Crema di sedano.. Per ricordare Andy Warhol e la Pop Art!

Ma che noiosi che siamo! Andy Warhol era stato carino e spiritoso quando aveva detto “Nel futuro tutti avranno 15 minuti di celebrità”, quelli altrimenti detti anche “il quarto d’ora”…  Aveva osservato i nuovi mezzi di comunicazione , la loro capacità di  espansori e moltiplicatori e ci aveva dato un mucchio di speranze e messaggi felici… Come dire: “Dai, anche tu che non sei nessuno”… ” Un’immagine curiosa, appena un po’ particolare,  la posti e può fare il giro del mondo…”Una parola detta al momento giusto, una battuta spiritosa e gli altri ti copieranno”  Era un modo come un altro per valutare o rivalutare un individuo qualunque , in fondo un nuovo umanesimo, se solo pensiamo ai milioni di nostri simili che sono scivolati via sconosciuti  visto che la storia per secoli  l’hanno fatta solo i re   e i generali… E noi invece di esclamare che bello, ci siamo pure noi, invece ci mettiamo ad arzigogolare, mordicchiandoci le unghie nello sforzo di pensare… Ma sarà giusto e corretto? Ma saranno proprio 15 minuti o magari  16 o addirittura 17? Ma  sono  etici  questi  social network?  E  poi che immagine di noi trasmetteremo? Quella vera o un’ altra deformata? Nel 2011  l’hanno persino data come traccia  per il tema d’esame  di maturità… ” Nel futuro ognuno di noi sarà famoso al mondo per 15 minuti. Il candidato, prendendo spunto da questa previsione di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla fama (effimera o meno) nella società moderna e rifletta sul concetto di fama proposta dall’industria televisiva (Reality e Talent Show) o diffuso dai  social media (Twitter,Youtube,Facebook).”   Si percepiva  già una così forte  condanna  nell’impostazione del la traccia  che al  candidato saggio, in cerca del diploma, non restava altro che convenire che quello dei Social, era tutto un mondo fuggevole e  futile e che lui invece avrebbe seguitato a studiare seriamente e a credere nei valori, quelli veri,   etc etc… Per poi magari finire disoccupato …  Cosa però che non si poteva scrivere…  Ma un po’ di leggerezza, di accettazione, di novità, perché ce la neghiamo sempre?

C’è da pensare che allora  fece bene Andy Warhol a rifiutare in blocco ogni esperienza artistica creata in Europa…  Con tutte le sue  stratificazioni, le sue riflessioni o anche perchè no, le sue rivolte… E dire che l’arte europea dei primi del ‘900 era stata  un’ assoluta novità… Ma se l’avesse presa in considerazione, mai e poi mai avrebbe osato… Se ci avesse pensato troppo sopra, non avrebbe avuto il coraggio di muoversi unicamente nell’universo delle immagini prodotte dall’industria e dalla cultura di massa americana. Il solo mondo dell’arte che  lui conosce e riconosce è in fondo proprio quello che per gli europei, almeno allora, erano anatemi  … I fumetti, il cinema, la pubblicit, e ci si avvicina  senza selezione alcuna  o scelta estetica…  Le cose gli interessano solo perché hanno  varcato  la soglia di percezione , sono state registrate nella memoria  e diventate patrimonio  di tutti … Solo  questo ha diritto ad essere rappresentato.. dalla Coca Cola , naturalmente la sua  bottiglietta,  ai detersivi  nelle scatole  colorate , fino alll’immagine di Marilyn Monroe, icona indiscussa  non solo di tutti i camionisti americani  ma  anche  del Presidente Kennedy… Sono tutti espressione di democrazia sociale  per Andy Warhol, perchè una  Coca Cola è sempre la stessa, per il ricco come per il povero… Basta  averla interiorizzata…warhol_marilyn

E per dire che l’oggetto dell’arte era di tutti, la ripetizione fu  il suo metodo di successo,  riproducendo  più volte la stesso oggetto o lo stesso personaggio su grandi tele , in cui alterava  i colori  vivaci e forti.  Tutta  la “way of  live” americana divenne  il suo mondo dell’ arte,  dall’ immagine pubblicitaria di quando disegnava  le copertine per i primi  vinile  fino ai  temi più sgradevoli   degli incidenti stradali e la sedia elettrica, immagini   svuotate però  – e questo fu il suo  particolare  approccio all’arte – di ogni significato originario  usando  la  loro fredda, impassibile, implacabile  ripetizione. Così   sdrammatizzava  le immagini e toglieva allo spettatore le  armi della critica sociale…  E in tutte c’era  il manifesto nemmeno troppo velato, degli obiettivi della Pop Art, secondo cui l’arte doveva essere “consumata, ”  come un qualsiasi altro prodotto commerciale.  Naturalmente la critica europea non poteva  capire l’accettazione acritica della realtà, cardine primo del mondo di  Andy Warhol e cominciò a coprire di  senso delle cose, tutto europeo, quello che l’artista non aveva voluto esprimere…E dissero che quella di Warhol era una presa di coscienza del kitsch, della mediocrità, della perdita  culturale  che aveva invaso l’America e da essa si irradiava per l’occidente… Non c’è niente da fare… La vecchia Europa non ce la fece  a capire –  se non molto dopo – il troppo giovane Warhol, a cui era bastata la prima generazione da  immigrato per dimenticarsi il vecchio mondo…

Fra i quadri più famosi  di Andy warhol  vi sono quelli delle zuppe,  i “Campbell’s Soup Cans” .  Nel più puro stile  del multiplo,  si tratta  delle riproduzioni  di più o meno  numerosi  barattoli   delle varie specialità della Campbell e, se non fossimo al MoMa di New York, si potrebbe quasi credere di avere davanti i colorati scaffali del supermercato… E’ nel ricordo di Warhol, dunque, che presentiamo questa zuppa cremosa  sperando  che  la  ricetta riesca a unire vecchio e nuovo continenete.

Si tratta di una zuppa fresca, ridotta in crema, con limitate calorie e un gradevolissimo e delicato  sapore.

CREMA DI SEDANO

INGREDIENTI  per 4 persone : 3 cespi di sedano bianco, 1 scalogno,  200 g di patate, 40 g di burro,1,3 l di brodo vegetale 2 tuorli di uova, 1 dl di panna fresca,  pecorino grattugiato 2  cucchiai,  sale  e pepe  quanto basta, qualche foglia di prezzemolo, pane a dadini 100 grammi, eventuale.

PREPARAZIONE: sbucciate e tritate finemente lo scalogno. Sbucciate le patate dopo averle lavate bene sotto l’acqua corrente, poi tagliatele a dadini. Pulite il sedano dividendone le coste, lavatelo, asciugatelo e  tagliatelo a piccoli pezzi, eliminando i filamenti duri. Fate sciogliere il burro in una casseruola, unite lo scalogno e fatelo appassire, quindi versate i dadini di patate, il sedano, lasciando a parte qualche pezzetto poi salate, mescolate e fate insaporire  per 5 minuti.

