Que viva Mexico… Frida Kahlo e le Fajitas!

Frida Kahlo… una vita difficile,  sicuramente eccezionale. Nasce con la Rivoluzione Messicana… per la verità la precede di tre anni, ma  ci si identifica in modo così totale che dirà di essere nata nel 1910…La passione politica è  dominante perchè   è anche lo strumento della sua indipendenza… A quindici anni, alla  scuola di preparazione fa già parte dei “cachucas”, un gruppo di studenti che sostiene le idee socialiste nazionaliste  e la riforma dell’insegnamento… E’ lì perché vuole fare il medico, professione un po’ insolita per una donna  in  un paese dove  la rivoluzione, indubbiamente c’è, ma è tutta al maschile…  A diciotto anni ormai sapeva tutto sul movimento comunista… Erano mesi  ormai che lo leggeva e lo studiava stesa nel suo letto… E di fare il medico non se ne parlava più…  Aveva avuto  uno spaventoso incidente d’auto che l’aveva legata al letto per mesi…”Salii sull’autobus con Alejandro.. Poco dopo, l’autobus e un treno della linea di Xochimilco si urtarono.. Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange. Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro». Per 9 mesi deve portare un busto di gesso e stare quasi sempre  sdraiata… Oltre  a leggere la storia de la Rivoluzione d’0ttobre, comincia a dipingere.. «Da molti anni mio padre teneva…una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza..   chiesi a mio padre di darmela…Mia madre fece preparare un cavalletto, da applicare al mio letto, perché il busto di gesso non mi permetteva di stare dritta. Così cominciai a dipingere il mio primo quadro»  Dopo la madre  trasforma il letto di Frida in un letto a baldacchino e ci monta sopra un enorme specchio, in modo che lei, immobilizzata, possa almeno vedersi.. E’ cosi cominciano a nascere i suoi primi autoritratti… Alla fine ne avrà dipinti più di 50.

Più di un anno dopo ricomincia a camminare… Con un terribile busto che dovrà portare a vita. Ha  mille dolori che non la lasceranno più in pace, ma ha anche  molto da fare…  Innanzitutto si iscrive al partito comunista  e si  occupa subito di ciò che più le  sta a cuore, l’emancipazione delle donne,… Poi si unisce ad un gruppo di artisti e di intellettuali che sostengono il ” Rinascimento Messicano” l’ arte, indipendente,  tutta espressione popolare e “pittura murale… ” C’è da raccontare la Storia del Messico anche alla massa analfabeta …E poi naturalmente va a cercare, con i suoi piccoli autoritratti sotto il braccio, il più grande fra i pittori dei “Murales”… Diego Rivera, che a poco più di 40 anni è già una leggenda…Una pittura tutta sociale  la sua, in cui per la prima volta c’è la storia degli umili, degli sconfitti, dei reietti,… Grandi affreschi storici del Messico, nell’Eden  prima della “Conquista”   e poi la schiavitù, degli Indios prima  e dei campesinos dopo… Sino alla riscossa nell’apparire delle bandiere rosse e dei ritratti di Marx e Lenin nel Palazzo del Governo. Una  storia narrata con toni ora epici ora lirici, ma  sempre realisti, commossi e partecipati…

Non è così la pittura di Frieda, più drammatica, più onirica, spesso  simbolista… anche se i presupposti sono  simili a quelli di Diego… soprattutto quell’amore sconfinato per il Messico e per le tradizioni che si intrecciano e si confondono…

L’anno dopo nel 1929  Frida e Diego si sposano… Lei nonostante le sue menomazioni fisiche e la gamba più corta  è molto bella,  lui è grasso e ha venti anni di più, ma  le donne sono ai suoi piedi… Si innamora di Frida  ma la comincia a tradire, ancor prima di sposarla… Un  matrimonio che durerà 25 anni… Qualche giorno prima di morire Frida compra per il marito il regalo per le nozze d’argento… Ma in mezzo c’è di tutto… Liti, separazioni, tradimenti, divorzi… Lei è una donna emancipata…e accetta molte cose…  In fondo soffre molto di più perché non riesce ad avere figli   piuttosto che per i tradimenti del marito… Stanno tre anni negli Stati Uniti dove si sono innamorati della pittura di Diego, ma lei non è felice … Torneranno a precipizio e senza una lira in Messico quando distruggeranno il Murale del Rockfeller Center da dove lui si era rifiutato di togliere l’immagine di Lenin. Ma intanto  Diego ha introdotto Frida negli ambienti più selettivi e più intellettuali…  Nella “Casa Azul” dove ora c’è il Museo, al pianterreno c’era un tempo il living room dove negli anni si erano alternati  e  ritrovati  visitatori come Sergei Eisenstein, Nelson Rockefeller, George Gershwin,  e  attrici famose  come  Dolores del Río  e  María Félix… Lei,  tradita senza scrupoli da Diego, che era diventato l’amante di sua sorella…Non  avrà scrupoli a trovare in mezzo agli ospiti famosi i suoi amanti o le sue amanti…Del resto, se sono donne, Diego nemmeno si arrabbia… A Dolores Del Rio, Frida dedica  il quadro “Due nudi della Foresta” e il ritratto di Maria Felix lo appende sopra il suo letto…

Nel gennaio del 1937, Lev Trotsky e sua moglie arrivarono in Messico. Diego aveva fatto fuoco e fiamme perché il grande esule avesse un po’ di pace… Anche Frida farà  la sua parte …  Avrà con Trotsky una breve ma intensa relazione segreta. Parlavano in inglese per non farsi capire dalla moglie di lui e si scambiavano i bigliettini dentro le pagine dei libri.

Poi per un po’ di tempo Frida preferisce lasciare il Messico…A Parigi nel 1938  diventa  l’amante di Breton che  l’ama forse  per  il surrealismo che  vede  nella sua pittura.. nonostante  Frieda non si senta surrealista o almeno la sua è l’ idea di un surrealismo   giocoso… Spesso diceva ridendo e prendendosi gioco delle strane figure o degli strani oggetti che popolavano i suoi quadri ” Il surrealismo é la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie ”  Ma a Parigi c’è soprattutto la sua consacrazione… Prima ancora che la riconoscano in Messico, dove a lungo viene considerata poco più di un’ appendice del grande Rivera… “Kandiskij  fu così commosso dai quadri di Frida che, davanti a tutti, la sollevò tra le braccia e la baciò su entrambe le guance e sulla fronte mentre lacrime di schietta emozione gli scorrevano lungo il viso. Persino Picasso, il più difficile dei difficili, cantò le lodi delle qualità artistiche e personali di Frida. Dal momento del loro incontro fino al suo ritorno a casa, Picasso rimase sotto l’incantesimo di Frida.”

La rottura con Diego che sembra definitiva avverrà nel 1939 con il divorzio, E’ appena tornata dalla Francia e ora anche in Messico  cominciano a ri – conoscere i suoi quadri … Fa effetto quel  malinconico doppio di se stessa abbandonata ne “Le due Fride”, che dipinge subito dopo la separazione…Dal 1926 quando dipinse il primo autoritratto riflessa nello specchio del suo letto a baldacchino, il  tema del suo sdoppiamento, anche onirico, torna spesso, si ha come l’impressione che questo doppio riguardi  anche la sua natura. Ogni tanto, fin da ragazza, amava vestirsi con abiti da uomo e i capelli corti. C’e persino una foto in cui è ritratta in giacca e  capelli indietro  con tutta la famiglia e un “Autoritratto  con i capelli tagliati”del 1940.  Ma questo è solo l’ aspetto  più autobiografico della sua pittura… Il suo immaginario deriva dal Messico indigeno precolombiano che si mischia alle esperienze  spagnole …  esperienze e sentimenti di cui  prima ancora dei quadri  lei riveste se stessa… I grandi orecchini, il rossetto rosso fuoco, le gonne da contadina, dai colori caldi. Tutto poi va a trasferirsi nei quadri…   Lei diventa   ipnotica e sensuale, col viso metà indio, i capelli capelli neri come l’inchiostro e le  sopracciglia folte, “le sue due ali nere”, come lei stessa le definì. Con lei o senza di lei  la pittura si riempie del paesaggio messicano in una visione naif che spesso ricorda il “Douanier ”  nella ricchezza dei simboli… Nel fiorire del  cactus, nelle aggrovigliate piante della giungla dove appaiono le scimmie, i cani itzcuintli, i cervi e i pappagalli…   Quando  dipinge nei paesi  li riempie di immagini votive popolari, raffigurazioni di martiri e santi cristiani, tutti i miti ancorati nella fede del popolo…

Il divorzio con Rivera non durerà a lungo… Si risposano solo un anno dopo… Sono una coppia impossibile che non riesce  a fare a meno l’uno dell’altro…. Diego le è vicino anche perché la  salute di Frida peggiora di giorno in giorno e ai terribili dolori alla schiena nessuno sa dare medicine adeguate che non siano alcool e droghe…

Lei riuscirà a vivere ancora per vedere la prima grande mostra per lei che faranno in Messico nel 1953… Lui la costringe a partecipare trasportandole il letto a baldacchino… Stordita dagli antidolorifici  lei a letto, beve  e canta  con il pubblico…  L’anno dopo si ammala  di polmonite. Durante la convalescenza va   a una dimostrazione contro l’intervento statunitense in Guatemala, reggendo un cartello con il simbolo della colomba che reca un messaggio di pace. Pochi giorni dopo muore, ma nel suo ultimo quadro fatto di rossi cocomeri, su uno di esso aveva scritto “Viva la vita”

Un piatto fortemente messicano  per Frida, dove  forte si sente il sapore dei peperoni, arrivati sino a noi da lontane civiltà…

FAJITAS CON POLLO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 tortillas di farina, 3 cucchiai di olio di oliva extra vergine, 2 cucchiai di miele, 2 spicchi di aglio, 2 cucchiai  di erba cipollina, 1 cucchiaino di peperoncino, 4 petti di pollo, 2 peperoni di media grandezza, sale e pepe a piacere

PREPARAZIONE: Preparate una marinata mischiando in un piatto fondo il miele, l’olio, l’erba cipollina, lasciandone per la decorazione u1/2 cucchiaio, il sale, il pepe, gli spicchi di aglio affettati  e il peperoncino tritato. Tagliate i petti di pollo a pezzetti e metteteli a prendere sapore nella marinata, ricoprite il piatto con pellicola  trasparente e fate riposare per almeno un’ora. Nel frattempo arrostite i peperoni,spellateli, togliete i semi, tagliateli a strisce e metteteli da parte. In una padella antiaderente,precedentemente scaldata a fiamma viva mettte a cuocere il pollo ancora imbevuto di una parte della marinata e appena è leggermente dorato aggiungete i peperoni e fate cuocere per un paio di minuti. Nel frattempo in una padella a parte appena imbevuta di olio fate cuocere per un minuto complessivo le dortillas da entrambe le parti. Poggiatele  sul  piatto di portat , copritele con il pollo e i peperoni, arrotolatele, cospargetele della restante erba cipollina e servitele.

Huevos Rancheros, un piatto messicano per Georgia O’Keeffe

All’inizio del ‘900, nessuno avrebbe potuto immaginare che la seconda metà del secolo avrebbe trovato in America la patria di tutte le avanguardie artistiche…Del fermento che si agitava in Europa niente sembrava allora scalfire le serene scuole d’arte americane e la maggior parte dell’opinione pubblica.  Dopo la pittura degli impressionisti la realtà  non era più stata la stessa, ma neppure le grandi navi  che andavano e venivano, riuscivano a trasportare qualcosa di nuovo  fino al… “Mondo Nuovo”…   Solo  nel 1913  fu finalmente  organizzata  a New York la storica mostra  dell’ Armory Show… 1200 dipinti, sculture e opere decorative di tutte le correnti dell’avanguardia europea… cubismo, fauvismo. impressionismo… Ma non  fu un  successo,  solo rabbia e sconcerto. Le cronache riportano recensioni piene zeppe di parole come “pazzia”, “immoralità” e “anarchia”. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt si affrettò a dichiarare stizzito:  “…Non è men vero, tuttavia, che cambiamento può significare morte e non vita e regressione anzichè progresso…Questa non è arte!

