A cena da Özpetek… Pollo croccante e vista sul Gazometro!

Placido e con ampi spazi vuoti , appena si riesce a svicolare dalle grandi vie di collegamento, il quartiere Ostiense con le sue inesauribili contraddizioni è una delle zone più strane in cui può capitare di imbattersi a Roma …

Non fece in tempo a diventare un’area industriale  che era già  archeologia…  Il Gazometro  lo progettò un ingegnere scozzese alla fine del 1800…  Oggi  é abbandonato , tra le sterpaglie, la polvere, i capannoni isolati, insieme ad altri due fratelli minori, ma resta  il fascino triste di quell’enorme  cilindro di ferro,  vuoto e traforato contro il cielo… C’era all’inizio del ‘900,  enorme e fastoso,  il primo impianto pubblico per la produzione  di energia elettrica. …

La Centrale Montemartini aveva la Sala Macchine  tutta liberty  e ospitava  turbine, motori Diesel e la colossale caldaia a vapore. …  Dopo l’abbandono le vernici dei macchinari cominciarono a scrostarsi…  Oggi in un’atmosfera di surreale  eleganza ospita una ricca collezione di statue e teste marmoree di epoca romana  in mezzo agli squillanti colori blu e verdi  dei macchinari  e della struttura rimessi a nuovo.

Il Porto Fluviale sul Tevere..  I Romani antichi  ci trasportavano  le merci a Ostia che poi andavano via per il Mediterraneo… Lo vollero  riattivare  al tempo del fascismo, ma fu poca cosa, poco più di un’idea…  E dire che proprio lì vicino avevano creato la Garbatella, il quartiere  per  gli operai della nuova industria, che  finì per essere un quartiere di immigrati e di povera gente… Perché l’industria a Ostiense non fiorì mai davvero…

il “Ponte dell’Industria”  che ormai  si chiama “Ponte di Ferro” ha  un aspetto insolito per Roma, comune  solo nelle grandi città del Nord.. . Tutto ferro e ghisa fu costruito  in Inghilterra e portato  in città  a  pezzi  nel 1863.  Per un po’ servì la linea ferroviaria di Civitavecchia – Roma, ma già nel 1910 venne abbandonato per un ponte più grande…centrale_montemartini_agrippina_diesel-1

Vicino al Monte dei Cocci, a Testaccio, ma praticamente al confine con Ostiense,  nel 1890 aprirono  il Mattatoio,”l’ammazzatora” come  si diceva a Roma…  Sui tre fornici del grande ingresso dominava la  scultura  del genio alato che atterra il toro… All’epoca era uno dei più moderni d’Europa, ma fu chiuso nel 1975, cadde in degrado e faticò a lungo per  ritrovare  qualche vocazione culturale… Invece un silenzio quasi irreale, avvolge Piazzale delle Erbe  negli ex Mercati Generali,  infranto solo  dalle disperate grida dei gabbiani che volteggiano a bassa quota.

Il cantore di Ostiense è stato uno straniero che ne ha saputo cogliere  forse meglio di molti romani le angoscie e la solitudine ma anche l’inesauribile  voglia  di  vivere  e di volersi ancora bene…

Ferzan Özpetek nasce a Istanbul nel 1959, parente di due  pascià.  Gente bene, il padre lo voleva mandare in America a fare l’Università, ma lui  invece arriva a  Roma…  Chissà, forse è la passione per l’arte.. Studia infatti  Storia del Cinema e Regia ma anche Storia dell’arte  e comincia una dura gavetta… Il primo incarico  serio  è come assistente sul film ” Scusate il ritardo”, dove però il suo compito  più importante è quello di portare tè e biscotti a Massimo Troisi… Quando finalmente esordisce lo fa con due film che sono un richiamo nostalgico e diretto alla sua terra  “Il bagno turco” e “Harem Suaré” …  Il primo  racconta di un architetto italiano che  ritrova la sua perduta umanità nell ‘amore per un giovane  di Istanbul e il secondo é la passione della favorita del Sultano per un  eunuco,  guardiano  dell’ultimo harem… Sono già storie d’amore insolite  ma c’è quella straordinaria poesia di  Özpetek che ce le rende subito familiari.

Ostiense entra di prepotenza nel cinema di   Özpetek  con “Le fate ignoranti,”  un successo internazionale … Una signora della buona  società, vedova  al colmo del dolore, scopre il tradimento del marito dopo che lui è morto… All’inizio pensa a una donna e poi invece scopre  Massimo, un ragazzo che lavora  ai Mercati Generali di Ostiense…  E’ sarà il quartiere, corale e di antica solidarietà,  filmato senza retorica, sul filo di un’intima  dolcezza, che finirà per rendere naturali  e accettabili le storie, solo all’apparenza assurde, di un gruppo di omosessuali che vivono nello stesso condominio e che vorranno bene all’estranea signora senza preconcetti… Fin quando anche lei  riuscirà ad accettare Massimo, il tradimento del marito e l’amore…comunque esso sia…

Ferzan-Ozpetek-voi-siete-qui_650x435Özpetek a Ostiense  ci vive da anni e anni… Non ne può fare a meno,  come fosse l’unico posto  al mondo adatto a lui… Fra quei caseggiati spesso brutti e  quegli scheletri di vecchie fabbriche, rimasti lì come  occasioni perdute. E quando gira “Saturno Contro” pensa che il set più adatto sia la sua casa   dove si ritroveranno, come ne “Le fate ignoranti,” i suoi eclettici protagonisti.   Torna a parlare di amore omosessuale, senza innalzare difese e bandiere, come  di un sentimento naturale, che vive delle stesse domande e degli stessi problemi degli altri amori. C’è un gruppo di amici nell’appartamento di Davide e Lorenzo e attorno al tavolo della cucina si mostrano e si susseguono problemi,  paure, sogni, bisogni. fin quando la serenità  e la vita “normale” del gruppo viene spezzata da un  evento traumatico, l’improvviso malore di Lorenzo.  E lì inizia il dolore, l’amore, la solidarietà di tutti, nei lunghi corridoi dell’ospedale  dove Lorenzo morirà…

Sarà stato perché c’era  lì vicino il Mattatoio e c’erano i Mercati Generali, ma Ostiense è stato sempre un quartiere di trattorie e “cucine tipiche”, prima degli operai e degli artigiani, poi di tutti… E la tavola è anche e inevitabilmente una delle costanti di tutti i film di Ferzan Özpetek  a cui, anche nella vita privata, piace cucinare quei  piatti della tradizione,  che divennero le specialità del quartiere quando dal mattatoio i pezzi più pregiati delle carni andavano via e  per la cucina  di  Testaccio  e Ostiense  rimanevano  le parti  allora considerate   povere, che poi sono diventare un cult della cucina romana…  Le animelle,  la pajata, il pollo coi peperoni…  e naturalmente i pesci che all’epoca arrivavano direttamente da  Ostia e Fiumicino.   Qualche volta Özpetek però non sa che scegliere perché Ostiense è anche quartiere di grande pasticceria,  come  quelle meravigliose torte che gli prepara il pasticciere sotto casa  e che abbiamo visto   ne “La finestra di fronte”,-  un altro dei suoi più bei film che ha per protagonista un antico pasticcere…-  e naturalmente, come quella che trionfa alla cena di “Saturno contro”pollo

Ma poiché scegliere è sempre meglio che non scegliere, stavolta, in omaggio al romanissimo regista abbiamo puntato   direttamente su una sua ricetta, un piatto estivo saporito e fresco e nello stesso tempo di gran classe. E’ un piatto a base di pollo… una carne che una volta era così pregiata che si mangiava solo nei giorni di festa… Poi,  per molto tempo ha dato dispiaceri per l’impoverimento del sapore e della qualità, dovuti agli allevamenti in batteria , all’immobilismo  delle bestie  e ai mangimi incerti… Oggi con un po’ di pazienza  e buona volontà   si trova il pollo “ruspante”, quelle di razze ben selezionate, allevato a terra nell’aia, che cammina e si muove, non  diventa  mai troppo grasso, si nutre solo con i mangimi biologici e  naturalmente è a lento accrescimento…Ovviamente deve essere certificato per la garanzia di chi l’acquista. Costa natutralmente di più però ne vale la pena, sia per la salute che per il buon gusto, quello tanto caro a Özpetek.

POLLO CROCCANTE

INGREDIENTI per 4 persone,: 1 pollo di 1 Kg , aglio 2 spicchi, rosmarino 1 rametto, sale grosso 10 grammi, 2 limoni,due arance.

PREPARAZIONE:  spellare completamente il pollo e tagliatelo a pezzi, poi  fate arroventare una  padella antiaderente e metteteci i pezzi di pollo, unitamente ai due spicchi di aglio interi, il sale e il rosmarino. Mescolate continuamente per mezz’ora in modo che nessun ingrediente si attacchi alla padella e, se l’aglio dovesse imbrunirsi, toglietelo e sostituitelo con altri due spicchi.  Al termine della cottura, aggiungere il succo di due arance e due limoni e farlo evaporare. Servitelo accompagnato da un’insalata mista.

 

 

Que viva Mexico… Frida Kahlo e le Fajitas!