Incorporate poco alla volta il brodo caldo, portate a ebollizione mescolando continuamente, poi abbassate la fiamma, regolate di sale e fate bollire  a fiamma bassa  per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto, quindi con il frullatore a immersione riducete a crema la preparazione; aggiungete  i pezzetti di sedano tenuti da parte  , rimettete sul fuoco e proseguite la cottura per altri 10 minuti.
In una ciotolina sbattete i tuorli con la panna e 2 cucchiai di pecorino grattugiato; salate, pepate e incorporate la crema di uova nella zuppa; mescolate bene per 1 minuto prima di spegnere la fiamma. Distribuite la crema nelle fondine individuali, decorate a piacere con qualche fogliolina di prezzemolo e servite. A piacere si può aggiungere qualche dadino di pane scaldato in forno.

Rodgrod alla panna, un dolce della sua terra per Lars von Trier!

I genitori ne volevano fare uno spirito libero  ed è diventato un cacciatore di regole… Non volevano imporgli nessuna disciplina e lui si è flagellato con l’auto disciplina… Si batteva  per un cinema “puro e duro” … Essenziale e  molti suoi film  sono  ridondanti melo… Molti non lo capiscono, qualcuno si spaventa,  altri ridono  durante le proiezioni… Ma poi, soprattutto a Cannes, dove arriva il cinema più nuovo e d’avanguardia, l’hanno sempre riempito di premi … E’ Lars von Trier,  il regista che  dalla metà degli anni ’80 ha rivoluzionato  il modo di fare cinema…  Che può essere antipatico, saccente, irrispettoso,  ma è  completamente pieno di talento. Dopo Dreyer, dicono,  nel cinema danese c’è stato solo lui…   Un personaggio strano, pieno di contraddizioni.  Fa l’anarchico  e poi  si aggiunge quel prefisso nobiliare di “von”… Forse  accarezza il suo snobismo o forse serve a dargli  qualche sicurezza  di cui ha bisogno, in mezzo alle sue   angosce  e alle sue paure quotidiane…  In realtà  poi delle sue  paure  ne fa altrettanti  “trasfert”   sull”ignaro spettatore, che  coinvolge nelle sue allucinate trame,  al di là del bene e del male.

Come ha detto lui stesso, con  sfrontato sarcasmo, è “vittima di un’enorme auto-venerazione,” così, quando comincia a fare  lungometraggi, si presenta con una Trilogia.. che racconta strane storie  di un’Europa  malata…

“L’elemento del crimine” è un film che da fastidio…. C’è un detective, infatti, di nome Fisher  che deve  rintracciare un  serial killer e, per trovarlo,  va a mettersi nella testa del criminale … Vuole capire le sue mosse e i suoi comportamenti,  ma finirà invece per identificarsi con l’assassino e  comportarsi, lui stesso, come un serial killer… Una totale confusione dei ruoli, mentre il male  investe il bene ed elimina ogni separazione … E per mettere in ulteriore disagio lo spettatore,  Von Trier comincerà a sfoderare le sue regole noir  con un’assurda  atipica messa in scena, dove l’ambientazione è sempre notturna, i bagliori dell’acqua irreali e l’ uso sfrenato del colore giallo  serve per inquietare … Nè miglior sorte sarà riservata all’eroe del film successivo “Epidemic” il medico che,  mentre sta arginando  un’epidemia, si accorgerà con orrore di essere lui stesso a trasmetterla, mentre la parola “epidemic” rimarrà come un timbro a disturbare tutte  le scene ..Memoria  invadente del male da cui non si sfugge…   La sfrenata trilogia si chiuderà con Europa,  ambientato  nella  Germania distrutta dalla seconda guerra mondiale… Lì nella continua confusione dei ruoli  sarà difficile relegare il male ai soli ex  nazisti, spaventati e nascosti e dare la patente di buoni agli americani che, ottusamente,  mitragliano i partecipanti ad un funerale, solo  perché  c’era  il divieto di assembramento. Sono film duri, pesanti come macigni,  ma è un modo nuovo di fare cinema… Lars Von Trier è coraggioso, fuori dalle convenzioni e fa riflettere…

Dopo  quest’irruzione sulla scena  Lars von Trier comincerà   a prendersela  con le forme  e i modi di fare cinema…Soprattutto con lo sfarzoso e tecnologico cinema Hollywoodiano…   All’Odéon di Parigi, legge il manifesto di “Dogma 95″…  Vuole un ritorno purificato al cinema delle origini.. E con un’uscita plateale se ne va gettando in aria volantini rossi con le regole  del suo “Decalogo”   “Niente più scenografie, la scena sarà solo un palco nudo,  vietate le musiche, gli unici suoni saranno quelli reali,  la camera  da ripresa sarà solo a mano, al bando filtri e trucchi ottici, vietato il nome del regista perchè il film è un atto corale… e via di questo passo..”.  Dogma ’95 è una teologia, un reale ed effettivo dogma di fede con il suo carattere di indiscutibilità…   E non importa se rischia di distruggere il cinema.

Però subito dopo aver dettato le regole von Trier avrà un sussulto anarchico, e con l’altra parte di se stesso  si  dimenticherà di applicarle…”Le onde del destino”  è tutta un’altra cosa… Una storia d’amore visionaria e assurda dove l’ingenua  Bess  per comandamento divino si prostituirà  per salvare la vita all’adorato marito… Un’insolita morale e una  pellicola  emozionante…Il pubblico piangerà a lungo… A Cannes prenderà due premi.

E neanche il film che verrà  dopoDancer in the Dark,” con la pop star islandese Björk,  si preoccuperà di rispettare le regole… Lui che voleva abolire le musiche nei film  stavolta farà un musical, nero… Ma musical! E’ un melo “strappalacrime,”  che non risparmia nessuna scena madre! La storia di un’operaia che arriva in America dalla Cecoslovacchia e scopre di essere affetta da una cecità progressiva che si potrebbe estendere   al figlio… Tragico e agghiacciante, il film è una  provocazione  e una dura condanna  alla vita in stile America…

“Dogville”, film cult ha molto Dogma dentro di sè … Un’assenza quasi totale di scenografia… Con le case della cittadina solo disegnate per terra…   Grande uso della parola e dei gesti, ma niente piu’ camera a mano o sfocature estemporanee  e una  donna che, al contrario di Bess e dell’operaia cecoslovacca, stavolta reagirà contro l’ipocrisia e la cattiveria di un  intero paese … Cinema sempre un po’ difficile da capire, ma il  bene stavolta ha la sua eroina chiara e forte.

Ma non c’è da illudersi …Lars von Trier non potrà mai diventare buono… Difatti nell'”Antichrist,”  uno degli ultimi discussi film,  narra la tribolata storia di una coppia  cui muore il figlio in un incidente.. Loro non non se ne  accorgono  perché stanno facendo  l’amore… E il rimorso della coppia diventerà  la punizione vendicativa  di Lars von Trier…

Poi quando arriva  all’ultimo film supera persino se stesso…  Stavolta ha trovato una nuova forma di cattiveria… Da fantascienza. Infatti distrugge  il mondo facendolo scontrare con il perfido pianeta   Melancholia… Che altro ci vuole riserbare,  nel  suo ghigno da Angelo sterminatore,  Lars von Trier?