In questo clima ostico a tutti i cambiamenti erano anni che Giorgia O’Keeffe, giovane pittrice americana controcorrente,originaria  di Sun Prairie, nel Wisconsin,  stava cercando una strada  lontana dalla pittura storicista e  di imitazione…  Nel 1908 a New York  sembrava aver trovato   quello che  cercava  nella Galleria di un poco conosciuto e criticato espositore, il fotografo  Alfred Stieglitz,…  Ma poi  deve  abbandonare gli studi… Fa la grafica pubblicitaria, insegna,  segue solo qualche corso di pittura qua e là,  finchè le capita di leggere Kandinsky… “Forme e colori non devono rispecchiare il modello naturale, bensì i sentimenti, il mondo interiore dell’artista”…

E’ già il 1915 , quando inizia … “Ho delle cose in testa che nulla hanno a che fare con quello che mi hanno insegnato…sono giunta alla conclusione di considerare vere le mie concezioni… ”  I suoi disegni a carboncino, li spedisce a New York un’amica di Georgia e solo per un caso finiscono nelle mani di Stieglitz… Sembrano forme organiche  di  una  natura primordiale, superfici piatte che fanno pensare alla pittura giapponese … Stieglitz ne è colpito e li espone  nella sua Galleria il ” 291″ diventata con gli anni un forte punto di richiamo dei nuovi artisti americani…  Dopo lei gli manda i suoi acquerelli … Nudi femminili dai contorni indefiniti, dove  il diverso spessore del colore dà  un vivace senso  di movimento… C’è tutto  lo spirito di Rodin, che lei aveva visto tanti anni prima … Proprio lì, in quella galleria di Steiglitz, con il quale, ormai, è amore … Difatti Georgia lascia il Texas… E’ il 1917 e torna a New York … Lui è affascinato da questa donna così autonoma, indipendente  lontana da tutti gli stereotipi di famiglia e di vita borghese…  Presa solo di passione  e urgenza per i colori e le forme che le agitano la mente…. Attorno a  Stieglitz  ci sono  i nuovi artisti… Fotografi e pittori  da cui lei assorbe  l’incanto per i fiori e la pittura dilatata sui primi piani, che può alterare l ‘aspetto degli oggetti, dando vita a forme  di astrazione prima inesistenti o non visibili…

Ma prima ancora di essere conosciuta per  i suoi quadri, Georgia, a New York,  è lanciata dalle fotografie di  Stieglitz, di  cui diviene  modella e Musa… Nelle mostre del 1921 e del 1923  metà delle foto sono ritratti e  nudi di Georgia…  Subito dopo arrivano i fotografi  famosi  della cerchia di Stieglitz e con  il  viso dagli alti  zigomi, le bellissime mani  “danzanti” e il  corpo morbido e allungato come una  Venere di Cranach, Georgia diviene la donna più fotografata del mondo.

Nel 1924 vengono esposti i suoi grandi immensi fiori,  alcuni luminosi, altri vortici di buio…  L’ingrandimento è voluto, i dettagli dominano il primo  piano… Anche il “velluto” dei petali  e’ palpabile…..” E’ il fiore visto dal punto di vista dell’ape”… Così lo aveva  teorizzato Georgia prima di dipingerlo… Ma, strappato alla  sua correlazione  naturale, l’effetto finale diventa  autonomo… e  fortemente erotico…  Sono eleganti simboli sessuali che lei ha liberato dal suo incoscio, afferma Stieglitz  e un noto critico d’arte scrive  un saggio  sui reconditi significati…   Quegli strani oggetti pieni di voluttà, hanno un successo incredibile… Fra le foto  di nudo e i  quadri dei fiori, Georgia diventa famosa… E’ un’immagine inconsueta, per la sensibilità dell’epoca, un ‘artista libera e disinibita… Fuori dagli schemi… non corrisponde a nessun cliché …

A parte la donna, oggi più identificabile, resta difficile  definire l’arte di Georgia O’Keeffe… Questi fiori che si impossessano dell’intera tela, sicuramente  esistono, ma  in  una realtà che è diversa, individuale,  tutta  impregnata della personale “magia” dell’artista, degli occhi con cui lei guarda il mondo… La stessa cosa accadrà quando si vorrà confrontare con la realtà a lei più vicina… Mentre  comincia a dipingere New York  nel 1925 , lo sky line della città non è ancora del tutto definito, ma lei ne coglie lo stesso  l’aspetto essenziale …  La sua Verticalità… Per il resto non c’è una netta definizione… Forme di edifici a torre, ridotte a  geometrie semplificate dove  nella notte  splende la ripetitività  delle finestre …Il “Radiator Building”  fa   venire in sogno  la magia  di un castello  antico,  abitato da fate o forse da vampiri… Da “City Night” o da “l’Hotel Sheldon con riflessi di sole”si aspetta invece che balzino fuori i   nuovi cavalieri della fantascienza…

E’ sul finire degli anni ’20 che Georgia O’Keffe comincia a lasciare un po’ per volta New York … Stieglitz la opprime… E la tradisce… Anni di lotta continua per affermare piccole parti di se stessa l’hanno lasciata esausta…E mentre avverte la presenza di altre donne si ritrae…  E  finisce per trovare  la sua verità definitiva  nella vastità del New Mexico…   L’affascina il nudo paesaggio desertico e  le colline di sabbia rossastre con le scure mesas alle spalle…  Scrive ”  Qui fuori, nelle Badlands, che si estendono per molte miglia si possono vedere tutti i colori di terra della tavolozza di un pittore, dal giallo Napoli chiaro  attraverso i toni ocra – arancione,rosso e porpora – sino ai morbidi toni del verde. ” … E ancora “Ho colto fiori dove li ho trovati, ho raccolto conchiglie e pietre e pezzi di legni…Quando ho trovato le belle ossa bianche nel deserto, le ho raccolte e le ho portate a casa… Ho dipinto questi oggetti per esprimere ciò che significavano per me la vastità e il miracolo del mondo in cui vivo.”

Se per i critici  d’arte le ossa sono segni di morte lei,  di ossa aride ormai  non potrà più fare a meno e ci cospargerà i suoi quadri…  I protagonisti del suo  rinnovato  universo…  “Le ossa – scriverà – sembrano portare proprio al centro di ciò che nel deserto è più vivo, benché esso sia ampio,vuoto e intangibile e benché, nonostante tutta la sua bellezza, non conosca l’amicizia…”  Tornerà ogni tanto a New York, il legame con il marito non si interromperà mai del tutto, tanto forte era lo spirito che li teneva assieme, ma per questa dona affamata di realtà, che ha bisogno di soggiogare e  trasformare,  il deserto diventerà la sua casa… E   la mirabile architettura delle ossa del bucranio,  saranno  il suo nuovo mondo,    Diventeranno immensi, evocati  fantasmi  a protezione del deserto, in opere come “Dal lontano vicino” o  saranno delicati intagli di bianchi e neri  nei surreali accostamenti ai fiori artificiali delle sepolture spagnole…

Dopo che suo marito era morto  prese a girare il mondo, lasciando nuovamente dietro di sé quell’immagine di donna eccentrica, avventurosa e non classificabile… Ne ritornò con liquide immagini azzurre e bianche viste dall’alto… i suoi fiumi  che correvano in pianure vuote e desolate sotto la coltre delle nuvole  “…Le nubi sotto di noi erano straordinariamente belle, spesse e bianche… Tutto appariva così solido che io pensai che avrei potuto camminarvi sopra, fino all’orizzonte, se qualcuno avesse aperto la porta… Non vedevo l’ora di arrivare a casa  e di dipingere… ” Lo farà fino quasi alla fine quando ormai non ci vedeva  … Ma in quel deserto volle restare, fiera e  orgogliosa della sua solitudine,  nella vastità che non aveva neanche più bisogno di vedere, tanto era dentro di lei… Ma forse era vero il contrario …Era stata lei a entrare nel deserto e a diventare parte di quel  Dio,  sconosciuto ai più…

Molti oggi  considerano Georgia O’Keeffe la più grande pittrice americana del 20° secolo…  Nel New Mexico, che lei scelse come patria di elezione, la cucina di tipo messicano è un mix  di  cucina spagnola e india, oggi spesso rivisitata dalle influenze che arrivano dal Nord degli Stati uniti.  Ma le Huevos Rancheros sono  un cibo  ancora nel solco della più tipica  e tradizionale cucina messicana. Venivano  servite   nella colazione di metà mattinata  agli agricoltori  che usavano fare una pausa con un pasto molto sostanzioso dopo la frugale colazione di prima mattina.

HUEVOS RANCHEROS

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:  olio extra vergine di oliva q.b.,  250 grammi di cipolle,  500 grammi di peperoni, rossi, gialli o verdi, 1 cucchiaino di cumino, 1/2 cucchiaino di sale , 1/2 cucchiaino di pepe di cayenna, 1/2 cucchiaio di jalapeno, 1 spicchio di aglio, 250 grammi di pomodori freschi o pomodori a pezzi in scatola, 200 grammi di brodo di pollo, 3 cucchiai di cilantro, 4 tortillas di mais, 2 cucchiai di burro, 350 grammi di cheddar, 8 uova grandi,

PREPARAZIONE: per prima cosa  si prepara la salsa detta appunto Ranchero che verrà versata sulle  uova. Scaldate in un tegame l’olio e poi aggiungete i peperoni e la cipolla tagliati a pezzi facendoli cuocere per 5 minuti circa a fiamma media, rigirando di tanto in tanto per evitare che si brucino.Aggiungete il cumino,il sale, il pepe di cayenna, il jalapeno sminuzzato e l’aglio tagliato a fettine sottili mescolando. Versateci sopra il brodo di pollo e i pomodori e fate cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio,per restringere la salsa.Togliete la pentola dal fuoco,aggiungete il cilantro  sminuzzato e tenere da parte.

In una padella ampia fate scaldare poco olio di oliva che avrete spalmato su tutto il fondo, aggiungete una tortilla alla volta girandola da entrambe le parti per  1 minuto complessivo di cottura e ripetendo il procedimento per tutte e 4 le tortillas.

In un altra padella di medie dimensioni fate scaldare 1  cucchiaio di burro, rompeteci dentro due uova  mantenendo il tuorlo intatto, salatele e dopo cotte mettetele a parte in un piatto dopo avervi spolverato sopra la metà del cheddar grattugiato o spezzettato finemente. Aggiungete un altro cucchiaio di burro e seguendo lo stesso procedimento fate cuocere le restanti uova. Mettete una tortilla in ogni piatto, poggiatevi sopra due uova ciascuno e ricoprite con la salsa Ranchero.

Adriano Olivetti, il visionario di Ivrea e la Bagna Cauda, un piatto del territorio.

A Ivrea il Carnevale  è una cosa  davvero importante con i ricchi  costumi, le sfilate interminabili e la battaglia delle arance che, come un incantesimo, colora  di un acceso  arancione  le strade del grigio inverno nordico… Ma quel febbraio del 1960 improvvisamente, in un silenzio attonito e incredulo, si chiuse il Carnevale e il  chiassoso passaggio dei carri dovette  cedere il posto  al mesto sfilare  dei cortei venuti da ogni parte d’Italia con quelle tristi corone  a lutto per rendere omaggio ad Adriano Olivetti.