Frida Kahlo… una vita difficile,  sicuramente eccezionale. Nasce con la Rivoluzione Messicana… per la verità la precede di tre anni, ma  ci si identifica in modo così totale che dirà di essere nata nel 1910…La passione politica è  dominante perchè   è anche lo strumento della sua indipendenza… A quindici anni, alla  scuola di preparazione fa già parte dei “cachucas”, un gruppo di studenti che sostiene le idee socialiste nazionaliste  e la riforma dell’insegnamento… E’ lì perché vuole fare il medico, professione un po’ insolita per una donna  in  un paese dove  la rivoluzione, indubbiamente c’è, ma è tutta al maschile…  A diciotto anni ormai sapeva tutto sul movimento comunista… Erano mesi  ormai che lo leggeva e lo studiava stesa nel suo letto… E di fare il medico non se ne parlava più…  Aveva avuto  uno spaventoso incidente d’auto che l’aveva legata al letto per mesi…”Salii sull’autobus con Alejandro.. Poco dopo, l’autobus e un treno della linea di Xochimilco si urtarono.. Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange. Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro». Per 9 mesi deve portare un busto di gesso e stare quasi sempre  sdraiata… Oltre  a leggere la storia de la Rivoluzione d’0ttobre, comincia a dipingere.. «Da molti anni mio padre teneva…una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza..   chiesi a mio padre di darmela…Mia madre fece preparare un cavalletto, da applicare al mio letto, perché il busto di gesso non mi permetteva di stare dritta. Così cominciai a dipingere il mio primo quadro»  Dopo la madre  trasforma il letto di Frida in un letto a baldacchino e ci monta sopra un enorme specchio, in modo che lei, immobilizzata, possa almeno vedersi.. E’ cosi cominciano a nascere i suoi primi autoritratti… Alla fine ne avrà dipinti più di 50.

Più di un anno dopo ricomincia a camminare… Con un terribile busto che dovrà portare a vita. Ha  mille dolori che non la lasceranno più in pace, ma ha anche  molto da fare…  Innanzitutto si iscrive al partito comunista  e si  occupa subito di ciò che più le  sta a cuore, l’emancipazione delle donne,… Poi si unisce ad un gruppo di artisti e di intellettuali che sostengono il ” Rinascimento Messicano” l’ arte, indipendente,  tutta espressione popolare e “pittura murale… ” C’è da raccontare la Storia del Messico anche alla massa analfabeta …E poi naturalmente va a cercare, con i suoi piccoli autoritratti sotto il braccio, il più grande fra i pittori dei “Murales”… Diego Rivera, che a poco più di 40 anni è già una leggenda…Una pittura tutta sociale  la sua, in cui per la prima volta c’è la storia degli umili, degli sconfitti, dei reietti,… Grandi affreschi storici del Messico, nell’Eden  prima della “Conquista”   e poi la schiavitù, degli Indios prima  e dei campesinos dopo… Sino alla riscossa nell’apparire delle bandiere rosse e dei ritratti di Marx e Lenin nel Palazzo del Governo. Una  storia narrata con toni ora epici ora lirici, ma  sempre realisti, commossi e partecipati…

Non è così la pittura di Frieda, più drammatica, più onirica, spesso  simbolista… anche se i presupposti sono  simili a quelli di Diego… soprattutto quell’amore sconfinato per il Messico e per le tradizioni che si intrecciano e si confondono…

L’anno dopo nel 1929  Frida e Diego si sposano… Lei nonostante le sue menomazioni fisiche e la gamba più corta  è molto bella,  lui è grasso e ha venti anni di più, ma  le donne sono ai suoi piedi… Si innamora di Frida  ma la comincia a tradire, ancor prima di sposarla… Un  matrimonio che durerà 25 anni… Qualche giorno prima di morire Frida compra per il marito il regalo per le nozze d’argento… Ma in mezzo c’è di tutto… Liti, separazioni, tradimenti, divorzi… Lei è una donna emancipata…e accetta molte cose…  In fondo soffre molto di più perché non riesce ad avere figli   piuttosto che per i tradimenti del marito… Stanno tre anni negli Stati Uniti dove si sono innamorati della pittura di Diego, ma lei non è felice … Torneranno a precipizio e senza una lira in Messico quando distruggeranno il Murale del Rockfeller Center da dove lui si era rifiutato di togliere l’immagine di Lenin. Ma intanto  Diego ha introdotto Frida negli ambienti più selettivi e più intellettuali…  Nella “Casa Azul” dove ora c’è il Museo, al pianterreno c’era un tempo il living room dove negli anni si erano alternati  e  ritrovati  visitatori come Sergei Eisenstein, Nelson Rockefeller, George Gershwin,  e  attrici famose  come  Dolores del Río  e  María Félix… Lei,  tradita senza scrupoli da Diego, che era diventato l’amante di sua sorella…Non  avrà scrupoli a trovare in mezzo agli ospiti famosi i suoi amanti o le sue amanti…Del resto, se sono donne, Diego nemmeno si arrabbia… A Dolores Del Rio, Frida dedica  il quadro “Due nudi della Foresta” e il ritratto di Maria Felix lo appende sopra il suo letto…

Nel gennaio del 1937, Lev Trotsky e sua moglie arrivarono in Messico. Diego aveva fatto fuoco e fiamme perché il grande esule avesse un po’ di pace… Anche Frida farà  la sua parte …  Avrà con Trotsky una breve ma intensa relazione segreta. Parlavano in inglese per non farsi capire dalla moglie di lui e si scambiavano i bigliettini dentro le pagine dei libri.

Poi per un po’ di tempo Frida preferisce lasciare il Messico…A Parigi nel 1938  diventa  l’amante di Breton che  l’ama forse  per  il surrealismo che  vede  nella sua pittura.. nonostante  Frieda non si senta surrealista o almeno la sua è l’ idea di un surrealismo   giocoso… Spesso diceva ridendo e prendendosi gioco delle strane figure o degli strani oggetti che popolavano i suoi quadri ” Il surrealismo é la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie ”  Ma a Parigi c’è soprattutto la sua consacrazione… Prima ancora che la riconoscano in Messico, dove a lungo viene considerata poco più di un’ appendice del grande Rivera… “Kandiskij  fu così commosso dai quadri di Frida che, davanti a tutti, la sollevò tra le braccia e la baciò su entrambe le guance e sulla fronte mentre lacrime di schietta emozione gli scorrevano lungo il viso. Persino Picasso, il più difficile dei difficili, cantò le lodi delle qualità artistiche e personali di Frida. Dal momento del loro incontro fino al suo ritorno a casa, Picasso rimase sotto l’incantesimo di Frida.”

La rottura con Diego che sembra definitiva avverrà nel 1939 con il divorzio, E’ appena tornata dalla Francia e ora anche in Messico  cominciano a ri – conoscere i suoi quadri … Fa effetto quel  malinconico doppio di se stessa abbandonata ne “Le due Fride”, che dipinge subito dopo la separazione…Dal 1926 quando dipinse il primo autoritratto riflessa nello specchio del suo letto a baldacchino, il  tema del suo sdoppiamento, anche onirico, torna spesso, si ha come l’impressione che questo doppio riguardi  anche la sua natura. Ogni tanto, fin da ragazza, amava vestirsi con abiti da uomo e i capelli corti. C’e persino una foto in cui è ritratta in giacca e  capelli indietro  con tutta la famiglia e un “Autoritratto  con i capelli tagliati”del 1940.  Ma questo è solo l’ aspetto  più autobiografico della sua pittura… Il suo immaginario deriva dal Messico indigeno precolombiano che si mischia alle esperienze  spagnole …  esperienze e sentimenti di cui  prima ancora dei quadri  lei riveste se stessa… I grandi orecchini, il rossetto rosso fuoco, le gonne da contadina, dai colori caldi. Tutto poi va a trasferirsi nei quadri…   Lei diventa   ipnotica e sensuale, col viso metà indio, i capelli capelli neri come l’inchiostro e le  sopracciglia folte, “le sue due ali nere”, come lei stessa le definì. Con lei o senza di lei  la pittura si riempie del paesaggio messicano in una visione naif che spesso ricorda il “Douanier ”  nella ricchezza dei simboli… Nel fiorire del  cactus, nelle aggrovigliate piante della giungla dove appaiono le scimmie, i cani itzcuintli, i cervi e i pappagalli…   Quando  dipinge nei paesi  li riempie di immagini votive popolari, raffigurazioni di martiri e santi cristiani, tutti i miti ancorati nella fede del popolo…

Il divorzio con Rivera non durerà a lungo… Si risposano solo un anno dopo… Sono una coppia impossibile che non riesce  a fare a meno l’uno dell’altro…. Diego le è vicino anche perché la  salute di Frida peggiora di giorno in giorno e ai terribili dolori alla schiena nessuno sa dare medicine adeguate che non siano alcool e droghe…

Lei riuscirà a vivere ancora per vedere la prima grande mostra per lei che faranno in Messico nel 1953… Lui la costringe a partecipare trasportandole il letto a baldacchino… Stordita dagli antidolorifici  lei a letto, beve  e canta  con il pubblico…  L’anno dopo si ammala  di polmonite. Durante la convalescenza va   a una dimostrazione contro l’intervento statunitense in Guatemala, reggendo un cartello con il simbolo della colomba che reca un messaggio di pace. Pochi giorni dopo muore, ma nel suo ultimo quadro fatto di rossi cocomeri, su uno di esso aveva scritto “Viva la vita”

Un piatto fortemente messicano  per Frida, dove  forte si sente il sapore dei peperoni, arrivati sino a noi da lontane civiltà…

FAJITAS CON POLLO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 tortillas di farina, 3 cucchiai di olio di oliva extra vergine, 2 cucchiai di miele, 2 spicchi di aglio, 2 cucchiai  di erba cipollina, 1 cucchiaino di peperoncino, 4 petti di pollo, 2 peperoni di media grandezza, sale e pepe a piacere

PREPARAZIONE: Preparate una marinata mischiando in un piatto fondo il miele, l’olio, l’erba cipollina, lasciandone per la decorazione u1/2 cucchiaio, il sale, il pepe, gli spicchi di aglio affettati  e il peperoncino tritato. Tagliate i petti di pollo a pezzetti e metteteli a prendere sapore nella marinata, ricoprite il piatto con pellicola  trasparente e fate riposare per almeno un’ora. Nel frattempo arrostite i peperoni,spellateli, togliete i semi, tagliateli a strisce e metteteli da parte. In una padella antiaderente,precedentemente scaldata a fiamma viva mettte a cuocere il pollo ancora imbevuto di una parte della marinata e appena è leggermente dorato aggiungete i peperoni e fate cuocere per un paio di minuti. Nel frattempo in una padella a parte appena imbevuta di olio fate cuocere per un minuto complessivo le dortillas da entrambe le parti. Poggiatele  sul  piatto di portat , copritele con il pollo e i peperoni, arrotolatele, cospargetele della restante erba cipollina e servitele.

