana, troviamo  la solita principessina che andando sposa in terra straniera era solita portarsi dietro, oltre la dote, un  cuoco e qualche ricetta chic. In questo caso  si trattava  di Bona Sforza che  partiva da Napoli per andare a fare la Regina in Polonia. Non si sa molto di più, a parte il fatto che l’insalata ebbe gran successo, si diffuse nel Nord Europa e dopo alcuni secoli, tornò in Italia.  Da queste dubbiose e incerte origini l’insalata fu detta anche  “Alla Polacca” ed è rimasto uno dei modi in cui tuttora la potete ordinare in un ristorante russo.

Ma, per amor del cielo, non vi fate sentire dai Francesi: loro sono convintissimi che l’abbia inventata, verso la  fine del 19° secolo un cuoco piemontese per alcuni aristocratici russi, di passaggio in  Italia. Per l i francesi quindi resta ancora “l’Insalata alla Piemontese”, anche se loro ci hanno aggiunto, probabilmente, un pò di maionese in più. Ma nonostante il gran rifiuto, l’origine francese del piatto, anche se  in terre lontane, tornò a farsi strada.

E’ a meta dell’800 infatti che, Lucien Olivier, un cuoco francese, si reca a Mosca per aprire un ristorante e lo chiama l’Ermitage. Un  successo grande e  scontato perché, nella 92042013_San_galinbuona società dell’epoca, in cucina si parlava solo in francese. Agli italiani, ridotti ormai agli economici piatti della dieta mediterranea, era rimasto soltanto il compito di costruire le grandi capitali, come  S.Pietroburgo, a condizione però che si tenessero lontani dai fornelli. Una delle specialità con cui Olivier si era fatto il nome, era la “Cacciagione alla maionese”, una pietanza  semplice semplice, dove su un lato del piatto ovale  erano disposte  quaglie e pernici decorate con cubetti gelati del loro brodo e dall’altro lato code di gamberi imperiali coperti di maionese, preparata con l’olio di Provenza doc, spedito direttamente dalla Francia e, quà e là, a rifinire, qualche fettina di tartufo. Al centro del grande piatto un pò per divisione e un pò per decorazione, Olivier era solito innalzare  una piramide di patate, tagliate a fette decrescenti, intervallate  con spicchi di uova sode e sottaceti. Andò tutto bene fino al giorno in cui, uno sprovveduto nobilastro fece crollare le patate, che andarono a sprofondarsi, confuse e in disordine, nella maionese. Un colpo al cuore senza fine per l’estetica di Monsieur Olivier, l’inizio di un grande successo per il piatto melange russo – francese. La chiamarono dunque  “Salat Olivier”, altro nome con cui un tempo sarebbe arrivata, se richiesta, alla vostra mensa. Ma poi, dopo alcuni anni, dell’insalata  si persero le tracce e le dosi. Dopo la rivoluzione russa non era neanche più il caso di parlare di pernici, tartufi e gamberi imperiali, perchè si poteva rischiare di passare per capitalisti e magari andarsi a fare qualche anno di Siberia.

Ma arrivarono gli anni ’30 e un cuoco russo, che si diceva avesse imparato a cucinare da un allievo di Olivier, ripropose qualcosa di simile, per la nuova classe borghese che si faceva strada fra le file della burocrazia, chiamandola prudentemente “Stolichny Salat”, “l’Insalata della Città”o “Insalata della Metropoli”, un piatto dunque “per tutti” e ovviamente in versione “social- popolare”. Oggi è diventata un’insalata cult che si può mangiare  nelle osterie finto soviet  in cui mischiano petti di pollo coi piselli in scatola e la polpa di granchio. Certo le pernici non torneranno più e qualcuno ci toglie anche il granchio e colora l’insalata  d’arancione con la carota.

Modificata nelle forme, alleggerita nella sostanza, lei  la Salad, internazionale per eccellenza, ha  sempre  resistito  ai tempi nuovi e se, spesso privata di carne e pesce, non può più essere considerata una pietanza sostanziosa, è diventata invece, la regina degli antipasti con quel tanto di sfizioso, fresco e decorativo  che la rende  l’mmancabile benvenuta  in tutti i pranzi del periodo natalizio. Ricette?  C’è solo  l’imbarazzo della scelta, anche se, gli elementi fissi restano, in ogni caso, patate, piselli  e maionese. Qualcuno ci aggiunge il pesce, gamberetti o tonno sbriciolato, qualcuno il petto di pollo a striscioline  o i wursteln a rondelle, e perché no, anche dadini di mortadella! Poi via a sbizzarrirsi con le verdure e possono essere fagiolini, cetrioli, cipolline, zucchine e via di seguito.

Quella che abbiamo scelto l’abbiamo chiamata  Rosso di Sera, per quella sciarpina di prosciutto rosso che il nostro  Pupazzo si è voluto stringere attorno al collo.

patate-carote-piselliINGREDIENTI per 8 persone:

500 grammi di patate, 200 grammi di carote, 200 grammi di pisellini  primavera, 100 grammi di olive verdi, 500 grammi di maionese, 200 grammi di  rapa rossa lessata, due cetriolini sotto aceto, 6 cipolline sott’olio, mezza cipolla cruda,una manciata di prezzemolo.

PER DECORARE: una manciata di olive nere, due strisce di prosciutto magro,  qualche chicco di mais, un mazzetto di asparagi, ovviamente surgelati, 1 uovo.

Fate lessare separatamente  patate e carote. Per cuocere i piselline mettere in una padella con olio extra vergine di oliva mezza cipolla e appena si è imbiondita aggiungere i piselli, salare, aggiungere una manciata di prezzemolo e coprire d’acqua.Entro 10 minuti dovrebbero essere cotti e debbono essere scolati dell’acqua residua. Rassodate l’uovo  coprendolo di acqua fredda e lasciatelo immerso per 6 minuti circa dopo che l’acqua ha raggiunto il bollore.

Quando le patate e le carote sono cotte, tagliarle a dadini e  una volta fredde mischiatele ai pisellini, già raffreddati anch’essi, alle rape rosse, ai cetriolini, alle cipolline sottolio, alle olive verdi e all’uovo sodo, il tutto, verdure e uovo    tagliati a piccoli pezzi.

Mescolate il tutto con due terzi della maionese eventualmente allungata con un cucchiaio d’acqua, se fosse troppo densa.

Formate due palle di diverse dimensioni e  sistematele in un piatto ovale congiunte su un lato,  nel senso della lunghezza.  Sovrastate la palla più piccola con un rettangolo di verdure leggermente inferiore di dimensioni, come da figura. Ricoprite le due palle con la restante maionese e utilizzate le olive nere, tagliate a metà nel senso della lunghezza, per ricoprire il rettangolo di verdure che diventerà il cappuccio del Pupazzo. Utilizzate altre olive spaccate a metà per fare gli occhi  e la bocca del pupazzo stesso. Alla congiunzione delle due palle di verdure che sono diventate  la testa e il corpo  del Pupazzo, appoggiate in forma di sciarpa le striscioline di prosciutto e utilizzate  2 asparagi, opportunamente lessati, per fare le braccia. Infine, con qualche pisellino sottratto all’impasto e qualche chicco di mais disegnate tre bottoni sulla pancia  del Pupazzo.

Un grosso dispiacere? Distruggere il Pupazzo per mangiarselo!

A proposito, ma come si chiama in Italia quest’insalata? Ovviamente “Insalata Russa”, ma chissà perché, se è vero che l’hanno inventata i Piemontesi.

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