A guardarle adesso, in  quelle facce c’è qualcosa che va oltre il dolore… C’è inquietudine, tensione, timore… Forse niente sarebbe rimasto come prima… Troppo geniale   l’eredità che  lasciava Adriano… Troppo diversa, da tutte le altre, l’azienda Olivetti. L’avevano tanto attaccato in vita… L’avrebbero lasciato in pace in morte?  Troppa la diffidenza e il rancore di una società e di una politica spiazzate da quell’uomo  che, con una bella punta di disprezzo, avevano seguitato a chiamare  ‘Il visionario” ! Che i lavoratori avessero anche una casa… paternalismo! Che  potessero studiare nella biblioteca dell’azienda o avere una  formazione permanente… Snobismo!  Che nella sua “Città del Sole” avesse anticipato di  20 anni  la Sanità pubblica gratuita… Si preferiva ignorarlo… Che poi l’azienda   fosse presente sui maggiori mercati internazionali e avesse   36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero…  Era un fatto  a cui cui non si sapeva come replicare… E si preferiva  ridimensionarlo…

Era cominciato  tutto più di quarant’anni prima quando il padre, il padrone dell’ “Ing. C. Olivetti & C”, dove la “c” stava per Camillo,  prima fabbrica italiana di macchine per scrivere, lo manda durante le vacanze scolastiche, lui che nel 1914 aveva 13 anni, a lavorare nella fabbrica di famiglia…  Ne rimane scioccato… Dal buio dell’ambiente, dalla solitudine  del posto di lavoro… dai ritmi di lavoro lenti.  Così se lo ricorderà anni dopo “Una tortura per lo spirito, stavo imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina‘. E ancora ‘”Occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.’ 

Se lo ricordava ancora quando nel 1925, appena laureato il padre lo spedisce in America a vedere come si lavora nel “Nuovo Mondo”…  “General Motors”, “Ford”  Boston, Chicago, Detroit.  100 aziende in tre mesi…Ne torna con molte idee  e  qualche critica… Apprezza l’organizzazione del lavoro,  il decentramento delle funzioni, l’interscambio fra ricerca e produzione…Si innamora della pubblicità… per la quale chiamerà, una volta a casa, i migliori disegnatori… Non apprezza invece la remunerazione a cottimo… Il salario va calcolato  su tempi standard testati e ritestati… Non sullo sforzo portato all’estremo… Forse non lo sa ma ha già iniziato il suo discorso rivoluzionario e innovativo di come si lavora in fabbrica…

L’anno dopo nel 1926  è coinvolto in una fuga storica… Filippo Turati, il vecchio leader socialista è perseguitato dal fascismo … Adriano Olivetti  lo va a prendere in  auto a Milano e lo porta  a Torino… Fra l’altro guidava malissimo… Dopo alcuni giorni lo va a riprendere a Torino e lo porta a Savona dove l’aspettavano Sandro Pertini, che poi diventerà Presidente della Repubblica, ma allora più che altro faceva il socialista nascosto, e Ferruccio Parri, che sarà invece Presidente del Consiglio e, con un motoscafo  lo condurranno in Corsica… Così  ricorda Adriano, Natalia Ginzburg, nella casa che ospitava Turati…” Quella sera la sua faccia e i suoi pochi capelli erano come frustati da un colpo di vento. Aveva occhi spaventati, risoluti e allegri… Gli vidi due o tre volte nella vita quegli occhi… quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo”

fedoraNegli anni 30 trasportata dall’onda nera americana la crisi si fa sentire  in Italia e cominciano i licenziamenti, ma l’ Olivetti non lo fa … E una delle poche a resistere ..  Perché inventano nuovi prodotti e aumentano  quanto più possono  l’esportazione. Sono gli anni in cui viene creato lo schedario meccanico Sinthesys, così d’avanguardia, che resterà negli uffici almeno sino agli anni ’70 e poi la miracolosa portatile  MP1 Olivetti, il cui poster sarà realizzato da un artista in fuga dalla Bauhaus… olivettiA

Durante la guerra Adrian lavora per i servizi segreti delle potenze occidentali, finisce in prigione e quando esce scappa in Svizzera… Ma al suo ritorno cominceranno le grandi innovazioni in fabbrica. Vuole le aziende più luminose del mondo, perché l’operaio che prima era un contadino deve seguitare a godere della natura, del verde e delle  montagne che lo circondano..  E arriveranno i migliori architetti… Vuole le case per i lavoratori che darà a riscatto a prezzi minimi ,vuole la possibilità che tutti abbiano cultura e la fabbrica avrà le biblioteche dove sarà  possibile accedere  anche durante l’orario di lavoro… Trattiene poco dei suoi guadagni… il resto lo reinveste… Tutti pensano che fallirà con quelle spese folli per  la fabbrica, i servizi sociali e la sanità per i dipendenti e lui guadagna sempre di più… Ma la rivoluzione  più grande sarà nei metodi di lavoro. Mentre in Italia infuriano le lotte operaie per l’alienazione cui è soggetto il lavoro in fabbrica lui abbandona completamente il Taylorismo e la catena di montaggio e costruisce i “Gruppi di lavoro”  e le “Isole”  A un gruppo misto di operai, tecnici e altre figure necessarie all’obiettivo,  affida la realizzazione di un intero prodotto, con mansioni in larga parte intercambiabili. Dicevano che non era possibile… troppo costosa la specializzazione del singolo, la produttività si sarebbe abbassata, non c’erano più le garanzie della velocità e i tempi certi della catena di montaggio, l’azienda sarebbe fallita… Invece la Olivetti esce vincitrice dalla sfida, mentre le grandi industrie e la stessa Confindustria cominceranno una guerra serrata ad Adriano Olivetti e ai suoi metodi che gli altri  non riescono a permettersi. Ben diversa sarà infatti la risposta allo stesso problema da parte della Fiat che assediata dalle proteste operaie licenzierà e metterà alla catena di montaggio dei nuovissimi Robot…

E intanto Adriano Olivetti seguiterà a spaziare… Fonda la casa editrice di “Comunità”, per portare in Italia le opere straniere sconosciute, diventa Sindaco di Ivrea,deputato al Parlamento… e il suo voto sarà determinante per il primo Governo di Centro – Sinistra… Apre nuove fabbriche fra cui quella di Pozzuoli che farà scalpore perché la produttività degli operai del Sud supera quella del Nord… Nelle sue fabbriche vorrà concerti e pittori  perché la cultura è di tutti,operai e dirigenti…

 I successi dell’azienda,  fra cui la mitica portatile “Lettera 22” degli anni 50, che pesava solo 5 chili, non danno alla testa ad Adriano Olivetti. Ci sono nuove sfide … Sta emergendo la tecnologia elettronica.  Così nel 1952 la Olivetti apre a New Canaan, negli USA, un laboratorio di ricerche sui calcolatori elettronici; nel 1955 un altro laboratorio a a Pisa e nel 1959 l’Olivetti può presentare l’Elea 9003, il primo  calcolatore elettronico Italiano.. Dopo a seguire il “Programma 101, l’archetipo del personal computer…

Adriano aveva capito dov’era il futuro e con tutto il suo slancio ci si era rivolto… Ma all’improvviso muore su un treno che lo portava da  Milano a Losanna. Si disse un infarto,un ictus, ma l’anno dopo morì in un incidente anche il suo più stretto collaboratore all’elettronica Mario Chu … Due anni dopo morì in uno strano incidente aereo Enrico Mattei, il presidente dell’Eni…In vita  era stato un oppositore di Adriano Olivetti, ma anche lui era un  innovatore…E comiciarono a sorgere le leggende su  questa oscure morti…Di sicuro  Adriano Olivetti era nato  troppo presto…   l’avevano  preso per visionario… una categoria che da sempre fastidio al potere… L’Olivetti naturalmente non fu più la stessa… Con quello slancio mondiale che aveva,  quando morì Adriano, avrebbe potuto portare l’Italia a essere fra i primi al mondo nell’elettronica …  Invece ebbe qualche guizzo, come  negli anni 80 con un bel computer, l’M24 che aveva una grafica eccezionale per l’epoca, ma non seppe sfruttare il momento e alla fine  fu fatta a pezzi e svenduta… Ma questa è un altra storia…

 Il figlio spirituale di Adriano, sognatore e visionario come lui, era nato dall’altra parte    dell’oceano e  quel messaggio  lo potè raccogliere solo molti anni dopo.. Era il  1976  e  molto diverso era l’ambiente delle sue sperimentazioni… Un garage..  L’entusiasmo però era sicuramente lo stesso e il progetto si chiamava  Apple 1…   Era già un  prototipo di computer, un vero e proprio calcolatore  con le stesse componenti con le  quali  si   lavora oggi,  tastiera e monitor.   Steve Jobbs gli dette  il nome  e il logo del suo frutto preferito…   Una mela morsicata con i colori dell’arcobaleno.

L’ intuizione avveniristica di Steve Jobbs   era stata quella di trasformare il computer, uno strumento nato per l’azienda in qualcosa  che si potesse più  strettamente  legare o  al lavoro del singolo e al singolo stesso inteso  come persona privata.   Il “personal computer”, era qualcosa che  poteva tranquillamente  essere utilizzato per un’infinità di cose che molto, poco o niente   avevavo a  che fare con il lavoro,  al contrario dei grandi calcolatori  che erano stati pensati  per la vastità  del mondo aziendale o per le grandi burocrazie … Perché il personal di cui Jobb ridusse drasticamente le dimensioni   poteva  essere portato sempre dietro. La variabile  vincente  fu qualcosa che poco aveva a che  fare con le logiche aziendali ,ma piuttosto  fu un’attenzione alla dimensione psicologica, al tessuto delle relazioni sociali e alla vita privata del lavoratore. Infatti, lo stesso Jobs affermò: “noi pensiamo di dover arrivare nelle case, ci piace dire fino alla porta del garage, la gente deve portarselo dietro nei weekend, per poter lavorare anche la domenica, senza dover andare via e lasciare i bambini a casa”. E, infatti, come si vedrà negli anni a seguire, il computer sarà sempre più “personal” e con esso si svolgeranno sempre più attività che esulano dal contesto lavorativo oppure, secondo i casi, si lavorerà per l’azienda senza muoversi da casa.

Da quella prima enunciazione  Steve Jobb farà tantissima strada quasi sempre da vincitore, qualche volta perdendo…  E ha finito per cambiarci totalmente il modo di vivere… Ma il seguito di questa storia così interessante,  fatta tutta di  futuro ve la raccontiamo un altra volta…

Anche Adriano Olivetti, così simile  a Steve jobb era solito dire “In me non c’è che  futuro”. E a  lui dedichiamo una ricetta che viene dal Piemonte quella sua terra così amata,  da cui partì alla conquista del mondo…

LA BAGNA CAUDA

 INGREDIENTI per 4 persone: olio extra vergine di oliva grammi 300, acciughe sotto sale grammi 150, burro grammi 50, 6 spicchi di aglio,qualche gheriglio di noci.

PREPARAZIONE. la bagna cauda è un antipasto che va mangiato  molto caldo e a tale scopo viene portato in tavola posando il recipiente su un fornelletto  alimentato da una candelina inserita al suo interno. Si prepara la bagna cauda raschiando le acciughe con un coltellino, quindi pulendole con una pezzuola,poi aprendole e diliscandole. Si pestano gli spicchi d’aglio riducendoli a poltiglia, e poi si inserisce il burro in un recipiente di terracotta gacendolo sciogliere a fuoco bassissimo e aggiungendovi dopo l’aglio che non dovrà prendere colore, altrimenti altera il sapore  e, per ultimi l’olio e le acciughe che si disferanno un po’ per volta durante i 10 minuti che rimarranno sul fuoco. Al termine  togliete le pellicine ai gherigli di noce,sminuzzateli e  mischiateli alla salsa.

La bagna cauda si mangia intingendo  nel recipiente di terracotta le verdure che saranno distribuite ai singoli commensali.  In genere saranno cardi, lasciati preventivamente a bagno in acqua acidulata con succo di limone, peperoni crudi a fette o eventualmente arrostiti, le foglie più bianche della verza, i topinambur, il cavolfiore molto tenero. In alcune zone del piemonte si preferiscono verdure  cotte come le cipolle  intere passate al forno,le barbabietole,le patate o le carote lessate.