Non ci sono molte speranze, ma noi comunque ci vogliamo provare e, nel tentativo  di renderlo un po’ più buono, abbiamo scelto per Lars von Trier, questa morbida ricetta di un dolce danese…

RODGROD ALLA PANNA

INGREDIENTI  per 6 persone: 350 grammi di ribes rossi, 340 grammi di lamponi, 170 grammi di acqua + 110 grammi di acqua da mischiare alla fecola di mais, 170 grammi di vino bianco, 140 grammi di zucchero, 45 grammi di fecola di mais, 1 pizzico di sale, 50 grammi di mandorle sbucciate e  tagliate a lamelle, panna in abbondanza e a piacere…

PREPARAZIONE: Far bollire a fuoco basso la frutta con 170 grammi di acqua e 170 grammi di vino, e dopo 10 minuti passare il composto al mixer e poi al setaccio. Pesate  la purea filtrata e se è inferiore ai 560 grammi aggiungete altra acqua, senza intaccare quella che occorre per l a fecola  di mais, poi inserite zucchero e sale. Mischiate la fecola di mais con i 110 grammi di acqua e mescolare bene per evitare grumi, poi versatelo nella purea di frutta e mescolate bene. Portate a bollore lentamente e fate sobbollire per 3 minuti, mescolando in continuazione. Versate la composta di frutta sul piatto da portata,decoratela con le mandorle  e accompagnatela con la panna.

Gina Lollobrigida, la Bersagliera e gli spaghetti alla carbonara!

Un corpo snello e ben proporzionato, un viso dolce con grandi occhi castani, un naso delicato e una bocca morbida… Una bella ragazza che veniva da Subiaco, un paese della Provincia di Roma e si era classificata terza al concorso per Miss Italia… Ma così com’era poteva essere confusa con tante  altre… Fu quindi necessario creargli un’immagine inconfondibile  esasperando al massimo la moda dell’epoca che voleva donne dal seno procace e fianchi in rilievo. A  lei  la  strizzarono entro perversi “stringivita”   simili a quello che si usavano nell’800 per far svenire le signore che rimanevano senza fiato… In  questo modo seni e fianchi dovevano per forza traboccare da qualche parte… Per il viso  grandi sopracciglia circonflesse, labbra turgide e tanti ricciolini tutto attorno al viso… La bambola che milioni di italiani sognavano… Era difficile sfuggire ai cliché del cinema commerciale degli anni ’50… in cui  alla donna si chiedeva di essere solo la “maggiorata fisica”… di  improbabili telenovelas  strappalacrime  o di volgari commedie dozzinali…

Aveva cominciato con piccole parti fino ad assumere ruoli più impegnativi con “Campane a martello” , “La sposa non può attendere,”  “Altri Tempi,” quando la  fama della sua bellezza giunse alle orecchie di Howard Hughes, l’eccentrico miliardario americano che aveva il vizio di andarsi a scegliere le sue donne fra le attrici del cinema.  Sperò di far cadere nella sua trappola anche Gina  e l’invitò a Holliwood… ma il colpo gli riuscì solo a metà… Lei aveva già firmato il contratto, ma con quell’innato buonsenso che  gli derivava dalla sua famiglia di piccoli imprenditori di paese, capì che stava cadendo in una  gabbia dorata,  dove  più che l’attrice per i prossimi anni avrebbe fatto la donna ancella di Hughes… Allora  scappò letteralmente dall’America… Aspettò quasi dieci anni prima di tornarci… Che scadessero gli ultimi vincoli contrattuali che sul suolo americano la legavano a Hughes …

Poi  a Roma arrivò la sua grande occasione… E riuscì a trasformare quella  pesante icona “oggetto del desiderio” ne “La bersagliera,” un personaggio, fresco, spontaneo, con un garbato neorealismo tutto paesano, che non fu per Gina Lollobrigida  forse nemmeno difficile da interpretare, visto che quello in fondo era il suo retroterra. .. “Pane, Amore e Fantasia”  lanciò sicuramente nel mondo un’immagine  manierista e falsa di un’Italia già rampante, che si avviava verso il miracolo economico, ma fece di Gina Lollobrigida lo standard della bellezza  all’italiana che poi lei si è portata appresso per tutta  la vita. Quell’anno  il film vinse il “Nastro d’Argento…”

Luigi Zampa stava realizzando il film  “La Romana” tratto dal romanzo di Alberto Moravia… All’ inizio del libro così si descrive  la protagonista ” Avevo il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po’ largo in basso, gli occhi lunghi, grandi e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, la bocca grande, con le labbra belle, rosse e carnose e, se ridevo, mostravo denti regolari e molto bianchi. La mamma diceva che sembravo una madonna…” La descrizione di Adriana,  sembra l’immagine stessa della Lollobrigida… Era fatale che le affidassero la parte…  Ormai stava diventando anche la musa degli intellettuali…

Per quasi 20 anni la carriera di Gina lollobrigida non conobbe ostacoli… Le mode cambiavano, le donne si assottigliavano, il look diventava più semplice e sofisticato, ma in Italia, Francia e Hollywood seguitavano a volere Gina Lollobrigida così com’era… Con i vestiti troppo ricchi e drappeggiati, la testa rigonfia, i tacchi a spillo che non portava più nessuno,  ma, ciononostante, le maggiori produzioni  non fecero altro che contendersela…  “La Regina d’Africa”, “Il gobbo di Notre Dame”, “Il Sacro e il Profano”… Con “La donna più bella del Mondo”e con “Buonasera Mrs Campbell”  vinse  il Davide di Donatello… con “Torna a settembre” il Golden Globe .. e poi tante nominations, riconoscimenti, la presentazione alla Regina di Inghilterra…

Ma a metà degli anni ’70, ancora bellissima, Gina Lollobrigida sparisce.. Tornerà una sola volta sullo schermo molti anni dopo…. Aveva poco più di 45 anni e per molte sue colleghe iniziava una nuova carriera… Lei orgogliosa preferì lasciare. Quell’immagine che all’inizio le avevano imposta era diventata se stessa, l’aveva fatta sua  e ora non la voleva vedere sullo schermo incrinata dai piccoli segni dell’età… Anni dopo dirà di Sofia Loren ” Era brava, l’ammiravo moltissimo… Ma forse si è ritirata troppo tardi”

Però torna presto alla ribalta… Già prima di abbandonare del tutto lo schermo era diventta fotografa e  girava  il mondo… All’inizio nessuno sembra dargli credito… sembrano un po’ i capricci della diva annoiata…Ma Gina aveva talento, quel talento per le arti che giovanissima aveva coltivato al liceo artistico e poi aveva dovuto mettere da parte… perché guadagnava di più  come comparsa al cinema che fare ritratti a carboncino….  Il suo occhio fotografico gira per i paesi più poveri del mondo e sempre più spesso i suoi soggetti sono i bambini… oppure vecchi borghi dimenicati o grandi immobili paesaggi…

Le riviste “Life” e “Time Magazine” scoprono Gina fotografa e le chiedono di fare  un libro sull’Italia. Per riuscire a fotografare indisturbata , Gina si aggira per l’Italia per due anni e mezzo travestita da eccentrica e originale turista e nasce la raccolta “Italia mia”… Fidel Castro l’accoglie a Cuba… Lui racconta… “”L’ ho conosciuta bene… Siamo stati anche innamorati, pero’ era un amore platonico. E poi aveva sempre la mania di fare fotografie”… Difatti ne venne fuori un bellissimo documentario …