Huevos Rancheros, un piatto messicano per Georgia O’Keeffe

All’inizio del ‘900, nessuno avrebbe potuto immaginare che la seconda metà del secolo avrebbe trovato in America la patria di tutte le avanguardie artistiche…Del fermento che si agitava in Europa niente sembrava allora scalfire le serene scuole d’arte americane e la maggior parte dell’opinione pubblica.  Dopo la pittura degli impressionisti la realtà  non era più stata la stessa, ma neppure le grandi navi  che andavano e venivano, riuscivano a trasportare qualcosa di nuovo  fino al… “Mondo Nuovo”…   Solo  nel 1913  fu finalmente  organizzata  a New York la storica mostra  dell’ Armory Show… 1200 dipinti, sculture e opere decorative di tutte le correnti dell’avanguardia europea… cubismo, fauvismo. impressionismo… Ma non  fu un  successo,  solo rabbia e sconcerto. Le cronache riportano recensioni piene zeppe di parole come “pazzia”, “immoralità” e “anarchia”. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt si affrettò a dichiarare stizzito:  “…Non è men vero, tuttavia, che cambiamento può significare morte e non vita e regressione anzichè progresso…Questa non è arte!

In questo clima ostico a tutti i cambiamenti erano anni che Giorgia O’Keeffe, giovane pittrice americana controcorrente,originaria  di Sun Prairie, nel Wisconsin,  stava cercando una strada  lontana dalla pittura storicista e  di imitazione…  Nel 1908 a New York  sembrava aver trovato   quello che  cercava  nella Galleria di un poco conosciuto e criticato espositore, il fotografo  Alfred Stieglitz,…  Ma poi  deve  abbandonare gli studi… Fa la grafica pubblicitaria, insegna,  segue solo qualche corso di pittura qua e là,  finchè le capita di leggere Kandinsky… “Forme e colori non devono rispecchiare il modello naturale, bensì i sentimenti, il mondo interiore dell’artista”…

E’ già il 1915 , quando inizia … “Ho delle cose in testa che nulla hanno a che fare con quello che mi hanno insegnato…sono giunta alla conclusione di considerare vere le mie concezioni… ”  I suoi disegni a carboncino, li spedisce a New York un’amica di Georgia e solo per un caso finiscono nelle mani di Stieglitz… Sembrano forme organiche  di  una  natura primordiale, superfici piatte che fanno pensare alla pittura giapponese … Stieglitz ne è colpito e li espone  nella sua Galleria il ” 291″ diventata con gli anni un forte punto di richiamo dei nuovi artisti americani…  Dopo lei gli manda i suoi acquerelli … Nudi femminili dai contorni indefiniti, dove  il diverso spessore del colore dà  un vivace senso  di movimento… C’è tutto  lo spirito di Rodin, che lei aveva visto tanti anni prima … Proprio lì, in quella galleria di Steiglitz, con il quale, ormai, è amore … Difatti Georgia lascia il Texas… E’ il 1917 e torna a New York … Lui è affascinato da questa donna così autonoma, indipendente  lontana da tutti gli stereotipi di famiglia e di vita borghese…  Presa solo di passione  e urgenza per i colori e le forme che le agitano la mente…. Attorno a  Stieglitz  ci sono  i nuovi artisti… Fotografi e pittori  da cui lei assorbe  l’incanto per i fiori e la pittura dilatata sui primi piani, che può alterare l ‘aspetto degli oggetti, dando vita a forme  di astrazione prima inesistenti o non visibili…

Ma prima ancora di essere conosciuta per  i suoi quadri, Georgia, a New York,  è lanciata dalle fotografie di  Stieglitz, di  cui diviene  modella e Musa… Nelle mostre del 1921 e del 1923  metà delle foto sono ritratti e  nudi di Georgia…  Subito dopo arrivano i fotografi  famosi  della cerchia di Stieglitz e con  il  viso dagli alti  zigomi, le bellissime mani  “danzanti” e il  corpo morbido e allungato come una  Venere di Cranach, Georgia diviene la donna più fotografata del mondo.

Nel 1924 vengono esposti i suoi grandi immensi fiori,  alcuni luminosi, altri vortici di buio…  L’ingrandimento è voluto, i dettagli dominano il primo  piano… Anche il “velluto” dei petali  e’ palpabile…..” E’ il fiore visto dal punto di vista dell’ape”… Così lo aveva  teorizzato Georgia prima di dipingerlo… Ma, strappato alla  sua correlazione  naturale, l’effetto finale diventa  autonomo… e  fortemente erotico…  Sono eleganti simboli sessuali che lei ha liberato dal suo incoscio, afferma Stieglitz  e un noto critico d’arte scrive  un saggio  sui reconditi significati…   Quegli strani oggetti pieni di voluttà, hanno un successo incredibile… Fra le foto  di nudo e i  quadri dei fiori, Georgia diventa famosa… E’ un’immagine inconsueta, per la sensibilità dell’epoca, un ‘artista libera e disinibita… Fuori dagli schemi… non corrisponde a nessun cliché …

A parte la donna, oggi più identificabile, resta difficile  definire l’arte di Georgia O’Keeffe… Questi fiori che si impossessano dell’intera tela, sicuramente  esistono, ma  in  una realtà che è diversa, individuale,  tutta  impregnata della personale “magia” dell’artista, degli occhi con cui lei guarda il mondo… La stessa cosa accadrà quando si vorrà confrontare con la realtà a lei più vicina… Mentre  comincia a dipingere New York  nel 1925 , lo sky line della città non è ancora del tutto definito, ma lei ne coglie lo stesso  l’aspetto essenziale …  La sua Verticalità… Per il resto non c’è una netta definizione… Forme di edifici a torre, ridotte a  geometrie semplificate dove  nella notte  splende la ripetitività  delle finestre …Il “Radiator Building”  fa   venire in sogno  la magia  di un castello  antico,  abitato da fate o forse da vampiri… Da “City Night” o da “l’Hotel Sheldon con riflessi di sole”si aspetta invece che balzino fuori i   nuovi cavalieri della fantascienza…

E’ sul finire degli anni ’20 che Georgia O’Keffe comincia a lasciare un po’ per volta New York … Stieglitz la opprime… E la tradisce… Anni di lotta continua per affermare piccole parti di se stessa l’hanno lasciata esausta…E mentre avverte la presenza di altre donne si ritrae…  E  finisce per trovare  la sua verità definitiva  nella vastità del New Mexico…   L’affascina il nudo paesaggio desertico e  le colline di sabbia rossastre con le scure mesas alle spalle…  Scrive ”  Qui fuori, nelle Badlands, che si estendono per molte miglia si possono vedere tutti i colori di terra della tavolozza di un pittore, dal giallo Napoli chiaro  attraverso i toni ocra – arancione,rosso e porpora – sino ai morbidi toni del verde. ” … E ancora “Ho colto fiori dove li ho trovati, ho raccolto conchiglie e pietre e pezzi di legni…Quando ho trovato le belle ossa bianche nel deserto, le ho raccolte e le ho portate a casa… Ho dipinto questi oggetti per esprimere ciò che significavano per me la vastità e il miracolo del mondo in cui vivo.”

Se per i critici  d’arte le ossa sono segni di morte lei,  di ossa aride ormai  non potrà più fare a meno e ci cospargerà i suoi quadri…  I protagonisti del suo  rinnovato  universo…  “Le ossa – scriverà – sembrano portare proprio al centro di ciò che nel deserto è più vivo, benché esso sia ampio,vuoto e intangibile e benché, nonostante tutta la sua bellezza, non conosca l’amicizia…”  Tornerà ogni tanto a New York, il legame con il marito non si interromperà mai del tutto, tanto forte era lo spirito che li teneva assieme, ma per questa dona affamata di realtà, che ha bisogno di soggiogare e  trasformare,  il deserto diventerà la sua casa… E   la mirabile architettura delle ossa del bucranio,  saranno  il suo nuovo mondo,    Diventeranno immensi, evocati  fantasmi  a protezione del deserto, in opere come “Dal lontano vicino” o  saranno delicati intagli di bianchi e neri  nei surreali accostamenti ai fiori artificiali delle sepolture spagnole…

Dopo che suo marito era morto  prese a girare il mondo, lasciando nuovamente dietro di sé quell’immagine di donna eccentrica, avventurosa e non classificabile… Ne ritornò con liquide immagini azzurre e bianche viste dall’alto… i suoi fiumi  che correvano in pianure vuote e desolate sotto la coltre delle nuvole  “…Le nubi sotto di noi erano straordinariamente belle, spesse e bianche… Tutto appariva così solido che io pensai che avrei potuto camminarvi sopra, fino all’orizzonte, se qualcuno avesse aperto la porta… Non vedevo l’ora di arrivare a casa  e di dipingere… ” Lo farà fino quasi alla fine quando ormai non ci vedeva  … Ma in quel deserto volle restare, fiera e  orgogliosa della sua solitudine,  nella vastità che non aveva neanche più bisogno di vedere, tanto era dentro di lei… Ma forse era vero il contrario …Era stata lei a entrare nel deserto e a diventare parte di quel  Dio,  sconosciuto ai più…

Molti oggi  considerano Georgia O’Keeffe la più grande pittrice americana del 20° secolo…  Nel New Mexico, che lei scelse come patria di elezione, la cucina di tipo messicano è un mix  di  cucina spagnola e india, oggi spesso rivisitata dalle influenze che arrivano dal Nord degli Stati uniti.  Ma le Huevos Rancheros sono  un cibo  ancora nel solco della più tipica  e tradizionale cucina messicana. Venivano  servite   nella colazione di metà mattinata  agli agricoltori  che usavano fare una pausa con un pasto molto sostanzioso dopo la frugale colazione di prima mattina.