Anticamente la bagna cauda si preparava con l’olio di noci, oggi introvabile ed è per conservare l’aroma della vecchia ricetta che  si aggiungono i gherigli di noci. La ricetta si presta inoltre a diverse varianti locali… Nel Monferrato per esempio aggiungono del Barbera alla salsa e qualcuno preferisce tenere a bagno nel latte gli spicchi d’aglio, da scolare prima di immergerli nella salsa, per smorzarne il sapore troppo forte. Nella provincia di Alba se avanza la bagna cauda si versano in essa delle uova strapazzate.

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Bruce Lee a Hong Kong e… Gli “Spaghetti di soia con pollo e verdura”!

Una stella luminosissima, apparsa all’improvviso in cielo…   Ma invece era solo una meteora…  che disegnò  una lunga scia luminosa… e   durò pochi istanti! Poi andò rapidamente a schiantarsi, proprio come succede a tutte le stelle cadenti. Si consumò così, in poco più di due anni  la rapida carriera  di Bruce Lee … Ma era  bastato quel breve volger di  tempo perché tutto l’Occidente si appassionasse alle arti marziali…  E  il  cinema di Hong Kong  da allora non fu più lo stesso… Velocità, violenza, meraviglia… un montaggio nervoso e fratturato, improvvisi salti di campo  che andavano a sostituirsi al piano sequenza e alla teatralità della recitazione… Quando Tarantino molti anni dopo si inventò la saga di Kill Bill, con tutti quei feroci, saettanti combattimenti sono  il cinema d Hong Kong  e Bruce Lee che andò a saccheggiare…

Per Bruce, un ragazzino turbolento, era stata una necessità imparare le arti marziali…   Era sfuggito presto al controllo  dei genitori… Una famiglia rispettabile che ne faceva una tragedia..  Ed era già entrato nelle bande di quartiere che si affrontavano per il dominio del  territorio… Forse apparve ai genitori un’ ancora di salvezza quell’improvvisa voglia di imparare le antiche discipline e lo mandarono da uno dei migliori maestri…  Yip Man  gli insegnò il Kung Fu nello stile di Wing Chun… Con  quei terribili  pugni a catena  che colpiscono l’avversario a ripetizione  e i calci ad altezza medio bassa che  a volte arrivano sino al viso … Di suo Bruce ci aggiungeva la boxe occidentale e le lezioni di scherma che prendeva dal fratello, il fittness, la resistenza muscolare e la flessibilità… Anni dopo ne fece una disciplina tutta sua, metà metodo metà improvvisazione, “uno stile senza stile” che chiamò Jeet Kune Do… Avrebbe anche potuto avere una carriera cinematografica a Hong Kong… il padre era dell’ambiente e sin da piccolo gli aveva  trovato parecchie ruoli nel  prolifico cinema di Hong Kong… Invece  ad un certo punto  quel ragazzo la famiglia se lo tolse di torno…  Litigava con tutti, non studiava… l’aveva anche fermato  la polizia…A San Francisco, dove era nato Bruce, avevano dei parenti… Ma anche lì durò poco, si tasferi a Seattle e andò all’Università … In quel periodo doveva aver messo la testa a partito perchè riuscì quasi a laurearsi…E  si sposò … Proprio con una compagna di Università.

La carriera cinematografica, ormai abbandonata da ann i  fu  comunque il suo destino… Si accorse di lui William Dozier  visionando i filmati di di un campionato di Karatè…e Bruce cominciò ad avvicinarsi al suo  personaggio entrando dalla porta di servizio,  con Kato, l’aiutante di Green Hornet nella serie televisiva del 1966 – 67. Ci volle ancora qualche ruolo secondario, ma oramai l’immagine  del combattente cinese si era imposta e Hong Kong andò a recuperare il figliol prodigo…”Il furore della Cina colpisce” ancora è  del 1971, Bruce Lee è Cheng Chao An e  diventa un caso internazionale. Non era stato pensato per lui …Lee entrò in seconda battuta e fu  la fortuna  dei produttori perché il film batté tutti i record di Hong Kong con oltre 3 milioni di dollari locali di incasso. Il ragazzo di paese, campione di arti marziali, che aveva giurato alla madre che non avrebbe più combattuto… fa piangere di commozione quando lo torna a fare, mettendo fuori gioco tutti gli scagnozzi del perfido padrone della fabbrica… Il perché del suo enorme successo  è stato oggetto di seri studi antropologici e sociali…. Probabilmente  è dovuto   al fatto che il  proletario urbano cinese si era  identificato   con l’ eroe sempliciotto che combatte a mani nude… Qualcosa di simile avviene quando Lee diventa icona anche del pubblico Occidentale, specie quello suburbano e di colore… La gente si rende conto… Lui  è  un attore che che sa veramente combattere, non finge e offre un livello di autenticità mai visto prima…  Dopo ci sarà la sfida fra scuole rivali di arti marziali  in “Dalla Cina con furore” e Lee diventa l’ emblema del nazionalismo cinese… Il suo Chen Jeh non è un semplice protagonista di una storia come tante…  E’ l’eroe, il “buono”, e tutti  lo guardano  e  si investono nelle sue scelte anche se … sul  piano etico, il suo Chen è la negazione del  vero marzialista… Qui non c’è nessuna delle sue virtù…  Nessuna traccia di tolleranza, compassione, umiltà, pacifismo… Ma questo nessuno lo sa…  O fa finta di non saperlo e comincia a impazzire  quando Chen… e non sono ancora finiti i titoli di testa… si è già scatenato… Ci saranno ancora altri due film… in cui Lee  pieno di marziale successo arriva a far strage in Occidente…

Chissà cosa sarebbe successo se ci fossero stati altri film… Sarebbe durata quella follia  di cinque continenti, quell’identificazione così totale, quella passione scatenata? Forse era una moda e sarebbe finita presto… Forse altri personaggi avrebbero sostituito Bruce … Si avvicinava l’epoca dei Super eroi….Ma questo non lo sapremo ma

“Muor giovane chi è caro agli Dei” dicevano gli antichi greci e mai questo fu così vero come per  Bruce… Se ne andò via  a trentadue anni, all’improvviso… Mentre era a casa di un’amica… forse la sua amante… E quì già cominciamo a entrare  nella leggenda… Era stata  la mafia cinese a ucciderlo perché Lee  aveva osato mostrare  all’Occidente i segreti, tutti orientali, delle Arti marziali? Fu un’allergia al medicinale che gli aveva dato la sua amica per fargli passare il mal di testa?. O forse Lee si faceva di coca che una volta mischiata con la medicina creò un cocktail infernale? O forse quel violento mal di testa era  il sintomo dell’ edema  che si stava formando? Forse se fosse andato subito in ospedale senza prendere medicinali… Forse, forse… Nessuno è riuscito a chiarire cosa sia successo a Bruce… Qualcuno ha detto che non era morto… Uno scambio di persone…  Bruce era entrato nel mito!

Fra San francisco, dov’era nato, Hong Kong dove  era cresciuto, Seattle dove  si era innamorato … quale è stata la patria di Bruce Lee, cittadino di Oriente e Occidente?  Difficile  saperlo! Per la ricetta, dopo un po’ di dubbi, abbiamo puntato su Hong Kong, una città divisa fra molte culture come era  lui… E abbiamo scelto gli:

SPAGHETTI DI SOIA CON POLLO E VERDURE

INGREDIENTI per 4 persone: 300 grammi di spaghetti di soia, 400 grammi di verza fresca, 150 grammi di peperoni, 400 grammi  zucchine “romanesche”( è vero che in Cina è un po’ difficile trovarle, ma in ogni caso sono preferibili a tutte le altre perché meno acquose, più saporite  e più profumate ), 150 grammi di carote, 300 grammi di germogli di soia, 1 cipolla bianca di media grandezza, 400 grammi di fuselli di pollo, salsa di soia a piacere, olio extra vergine di oliva a piacere (può sembrare strano trovare l’olio extra vergine di oliva in una ricetta cinese, ma e’ una scelta di salute perché, la maggior parte degli altri oli, una volta  superati i 100°C, possono essere tossici o dannosi all’organismo), sale  q. b.

PREPARAZIONE: lavate accuratamente le verdure,togliete i semi ai peperoni, affettate la cipolla, tagliate a strisce peperoni e verza, a julienne la carote e a tocchettile zucchine. Lavate le cosce di pollo,togliete la pelle, disosossatele e tagliate la carne a striscioline. In una larga padella scaldate l’olio,rosolate la cipolla a fuoco basso che evitare che si bruci e poi aggiungete la carne di pollo, fatela appena rosolare e aggiungete poi i peperoni, Dopo qualche minuto aggiungete la verza,il sale e mezzo bicchiere di acqua. Coprite la padella e fate cuocere per circa 3o minuti. Aggiungete carote, zucchine e germogli di soia e salsa di soia.

In una pentola con acqua in ebollizione versate gli spaghetti, salate e fate cuocere per 5 minuti. Se gli spaghetti fossero troppo lunghi per i vostri gusti, tagliateli a metà dopo averli scolati e metteteli a insaporire nella padella delle verdure e pollo. Dopo 5 minuti potete togliere il tutto dal fuoco e  servire.

Il Gaspacho di Pedro!

Una specie di Lampada di Aladino…  Non si finì nemmeno di svitare il tappo che venne fuori, irruenta e inarrestabile, col frastuono delle band, le parole urlate dei poeti  e i giovani  nelle strade, di notte, già immemori della cappa di piombo  che  tutto aveva avvolto   per quasi 40 anni … Arrivava la Movida, creativa, chiassosa, poetica, senza  freni, inneggiava  alla musica e alla droga insieme, nella disperata voglia di recuperare gli anni  letali della dittatura …Madrid, della “Movida” fu il  primo Testimone…  Il passato era quello che era…   Da dimenticare, il presente, invece era tutto da vivere e il futuro da immaginare…

All’epoca, ancor  prima  che iniziassero gli anni ’80, l’ultimo Don Chisciotte  venuto dalla Mancia si trovava a Madrid già da parecchio, nascosto sotto la divisa di un anonimo centralinista della  “Telefonica”, la Compagnia Nazionale  di Spagna. Una divisa che di sicuro gli stava stretta… ma non aveva fatto in tempo ad entrare nelle sospirate scuole di cinema perché il regime franchista le aveva chiuse tutte. Con lo stipendio  era riuscito però a comprarsi una macchina da presa… una Super 8… Dal 1972 al 1978 gira cortometraggi…, i suoi biglietti d’ingresso nel mondo della Movida  e il suo nome, sconosciuto ai più, diventa rapidamente famoso negli ambienti underground .  Fa l’attore di teatro coi “Los Goliardos “, scrittore di racconti  e di  fumetti porno… Patty Diphusa è una star in viaggio all’interno della “movida”, tra avventure, droghe, sesso, musica e  un catalogo dissacrante, ironico dei vizi cittadini…

Ma lui è prima di tutto Don Chisciotte e nel 1980 comincia seriamente a difendere le donne… Certo Pepi è una ragazza un po’ particolare che coltiva droga sul suo terrazzino, ma la violenza è sempre violenza e il poliziotto che l’ha fatta non se la caverà facilmente  “Pepi, Lucy, Bom e le altre ragazze del mucchio”, nel suo voluto trash è un film  di storie grottesche, esagerate e sempre più complicate che alla fine, come in altre opere di Almodovar, si scioglieranno  quasi miracolosamente nel ritorno alla normalità…  che sarà poi il  modo più graffiante  per  fare il verso alle telenovelas,  una delle chiavi di lettura di Almodovar. L’altra chiave di lettura  sono le donne e  fortunate le attrici che lavoreranno  nei suoi film  perchè diventeranno miti nel cinema internazionale, da Carmen Maura a Penelope Cruz…

Con Pepi, Almodovar è ormai lanciato  e a ritmo  serrato  girerà “Labirinti di passione”, con i suoi intricatissimi amori  omo ed etero e “L’indiscreto fascino del peccato” con una  incursione nel mondo dei conventi femminili dove però  accanto alla graffiante satira c’è  l’umana complicità col mondo  delle donne.