Dopo la passione della fotografia …La scoperta della scultura! Manzù l’aveva incoraggiata  quando, poco prima di morire, completava il suo busto… E lei va a Pietrasanta in Toscana… dove ci sono le migliori botteghe di fusione… Comincia a fare enormi colorate sculture dove mischia verdi e oro e … Stranamente i soggetti sono i personaggi che lei ha interpretato al cinema… da Paolina Borghese a  Esmeralda la protagonista di Notre Dame de Paris…Nel 2008 a Pietrasanta nella grande piazza fanno una mostra all’aperto delle sue opere … La folla è enorme e lei  è commossa e felice perchè può rivedersi  e mostrarsi giovane  ormai per sempre in quei marmi e quei bronzi…

Ma non le potevano bastare  le soddisfazioni personali… I suoi scatti fotografici in giro per il mondo le hanno fatto avvicinare i più poveri, i più bistrattati… E per  tutto quel dolore che aveva  accumulato ha finito per dedicare la maggior parte del suo tempo alle attività umanitarie, come rappresentante speciale per  l’UNICEF  e come ambasciatrice di buona volontà della FAO…Gina Lollobrigida  sembra instancabile e negli ultimi 10 anni   ha girato dappertutto per raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica nella lotta contro la fame. Adesso si sta vendendo all’asta una parte dei suoi favolosi gioielli… due bracciali che si potevano riunire a formare una tiara, orecchini di perle, un anello di smeradi, altri orecchini… Spera di ricavare un milione di euro e vuole destinarlo alla ricerca  e alla cura con le staminali… Nella lentezza con cui in Italia si stanno compiendo i primi passi nella sperimentazione, la giovanissima Gina Lollobrigida, una bella ed entusiasta  signora di 85  anni insegnerà forse qualcosa in materia di efficienza e di umanità ai nostri indecisi e un po’ pavidi  governanti…

Di Gina si sa che quando lavorava al cinema era rigorosissima… puntuale e precisa. In America, quando girava “Il Sacro e il Profano” era molto interdetta quando  le riprese la mattina iniziavano  tardi per aspettare Frank Sinatra che si doveva riprendere della sbronza della sera prima…  Seguitava a  studiare le lingue  e recitava direttamente senza doppiatori sia in inglese che in francese…Faceva ginnastica e quando era sul set mangiava pochissimo… ma quando   poteva… un buon piatto di pasta asciutta era la sua  gioia… Per questo le abbiamo dedicata questa ricetta di :

SPAGHETTI ALLA CARBONARA

INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di spaghetti, 2 etti di guanciale, 2 spicchi di aglio,1 peperoncino piccante di media grandezza secco, olio di oliva extra vergine, 4 tuorli più 1 uovo intero, sale q. b., pepe in abbondanza, 1 cucchiaio di panna liquida, 100 grammi di pecorino, qualche foglia di basilico fresco.

PREPARAZIONE: tagliate il guanciale a tocchetti, poi in una ciotola sbattete le uova con il sale e il pepe, il  pecorino grattugiato e qualche fogliolina di basilico spezzata con le mani. Mettete a cuocere gli spaghetti in acqua che bolle aggiungendo il sale  nell’acqua solo dopo avervi immerso gli spaghetti. Mentre gli spaghetti cuociono, in una padella fare soffriggere prima l’aglio e il peperoncino spezzato in due e appena l’aglio  ha assunto un lieve colore madreperlato toglietelo dalla padella insieme al peperoncino  e fatevi rosolare il guanciale sino a farlo divenire croccante, ma facendo attenzione a non indurirlo. Solo dopo rimettete nella padella l’aglio e il peperoncino espegnete il fuoco. Appena gli spaghetti sono cotti al  dente versateci sopra il guanciale e il peperoncino,togliendo l’aglio,poi mescolando velocemente aggiungete l’uovo e un cucchiaio di panna liquida per fare in modo che l’uovo non si rapprenda ma resti morbido come una crema. Servite subito.

Un dolce per Greta… La Crème Caramel!

E’ molto piaciuto a Giorgio Armani quel modo di vestire che aveva  Greta Garbo nella sua vita privata. Sembra quasi che lui si sia ispirato a quei pantaloni morbidi, ai pullover di una taglia più grandi e ai lunghi soprabiti  della diva. I colori invece no, sono diversi, Greta amava spesso i toni pastello, con cui valorizzava la sua pelle diafana e  l’ovale aristocratico, Armani preferisce i toni écru e soprattutto il bianco e nero. A Hollywood  Greta aveva accentuato le sue scelte… Quando andava a trovare  John Gilbert nella sua villa sopra Beverly Hills si metteva lo stesso tipo di cappotto di John e del suo amico Carey Wilson, stretto in vita da una larga fascia… E mentre  andavano a fare lunghissime passeggiate lei esclamava felice “Ora sono anch’io un ragazzo!… . All’epoca Greta Garbo era  già un ‘attrice di successo e forse, complice  la passione de”La carne e il diavolo”, anche  lei e Gilbert  stavano vivendo  la loro storia d’amore… che non poteva durare, erano troppo diversi… Lui esuberante, aperto, pieno di simpatia, lei chiusa in se stessa, parlava poco e sempre a disagio  quando Gilbert riceveva troppi amici. Già allora  detestava essere riconosciuta o fotografata ed era sempre pronta a scappare. Sembrava impossibile, ma quella che già definivano “la divina” , la donna fatale,  passò l’intera vita assieme alla sua terribile insicurezza. Aveva alle spalle la povertà più assoluta, il lavoro appena quindicenne nel negozio di un barbiere e poi la commessa ai grandi magazzini di Stoccolma… Non aveva potuto studiare in Svezia e tanto meno lo poteva fare a Hollywood con tutto quel lavoro massacrante…  Forse l’unica persona con cui stava veramente bene, senza disagio era Mauritz Stiller, il regista che  l’aveva scoperta  portandola al successo con “La saga di Gosta Berling”e  poi  l’aveva accompagnata in America…Un uomo che la proteggeva e  col quale non c’era rischio di  problemi sentimentali… perché era completamente gay.  Ma Stiller a un certo punto fu costretto ad andarsene, Hollywood non voleva saperne di lui … Gilbert invece fu costretta lei a lasciarlo… Aveva osato chiederle di sposarlo e  infranto le regole… Nessuno poteva permettersi di  renderla meno indipendente e autonoma. Rimasta sola si sfogava con le lettere che scriveva ai suoi amici in Svezia… era infastidita dalla pubblicità e scontenta dei suoi personaggi di donna fatale e vamp distruttiva…mentre sperava invano di fare Giovanna d’Arco, la vergine guerriera e mascolina con cui si identificava…  Forse fuggiva  i giornalisti e i fotografi per paura che si amplificassero quelle che erano ancora piccole o quasi innocenti insinuazioni sugli  aspetti un po’ mascolini che ostentava nella vita privata… E dire che sullo schermo, con quegli eleganti  vaporosi vestiti, era così sensuale e femminile da lasciare  tutti senza fiato…  Quel titolo di “divina,” in ogni caso non era un’esagerazione  o un trend… c’è già nella giovanissima Garbo una rara  capacità di recitare  a tutto campo, utilizzando  ogni minimo movimento del corpo e ogni singola espressione del viso per dare significati altissimi ed espliciti a ogni tipo di emozione. Clarence Brown che la diresse più volte non riusciva a farsi una ragione del suo talento “Greta Garbo aveva qualcosa che nessun altro aveva sullo schermo…Giravo una scena con lei e il risultato mi sembrava discreto. La rifacevo tre o quattro volte e non ero mai interamente soddisfatto. Quando però vedevo la stessa scena sullo schermo, c’era in più qualcosa che sul set mancava. La Garbo nascondeva nello sguardo qualcosa che non si riusciva a vedere finché non lo si riprendeva in primo piano. Si poteva vedere il suo pensiero. Se doveva guardare una persona con gelosia e un’altra con amore non doveva cambiare espressione. Si poteva cogliere il cambiamento nei suoi occhi mentre spostava lo sguardo da una persona all’altra. Nessun altro è stato mai capace di farlo sullo schermo!”