HUEVOS RANCHEROS

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:  olio extra vergine di oliva q.b.,  250 grammi di cipolle,  500 grammi di peperoni, rossi, gialli o verdi, 1 cucchiaino di cumino, 1/2 cucchiaino di sale , 1/2 cucchiaino di pepe di cayenna, 1/2 cucchiaio di jalapeno, 1 spicchio di aglio, 250 grammi di pomodori freschi o pomodori a pezzi in scatola, 200 grammi di brodo di pollo, 3 cucchiai di cilantro, 4 tortillas di mais, 2 cucchiai di burro, 350 grammi di cheddar, 8 uova grandi,

PREPARAZIONE: per prima cosa  si prepara la salsa detta appunto Ranchero che verrà versata sulle  uova. Scaldate in un tegame l’olio e poi aggiungete i peperoni e la cipolla tagliati a pezzi facendoli cuocere per 5 minuti circa a fiamma media, rigirando di tanto in tanto per evitare che si brucino.Aggiungete il cumino,il sale, il pepe di cayenna, il jalapeno sminuzzato e l’aglio tagliato a fettine sottili mescolando. Versateci sopra il brodo di pollo e i pomodori e fate cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio,per restringere la salsa.Togliete la pentola dal fuoco,aggiungete il cilantro  sminuzzato e tenere da parte.

In una padella ampia fate scaldare poco olio di oliva che avrete spalmato su tutto il fondo, aggiungete una tortilla alla volta girandola da entrambe le parti per  1 minuto complessivo di cottura e ripetendo il procedimento per tutte e 4 le tortillas.

In un altra padella di medie dimensioni fate scaldare 1  cucchiaio di burro, rompeteci dentro due uova  mantenendo il tuorlo intatto, salatele e dopo cotte mettetele a parte in un piatto dopo avervi spolverato sopra la metà del cheddar grattugiato o spezzettato finemente. Aggiungete un altro cucchiaio di burro e seguendo lo stesso procedimento fate cuocere le restanti uova. Mettete una tortilla in ogni piatto, poggiatevi sopra due uova ciascuno e ricoprite con la salsa Ranchero.

Marco Ferreri, Le Paté de Canard e La Grande Abbuffata!

Nelle eleganti e patinate atmosfere borghesi, Ferreri irrompe  con la sua carica dissacratoria a distruggere  tutte le certezze a cui  eravamo assuefatti… Gli obiettivi  per cui l’uomo ha lottato per secoli… Un buon lavoro, una bella casa, un posto in società.. All’improvviso perdono di significato  o diventano  addirittura proprio le malattie dell’uomo moderno… Quelle per cui vale la pena di morire…

Quando realizza”La grande abbuffata,” Marco Ferreri ha già alle spalle 10 anni di film che hanno dato fastidio e che molti  hanno rimosso perché costringono a riflettere… La famiglia tradizionale è una delle prime istituzioni  su cui, questo gigante, dai dolcissimi occhi azzurri, ha cominciato a  lanciare i suoi strali… “El Pisito” parte dalla problematica tutta  anni ’50, della mancanza di alloggi, per mostrarci un arido  protagonista costretto a rimandare le nozze… A data da destinarsi, perché la coppia non  trova casa…   Lui sposerà allora l’anziana proprietaria della pensione in cui abita, aspettandone con ansia la morte… Avrà in eredità la casa… e  coronerà il suo sogno d’amore. Ma non  fa  bene i conti… Perché  si  affeziona alla vecchia signora e seguiterà a  rimpiangerla  dopo  aver  sposato la sua gretta e prepotente  fidanzata… Ferreri seguiterà poi a infierire con “L’ape Regina,” dove una moglie avida di sesso  distruggerà il marito facendolo morire di consunzione… Mentre con la tragedia de “La donna  Scimmia “, una storia vera, la sua critica feroce al matrimonio – convenzione  diventa accanimento, fiera del grottesco, della cattiveria e del cinismo.

“Dillinger è morto,” invece, avrebbe potuto già essere una conclusione, tante sono le  drammatiche  e corrosive  situazioni  del più totale disfacimento… Le strade senza anima, l’ inquinamento ambientale  e la maschera antigas, lo squallor dei filmini delle vacanze, il sesso anemico e l’inutile uccisione della moglie …   Una sterile ribellione  senza alcuna liberatoria…

Amarissimo “L’Udienza”, con quell’impossibilità tutta kafkiana di comunicare con il potere e il soccombere di chi ci si avvicina è una dura critica alla burocrazia e non solo a quella vaticana… Pronta a tutto, pur di garantire la propria distaccata  supremazia … Grottesco e disperato “La Cagna”, con il gioco dei rapporti di coppia sempre malati, sempre in disequilibrio e la disperazione dell’uomo moderno che non riesce  a vivere nella civiltà  e nemmeno  a starne lontano…

“La grande abbuffata” ha opulente  scenografie e una disperazione cupa per un suicidio… Collettivo, ragionato e dimostrato come un teorema… “Se non mangi non puoi morire”  sentenzia Tognazzi, capovolgendo il grido della fame del mondo che arriva da continenti interi. Ma i 4 quattro uomini quel grido non lo possono udire… Sono troppo stanchi della loro vita noiosa e inappagata … L’anima l’hanno già persa… E’ necessario perdere anche il corpo… Così si chiudono in una casa un po’ decadente, nei dintorni di Parigi e mangeranno… Tanto, troppo, smodatamente e a lungo, fino a morirne. E in questo percorso, assurdamente illuminato dalla tenerezza e dall’amicizia e sempre più degradato, si arriverà alla fine… Ferreri non  farà loro  mancare niente… Gli strumenti del suicidio, quelle materie prime, così indispensabili all’obiettivo, arriveranno tutte le mattine, spesso da Fauchon e  Ugo, proprietario del ristorante “Le Biscuit a Soup” e grande chef, provvederà amorevolmente a preparare per i suoi amici suicidi  le pietanze più prelibate, come il “Cocktail di gamberetti” o quelle più immaginifiche come  “Il Paté de Canard” o gli “Ossibuchi giganti”…

L’immaginazione più sfrenata e la morale più severa, sia pure travestita da sarcasmo o  sberleffo, convivono nella personalità poliedrica e unica di un  Maestro del cinema come Ferreri che, qualche volta ricorda il surrealismo di Bunuel e a volte l’Italia delle grandi corti rinascimentali. Sui personaggi, su quei quattro  favolosi interpreti e sulle ricche  pietanze  che entrano in scena come cammei, occorre approfondire e tornarci sopra… Oggi presentiamo  uno  dei piatti più famosi della cucina francese, spesso oggetto di numerose varianti, nella versione in cui ce l’ha tramandata Ugo Tognazzi  grande cuoco, nella vita e nell’arte… Così come l’aveva preparata nella villa di Parigi.

PATE’ DE CANARD

INGREDIENTI per 10 persone: 1 anatra di circa un Kg, 200 grammi di pancetta,300 grammi di carne di maiale, 250 ml di vino liquoroso (Porto,Madera o Marsala), 1/2 bicchiere di vino bianco secco, 2 bicchieri di cognac o brandy, 4 fegatini di pollo, un dado per brodo, qualche fogliolina di timo, 1 carota, 1 foglia di alloro , 1 tartufo nero, 1 barattolo di fegato d’oca  da 50 grammi, 1 uovo, sale e pepe q.b.,

INGREDIENTI PER  LA PASTA DEL PATE: 300 grammi di farina, 100 grammi di burro, 2 uova, sale q.b.,acqua.

INGREDIENTI PER 1/2 LITRO DI GELATINA:  7 foglietti di colla di pesce, 50 cl di acqua fredda,1 cucchiaio di estratto di carne, 2 cucchiai di vino marsala secco, 4 grani di pepe,sale

PREPARAZIONE DELLA GELATINA:lasciate ammorbidire  i foglietti di colla di pesce in acqua per 15 minuti,strizzateli e metteteli in una casseruola con acqua fredda,sale,pepe,l’estratto di carne e sbattete con una frusta. Ponete la casseruola su fuoco molto basso e sempre sbattendo portate a ebollizione. Coprite e lasciate sobbollire per 5 minuti. Filtrate la gelatina attraverso un setaccio molto fine e lasciate raffreddare a temperatura ambiente.

le-saint-regisPREPARAZIONE DEL PATE: disossate l’anatra, ponete  le ossa in una casseruola e la carne  spezzettata dell’anatra in una ciotola. In un’altra ciotola mettete  i petti che avrete tolto all’anatra disossata, il fegato d’anatra, i fegatini di pollo con  la metà del vino liquoroso, 1 bicchiere di cognac e fate marinare tutta la notte. Nella ciotola dove c’è l’anatra aggiungere la carne di maiale, la pancetta tagliata a cubetti, il timo, l’alloro  poi cospargete di vino bianco, il resto del vino liquoroso, il resto del cognac e lasciate ugualmente marinare per l’intera notte. Il giorno dopo preparate  il brodo con le ossa dell’anatra, la carota,il dado da brodo, il sale e il pepe, ricoprite d’acqua e fate bollire per circa tre ore a fuoco basso. Se è necessario aggiungete altra acqua durante la cottura. Dovrà risultare alla fine un brodo molto ristretto.