“Che ho fatto io per meritare questo?” sfiora il capolavoro con  la disperata figura di Gloria, una delle donne più difese e amate da Almodovar -Don Chisciotte… Gloria che sia pur non volendo,  ammazza il cattivo marito con quel provvidenziale osso di prosciutto, mentre il figlio 12enne  viene venduto al dentista gay e il figlio più grande spaccia droga col sogno tutto melò di tornare in paese con la nonna…

Quando nel 1987 Almodovar riuscirà ad avere una casa di produzione con il fratello  è già al top  e l’Occidente famelico  è  lì ad aspettare le nuove storie come se si trattasse di un lungo romanzo a puntate… “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” , dove le pazze isteriche donne sono sempre le migliori e le più generose, perché  il sarcasmo di Almodovar è tutto per gli uomini e   le segreterie telefoniche… Una piccola vendetta per i 12 anni passati alla reception… E poi a seguire “Legami” con un giovane ottuso Antonio Banderas, il tragico “Tacchi a spillo” con l’eccentrica  madre che in punto di morte salva la figlia e ” Carne  Tremula”

Un cinema sempre più trasgressivo, scatenato… Le sceneggiature sono  assurde   ma così  travolgenti  che lo spettatore le accetta come realtà quotidiana … Nel 1999  quello che vince l’Oscar, il David,  il Cesar e il Golden Globe “…E’ “Tutto su Mia Madre,”  il capolavoro… E’ una delle storie più strane fra tutte  quelle  strane di Almodovar…  Con  una bellissima trans padre di due figli, una  dolcissima suora incinta e  sieropositiva, un’elegia  senza fine del dolore e della salvezza… Forse  il top della raffinatezza formale e un cast di attori fantastico… Antonia San Juan nella parte di Agrado, la prostituta trans diventerà cult……

Il secolo nuovo  porta altri  film,  “Parla con Lei”, che prenderà un altro Oscar  e “Volver” quello che più si avvicina agli intricati rapporti femminili delle origini, ma Almodovar inesausto comincia a battere strade nuove col crudele fantascientifico “La Pelle che Abito” mentre  si abbandona al suo grottesco sarcasmo contro i passeggeri di un aereo in pericolo che diventano il simbolo della Spagna  nella crisi economica…

Dallo schermo gli infiniti personaggi di Almodovar sono li a guardarci, a scrutarci pronti a  cogliere le nostre debolezze, le nostre ipocrisie e anche  quel poco di buono che è in noi. Nonostante il mondo assurdo in cui vivono, in fondo è fin troppo  facile  capirli e identificarcisi,  anche perché i gesti quotidiani, le  tradizioni o i  sentimenti  sembrano identici…

Uno dei vettori che Almodovar adopera a piene mani per legare assieme personaggi e spettatori è la cucina… Che per lui e il suo vissuto è stata importantissima… Tutto nella sua infanzia si era consumato nella cucina dei suoi genitori…

E così davanti a un bicchiere di vino molti personaggi rivelano  se stessi,  nella cucina  si prendono le decisioni più importanti, e seduti ad un tavolo imbandito si cerca di salvare il salvabile o di trovare nuovi accordi.  Pepa in “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” prepara un gaspacho al sonnifero  per trattenere l’amante in fuga  e in quel frullatore che gira vorticosamente  mischia, con  i suoi dispiaceri, pomodori, cetrioli, peperoni, cipolla, sale e pepe… alla ricerca di equilibri impossibili.  Ne “Il Fiore del mio Segreto” Leo Marcia cerca di riaccendere la passione del marito che la vuole lasciare con  la “Paella”, “Tutto su mia madre” inizia  con Manuela  che prepara una ricca insalata… Lattuga, patate lesse, acciughe, pomodori,basilico e cipolla  mentre poi, dato che è la madre di tutti, preparerà per  Agrado  un pasticcio di carne e altre specialità.  Rosa invece  mangia  da un take away,    Benigno, in “Parla con lei” seduto al tavolino di un bar, intinge nel latte una brioche subito dopo aver abusato di Alicia  e in “Volver” la madre, fantasma, ma sempre madre, prepara maiale per le figlie…  Senza parlare dei cioccolatini con la scatola a forma di cuore di “Legami”  o il pane tostato con l’aranciata di “Carne Tremula” davanti ai quali la protagonista confessa il suo tradimento

gazpachoFrastornati dall’esuberanza di Almodovar naturalmente eccessivo anche in cucina, nell’imbarazzo della scelta che ne  è derivato   e nella primavera che ormai avanza,  alla fine abbiamo deciso per il “Gaspacho,” la fresca  zuppa estiva che è quasi un simbolo della Spagna in cucina… Ovviamente senza aggiunta di sonniferi o tranquillanti!

GASPACHO ANDALUSO

INGREDIENTI per la zuppa, per 4 persone: 1 peperone verde e 1/2 rosso, 1 cetriolo,  1 cipolla rossa di Tropea, 1 spicchio di aglio, 1/2 bicchiere di aceto bianco, 50 ml di olio extra vergine di oliva,  100 grammi di mollica di  pane raffermo, sale e pepe a piacere, pomodoridsa sugo rossi 600 grammi,

INGREDIENTI per accompagnare la zuppa: 2 pomodori rossi tagliati a dadini,2 fette di pane  tostato  tagliato a piccoli pezzi, 1 cetriolo  tagliato a listarelle o a dadini, 2 uova soda  sbriciolate,  2 cipolle di Tropea a strisce sottili.

PREPARAZIONE: fate ammorbidire il pane raffermo nell’acqua e l’aceto, tagliate a piccoli pezzi i pomodori, i peperoni,il cetriolo, la cipolla e l’aglio e frullate il tutto aggiungendo l’olio poco per volta  sino a ottenere una vellutata a cui aggiungerete il pane, il sale e il pepe e frullerete nuovamente. Fate riposare il Gaspacho per qualche ora e al momento di servire, se già si sente il caldo estivo, aggiungete in ogni singola  scodella un cubetto di ghiaccio e portate in tavola le verdure , le uova e il pane di accompagnamento che i commensali,a loro piacimento,aggiungeranno alla zuppa.

Pilar’s rabbit stew… e la Spagna è vicina!

EH 2723PCercò l’avventura per tutta la vita, ma alla fine ne fu travolto. I grandi boschi dell’Illinois  dove da ragazzo  amava perdersi e la pace della natura che pure adorava, non lo trattenero. A 18 anni é in Italia,Volontario nella prima guerra mondiale.Ferito vuole tornare al fronte, ferito di nuovo, si trascina un soldato sulle spalle. Lo rimandano a casa pieno di medaglie, ma non trova pace. Per gli eroi  il ritorno alla vita normale è sempre un trauma Beve, soffre d’insonnia  e così riparte, forse anche per sfuggire una madre  ancora convinta che avrebbe imparato a suonare il violoncello. A Toronto comincia a scrivere per un giornale, il Toronto Star, ma un anno dopo, con i soldi della moglie, è  gia a Parigi. E’ spinto da un’ansia di confronto senza limiti, in cui non può vivere senza mettersi continuamente alla prova  e sfidare tutto quello che ha davanti, uomini, f orze della natura, morte.

Gertrude Stein, che doveva averli capito in pieno, lui e gli altri giovani geni che frequentavano il suo salotto, un giorno glielo sbattè in faccia “Questo è ciò che voi tutti siete.. voi giovani che avete fatto lac88ced69a71e56e6ac8e825c8857951b_b guerra.Voi siete una “lost generation”, una generazione perduta!” Ma a Parigi il giovane Hemingway  scrive e legge moltissimo ed è un mistero, con quella vita frenetica, capire dove trovasse il tempo. Eppure a 30 anni aveva già pubblicato di tutto, poesie racconti e romanzi, come “Fiesta”  e “Addio alle armi.” E se “Addio alle armi” è un lirico, personale ricordo della sua guerra italiana, “Fiesta”  è la rappresentazione corale  più calzante di quei giovani usciti,come Hemingway, senza ideali da un mondo  stravolto che, nella  superficialità della vita da caffé e  nella ricerca di sensazioni estreme, come la corsa dei tori impazziti, credono di colmare il vuoto  che si sente  attorno.

Quando Hemingway torna in America ha una moglie diversa, ma è insofferente alla famiglia mentre è forte il richiamo di Parigi. Sono anni inquieti. Fra la Tortuga  e il Safari in Africa, l’attività di Hemigway è frenetica, beve troppo e comincia già a star male seriamente. Torna brevemente in America e poi via per la Spagna con una nuova donna. Di nuovo Safari in Africa e pesca all’Avana, mentre i suoi racconti vanno di successo in successo e i lui prepara “Avere e non avere”.

Quando scoppia la guerra civile in Spagna è fra i primi ad accorrere. Dovrebbe andare come corrispondente e invece  si ritrova in prima linea a condurre una vita dura di continui spostamenti con la donna che diventerà la sua terza moglie.

1_1fj1qDurante la II guerra mondiale è in Francia come corrispondente, ma ancora  una volta non sa resistere al mito della prima linea. Si strappa le mostrine di giornalista  e si mette alla testa di un gruppo di partigiani con i quali farà un ingresso trionfale a Parigi.

Dopo le guerre sembrò mancargli l’esposizione estrema,  e così se l’andò di continuo a procurare. Fra un safari e l’altro, due incidenti aerei, da cui uscì  con le ossa a pezzi e la mente sconvolta; poi ancora alcool e malattia. Gli ultimi anni sono patetici, l’alcool, la paranoia e il desiderio di farla finita.

Ma in fondo Hemingway ha avuto tutto quello che voleva. Ha soddisfatto il suo narcisismo con il successo letterario, la competizione con se stesso  con tre guerre e infinite avventure di terra e per mare. Quando poi si è sentito finito si è andato a misurare con la morte, la sua grande tentatrice, anticipandola e sconfiggendola con il suicidio.74d493f2c6de7956a54d7ca5fa62ac3b_XL

Forse la sua passione più forte fu la Spagna. Ed è in Spagna che ambienta uno dei suoi romanzi più belli, “Per chi suona la campana” e nella figura di Robert Jordan prova ancora una volta a raccontare se stesso, trasformando il suo  narcisismo  in quello stoico senso del dovere  che, come un imperativo categorico,  porta Jordan a partecipare e morire per una guerra non sua.

Ciò che è particolarmente bello in “Per chi suona la campana”  è l’ambientazione  ancestrale  fra le montagne, che riportano a forme di vita quasi primitive, dove le passioni sono  violente e la crudeltà può diventare estrema. I partigiani che lì si sono rifugiati a fare la guerra dormono e mangiano dentro una grotta, che fa venire in mente quella di Polifemo e, Jordan di notte, all’aperto si immerge nella natura  invaso dall’odore fortissimo delle erbe.“… Questo è l’odore che mi piace. Questo è il trifoglio appena tagliato, la salvia appena tagliata quando uno cavalca dietro a un armento, il fumo della legna e delle foglie che bruciano in autunno. E’ l’odore della nostalgia…”

Poi quando nasce l’amore fra Robert e Maria è davanti a un rustico, saporito, anch’esso primitivo  piatto di coniglio, preparato  in una pentola di ferro da Pilar, la fiera combattente, costruita sul mitico personaggio della contadina Dolores Ibarruri, che diventò la “Pasionaria” di Spagna.coniglio-al-sugo-L-gQ9UYm

“Ora mangiavano tutti dal tegame,in silenzio, come è il costume spagnolo.La pietanza era coniglio cotto con cipolla e peperoni verdi e nella salsa al vino nuotavano i piselli. Era cucinata bene, la carne si staccava dalle ossa e la salsa aveva un odore delizioso. Mangiando Robert Jordan bevve un ‘altra tazza di vino. La ragazza continuava a fissarlo, gli altri badavano solo a mangiare.”