L’arrivo del sonoro che tanti attori mise in disparte, lei non la toccò minimamente.  Dopo “Anna Christie” in cui per la prima volta  fu possibile udire la sua voce,  le offrirono “La Regina Cristina” un film che  affronto’ con gioia,  un bel  personaggio,  sia pure  non evidenziato nella sua doppia identità sessuale, che le dava però la possibilità di vestirsi da uomo e fingersi tale… Fu così generosa che  impose  anche John Gilbert che  era stato già messo da parte con l’avvento del sonoro…Fu per entrambi un favoloso successo… anche  se ormai l’amore non c’era più. Lei aveva incontrato una poetessa, un’ intellettuale che discendeva addirittura dai duchi D’Alba spagnoli… Una donna che vantava il suo essere lesbica… e per diversi anni fu passione o… forse amicizia… Mercedes de Acosta rivelò  la loro relazione molti anni dopo  nelle sue memorie… era malata e aveva bisogno di soldi. Greta Garbo ne soffrì da morire…Furiosa  smentì categoricamente tutto e non  ne volle più sapere. Probabilmente fu del tutto inventata la successiva relazione con Marlene Dietrich che sventolava la sua bisessualità come un vessillo. Greta era troppo riservata e gelosa della sua privacy per  consegnarsi nelle mani  della loquace Marlene…

Invece con Leopold Stokoski il grande e contestato direttore d’orchestra, che diresse le musiche di “Fantasia” per la Disney, fu  di sicuro amore.  Cosa poteva offrirle di più suggestivo? Stokoski portò la Divina a Ravello… e da lì “Mi sono innamorato” scriveva a un amico. Dopo la prima segretissima notte, Cecil Beatonil cameriere portò alla Garbo, una rosa appena colta assieme  alla colazione…un tè profumato all’arancio…  lo bevvero sulla terrazza davanti al paesaggio a strapiombo  che non ha confronti. Poi nei giorni seguenti passeggiavano, giocavano a tennis e andavano a leggere i libri sulle panchine di Villa Cimbrone, dove lui si commuoveva ricordando i musicisti che di lì  erano passati… Quando  si sentì più sicuro una sera al ristorante le consegnò un astuccio e mentre lei guardava il bellissimo anello cominciarono a scattare i lampi dei fotografi. Li aveva avvisati Stokoski? … Una coincidenza?… Lei volle partire in fretta e non si parlò più di matrimonio— Qualche tempo dopo era tutto finito…

Lei tornò a lavorare e fu di nuovo assassina, spia, moglie infedele, cortigiana…  Fra muto e sonoro più di 20 film seri e drammatici… Ernst Lubitsch invece capì le sue capacità  humour e lei divenne la brillantissima  Ninotchka, l’integerrima funzionaria russa  che cede alle lusinghe dell’Occidente e dell’amore. Un grande successo  e uno stupore ancora più grande … “Garbo laughs”  si confidavano l’un l’altro ed era la prima volta, che succedeva, in 15 anni di carriera a Hollywood.

Ma la sua carriera invece si spezzò all’improvviso due anni dopo, un altro film  brillante, ma stavolta sfortunato .”Non tradirmi con me”  fu un grosso insuccesso in America… Troppo sofisticato  per lo zoccolo duro del conformismo americano che lo tacciò pure di immoralità… In Europa dove sicuramente sarebbe stato accolto meglio arrivò solo diversi anni dopo… Quando finì la guerra, ma la Garbo si era ritirata e per sempre dal 1941,.. Era al colmo della sua bellezza e aveva solo 36 anni,ma non ne volle più sapere…

Passò tutto il resto della sua vita a dimenticare Hollywood… Girando il mondo sotto le tese dei suoi ampi e leggendari cappelli, inseguita da Cecil Beaton che aspettò 10 anni per riuscire a fotografarla e poi a tentare di sposarla, nonostante lui fosse gay…Con George Schlee, il  suo manager, invece fu amore … Lei era anche amica di sua moglie Valentina che tollerava e faceva anche lei un po’ di corte a Greta…   Con George  durò più di 20 anni… Passavano le vacanze in Europa, sulla barca di Onassis, a Portofino… finchè George morì praticamente fra le sue braccia. Per il resto della sua vita le rimase la profonda amicizia di Cecile de Rothschild… Oggi 15 aprile 2013, sono esattamente 23 anni che Greta Garbo è morta … A noi è rimasto il suo mito e quello… non muore mai.

La ricetta  viene direttamente dalla casa di Greta Garbo… Federico Zeri, il critico d’arte che la conosceva bene, era spesso ospite nella sua casa di New York. Greta Garbo era una salutista, camminava per ore tutte le mattine e il suo cibo era molto semplice e dietetico, ma per l’amico Federico al termine del pranzo c’etra sempre una deliziosa Crème Caramel. E un dolce al cucchiaio di antiche tradizioni che affondano la loro origine ddirittura all’epoca dell’Impero Romano quando  si mangiava in versione meno dolce e più aromatica…

CREME CARAMEL

INGREDIENTI  per 6 persone: panna fresca 150 ml, 1/2 stecca di vaniglia, 4 uova intere  + 1 tuorlo, 120 grammi di zucchero, latte fresco intero 450 ml,

INGREDIENTE  per il caramello: 4 cucchiai di acqua, 150 grammi di zucchero.

PREPARAZIONE: Versate il latte in un tegame insieme  alla mezza stecca  di vaniglia. Ponetelo sul fuoco  a fiamma bassa e portatelo ad ebollizione. Dopo, tenete il tegame da parte per circa 30 minuti, senza togliere la vaniglia che deve terminare di rilasciare il suo aroma. Trascorso questo tempo unite la panna al latte e in una ciotola abbastanza capiente sbattete le uova con lo zucchero. Eliminate  la stecca di vaniglia dal latte e filtratelo con un colino a maglie strette. Dopo versatelo lentamente nella ciotola delle uova mescolando con una frusta. Preparate il caramello facendo sciogliere lo zucchero dentro un tegamino  dal fondo spesso assieme all’acqua mescolando in continuazione sino a quando acquisti il colore dorato. Versateli in  parti uguali sul fondo di ciascuno dei sei stampini e ricopriteli con il composto di latte, uova e panna. Ponete gli stampini dentro una teglia e ricoprite il fondo per 1/3 di acqua bollente. Fate cuocere  a bagnomaria per circa 50 minuti e quando la crema si sarà solidificata togliete lo stampo dal forno, fate raffreddare gli stampini prima a temperatura ambiente e poi per circa quattro ore in frigo. Al momento di servire  aiutatevi con un coltello  a staccare la crema da ogni stampino e rovesciateli sui piattine da dolce.