Nel frattempo preparate   la pasta facendo una sfoglia con la farina, due uova, il burro fuso, il sale e un po’ d’acqua.  Rendete omogeneo l’impasto, formate una palla e fatelo riposare in un canovaccio umido per circa tre ore. Prendete la carne di anatra e di maiale ridotta a pezzi e passatela due volte al tritacarne, poi  mettetela in un tegame e aggiungete un poco di brodo passato al setaccio. Stendete la sfoglia di  pasta e con questa foderate la base e le pareti di uno stampo rettangolare, dal bordo apribile,  facendo fuoriuscire la pasta  di un centimetro oltre il bordo. Preparate un altra sfoglia rettangolare che vi servirà per coprire il paté. Ricoprite ora il fondo dello stampo con uno strato di carne tritata sopra il quale metterete i filetti di petto d’anatra, il fegato d’anatra e i fegatelli di pollo scolati dalla marinata e infine  aggiungete il resto della carne macinata. Ricoprite con la sfoglia saldando i bordi e praticate un foro  di sfogo sulla superficie nel quale inserirete un piccolo imbuto di alluminio per evitare che si possa richiudere durante la cottura. Sbattete un uovo e ricoprite la superficie della pasta, poi mettete lo stampo in forno pre – riscaldato a 150°C e fate cuocere per un’ora controllando di tanto in tanto che la crosta non bruci. Se necessario abbassate il calore del forno e prolungate la cottura. Prima di aprire lo stampo fate raffreddare il paté, poi attraverso il foro lasciato in superficie, versate la gelatina  mescolata con un po’ di vino liquoroso e mettete in frigo per almeno 3 ore. Estraete dal frigo il paté mezz’ora prima di portare in tavola e accompagnate con pane tostato, riccioli di burro, qualche foglia di insalata, olive etc.

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Un dolce rustico per Giorgio Armani: la sbrisolona

Fra sanzioni prima e tempo di guerra  poi, molte cose erano sparite dalla vita degli italiani…Il cibo era razionato  e di tessuti  se ne trovavano ben pochi e a prezzi spaventosi… Le persone grandi, girando, rigirando  e “rimodernando” –  come eufemisticamente si diceva –  cappotti e giacche, in qualche modo riuscirono ad arrivare a guerra finita… Ma per i bambini  era diverso… crescevano in fretta e riciclare i vestiti dell’anno prima era difficile. Per fortuna  si trovavano le stoffe militari… per le divise dei soldati… Così sua madre  si adattava con quei ruvidi tessuti e cuciva da sola i vestiti per Giorgio e sua sorella. Lei veniva da una famiglia in vista  a Piacenza e  le sembrava importante mantenere un certo decoro, nonostante i  tempi  difficili.. Probabilmente fu allora, che Giorgio  cominciò a interessarsi agli abiti e,  magari inconsciamente, a capire il valore simbolico che si portavano dietro…  L’equilibrio e il “meno che diventa più” lo intuì invece  appena un po’ dopo! Poteva avere 12 anni e la guerra era finita … Miracolosamente arrivò un pollo in casa…Era Natale  e la madre  volle decorare la tavola a festa… Sembrava a tutti bellissima sin quando Giorgio non  freddò l’ambiente “Troppi fiori… disse a sua madre,  togline un po'” Dopo pochi anni andarono via da Piacenza… Suo padre aveva trovato lavoro a Milano e per Giorgio fu uno choc… Non poteva allora immaginare quanto  Milano sarebbe stata importante… Quando tornò dal servizio militare abbandonò anche gli studi di medicina… Era rimasto deluso da entrambe  le esperienze e tanto per trovargli un lavoro un’amica  lo fece assumere come vetrinista a “La Rinascente”… Quello fu il suo ingresso nel mondo della moda, dalla scala di servizio, per 10 anni di fila…Poi l’incontro con Nino Cerruti… il design e  la gestione aziendale, con uno sguardo a 360 gradi. sul complesso mondo dell’alta moda… Ma “Giorgio Armani” lo diventa tardi.. quasi alle soglie dei quarant’ anni… Fu il suo amico Sergio Galeotti a spingerlo…Uno studio ufficio in due stanze arredato con i soldi ricavati della vendita delle loro auto…   A Porta Venezia  Giorgio disegnava e Sergio teneva i contatti col mondo.

Nel 1975 la prima linea uomo – donna pret a porter… che rende felice Giorgio perché da Cerruti si era occupato solo di moda maschile…La collezione che  fa gridare  al nuovo talento  arriva rapidamente  l’anno dopo nella Sala Bianca di Firenze, ed è l’inizio della sua rivoluzione: è   la “giacca destrutturata”…  un  unico stile per donne e uomini! Materiali di pregio, morbidi come il cashmire,  senza  imbottiture e  grandi spalline,  bottoni spostati, asole cucite a mano, impunture a vista e fessino aperto…  Se qualche supporto interno rimane è  solo  di prodotti naturali come il crine di cavallo. “Volevo che le donne portassero giacche, cravatte e smoking come gli uomini, ma che restassero il più femminili possibile.” E ciò ovviamente non sarebbe stato possibile con quelle giacche così rigide e pesanti.  E’ una donna del tutto nuova quella di Armani… che però veniva da lontano…la prima ispiratrice può essere stata Cocò Chanel  con gli smilzi vestitini di jersey , senza strozzature in vita dietro i quali  le linee del corpo giocavano a nascondersi e rivelarsi seguendo i  movimenti. Fra quelli più vicini a lui c’era Kenzo lo stilista giapponese figlio di più culture che mischiava  assieme con assoluta  nonchalance oriente e occidente…

Grande tentazione quella dell’oriente che in Armani si riaffaccerà periodicamente… All’inizio degli anni ’80 Armani è già un mito e  Hollyvood  abbandona i suoi sarti  per  Armani  quando si tratta di vestire Richard Geere che deve interpretare l’equivoco bellissimo “American Gigolo”. Nel 1982 Time gli dedica una copertina… E’ la consacrazione”  Con l’andar del tempo Armani muta  e si invaghisce di tante donne diverse che a ben guardare però sono sempre le stesse con pochi  colori per volta, tanti grigi, neri e bianchi e il suo tipico azzurro. Lo stile inconfondibile è  fatto di  cose essenziali e qualche improvviso guizzo di fantasia nel drappeggio, nel colore, nell’oriente…  All’inizio, negli anni ’70 la donna Armani  è  sportiva, classica  e confortevole, con qualche riferimento retrò (cappello cloche)  …. Nel pieno degli anni ’80 ha un  look tipicamente yuppie, caratterizzato da un mood femminista e androgino… spalle larghe e camicie “baby” con tessuti soft e cascanti.  Nel ’90 si lascia tentare  da  quelle  strane dive  americane, alte flessuose… con qualche tratto maschile come  Marlene Dietrich o Greta Garbo che  spesso indossavano  larghi pantaloni  alti in vita, ma nello stesso tempo l’oriente  coloniale si affaccia prepotentemente   ne “Il te nel Deserto” … Ancora  dagli anni duemila in poi ritorna allo stile degli anni 20 e 30 e alle  le sarte hollywoodiane  che preparavano  sontuosi abiti fatti di tessuti leggerissimi  e appena velati  su cui poggiavano complicati ricami di paillettes.  Un mondo di fragili eleganze tutto da rivisitare e mischiare disinvoltamente assieme a gheishe e ai fior di pesco come nella collezione del 2011…E in tutto questo Armani è rimasto fedelissimo alla moda uomo con cui aveva iniziato  puntando  sui jeans  da abbinare  spesso alla  giacca e alla cravatta a farfalla in un casual che diventa unico … e  imitatissimo, alle bluse morbide che va a saccheggiare  nei guardaroba femminili e  i nuovissimi trench con le bretelle anziché con la cinta. L’intimo uomo poi è  stato un successo nel successo  per il  modo di modellare  e di equilibrare  fatto di tagli perfetti e pochi colori… qualche anno fa pare che abbia pagato cifre astronomiche per avere come Testimonial  David Beckham, Rafael Nadal e Christiano Ronaldo.

Lo chiamano Re Giorgio, ma il suo ormai è un Impero… A lui hanno chiesto tutto … e tutto si è inventato… Profumi dai nomi deliziosi come “Acqua di Jo”, la cantante Beyoncè  che  presenta  Emporio Armani Diamonds, occhiali, accessori, gioielli, borse, scarpe.. La passione per l’arredamento, fortissima, invece  ha fatto nascere “Armani Casa”  con sontuosi alberghi come quello di Dubai o con centri vendita come  l’Armani Ginza Tower a Tokio  o la sede di Milano a Via Bergognone …

Un settore dove Armani ha rivelato se stesso sino al più profondo del suo cuore… Purissime linee dove  l’ essenzialità si è mischiata  allo spirito dell’oriente… ma a quel particolare oriente che è lo  Zen  e ha dato vita ad ambienti rigorosi, con pochi colori… Il suo stile minimalista  che ha raggiunto il massimo del “less is more…” Fra le realizzazioni di Armani Casa c’è anche il suo ultimo  yacht … Il “Main” 65 metri di lusso, raffinatezza e semplicità.. Peccato che Armani non lo possa dividere con Sergio Galeotti, il suo grande compagno degli inizi, quello che con il suo coraggio e la sua ammirazione gli ha dato la forza per cominciare  “Quando siamo partiti, io non ero uno stilista e lui non era un manager. Ma si è applicato, con ostinazione, con testardaggine, fino a diventare un personaggio …. E’ stata sua l’ idea di fare una struttura tutta nuova, senza produzione, ma solo ideazione e, in qualche caso, vendita. ..”   Così lo ricorda Armani… Perchè Sergio  morì molto presto, nel 1985 … e lui non è più riuscito a dimenticarlo.