PILAR’S RABBIT STEW  (SPEZZATINO DI CONIGLIO ALLA PILAR)

INGREDIENTI. 1 coniglio di circa 1,5  Kg, 2 bicchieri di vino rosso, 4 cipolle tritate, 4 peperoni verdi tritati, 250 grammi di piselli, 1 foglia di alloro, 2 cucchiai di paprika, 1 cucchiaino di sale, 3 cucchiai di farina, 4 cucchiai di acqua fredda.

PREPARAZIONE: tagliate il coniglio a pezzi e mettetelo in una casseruola. Fatelo rosolare in olio extra vergine di oliva e poi aggiungere il vino. Fate cuocere per circa 40 minuti e  se ce ne fosse bisogno aggiungete acqua.Dopo questo tempo mettete nella casseruola la cipolla, i peperoni, i piselli, la foglia di alloro, la paprika, il sale e fate cuocere ancora per circa 30 minuti. Mescolate con i 4 cucchiai d’acqua la farina e versatela nella casseruola rimestando, finchè la salsa non è addensata.

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Chicago style deep dish pizza!

patriotic_michigan_002“Lo stile è l’uomo” sintetizzava l’illuminista del 1700, riferendosi a quell’insieme di  modi di essere e di apparire  che danno a ciascuno la propria identità. Difficilmente, però, lo stile esiste a priori. Piuttosto è frutto di ricerca, di conquista e di scelte. E lo stile non è solo degli umani, perché spesso penetra negli oggetti, di cui ognuno si circonda o nei luoghi in cui si vive, fino al punto di rottura, quando può succedere che le cose  acquistano indipendenza, come le macchine che diventano intelligenti  o le città che prendono anima. Da quel momento sono loro a caratterizzarsi e a imporsi con quello che sono e per quello che hanno da offrire… Roma, si sa,è eterna, Parigi romantica e New York multi- etnica.

Chicago, invece, è sempre al bivio fra inventiva, coraggio e innovazione o forse tutte  le cose insieme! C’è voluto coraggio a costruire una città su un grande acquitrino, da cui  oltretutto emanava  anche uno sgradevole odore di porri. Ma c’erano i Grandi Laghi … Un posto strategico per il commercio delle merci in transito!  Chicago cominciò con le pellicce, all’inizio del 1800, quando in zona c’era solo un Forte, ma negli anni ’40 era già  il più grande porto del Mondo per il commercio dei cereali. Come c’era riuscita? Con un progetto audace e innovativo, la costruzione di un canale  di 150 km che la collegava al fiume Mississipi, in un epoca in cui non c’erano ancora le Ferrovie. Una volta che il grano, dalle fertili zone del sud, arrivava sulle grandi chiatte a Chicago, prendeva la via dei Grandi Laghi e arrivava direttamente  sull’Oceano. E davanti all’Oceano c’erano tutte le vie del mondo.  Quello che non partiva subito finiva negli alti Silos. A metà dell’800 ce ne erano già 20 che caratterizzavano lo skyline della città…quasi un presagio dei grattacieli a venire. ! Poi fu la volta dell’acciaio e delle carni e con la macellazione delle carni si inventarono la catena di montaggio. Una rivoluzione nei metodi di lavoro in cui, a muoversi erano solo i blocchi di carne, che  ad ogni  sosta trovavano  un addetto che compiva un’operazione, prima che  la carne si dirigesse verso la stazione successiva.  Molti anni  dopo Henry Ford  venne a  qui a studiare  la linea di produzione, per produrre le sue auto.2

Con quelle premesse Chicago non  ci mise molto a diventare anche  il primo esempio di industria globale  con  l’uso  immediato del telegrafo, attraverso cui comprava e vendeva i titoli, sia delle merci già disponibili, come anche  di quelle che sarebbero arrivate in un futuro più o meno prossimo. Si inventò, come dire  quelli che oggi sono i mercati dei “Futures” e delle “materie prime” .

Ma nel 1871 la catastrofe fu proprio vicina! L’intera cittàprese fuoco. Fin troppo facile in un città soprannominata Windy e all’epoca tutta di legno. Per un’altro posto poteva essere la fine. Gli Stati Uniti sono piene di città fantasma abbandonate per un motivo o l’altro fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900! Ma per Chicago  invece fu un’occasione. Per ricostruire la città nacque un  Movimento e una prestigiosa Scuola di architettura che aprì la strada all’architettura del XX secolo. Una nuova tecnologia con le strutture in acciaio e home_insurance_building_credit-wikipediauna nuova  estetica tutta affidata alla linea e allo sviluppo modulare, con la sottrazione di ogni orpello decorativo.  A Chicago si costruisce il primo grattacielo del mondo l’Home Insurance Building del 1885, (demolito poi da un eccesso di furore innovativo –  qualche volta capita – nel 1931), a Chicago lasciano il segno i grandi maestri del’ 900 Frank Lloyd Right e  Mies Van der Rohe, quest’ultimo in fuga da Hitler e che solo in America poté sviluppare gli ideali della Bauhaus.

L’esperienza di Chicago conferma, se ce ne fosse bisogno, che dove c’è industria c’è cultura. Cinema, letteratura, Musei e Università, ma il campo in cui  la città ha dato il meglio di sé è  forse la musica. A parte le esperienze più recenti della  House  Music  che aprì la strada alla musica elettronica degli anni ’90, a Chicago, ed è ormai leggenda, arrivarono all’inizio del ‘900 i musicisti afro – americani in fuga dal Sud che, nel blues e nel jazz, crearono, attraverso gli anni e nei “rent – party,”  le  nuove forme musicali che  finirono per coinvolgere coralmente anche la popolazione bianca. Come si diceva prima, le città che hanno un’anima, si creano il proprio stile e a Chicago  la musica  è “Chicago Style.”

Poi infine, per gli appassionati  di cibo e gli esperti  di cultura gastronomica,  questa città senza pregiudizi  si è lanciata anche nell’innovazione della pizza. E lì si che c’è voluto coraggio, perché sembrava che, in materia, tutto fosse già stato detto. Ma ci pensò nel 1943, Ike Sewell, un  ex campione di football, che veniva dal Texas ma che aveva tutto lo spirito innovativo della gente di Chicago. La sua “Deep – dish pizza” è molto diversa dalle altre pizze, perché, come del resto si capisce dal nome, ha uno strato di pasta e condimenti molto più alti e perciò somiglia più a una pizza rustica  piuttosto che alla sottile pizza tradizionale, inventata in Italia. L’iniziativa di Ike Sewell ebbe un successo strepitoso, nel suo locale chiamato a  “Pizzeria 1”, tanto che, alcuni anni dopo, nella stessa via, si rese indispensabile  aprire la “Pizzeria 2”. Ma nemmeno questo fu sufficiente perché il successo era così diffuso in tutti gli Stati Uniti  che le due pizzerie iniziarono le spedizioni  anche fuori Chicago, una volta messe a punto le tecniche di  surgelamento. Anche stavolta  lo stile di Chicago aveva colpito nel segno e non è un caso che la pizza  di cui diamo la ricetta si chiami:

CHICAGO STYLE DEEP DISH PIZZApizzeria-uno

INGREDIENTI dei condimenti: 3 cucchiai di olio di oliva extra vergine, 1 cucchiaio di aglio tritato, un cucchiaio di basilico tritato, un cucchiaino di origano tritato, 1/4 di cucchiaino di semi di finocchio, 1/2 cucchiaino di sale, 1/4 di cucchiaino di pepe macinato fresco, 1/4 di cucchiaino di pepe rosso, 900 grammi circa di pomodori pelati tritati,1 cucchiaio di vino rosso secco, 1 cucchiaio di zucchero, una mozzarella di circa 450 grammi  tagliata a fette, 250 grammi di peperoni tagliati a fette, 250 grammi di funghi champignon, 1 peperone di piccole dimensioni tagliato a rondelle, 1 cipolla gialla  a fette,1 tazza di olive nere tagliate a fette sottili, 450  grammi di salsiccia sbriciolata, 1 tazza di parmigiano grattugiato. (Attenzione: in genere 1 tazza corrisponde a circa 200 grammi)

INGREDIENTI della pasta: 1 tazza e 1/2 di acqua tiepida a circa 40° C, 7 grammi e 1/2 di lievito secco attivo, 1 cucchiaino di zucchero, 3 tazze e 1/2 di farina, 1/2 tazza di farina di semola, 1/2 tazza di olio di semi  e 2  cucchiaini per ingrassare la padella di acciaio in cui verrà cotta la pizza, 1 cucchiaino di sale.( Attenzione: in genere 1 tazza corrispode a circa 200 grammi)

yNMNxPREPARAZIONE dei condimenti: mentre si lievita la pasta (v. preparazione pasta ), scaldare in una casseruola l’olio  extra vergine di oliva a fuoco medio – alto. Aggiungere l’aglio e far cuocere mescolando,  finché l’aglio prenda appena il colore madreperlato, senza farlo bruciare. Aggiungere le erbe, i semi, sale e pepe rosso e nero, cuocere ancora per 30 secondi. Aggiungere il pomodoro, il vino, lo zucchero e portare a ebollizione. Abbassare la fiamma e cuocere a fuoco lento mescolando per circa 30 minuti. Far raffreddare prima dell’utilizzo..

PREPARAZIONE  della pasta: unire in un’ampia ciotola l’acqua , il lievito e lo zucchero, mescolare e poi lasciar riposare per circa 5 minuti. Aggiungere 1 tazza e 1/2 di farina, la semola, 1/2 tazza di olio e il sale, mescolando con le mani fino a  quando la miscela non sia ben amalgamata. Continuare ad aggiungere farina, 1/4  di tazza per volta lavorando la pasta dopo ogni aggiunta. La pasta deve risultare leggermente appiccicosa. Lavorare la pasta su una superficie infarinata dai 3 ai 5 minuti sino ad attenere un composto liscio, ma ancora leggermente umido. Ungere  con  due cucchiaini di olio una grande padella di acciaio dai bordi rialzati e mettere l’impasto nella ciotola   e  ricoprite la ciotola  stessa  di pellicola trasparente, poi mettetela in un ambiente caldo a  lievitare per circa  1 ora e 1/2

PREPARAZIONE finale: preriscaldare il forno a  250° C. Ungete con  metà dell’olio la base e le pareti della padella di acciaio, foderare  sia la base che le pareti della padella sino all’altezza di circa 4 centimetri con la metà della pasta ben pressata, lasciare riposare per 5 minuti. Poi disporre sopra uno strato con la metà della  mozzarella e sopra  disporre la metà di tutti gli ingredienti, peperoni tagliati a strisce, a seguire i funghi, il pepe, la cipolla, le olive nere e la salsiccia. Ricoprire il tutto con metà della salsa di pomodoro e spargervi sopra la metà del  parmigiano. Mettere in forno per circa 30 minuti, finché non si formi una crosta dorata. Servire calda.

Ripetere l’operazione con i restanti ingredienti per preparare, allo stesso modo, la seconda pizza.