Michelle Obama, la First lady e il Frogmore Stew!

La First Lady americana ora porta la frangia sulla fronte e il suo look è tutto nuovo. Ma sia lei che il marito Presidente hanno sempre pronta la battuta di spirito. ” La frangia di Michelle è stato l’evento più  significativo di tutto il  weekend” ha detto Obama, nonostante proprio quel weekend ci fosse stata la cerimonia del re -insediamento alla Casa Bianca, per il secondo mandato presidenziale… E lei a fargli eco “Sarà la crisi della mezza età… Non posso fare bungee jump, non mi posso comprare un’auto sportiva, mi sono tagliata i capelli” E con la sua nuova frangia, stretta in un bellissimo vestito d’argento, collegata dalla Casa Bianca con la sede dei premi Oscar 2013, ha voluto partecipare all’iniziativa, annunciando il vincitore per il miglior film… Lui il regista Ben Affleck, che ha diretto “Argo,” ha detto che gli sembrava di aver avuto un’allucinazione quando si è visto di fronte la First Lady… E’ fra le donne più eleganti del mondo, quando si incontrano abbraccia la Regina di Inghilterra, ma se gli chiedete cosa fa nella vita, vi risponderà che lei è la mamma  di Malia e Sasha… Eppure ne ha fatta di strada Michelle Robinson da quel piccolo appartamento di Chicago…  una famiglia modesta, ma i figli hanno una gran voglia di studiare. A 21 anni Michelle ha il suo Bachelor  a Princeton con un “majored” in Sociologia e un “minored” in “Studi Afro – Americani” e due anni dopo il Master in Diritto ad Harvard. Già si era occupata attivamente di problemi razziali e diritti delle minoranze nere quando stava all’Università, così quando conosce il suo futuro marito come prima cosa vanno a vedere “Fa la cosa giusta”… Un film sui conflitti razziali.  La seconda volta che  escono insieme vanno al ristorante… Quando il cameriere porta il dessert, nascosto lì vicino, Michelle trova il suo anello di fidanzamento… Ne faranno  di cose assieme, anche se lei finché può, seguita a fare il suo lavoro… Quando arrivano alla “Casa Bianca” il mondo impazzisce per loro… Sono belli, giovani, poco più di 40 anni e lui è il primo presidente nero della storia americana. Lei è più nera di lui ma ne sembra assolutamente inconsapevole perché ha una totale mancanza di pregiudizi. Per lei, sociologa, invece i problemi, oggi, sono altri… e quando arriva alla Casa Bianca capisce che ha un eccezionale trampolino di lancio per poterli affrontare. L’America, il paese più importante del mondo… o quasi,  si sta auto – distruggendo con una malattia che, in poco più di una generazione, ha colpito quasi il 30% della popolazione… l’obesità!  William Dietz, un luminare della nutrizione ha dichiarato “L’obesità è il maggior fattore di rischio per molte malattie croniche come quelle cardiache e come il diabete. Al crescere dell’obesità… registriamo una crescita delle malattie croniche…”

 Michelle si batte come un leone. Va in televisione, tiene corsi di  fitness, scrive libri, parla alle industrie alimentari, alle mense scolastiche, a tutti quelli che preparano i pasti… Ha sempre il sorriso sulle labbra e parole di incoraggiamento, ma la sua è una lotta senza quartiere al cibo spazzatura sovraccarico di grassi, di salse e di elementi chimici. Il latte inteso come  latte non c’è più… è solo un miscuglio di zuccheri, cacao, sgargianti succhi di frutta colorati artificialmente e un po’ di polveri di latte. I panini, alti 10 centimetri, sono accozzaglie di sapori dove strati di carne o pesci fritti  vengono sommersi da maionese, salse, formaggi,  prosciutto cotto e pomodori o.g.m. Poi se manca qualcosa si aggiunge! Michelle si fa vedere  con la zappa in mano nell’orto della Casa Bianca mentre coltiva  il biologico, per far conoscere le verdure fresche di cui  non c’è più memoria. Finisce che molti la odiano… “Ci toglie la libertà, si intromette nel nostro privato”. E’ il grido dei riottosi… mentre i  bambini rifiutano le verdure lesse perché le sentono insapori, dopo anni di patatine fritte e ketchup… Dietro naturalmente ci sono le grosse aziende del congelato, del precotto, del tutto pronto e i loro stratosferici guadagni che cominciano a sentire a rischio.

Adesso sta raccogliendo i primi risultati…Wal-Mart, Walgreens e Disney sono già industrie convertite e in alcuni stati, come il Mississipi, nelle scuole primarie l’obesità è diminuita anche del 13 %… Michelle quando torna la sera a casa è un po’ più serena e assieme  alle verdure può gustarsi qualche cibo del vecchio Sud.

Prima che suo nonno arrivasse a Chigaco in cerca di fortuna, le origini della sua famiglia si ritrovano nella Carolina del Sud.  Loro appartenevano ai Gullah, un popolo della Sierra Leone trascinato dal 1700 in Brasile, nei Caraibi e poi nel sud degli Stati Uniti perché sapevano coltivare il riso. Ridotti in schiavitù, estranei alla civiltà dei bianchi, erano riusciti a conservare ed elaborare una cultura propria di cui oggi c’è un vivacissimo revival. I membri della comunità lavorano per preservare le tecniche e l’agricoltura sostenibile e la cucina assieme al linguaggio tipico dei Gullah,- un inglese pieno di parole africane,- è diventato uno degli elementi di punta che si ritrovano un po’ dappertutto nella Carolina del sud. Se si riflette un momento sul fatto che Michelle è un esperta di culture afro americane  e che quando era a Princeton, all’Università, aveva una zia venuta dal Sud che cucinava per lei, non è difficile capire il suo amore per il cibo genuino di cui la cucina del sud con i suoi ricchi e puliti sapori ha una delle più forti e valide esperienze. A lei e alle sue origini dedichiamo questo “Frogmore Stew” che rappresenta forse il meglio della semplicità essenziale della cucina “Stile Lowcountry “del Sud della Carolina.

DownloadedFile4622178044_5e104dd8d5_bFROGMORE STEW

INGREDIENTI: Acqua, Crab boil Seasoning, che è una miscela di spezie adatta a insaporire pesci alla griglia e al vapore nella misura di 2 cucchiai da tavola o più per ogni 4 litri di acqua, 4 o 5 limoni tagliati a metà, patate rosse, di media grandezza da calcolare 3 per persona, salsiccia piccante affumicata, tagliata a fette di circa 1 centimetro da calcolare 1 etto circa per persona, mais fresco  da calcolare 1 pannocchia a persona tagliata in 2 o 3 pezzi, gamberetti freschi, da calcolare  2 etti o più per persona, burro fuso, salsa cocktail, panna, ketchup, saleq.b.