Armani  ormai è conosciuto anche per i suoi alberghi e i suoi ristoranti sparsi ai quattro angoli della Terra  dove si mangiano le specialità esotiche più raffinate e particolari… Ma in fondo, nonostante il mondo intero sia ormai la sua patria, una parte di Armani è sempre rimasta a Piacenza, in quella provincia dove si sentiva protetto  e da cui ha fatto tanta fatica a staccarsi. E da Piacenza abbiamo scelto questo rustico e leggendario dolce  tipico della Lombardia e ospite indiscusso delle tavole piacentine che è:

LA TORTA SBRISOLONA

INGREDIENTI per 8 persone circa: Farina di mais 250 grammi, farina di mais macinata più finemente detta “fumetto”  150 grammi,mandorle pelate 150 grammi, mandorle non pelate 50 grammi, zucchero 200 grammi, burro 110 grammi, strutto 100 grammi, vanillina 1 bustina, la buccia grattugiata di un limone, 2 tuorli di uova.

PREPARAZIONE: tritate grossolanamente le mandorle trattenendone 50 grammi intere per la decorazione. In una terrina di grandi dimensioni mettete la farina di mais nelle due versioni, le mandorle tritate, il burro, lo strutto, la vanillina, la scorza di limone, i due tuorli di uova e lo zucchero, trattenendo a parte due cucchiaiate. Lavorate velocemente tutti gli elementi senza amalgamarli troppo perché l’impasto deve rimanere un po’ grossolano,. Imburrate una tortiera del diametro di circa 25 cm. di alluminio usa e getta perché  al termine sarà più facile liberare la torta.Distribuite l’impasto sulla tortiera  sbriciolandolo con le mani mentre lo inserite e senza pressarlo sul fondo. Sulla superficie poggiate le mandorle  intere formando un disegno a piacere. Cuocete nel forno preriscaldato a 180°C per circa un’ora, poi toglietela dal forno e fatela freddare prima di estrarla dalla tortiera. Poggiatela sul piatto da portata e cospargetela di  zucchero prima di servire. Attenzione: c’e un rito da rispettare! La torta Sbrisolona si spezza con le mani. Vietati i coltelli.

Danièle Delpeuch, cuoca di Mitterrand e la Poulette en Demi Deuil!

E’ appena uscito un film francese … “La Cuoca del Presidente” e racconta  l’incontro e la delicata amicizia fra una Chef  donna, Danièle Delpeuch e uno dei più grandi presidenti della storia francese Francois Mitterrand! Sembra che questo film l’abbia voluto Holland in persona o qualcuno a lui molto vicino. Ma che strano modo riportare alla ribalta Mitterrand, l’epico Presidente socialista, dall’immagine  ormai offuscata, con una storia di cucina… Del resto  si sa…  Per i francesi, la cucina è  una delle glorie nazionali, fa parte integrante della “grandeur” e non è raro trovare  cibo, personaggi della storia e della politica mischiati assieme.  Presidente per 2 volte nella V° repubblica, si parla spesso di Mitterrand come dell’ “Ultimo Monarca” o dell’ “Ultimo Re Rosso”… In effetti gli industriali e l’alta finanza  non gli hanno mai perdonato di aver aumentato i salari e diminuito le ore di lavoro agli operai e la Francia più conservatrice trovò da criticare  quando tolse la pena di morte…  Ma a lui figlio in linea diretta dell’Illuminismo, piaceva dire che “La Francia aveva condannato gli uomini alla libertà.”  Ma nonostante le sue posizioni d’avanguardia era anche uomo  di contraddizioni e di tradizioni… probabilmente quella provincia dello Charente, dov’era nato nel cuore della Francia più profonda  gli era rimasta attaccata addosso. Forse fu per questo che non volle mai divorziare da sua moglie nonostante avesse un’altra donna  e un’altra figlia Mazarine… che tenne segrete, quasi fino alla fine. Quando cominciò il secondo mandato presidenziale l’Eliseo cominciò a infastidirlo … Troppo cerimoniale, troppe regole e una cucina tutta d’apparenza… che se poteva andar bene per i banchetti ufficiale, era troppo pesante per i pasti quotidiani… e nel suo rigore un po’ giacobino la trovava anche un po’ ridicola.

Lei Danielle Delpeuch, invece era nata a Parigi, ma a 12 anni era già in Provincia, in una vecchia fattoria  nei pressi di Chavagnac, nel Perigord. Suo padre era morto e non avevano i mezzi per restare  in città. Qualche altra adolescente  si sarebbe annoiata e disperata in quella grande casa contadina, ma Danièle era sveglia e crescendo con la nonna imparò a cucinare, utilizzando i prodotti  del suo territorio… Quella era terra di tartufi! Poi aprì una scuola e un ristorante … In  quella casa vecchia di 700 anni, che si prestava e dava  prestigio a tutte le iniziative  di quella scatenata ragazza. Prima arrivarono i turisti americani e poi i grandi chef… Si era sparsa la voce che Danièle preparava un ottimo fois gras e lo venivano a prendere per i loro rinomati ristoranti.  Danièle aveva già 4 figli, ma un matrimonio così scricchiolante che preferì andarsene per un po’ di tempo in America dove si perfezionò e divenne amica di Julia Child…  Al suo ritorno in Francia  era una ormai al top tanto che la nominarono, cosa che alle donne non succedeva spesso o per meglio dire affatto,”Cavaliere al merito dell’Agricoltura”

Quando la chiamarono a Corte… cioè all’Eliseo, per andare a cucinare per Mitterrand, rimase molto titubante, ma in fondo aveva ormai i figli grandi e non era più sposata… E poi come le fece notare, con una certa durezza, il compìto funzionario dello Stato, non  si poteva permettere di dire di no al Presidente della Repubblica.

Quello che successe a Danièle Delpeuch è roba da manuale di sociologia …o di psichiatria. Tutto l’apparato gastronomico dell’Eliseo, ed erano circa 30 persone, fra chef, cuochi e sottocuochi, la prese in immediata antipatia. La gelosia era forte, si sentivano in blocco rifiutati… perché solo lei cucinava per il Presidente. Nell’unico momento della giornata in cui l’intero staff si riuniva a colazione la trattavano con sufficienza  e ironia…. Mangiava  in modo troppo semplice, sicuramente da povera contadina, dicevano, e poi era una donna e si sa.. lo Chef può essere solo uomo… Dietro le spalle intrighi e cattiverie da morire… Countess Du Barry la chiamavano, come se fosse stata una cortigiana.

Lei andava dritta per la sua strada, in una piccola cucina dove aveva solo un  assistente  pasticciere… Le faraoniche attrezzature di Palazzo erano solo per gli altri.. Mitterrand, che ovviamente di chiacchiere e pettegolezzi non sapeva niente, era un uomo felice. Sapeva di essere malato e aveva chiesto una cucina genuina, come quella di sua nonna, forse anche per contrastare il male… Adesso  si poteva affidare a questa deliziosa signora che il cibo migliore  lo faceva arrivare da tutta la Francia… Danielle così  poteva preparare in modo perfetto le  fantastiche ricette dai nomi divertenti, il “Cavolfiore farcito al salmone”, le “Lumachine alla Nantese”, la “Pollastra a mezzo lutto”…  Con l’andar del tempo Mitterrand prese l’abitudine di passare per la cucina… Sapevano entrambi che la cucina non era soltanto cibo, ma un modo  per esprimere cultura… Mitterand che stava facendo sforzi immani per riqualificare la Francia con i musei e le mostre  capiva perfettamente che anche il lavoro di Danièle era frutto di una raffinata visione culturale…  In cui c’era tutta la sua filosofia di vita per sottrarsi all’0mologazione, rivendicare  le singole identità della Francia, attraverso i differenti prodotti dei territori.. usare conoscenze e abilità per creare  sempre qualcosa di nuovo . Quando  si fermava in cucina,  Danièle  gli 845195_21572278_460x306preparava  del pane abbrustolito appena spalmato di burro, su cui posava qualche fetta di tartufo … un po’ di vino e  via alle conversazioni.

Durò due anni e poi non resisté. Ormai l’accusavano apertamente di approvvigionarsi dai suoi amici fornitori e  prendersi la percentuale, di uscire continuamente dal budget assegnatole, di non ascoltare i suggerimenti dei medici quando consigliavano i cibi per il Presidente… Si era fatta male a una caviglia e fu la scusa per andarsene.

Lei è stata sempre riservata e non ha mai fornito informazioni… ma chissà cosa si dissero l’ultima volta con il Presidente. L’unica cosa che lei raccontò, che aveva bisogno di disintossicarsi … ma per farlo  da quella donna originale, curiosa e nuova che era, se ne andò in Antartide a cucinare per il personale di una missione scientifica che le fece dimenticare tutte le sue amarezze… Sicuramente andò molto peggio al Presidente che perse una preziosa e discreta amica… mentre  lottava per la salute e  i suoi nemici  diventavano più forti…

Ma la storia non è finita … l’imprevedibile Danièle ci sta ancora insegnando qualcosa … E’ in Nuova Zelanda e sta cercando di coltivare tartufi… Il clima è simile a quello della Francia e chissà che non ci riesca.  Se in Nuova Zelanda arriveranno i tartufi potrà ricominciare a preparare uno dei piatti che piacevano al Presidente e che a lei è rimasto nel cuore, come ricordo di quella strana amicizia con una persona così diversa così lontana e così particolarmente affine alla ragazza della fattoria che lei è sempre stata fiera di essere

Tutto questo si ritrova nel film in uscita dove  una bravissima Catherine Frot interpreta Danièle  che prepara con grande abilità molte delle sue belle ricette. Jan d’Ormesson, lo scrittore giornalista di fama, accademico, autore fra l’altro di “A Dio piacendo” è un elegante Francois Mitterrand e  Christian Vincent appassionato di cucina è il regista di questa storia che getta una luce insolita e umana  in uno dei grandi palazzi del potere.