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Zòngzi e la Festa delle Barche Drago

530px-Streitende-Reiche2Nel “Periodo delle Primavere e degli Autunni”  il Regno di Chu divenne una grande potenza, in continua espansione. E’ vero che aveva una pessima fama, visto che le sue conquiste erano avvenute quasi tutte a tradimento, occupando i territori dei suoi  fedeli alleati, ma ormai i giochi erano fatti e Chu governava una grossa parte della Cina Centro – Meridionale, di cui fra l’altro, faceva parte, anche la città di Shanghai. All’inizio del V secolo a.C., il “Periodo dei Regni Combattenti”  sostituì  le Primavere e gli Autunni, ma Chu sembrava mantenere intatti i suoi  domini in un mondo notevolmente segnato dalle lotte che agitavano i regni confinanti. A Nord Est,  il Regno di Qin, che più tardi sarebbe  stata la rovina di Chu, non poteva all’epoca mettere paura, perchè aveva ancora un grosso ritardo  nello sviluppo sociale e culturale, con la maggior parte della popolazione  ancora mezza barbara. Ma verso la fine del V secolo, dopo  le pesanti perdite nella guerra contro i Wei, le cose lì cominciarono a cambiare. Qin avviò grosse riforme che, all’inizio, non furono neanche ben percepite  ma, nel volgere di pochi decenni, riuscirono a portarlo in pole position, rispetto agli altri Stati. A Qin, infatti, ad una forma di  regime assolutista, si era venuto a sostituire un vero e proprio Stato di Diritto, in cui, tutti gli uomini, erano uguali davanti alla legge, a eccezione del Sovrano, perché, come tutti sanno, c’è sempre stato qualcuno più uguale degli altri. Tutto questo, comeP6290469 rapida conseguenza, portò a un vero e proprio crollo dei privilegi ereditari, per dare spazio alla meritocrazia. Gli effetti maggiori si risentirono nell’esercito dove i generali persero i loro nomi aristocratici e altisonanti, perchè ormai cominciavano a provenire da tutti gli strati sociali, mentre i soldati, ben addestrati e disciplinati, davano vita a una forza altamente professionale.Lo stato di Chu resistette ancora per tutto il IV secolo poi cominciò a scricchiolare e l’esercito, che era stata la sua forza, ormai ridotto a sede di tutti i privilegi e di tutti gli sperperi, divenne  la sua rovina . Nel 318 a. C. le forze congiunte dei 5 Regni combattenti di Wei, Zhao, Han, Yan e Chu avanzarono sino  a Hanguguan, ma Qin, forte del suo efficientissimo esercito, riuscì facilmente a sconfiggere le forze  dei 5 regni che disponevano effettivamente di un numero sterminato di soldati, ma  all’atto pratico mal coordinati, perché, probabilmente non si erano messi d’accordo sulla creazione di un comando unificato.

Ciononostante il Regno di Chu ce l’avrebbe ancora potuta fare perchè aveva territorio, risorse e alcuni grandi Statisti come Qu Yuan, “ministro – poeta” di grande ascendenza e appassionato difensore dell’indipendenza del suo paese. Aveva capito il pericolo che ormai costituiva il regno di Qin e tentò con ogni mezzo di ricostruire una coalizione di Stati per sconfiggere l’egemonia del grande nemico. Ma Chu era ormai uno Stato troppo corrotto e consumato dalle lotte intestine per tollerare un uomo integro e capace, con una visione politica sovranazionale. In casi di questo genere l’arma più potente è sempre la calunnia e anche nel caso di Qu Yuan,  la calunnia fu il modo con cui  i terribili cortigiani costrinsero il re a esiliarlo.

319eebbe5c0329b704c94573054ada7a-e1358032155845Qu Yuan tornò al suo paese natio e si occupò di poesia. Era una grande mente e non potendo  rivoluzionare il suo decrepito stato rivoluzionò la poesia. Abbandonò i versi classici composti di quattro caratteri e adottò quelli di lunghezza variabile dando così  al poema maggior ritmo e al poeta più libertà di espressione. E’ il primo poeta cinese di cui ci sono arrivati i testi scritti, ma è stata l’estrema bellezza del suo linguaggio e l’amore per la sua patria che ne hanno fatto il poeta cinese più amato di tutti i tempi.

Ma, in esilio Qu Yuan, nonostante il conforto della poesia, seguitava ad essere triste ed era sempre in ansia. Probabilmente si aspettava la tragedia che, puntualmente, arrivò nel 278 a.C., quando il suo paese fu pesantemente sconfitto dal Regno di Qin e il re fu costretto a fuggire e spostare altrove la capitale, occupata dall’esercito invasore. Scrisse allora un ultimo lamento per Ying, la bella capitale perduta, poi prese una pesante pietra e con quella andò a morire nel fiume Miluo.2010920143618911

Ma Qu Yuan era un uomo molto amato e,  non appena gli abitanti del villaggio seppero del suo gesto disperato, cercarono di salvarlo in tutti i modi. Presero le loro  barche e lo cercarono per tutto il fiume senza trovarlo. Quando capirono che era morto allora andarono proprio al centro, dove la corrente era più forte, e, per prima cosa, gettarono tanti fagottini di riso ai pesci  per tenerli lontani dal corpo di  Qu Yuan,  poi allontanarono gli spiriti maligni cominciando a suonare i tamburi e a percuotere l’acqua con i remi. Sconsolati fecero ritorno alle loro case ma, poco tempo dopo,  il poeta apparve in sogno ai suoi amici e raccontò  loro che era morto a causa di un terribile Drago che infestava il fiume. Per salvare la sua anima, che ancora si aggirava senza pace nelle acque del fiume, tutti ripresero le loro barche e andarono ad allontanare il Drago, dandogli in pasto non semplici cartocci di riso, ma piccoli fagotti di seta, con tre angoli, in cui era racchiuso riso pregiato, fino a quando il Drago, finalmente sazio, si decise a lasciare il fiume e consentire al poeta di riposare in pace.

DragonBoatFestivalSpecialInterest-1024x767Col tempo i fagottini divennero un cibo rituale noto come “Zòngzi”, sebbene, oggi che  si è diffuso a tutta la popolazione come pasto tradizionale, i blocchi di riso vengono avvolti in foglie di canne anzichè di seta.

Ma una volta l’anno, il quinto giorno del quinto mese del Calendario Lunare cinese, quando è l’anniversario della morte del poeta, tutte le barche con la prua a forma di drago, corrono ancora sui fiumi e sui mari della Cina. Vanno ancora una volta  in cerca  del loro grande poeta e cercano di allontanare da lui gli spiriti del male. E’ la “Festa delle Barche Drago”, in cui dopo la corsa finiscono la celebrazione  mangiando in comunità   i tradizionali fagottini di riso.

RICETTA DEI ZONGZI  (per 10 fagottini)

INGREDIENTI: 200 grammi di riso glutinoso, 100 grammi di pollo, 100 grammi di verdure miste (peperoni,fagiolini,melanzane), sale, 10 foglie di bambu.zongzi3

PREPARAZIONE: lavate e tagliarte le verdure in piccoli pezzi, poi cuocetele nella  wok per alcuni minuti con poco olio e il pollo tagliato anch’esso in piccoli pezzi.

A parte fate bollire il riso lasciandolo “al dente” e dopo averlo scolato, mischiatelo al pollo e alle verdure.

Prendete le foglie di bambu e disponetele su un piano di lavoro o su un tagliere, dopo averle sciacquate più volte. Al centro di ogni foglia sistemate il riso con il suo condimento poi avvolgetele   dando loro una forma cilindrica e chiudetele con lo spago da cucina. Quando tutte le foglie sono state riempite e sigillate ponetele  a cuocere in una  pentola a vapore per un’ora.

I Zòngzi si servono con salsa di soia, abbinandoli al riso cantonese, agli involtini primavera o ai ravioli cotti al vapore.

Poichè è un piatto tradizionale di tutta la Cina è anche soggetto a varianti regionali, per cui, in alcune località, invece del pollo si utilizza il maiale e le verdure possono cambiare a seconda della stagione o della produzione di area.

Il Dragon Boat Festival di Hong Kong

Pollo Mole Poblano

baccello_di_cacaoCosì scriveva al suo Convento in Spagna, un Gesuita del  secolo XVI inviato nel Nuovo Mondo  ad evangelizzare gli Indios. “Disgustosa per coloro che non la conoscono… Tuttavia è una bevanda molto apprezzata dagli indiani, che la usano per onorare i nobili  che attraversano il loro paese. .. Gli Spagnoli…. che si sono abituati …sono molto golosi. Dicono di prepararne diversi tipi …e di aggiungervi  parecchio Chili.

Per gli Europei era ancora un oggetto un pò misterioso, ma in Centro America c’era almeno dal  6000 a. C.  e da 1500 anni Maya e Aztechi la coltivavano. E l’avevano tenuta anche in grande considerazione.

L’avevano  usata per esempio come unità di misura, di conto e moneta di scambio. Con un solo seme ti davano 4 pannocchie, con tre semi una zucca, 100 semi erano necessari per una canoa, ma  bastavano soltanto  6 semi per comprare una notte d’amore  Si dice di Montezuma,  che  avesse addirittura un miliardo di semi nei sotterranei del suo palazzo.

Secondo i medici aztechi era indispensabile per curare alcune malattie del corpo, ma soprattutto  per le malattie della mente. E forse non avevano tutti i torti perché, oggi, i medici, consigliano la cioccolata ai depressi  perchè riesce a dar loro la carica e a liberarli di un pò di malinconia.

Gli Aztechi erano convintissimi che quella pianta, dal grosso frutto pieno di semi, che cresceva rigogliosa nell’ombra della foresta, 356465gliel’avesse portata in dono, tanto tempo prima, il Dio Quetzcoatl e, proprio per questo motivo, la bevanda che ne avevano ricavato la chiamavano “Bevanda degli dei.”  Anche in questo caso dovevano aver ragione loro perché se ne convinse  perfino Linneo, che quando si trattò di dargli un nome scientifico la chiamò “Theobroma cacao L”, sicuro che  in qualche occasione se ne fossero cibati gli Dei.

Dove invece i nativi americani ci indovinavano davvero poco, erano le Profezie. Sicuramente tutti ricordano che avevano previsto la fine del Mondo nel 2012, che fortunatamente poi non c’è stata. Ma sfortunatamente per loro avevano previsto anche che Quetzcoatl sarebbe tornato sulla terra nel 1519. Disgrazia volle che proprio in quell’anno arrivasse invece dalla Spagna Herman Cortes. Quando se lo videro davanti, con quegli strani vestiti e  una lingua sconosciuta, Montezuma e la sua corte credettero veramente al ritorno di Quetzcoatl e non finivano più di fargli cortesie. Così prima gli offrirono un bel bicchiere di  cioccolata per ristorarlo dal viaggio e subito dopo Montezuma in persona regalò a Cortes addirittura un’intera piantagione di cacao.

Si sa come andò a finire. Oltre a distruggere il Regno e ad ammazzare Montezuma, quel soldataccio di Cortes si prese anche le piante del cacao e tutto tronfio ne fece dono a Carlo V.

All’inizio, in Europa, il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, così come i Conquistadores avevano visto fare agli Aztechi, mischiandola al pepe e al peperoncino. Poi i monaci spagnoli, grandi esperti di infusi d’erbe  e di miscele, visto che quella bevanda era troppo amara, ci tolsero il chili e il pepe e ci aggiunsero  zucchero e  vaniglia. Era nato il cioccolato dolce e da quel momento in poi in Europa lo vollero tutti.

ENOP-0122I Conquistadores si erano portati via, fra piante strane, animali esotici e quintali d’oro, quasi mezza America, ma alla fine  portarono anche loro qualcosa nel Nuovo Mondo, la vite per esempio o gli animali d’allevamento, come le mucche, le pecore e il pollo… Chissà, forse per non sentire troppo la nostalgia di casa! Comunque, almeno in cucina, ci fu l’incontro di due culture perchè per il resto, dopo la crudeltà degli Spagnoli, della cultura india rimaneva poco.

Oggi la cucina messicana è ricchissima e molto conosciuta, ma occorre fare diverse distinzioni. Da una parte c’è quella, frutto di diverse e recenti contaminazioni con i paesi vicini, come  la Cal Mex e la Tex Mex, che hanno dato vita ai piatti più noti come i Nachos, i Burritos e le Quesadillas, cibi piacevolissimi, ma ormai tipici dei fast food e dei take -away.

Poi c’è quella, conosciuta come “Comida Prehispanica”, che è stata la meno soggetta  all’incontro con il cibo spagnolo e, anche se ancora è conosciuta, viene  però riservata ai  ristoranti specializzati o a particolari aree geografiche dove la tradizione si è mantenuta più viva. Oltre ai più  noti e tipici vegetali, usa alimenti poco comuni come le iguane, i serpenti a sonagli, i cervi, le scimmie ragno e alcuni insetti, cucinati ancora nello stile maya e azteco, come ad esempio le chapulines (cavallette) di Oaxaca, fritte nell’aglio con due tipi di peperoncino.