PREPARAZIONE: riempite di acqua a metà una grande pentola a vapore e aggiungetevi il Crab Boil seasoning e i limoni tagliati a meta. Mettete sul fuoco e quando l’acqua arriva a bollore, nella parte sovrastante forata della pentola a vapore aggiungete le patate pelate e fate cuocere per 20 minuti, quindi aggiungete le fette di salsiccia, e fate bollire per altri 5 minuti. Aggiungere i gamberetti e far cuocere per 3 minuti e non di più perché altrimenti diventano duri. Spruzzate appena un po’ di sale sul tutto. Servite gli alimenti cotti su piatti o su fogli di carta assorbente perché è considerato anche street food. Accompagnate con le pannocchie che potete condire con un velo di burro appena scaldato e la  salsa cocktail per i gamberetti Potete aggiungere panna  o ketchup sulle patate, ma attenzione… Michelle Obama non lo farebbe mai! Le patate si sono già insaporite in cottura e al massimo potete aggiungervi un po’ di sale.

Muffins alla Feta

myth_uranusSarà anche una grande istituzione la famiglia, ma quando non funziona…  sono guai seri. Anche nell’antichità le cose, spesso, non andavano meglio di oggi e se c’è stata una brutta famiglia, sicuramente è quella che vide, in successione, il nonno Urano, il figlio Kronos e il nipotino Zeus. La causa scatenante fu sicuramente la lotta per il potere, ma questo non giustifica il fatto che Urano sprofondasse i suoi figli, i Titani, nel Tartaro, cioè al centro della Terra, senza possibilità alcuna di risalita. Gea, cuore di mamma,  ci soffrì moltissimo e appena Kronos, figlio risparmiato dal padre, perchè sembrava poco pericoloso, diventò grande, ricevette in dono dalla mamma una  grande falce. Urano, a parte i suoi difetti di padre, era uno che  durante il giorno lavorava sodo per  far girare nel verso giusto e senza farli scontrare, fra di loro, tutte le stelle e i pianeti di quell’immensa volta celeste. Così la sera, accadeva spesso, che  cercasse, vicino a Gea, la ricompensa d’amore per il  gran lavoro svolto. Fu proprio in uno di quei frangenti, mentre, per logica di cose, era più esposto e indifeso, che Kronos d’accordo con la mamma, lo evirò. Poi liberò i Titani e rubò il trono a Urano. Ma anche  Kronos tremava all’idea che qualcuno glielo potesse portar via e così, dopo aver sposato Rea, prese la pessima abitudine di mangiarsi tutti i figli che la moglie partoriva. La povera Rea riuscì a salvare l’ultimo nato andando a partorire di corsa sul Monte Ida e affidando il bambino alle Ninfe. A Kronos, in sostituzione, fece mangiare una pietra ricoperta di stracci.

Sul Monte Ida, Zeus si trovò benissimo, coccolato da tutte le Ninfe e allevato in modo speciale da Amaltea, un po’ Ninfa e Zeus_Amalteaun po’ Capra, che lo allattò con quel suo latte, doc per eccellenza, che gli permise di diventare un grande Dio.

Quando fu appena un p0′ cresciuto la, mamma, che soffriva di nostalgia, se lo andò a riprendere e lo fece assumere come coppiere da Kronos, per tenerlo vicino. Fu così che una sera fecero bere a Kronos, che cominciava a essere un po’ rimbambito per l’età, una bevanda piena di sale che funzionò da emetico e fece vomitare  al padre tutti e 5 i figli che si era ingoiato, quelli che poi sarebbero diventati i grandi Dei dell’Olimpo che tutti conosciamo, Era, Poseidone, Demetra, Ade ed Estia. Kronos, da tutta quella gioventù in rivolta, fu cacciato e spedito su un’isola molto lontana, sembra in Bretagna, ed è là dove dovrebbe ancora essere, tutto solo e mezzo morto di freddo.

Anche la Capra Amaltea ebbe un po’ di problemi perchè un giorno andò a sbattere contro un albero, sembra per sfuggire a Kronos che la voleva punire per aver allevato Zeus. Fu lì che perdette uno dei suoi bellissimi corni ricurvi che erano oggetto di meraviglia e invidia di tutte le altre capre. Per consolarla Zeus  in suo onore fece, di quel corno pieno di fiori e frutta, “la Cornucopia,” il dono  tutto speciale che ricopre la terra di fertilità e abbondanza. Poi visto che Amaltea, comunque non riusciva a  riprendersi, se la portò in cielo e le regalò un’intera Costellazione, il Capricorno.

capricorno3Ma sulla Terra era rimasto il suo latte, che i Greci utilizzano sapendo che è il migliore del mondo e, a volte lo bevono da solo, a volte lievita come yogurt, a volte si trasforma in formaggio. Anche il più famoso dei formaggi greci, quello che ha fatto il giro del mondo, ha una parte di latte di capra o è fatto esclusivamente con latte di capra: è la “Feta”, un formaggio magro, appena un p0′ acido e di un color bianco quasi abbagliante, che ricorda subito, appena lo si guarda, il candido latte di Amaltea. Pare che sia proprio lo stesso formaggio che Ulisse e i suoi compagni trovarono nella grotta di Polifemo.

Inutile provare a copiarlo. Occorre il latte delle agili capre greche, che balzano fra i monti scoscesi, in cerca di quelle magiche erbette che  solo da quelle parti, oggi, escono ancora dalla Cornucopia di Zeus.

A parte l’Insalata Greca, ormai celebrata in tutto il mondo, un modo originale per adoperare la Feta è quello di prepararci dei deliziosi Muffins salati.

MUFFINS CON FETA .DSCN7102

INGREDIENTI: Burro 90 grammi, Farina 300 grammi, Feta 150 grammi, Latte 200 ml, Lievito in polvere una bustina, Panna fresca 100 ml, 1 Porro, Salmone affumicato 100 grammi, 2 Uova,  Yogurt greco 100 grammi.

ESECUZIONE: Si affetta il porro a velo, si tagliano la Feta e il Salmone  in piccoli pezzi, si fonde il burro in un pentolino a fiamma bassa e si fa intiepidire.

Si rompono le uova in una ciotola dove si versa anche il latte, la panna e lo yogurt e si sbatte con la frusta per amalgamare gli ingredienti.

In un altra ciotola si versa la farina, passata al setaccio per evitare i grumi, il lievito, il porro, la feta e il salmone mescolando a lungo.Si aggiunge infine il burro fuso e il composto di latte e uova, regolando di sale e pepe.

Si prende ora uno stampo di silicone o di acciaio con le  apposite “conche” per inserire i pirottini, al cui interno verrà versata una cucchiaiata dell’impasto.

Si fanno cuocere in forno a 180° per 25 – 30 minuti finché non siano dorati. Alla prova dello stecchino, questo si deve estrarre asciutto dallo stampo .

horn_of_cornucopia

KASHA, DALLA RUSSIA CON AMORE!