E come anticipo di tutti  gli originali piatti del film, la ricetta della:

POLLASTRA A MEZZO LUTTO (Poulette en Demi Deuil)48958600

INGREDIENTI per 4 persone: 1 pollastra pulita di circa 1 kg e 1/2 o in alternativa un pollo da allevamento biologico, 1/2 kg di verdure pulite come rape,carote e finocchi, 250 grammi di funghi champignon, 1 mela, 40 grammi circa di tartufo nero, olio extra vergine di oliva q.b., sale e pepe secondo i gusti.

PREPARAZIONE: lavate la pollastra già spiumata in acqua bollente e asciugatela con carta da cucina. Affettate il tartufo e fate scivolare le fette tra la pelle e la carne del petto e delle cosce della pollastra.Salatela, pelatela e legate le cosce  al tronco

Portate a ebollizione una pentola di acqua salata, gettatevi dentro la pollastra e fatela cuocere per 40 minuti. Aggiungete nella pentola tutta la  verdura pulita e sciacquata e fate cuocere per ulteriori 15 minuti, ma ricordatevi di controllare accuratamente il grado di cottura perchè gli animali da allevamento biologico richiedono tempi più lunghi.

Mentre la pollastra cuoce, pulite gli champignon e la mela, affettateli e fateli saltare in padella  con un po’ di olio, sale e pepe.

Servite la pollastra irrorata con un po’ del suo brodo, adagiata fra le verdure e i funghi.

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Zòngzi e la Festa delle Barche Drago

530px-Streitende-Reiche2Nel “Periodo delle Primavere e degli Autunni”  il Regno di Chu divenne una grande potenza, in continua espansione. E’ vero che aveva una pessima fama, visto che le sue conquiste erano avvenute quasi tutte a tradimento, occupando i territori dei suoi  fedeli alleati, ma ormai i giochi erano fatti e Chu governava una grossa parte della Cina Centro – Meridionale, di cui fra l’altro, faceva parte, anche la città di Shanghai. All’inizio del V secolo a.C., il “Periodo dei Regni Combattenti”  sostituì  le Primavere e gli Autunni, ma Chu sembrava mantenere intatti i suoi  domini in un mondo notevolmente segnato dalle lotte che agitavano i regni confinanti. A Nord Est,  il Regno di Qin, che più tardi sarebbe  stata la rovina di Chu, non poteva all’epoca mettere paura, perchè aveva ancora un grosso ritardo  nello sviluppo sociale e culturale, con la maggior parte della popolazione  ancora mezza barbara. Ma verso la fine del V secolo, dopo  le pesanti perdite nella guerra contro i Wei, le cose lì cominciarono a cambiare. Qin avviò grosse riforme che, all’inizio, non furono neanche ben percepite  ma, nel volgere di pochi decenni, riuscirono a portarlo in pole position, rispetto agli altri Stati. A Qin, infatti, ad una forma di  regime assolutista, si era venuto a sostituire un vero e proprio Stato di Diritto, in cui, tutti gli uomini, erano uguali davanti alla legge, a eccezione del Sovrano, perché, come tutti sanno, c’è sempre stato qualcuno più uguale degli altri. Tutto questo, comeP6290469 rapida conseguenza, portò a un vero e proprio crollo dei privilegi ereditari, per dare spazio alla meritocrazia. Gli effetti maggiori si risentirono nell’esercito dove i generali persero i loro nomi aristocratici e altisonanti, perchè ormai cominciavano a provenire da tutti gli strati sociali, mentre i soldati, ben addestrati e disciplinati, davano vita a una forza altamente professionale.Lo stato di Chu resistette ancora per tutto il IV secolo poi cominciò a scricchiolare e l’esercito, che era stata la sua forza, ormai ridotto a sede di tutti i privilegi e di tutti gli sperperi, divenne  la sua rovina . Nel 318 a. C. le forze congiunte dei 5 Regni combattenti di Wei, Zhao, Han, Yan e Chu avanzarono sino  a Hanguguan, ma Qin, forte del suo efficientissimo esercito, riuscì facilmente a sconfiggere le forze  dei 5 regni che disponevano effettivamente di un numero sterminato di soldati, ma  all’atto pratico mal coordinati, perché, probabilmente non si erano messi d’accordo sulla creazione di un comando unificato.

Ciononostante il Regno di Chu ce l’avrebbe ancora potuta fare perchè aveva territorio, risorse e alcuni grandi Statisti come Qu Yuan, “ministro – poeta” di grande ascendenza e appassionato difensore dell’indipendenza del suo paese. Aveva capito il pericolo che ormai costituiva il regno di Qin e tentò con ogni mezzo di ricostruire una coalizione di Stati per sconfiggere l’egemonia del grande nemico. Ma Chu era ormai uno Stato troppo corrotto e consumato dalle lotte intestine per tollerare un uomo integro e capace, con una visione politica sovranazionale. In casi di questo genere l’arma più potente è sempre la calunnia e anche nel caso di Qu Yuan,  la calunnia fu il modo con cui  i terribili cortigiani costrinsero il re a esiliarlo.

319eebbe5c0329b704c94573054ada7a-e1358032155845Qu Yuan tornò al suo paese natio e si occupò di poesia. Era una grande mente e non potendo  rivoluzionare il suo decrepito stato rivoluzionò la poesia. Abbandonò i versi classici composti di quattro caratteri e adottò quelli di lunghezza variabile dando così  al poema maggior ritmo e al poeta più libertà di espressione. E’ il primo poeta cinese di cui ci sono arrivati i testi scritti, ma è stata l’estrema bellezza del suo linguaggio e l’amore per la sua patria che ne hanno fatto il poeta cinese più amato di tutti i tempi.

Ma, in esilio Qu Yuan, nonostante il conforto della poesia, seguitava ad essere triste ed era sempre in ansia. Probabilmente si aspettava la tragedia che, puntualmente, arrivò nel 278 a.C., quando il suo paese fu pesantemente sconfitto dal Regno di Qin e il re fu costretto a fuggire e spostare altrove la capitale, occupata dall’esercito invasore. Scrisse allora un ultimo lamento per Ying, la bella capitale perduta, poi prese una pesante pietra e con quella andò a morire nel fiume Miluo.2010920143618911

Ma Qu Yuan era un uomo molto amato e,  non appena gli abitanti del villaggio seppero del suo gesto disperato, cercarono di salvarlo in tutti i modi. Presero le loro  barche e lo cercarono per tutto il fiume senza trovarlo. Quando capirono che era morto allora andarono proprio al centro, dove la corrente era più forte, e, per prima cosa, gettarono tanti fagottini di riso ai pesci  per tenerli lontani dal corpo di  Qu Yuan,  poi allontanarono gli spiriti maligni cominciando a suonare i tamburi e a percuotere l’acqua con i remi. Sconsolati fecero ritorno alle loro case ma, poco tempo dopo,  il poeta apparve in sogno ai suoi amici e raccontò  loro che era morto a causa di un terribile Drago che infestava il fiume. Per salvare la sua anima, che ancora si aggirava senza pace nelle acque del fiume, tutti ripresero le loro barche e andarono ad allontanare il Drago, dandogli in pasto non semplici cartocci di riso, ma piccoli fagotti di seta, con tre angoli, in cui era racchiuso riso pregiato, fino a quando il Drago, finalmente sazio, si decise a lasciare il fiume e consentire al poeta di riposare in pace.

DragonBoatFestivalSpecialInterest-1024x767Col tempo i fagottini divennero un cibo rituale noto come “Zòngzi”, sebbene, oggi che  si è diffuso a tutta la popolazione come pasto tradizionale, i blocchi di riso vengono avvolti in foglie di canne anzichè di seta.

Ma una volta l’anno, il quinto giorno del quinto mese del Calendario Lunare cinese, quando è l’anniversario della morte del poeta, tutte le barche con la prua a forma di drago, corrono ancora sui fiumi e sui mari della Cina. Vanno ancora una volta  in cerca  del loro grande poeta e cercano di allontanare da lui gli spiriti del male. E’ la “Festa delle Barche Drago”, in cui dopo la corsa finiscono la celebrazione  mangiando in comunità   i tradizionali fagottini di riso.

RICETTA DEI ZONGZI  (per 10 fagottini)

INGREDIENTI: 200 grammi di riso glutinoso, 100 grammi di pollo, 100 grammi di verdure miste (peperoni,fagiolini,melanzane), sale, 10 foglie di bambu.zongzi3

PREPARAZIONE: lavate e tagliarte le verdure in piccoli pezzi, poi cuocetele nella  wok per alcuni minuti con poco olio e il pollo tagliato anch’esso in piccoli pezzi.

A parte fate bollire il riso lasciandolo “al dente” e dopo averlo scolato, mischiatelo al pollo e alle verdure.

Prendete le foglie di bambu e disponetele su un piano di lavoro o su un tagliere, dopo averle sciacquate più volte. Al centro di ogni foglia sistemate il riso con il suo condimento poi avvolgetele   dando loro una forma cilindrica e chiudetele con lo spago da cucina. Quando tutte le foglie sono state riempite e sigillate ponetele  a cuocere in una  pentola a vapore per un’ora.

I Zòngzi si servono con salsa di soia, abbinandoli al riso cantonese, agli involtini primavera o ai ravioli cotti al vapore.

Poichè è un piatto tradizionale di tutta la Cina è anche soggetto a varianti regionali, per cui, in alcune località, invece del pollo si utilizza il maiale e le verdure possono cambiare a seconda della stagione o della produzione di area.