Infine c’è quella che si dichiara più autenticamente messicana ed è effettivamente nata dalla fusione e dall’incrocio dei modi della cucina spagnola e delle vecchie usanze precolombiane. Di questa non esiste un’ unica tipologia perché naturalmente  c’è una notevole differenza fra le zone interne e quelle costiere, ma se, da una parte, sicuramente come eredità spagnola, si ritrovano  tipi di carne come il manzo, il pollo o il maiale, dall’altra, l’influenza indigena, sarà sempre possibile rintracciarla nel chili, nei  peperoni, nel mais e nel cioccolato. Come rappresentante tipico di questo stile di cucina è stato scelto un piatto famoso, il “Pollo mole poblano”, nato a Puebla, sembra nel XVI secolo. Si racconta che le suore del convento Santa Rosa furono colte di sorpresa per l’inaspettata visita del Vescovo. Per servirgli un pasto adeguato alla sua carica, presero allora alla rinfusa tutti gli ingrediente e le spezie che trovarono nella dispensa, li mischiarono e riuscirono a fare una ricchissima salsa, al cioccolato, con la quale condirono l’unico volatile che possedeva il convento, realizzando così un anticipato esempio di cucina fusion col pollo spagnolo e il cioccolato azteco.

RICETTA DEL POLLO MOLE POBLANO per 4 personeChicken-Mole-Poblano

INGREDIENTI:  1 pollo, 1 peperoncino ancho, 1 peperoncino guajillo, 60 grammi di sesamo tostato, 25 grammi di mandorle, 25 grammi di arachidi non salate e senza buccia, 1/2 cipolla, 1 spicchio di aglio, 2 cucchiai di olio di mais, 25 grammi di salsa di pomodoro, 1/2 banana platano, 1/2 cucchiaino di coriandolo, 1 manciata di semi di finocchio, 3 chiodi di garofano, 1 cucchiaino di cannella, 50 grammi di cioccolato fondente, 1 cucchiaio di zucchero, 250 grammi di riso long rain, uvetta sultanina una manciata, tortilla q.b.

PREPARAZIONE: lessate un pollo. Quando è cotto spolpatelo eliminando pelle e ossa, sfilettate la polpa e mettetela da parte.

Private i peperoncini dei semi, e scottateli in un tegame antiaderente. Metteteli poi a bagno in acqua calda per 30 minuti per farli ammorbidire.

Fate dorare la cipolla dorata con l’aglio e i chiodi di garofano, aggiungete i peperoncini scolati e tritati, il sesamo tostato, le mandorle e le arachidi dopo averle tostate, l’uvetta sultanina rinvenuta in acqua tiepida e strizzata, la banana platano tagliata a rondelle e fritta in precedenza. Aggiungete la cannella, il coriandolo,i semi di finocchio, lo zucchero e la tortilla a pezzi.

Completate con la salsa di pomodoro,il cioccolato sbriciolato e fate restringere la salsa per un’ora. Al termine frullatela nel  mixer.

Lessate il riso e disponetelo su un piatto da portata. A lato  sistemate il pollo e conditelo con la salsa al cioccolato.

Mexico City, Paseo de la Reforma, Fountain to Diana the Hunter - Photo by SECTUR

Che Kebab!

bagdadNon avevano atteso a lungo! La Guerra Santa e l’espansione  iniziarono subito dopo la morte del Profeta. Nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente gli Arabi si trovarono di fronte due esausti avversari, l’Impero Bizantino e l’Impero  Persiano, logorati da secoli di guerra, in cui si erano  seguitati ad ammazzare per pochi chilometri di frontiera. Certi di essere le uniche grandi potenze, avevano sempre guardato con  degnazione e  sufficienza quelle tribù  e quei nomadi senza uno Stato, considerandoli solo abili e innocui commercianti. Sicuramente non si dovevano nemmeno essere accorti del movimento religioso e politico che  aveva fatto, del disperso mondo arabo, una sola Nazione, in tempo rapidissimo.

Ne furono letteralmente  travolti! Nel giro di pochi anni i Bizantini cedettero  la Siria, l’Egitto  e la Palestina. Ai Persiani  andò anche peggio perché del loro millenario e glorioso impero  non si salvò nulla. La Siria era fertile e Damasco una bellissima città, così per quasi un secolo fu la sede del Califfato Arabo. Poi le cose cambiarono! C’era una nuova dinastia, gli Abassidi che volevano soddisfare  in grande stile, la voglia di stare al centro del commercio mondiale. Così si spostarono più a Est e fondarono Bagdad, al crocevia fra Oriente e Occidente. Quando risalivano  l’Eufrate entravano in Siria e da lì al Mediterraneo il passo era breve. Se scendevano  per il Tigri  arrivavano  al Golfo Persico. Da Bassora, con una rotta sotto costa, andavano  direttamente in India. Da Mascate,  con una rotta al largo e affidandosi alle stelle, giungevano in  Cina. Quando i venti non erano favorevoli, si passava per il  nord dell’Iran  dove iniziava la Via della Seta e, le carovane, fra un oasi e l’altra arrivavano in Cina. Dalla Cina e dall’India  ritornavano con le sete, i gioielli, le spezie e tante piante ancora sconosciute. Il mondo arabo prosperava e Bagdad non era solo  un  immenso Centro Commerciale, ma anche il Centro di tutte le culture. C’erano nurredin1ni7ancora gli ultimi echi del mondo ellenico e la filosofia di Aristotile,  mentre la letteratura persiana andava  raccontando agli Arabi, fra una notte e l’altra, le sue Mille e una Storia.  Erano pronti tutti i presupposti e così nacque una nuova cultura, con una raffinatezza eccezionale nell’arte e un occhio pratico  alla scienza e della tecnica che, subito, trovava applicazione nella vita  quotidiana.Dall’astronomia le rotte per i naviganti e dalle scienze idrauliche i canali che portavano l’acqua  ai campi. Nulla fu trascurato. Nelle arti mediche  è rimasta nei secoli la memoria di Avicenna e Zari e, cosa straordinaria e saggia, una parte della medicina era tutta basata sull’alimentazione. Ci sono rimaste anche  le ricette di un  medico salutista, Sayyar al Warraq che, nel X secolo, le raccolse in un unico testo il Kitab al Tabeekh, dove è possibile trovarne una  chiamata il “Kabab Khalis”. Quasi certamente l’origine era persiana perchè in questa lingua Kabab significa grigliato, arrostito. Forse era diventato il cibo che le carovane si cuocevano nel deserto sulle vie dell’Estremo Oriente. Un cibo semplice, fatto con striscioline di carne di montone, messe a saltare e dorare su una piastra rovente insaporita appena col sugo ricavato dalle parti più grasse dell’animale. Nonostante il grasso, comunque indispensabile a quel popolo di grandi camminatori,  il cibo era  facile da preparare ed estremamente gustoso.

Quando cadde il Califfato qualche secolo dopo, i Turchi, nuovi padroni del mondo Islamico, decisero che era un piatto inventato da loro e lo chiamarono Oltu Kebab. Furono i gli esploratori Europei del XVIII secolo, a ritrovarlo sperduto nella Turchia Nord Oientale. All’epoca si cuoceva su braci ardenti, ma ancora in orizzontale  e in modo un pò selvaggio, usando le spade come spiedi su cui si infilzavano grossi tocchi di carne, aromatizzati con yogurt ed erbe aromatiche.

La grande rivoluzione, in senso fisico, del Kebab, avvenne nel XIX secolo a Bursa, una città non tanto distante da Costantinopoli. Si invertì allora  la posizione dell’asse di rotazione su cui erano infilzate le carni, ponendolo in senso verticale davanti a un cumulo di braci  collocate a strati uno sull’altro. L’accorgimento strategico, utilizzato a Bursa consiste nel porre in alto le parti più grasse in  modo che, scolando, durante la cottura, vanno  a insaporire  le carni sottostanti. A mano a mano che la parte più  esterna si cuoce, si stacca a strisce dal cilindro  con un coltello affilato e si condisce  con il grasso raccolto in un piatto. Il resto del grasso si adopera per insaporite   le carni dello spiedo ancora in cottura. Era stato inventato il “Doner Kebab”, chiamato così perchè la parola “Doner”in turco significa “Rotante”

istanbul_21Da allora qualcosa è cambiato. La carne di montone si adopera poco perché il sapore è diventato troppo intenso per i delicati palati  dell’Occidente, in cui negli ultimi 50 anni  il Kebab, portato dagli immigrati turchi,nella Germania degli anni ’60, si è diffuso in tutta Europa. In pochi anni è diventato un cibo da fast food, da consumare in piedi, o un  take-away da mangiare a casa con gli amici. Le braci,  naturalmente, non ci sono più, sostituite da una piastra irradiante elettrica o a gas  e la carne sullo spiedo  è spesso mista, formata da fette rotonde impilate una sull’altra di agnello, pollo, vitello etc. Però, la carne, come ai vecchi tempi deve prima essere insaporita con erbe e yogurt e ognuno, a questo proposito, ha la sua mistura e la sua ricetta.

Esistono molte varianti del Kebab anche se “l’Iskender Kebab” che deve il suo nome a Iskender Efendi che, proprio a Bursa, lo inventò nel 1800, è rimasto uno dei più apprezzati e adana-kebabviene ancora venduto nela Kebaberia di famiglia. Viene realizzato con sola carne di agnello tagliata fine, appoggiata su pane pida e condito con yogurt. In sostituzione degli esploratori del ‘700, vi sono ancora racconti entusiastici  dei turisti del XXI secolo che, sul Web, raccontano di questo kebab dal sapore unico e inconfondibile.

Altro Kebab molto apprezzato  è l'”Adana Kebab”  realizzato una volta con carne di montone, oggi di agnello. Nelle Kebaberie  si prepara su spiedi larghi e  lunghi un metro. La carne tritata alla tartara, mescolata con grasso di montone   e peperoncino rosso,  viene cotta su un letto di carbonella.

Con meno scenografia, qualche variante  e  un numero lmitato di persone, si può fare con relativa facilità anche sul barbecue di casa, perché  prevede la cottura in orizzontale.

RICETTA DELL'”ADANA KEBAB per 4 persone:

INGREDIENTI: 500 grammi di carne tritata di  agnello (sostituibile a piacere con carne di montone o manzo), 1 cipolla di Tropea tritata o tagliata  a ruota, 2 cucchiai di peperoncino, 1 cucchiaio di oilo extra vergine di oliva, 4 gocce di tabasco.

PREPARAZIONE:Si mescola la carne tritata con le cipolle,poi si aggiungono gli altri ingredienti fino a raggiungere un impasto uniforme. Si divide l’impasto in 4 porzioni e si infila negli spiedini, che, adagiati su carta da forno,vanno posti per almeno un’ora in frigo per insaporirsi. Dopo si ungono di olio e si fanno cuocere sul barbecue.

L'”Adana Kebab” si serve su pane pida, lavash o berbero, con insalata di cipolle e una spezia agrumata chiamata “Sumac”, verdure grigliate come peperoni e pomodori, limone ed erbe aromatiche come prezzemolo o menta. Si accompagna con bevande tradizionali turche  tipo yogurt liquido, succo di rapa rossa o Raki, tutti prodotti ormai di facile reperibilità nei drug store orientali delle città occidentali.

Una raccomandazione col cuore. L’eccessiva diffusione di tipo industriale qualche volta ha finito per incidere sulla qualità del prodotto ed è un vero peccato perché, come tutte le pietanze semplici da preparare, anche il Kebab richiede un’alta qualità delle materie prime. Quindi preparatevelo da soli, se appena potete utilizzare un barbecue o andate in una Kebaberia di fiducia.

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