DownloadedFilePrima della conversione, nelle terre di Russia il consumo di carne era più abbondante ed esclusivo. Poi, una volta che prese piede il Cristianesimo, più o meno attorno all’anno 1000, cominciarono a farsi sentire i rigori della Chiesa Ortodossa che fra l’ altro  si esprimevano  anche con l’obbligo del digiuno per circa la metà dei giorni dell’anno. A quel punto o si moriva di fame o si aguzzava l’ingegno! Così  oltre al consumo del pesce, dei frutti di bosco e della frutta secca aumentò in misura sensibilissima il consumo di verdure e cereali, tutti alimenti che fortunatamente non rientravano  fra i cibi  proibiti. E’ per questo che se chiedete ancora oggi a un russo di definire in sintesi, l’essenza della cucina russa vi sentirete rispondere Tshi e Kasha, cioè zuppa e porridge o se vogliamo anche una sorta di budino o addirittura una specie di polenta, a far da base. Mentre la zuppa di cavolo è sempre stata una caratteristica della cucina popolare più tipica che, per tutto il XX secolo, ha seguitato a impregnare d’odore  i tristi condomini dei Soviet, più differenziata  è stata la sorte della Kasha che, nel suo infinito trasformismo  fra dolce e salato è riuscita a raggiungere  spesso anche le cucine dei nobili. Già nel XIII secolo, le cronache del tempo raccontano che a Toropetz, nel 1239, in occasione  delle nozze del Principe Alexander Jaroslavic con Alexandra Bryatchilav di Poloc fu organizzata una grande festa dominata  dalla Kasha al cui interno  si mischiò di tutto, dai fomaggi, al miele  dalle noci ai deliziosi frutti di bosco e, perché no, anche la carne, perché sicuramente, quello non era giorno di digiuno. La festa dei giovani principi doveva essere stata molto bella, ma dopo non ebbero più  molto tempo a disposizione.

Alexander fu improvvisamente chiamato dalla Città di Novgorod per difendere le terre a Nord Ovest, minacciate dagli svedesi e dai tedeschi. Con un senso del tempismo, eccezionale per un ragazzo di appena 20 anni, li attaccò mentre goffi e impacciati stavano scendendo dalle navi, alla confluenza dei Fiumi Izora e Neva e fu una grande vittoria. Ai tedeschi e agli svedesi passarono  le velleità di invadere la Russia, anche se poi, qualcuno  di corta memoria, nei secoli a venire ci riprovò, ma senza molto successo. Per Akexander fu un trionfo e da quel momento e per tutti i secoli a venire fu Nevski, in ricordo del fiume deve si era svolta la battaglia.Nevsky

Ma la gratitudine umana, non dura a lungo e, passato il pericolo, i Boiari, cioè  i nobili  di Novgorod si schierarono contro Alexander, che fu costretto ad andarsene. Ma  chissà le risate che si  fece quando dopo pochi mesi lo chiamarono di nuovo perchè stavano arrivando i Cavalieri Tteutonici, quelli che  mettevano paura già  da lontano solo a vederli con quei minacciosi mantelli bianchi e quegli luccicanti elmi che sembravano maschere crudeli di vampiri o della morte stessa.

Ma anche stavolta la tattica di Alessandro fu geniale. Al primo attacco, su una strettoia del Lago Peipus ancora ghiacciato, finse di ritirarsi e situò i suoi fanti,- tutto il popolo di Novgorod che poco sapeva di armi, ma parecchio  di Patria – in una posizione di discreto vantaggio, in modo da cominciare a sfibrare i Cavalieri Teutonici  terribilmente a disagio su quel ghiaccio scivoloso. Poi dopo 3 ore comandò l’attacco degli arceri mongoli sino a quel momento tenuti nascosti. Solo alla fine, tirò fuorilal sua cavalleria, come l’asso della manica. Al solo vederla i Cavalieri Teutonici, già con molte perdite, batterono in ritirata, ma l’unica via di fuga ormai era solo il lago ghiacciato. Era Aprile e  anche per la  fredda  Russia cominciava il disgelo. Appesantita dalle pesanti armature e  dai cavalli spaventati, la sottile coltre di ghiaccio cedette.  Una surreale, tormentata, drammatica visione di tutto quel bianco che si confondeva, si mischiava, si agitava e scmpariva  nel ghiaccio crepitante e nell’acqua gelida. Così tanti anni dopo ce l’ha restituita Sergej Eisenstein e ogni volta che si rivede la scena del film  è sempre sgomento e commozione.

Niewski  tornò a Novgorod e da quel momento ci rimase, come Principe. Ma  doveva essere  anche molto contento  e fiero della popolazione,  che aveva lasciato l’intera città sguarnita, per correre in battaglia e rischiare il tutto per tutto. Così tutti assieme fecero una festa memorabile di cui gli annali del tempo non hanno potuto fare a meno di segnalare il banchetto  che fu tutto a base di tanti diversi Kasha.

hess-battaglia-di-malo-iaroslawetzIl tempo passa sulla Russia, ma la Kasha seguita ad avere un suo posto d’onore anche quando Pietro il Grande nel 1700, si avvicina all’Europa per rendere un pò più civile quel suo popolo rimasto testardamente al Medioevo. Poi addirittura, pochi decenni più tardi, la Kacha riceve una nuova patente di nobiltà da parte del Ministro delle Finanze dello Czar, il nobile Dimitri  Gurev, che per avendo salvato la moneta russa dalla spregiudicata azione di Napoleone tutta tesa a indebolirla, durante la Campagna di Russia, finì alla fine per essere ricordato per una versione tutta sua e tutta particolare di questa strana ricetta, che nasce come piatto del popolo, sfruttando tutti i numeroso cereali che la Russia produce e poi finisce, quasi inevitabilmente, per appassionare i nobili di turno, che probabilmente vedono in essa lo spirito indomito dell’anima russa.  E visto che, oramai la fama del cuoco, il ministro se l’è fatta scegliamo fra le tante versioni della Kasha, proprio la sua ,

GUREVSKAIA  KASHA

Portate a bollore 0,7- 0,8 di litro di latte, aggiungete 50 grammi di zucchero in polvere, 5 grammi di sale e rimescolate. Lasciate cadere a pioggia 200 grammi di semolino gurevskaia-kashamescolando rapidamente. Quando la kasha comincera’ ad addensarsi abbassate il fuoco e cuocere ancora per 10 minuti continuando a rimescolare. Fuori del fuoco aggiungete 40 grammi di burro, 4 bianchi d’uovo sbattuti insieme a 80 grammi di zucchero in polvere, 40-50 grammi di nocciole tritate finemente e un po’ di vaniglina. Mescolate attentamente e versate il composto in 3 teglie o pirofile poco profonde. Pareggiate le superfici, coprite di zucchero in polvere e carmellatelo con l’aiuto di una griglia cadissa. Mettete le teglie in forno caldissimo per 5-7 minuti.

Togliete la kasha cotta dalle teglie e passate alla preparazione della panna. Prendete una pentola larga e bassa, versatevi del latte e mettetela in forno caldo. Quando la panna venuta alla superfice sara’ colorita toglietela e mettetela da parte. Rimettete la teglia nel forno e togliete nuovamente la panna colorita.

Accomodate le tre porzioni di kasha in un piatto una sull’altra mettendo la panna cotta tra l’una e l’altra. Decorate l’ultimo strato con frutta cotta o sciroppata mele, pere, pesche, bacche e nocciole e mandorle trittate. Innaffiate con sciroppo di fragole o lamponi (si puo’ usare lo sciroppo pronto o prepararlo allungando con acqua un po’ di marmellata).

Alcuni preparano la kasha du Gurev senza panna. E’ piu’ rapido ed e’ buona lo stesso. In questo caso la kasha si serve direttamente nelle pirofile decorandone la superfice.

Si serve con latte freddo.

2004-11-novgorod2