Il Dragon Boat Festival di Hong Kong

Pollo Mole Poblano

baccello_di_cacaoCosì scriveva al suo Convento in Spagna, un Gesuita del  secolo XVI inviato nel Nuovo Mondo  ad evangelizzare gli Indios. “Disgustosa per coloro che non la conoscono… Tuttavia è una bevanda molto apprezzata dagli indiani, che la usano per onorare i nobili  che attraversano il loro paese. .. Gli Spagnoli…. che si sono abituati …sono molto golosi. Dicono di prepararne diversi tipi …e di aggiungervi  parecchio Chili.

Per gli Europei era ancora un oggetto un pò misterioso, ma in Centro America c’era almeno dal  6000 a. C.  e da 1500 anni Maya e Aztechi la coltivavano. E l’avevano tenuta anche in grande considerazione.

L’avevano  usata per esempio come unità di misura, di conto e moneta di scambio. Con un solo seme ti davano 4 pannocchie, con tre semi una zucca, 100 semi erano necessari per una canoa, ma  bastavano soltanto  6 semi per comprare una notte d’amore  Si dice di Montezuma,  che  avesse addirittura un miliardo di semi nei sotterranei del suo palazzo.

Secondo i medici aztechi era indispensabile per curare alcune malattie del corpo, ma soprattutto  per le malattie della mente. E forse non avevano tutti i torti perché, oggi, i medici, consigliano la cioccolata ai depressi  perchè riesce a dar loro la carica e a liberarli di un pò di malinconia.

Gli Aztechi erano convintissimi che quella pianta, dal grosso frutto pieno di semi, che cresceva rigogliosa nell’ombra della foresta, 356465gliel’avesse portata in dono, tanto tempo prima, il Dio Quetzcoatl e, proprio per questo motivo, la bevanda che ne avevano ricavato la chiamavano “Bevanda degli dei.”  Anche in questo caso dovevano aver ragione loro perché se ne convinse  perfino Linneo, che quando si trattò di dargli un nome scientifico la chiamò “Theobroma cacao L”, sicuro che  in qualche occasione se ne fossero cibati gli Dei.

Dove invece i nativi americani ci indovinavano davvero poco, erano le Profezie. Sicuramente tutti ricordano che avevano previsto la fine del Mondo nel 2012, che fortunatamente poi non c’è stata. Ma sfortunatamente per loro avevano previsto anche che Quetzcoatl sarebbe tornato sulla terra nel 1519. Disgrazia volle che proprio in quell’anno arrivasse invece dalla Spagna Herman Cortes. Quando se lo videro davanti, con quegli strani vestiti e  una lingua sconosciuta, Montezuma e la sua corte credettero veramente al ritorno di Quetzcoatl e non finivano più di fargli cortesie. Così prima gli offrirono un bel bicchiere di  cioccolata per ristorarlo dal viaggio e subito dopo Montezuma in persona regalò a Cortes addirittura un’intera piantagione di cacao.

Si sa come andò a finire. Oltre a distruggere il Regno e ad ammazzare Montezuma, quel soldataccio di Cortes si prese anche le piante del cacao e tutto tronfio ne fece dono a Carlo V.

All’inizio, in Europa, il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, così come i Conquistadores avevano visto fare agli Aztechi, mischiandola al pepe e al peperoncino. Poi i monaci spagnoli, grandi esperti di infusi d’erbe  e di miscele, visto che quella bevanda era troppo amara, ci tolsero il chili e il pepe e ci aggiunsero  zucchero e  vaniglia. Era nato il cioccolato dolce e da quel momento in poi in Europa lo vollero tutti.

ENOP-0122I Conquistadores si erano portati via, fra piante strane, animali esotici e quintali d’oro, quasi mezza America, ma alla fine  portarono anche loro qualcosa nel Nuovo Mondo, la vite per esempio o gli animali d’allevamento, come le mucche, le pecore e il pollo… Chissà, forse per non sentire troppo la nostalgia di casa! Comunque, almeno in cucina, ci fu l’incontro di due culture perchè per il resto, dopo la crudeltà degli Spagnoli, della cultura india rimaneva poco.

Oggi la cucina messicana è ricchissima e molto conosciuta, ma occorre fare diverse distinzioni. Da una parte c’è quella, frutto di diverse e recenti contaminazioni con i paesi vicini, come  la Cal Mex e la Tex Mex, che hanno dato vita ai piatti più noti come i Nachos, i Burritos e le Quesadillas, cibi piacevolissimi, ma ormai tipici dei fast food e dei take -away.

Poi c’è quella, conosciuta come “Comida Prehispanica”, che è stata la meno soggetta  all’incontro con il cibo spagnolo e, anche se ancora è conosciuta, viene  però riservata ai  ristoranti specializzati o a particolari aree geografiche dove la tradizione si è mantenuta più viva. Oltre ai più  noti e tipici vegetali, usa alimenti poco comuni come le iguane, i serpenti a sonagli, i cervi, le scimmie ragno e alcuni insetti, cucinati ancora nello stile maya e azteco, come ad esempio le chapulines (cavallette) di Oaxaca, fritte nell’aglio con due tipi di peperoncino.

Infine c’è quella che si dichiara più autenticamente messicana ed è effettivamente nata dalla fusione e dall’incrocio dei modi della cucina spagnola e delle vecchie usanze precolombiane. Di questa non esiste un’ unica tipologia perché naturalmente  c’è una notevole differenza fra le zone interne e quelle costiere, ma se, da una parte, sicuramente come eredità spagnola, si ritrovano  tipi di carne come il manzo, il pollo o il maiale, dall’altra, l’influenza indigena, sarà sempre possibile rintracciarla nel chili, nei  peperoni, nel mais e nel cioccolato. Come rappresentante tipico di questo stile di cucina è stato scelto un piatto famoso, il “Pollo mole poblano”, nato a Puebla, sembra nel XVI secolo. Si racconta che le suore del convento Santa Rosa furono colte di sorpresa per l’inaspettata visita del Vescovo. Per servirgli un pasto adeguato alla sua carica, presero allora alla rinfusa tutti gli ingrediente e le spezie che trovarono nella dispensa, li mischiarono e riuscirono a fare una ricchissima salsa, al cioccolato, con la quale condirono l’unico volatile che possedeva il convento, realizzando così un anticipato esempio di cucina fusion col pollo spagnolo e il cioccolato azteco.

RICETTA DEL POLLO MOLE POBLANO per 4 personeChicken-Mole-Poblano

INGREDIENTI:  1 pollo, 1 peperoncino ancho, 1 peperoncino guajillo, 60 grammi di sesamo tostato, 25 grammi di mandorle, 25 grammi di arachidi non salate e senza buccia, 1/2 cipolla, 1 spicchio di aglio, 2 cucchiai di olio di mais, 25 grammi di salsa di pomodoro, 1/2 banana platano, 1/2 cucchiaino di coriandolo, 1 manciata di semi di finocchio, 3 chiodi di garofano, 1 cucchiaino di cannella, 50 grammi di cioccolato fondente, 1 cucchiaio di zucchero, 250 grammi di riso long rain, uvetta sultanina una manciata, tortilla q.b.

PREPARAZIONE: lessate un pollo. Quando è cotto spolpatelo eliminando pelle e ossa, sfilettate la polpa e mettetela da parte.

Private i peperoncini dei semi, e scottateli in un tegame antiaderente. Metteteli poi a bagno in acqua calda per 30 minuti per farli ammorbidire.

Fate dorare la cipolla dorata con l’aglio e i chiodi di garofano, aggiungete i peperoncini scolati e tritati, il sesamo tostato, le mandorle e le arachidi dopo averle tostate, l’uvetta sultanina rinvenuta in acqua tiepida e strizzata, la banana platano tagliata a rondelle e fritta in precedenza. Aggiungete la cannella, il coriandolo,i semi di finocchio, lo zucchero e la tortilla a pezzi.

Completate con la salsa di pomodoro,il cioccolato sbriciolato e fate restringere la salsa per un’ora. Al termine frullatela nel  mixer.

Lessate il riso e disponetelo su un piatto da portata. A lato  sistemate il pollo e conditelo con la salsa al cioccolato.

Mexico City, Paseo de la Reforma, Fountain to Diana the Hunter - Photo by SECTUR

“Le Cuisinier…”, testimone del suo tempo.

napoleoneb1Nella grottesca cerimonia del 1804  sembra che  strappasse la corona dalle mani del Papa e se la calzasse vigorosamente in testa da solo, per sminuire, ovviamente, l’autorità della Chiesa. Altri invece asseriscono che il Papa, Pio VII, aveva previsto la mossa ed evitò accuratamente di toccare la corona. Ma comunque fossero andate le cose Napoleone era imperatore  e il fatto non poteva essere ignorato da nessuno, nemmeno dalla famosa e  prestigiosa  Cucina Francese, che nel 1806 uscì con uno dei più fortunati  libri  di tutti i tempi, che si  intitolava appunto “Le Cuisinier Imperial”. Gli autori erano Viard e Fouret e i loro nomi, benché della loro storia non  si sappia poi molto, divennero famosi perché il libro accumulò un numero incredibile  di edizioni, 32 in meno di 70 anni, dal 1806 al 1875. Era praticamente un’enciclopedia e chiunque volesse fare seriamente il cuoco, nella Francia del XIX secolo, non poteva fare a meno di leggerlo e consultarlo con la stessa reverenza  dei credenti verso un testo religioso. Del resto i due autori avevano un curriculum di tutto rispetto. Viard, prima ancora che di Napoleone era stato Chef de Cuisine  alla corte di Luigi XVI, cosa su cui peraltro, dati i tempi, preferiva sorvolare, facendosi più semplicemente chiamare “Homme de bouche,” mentre l’altro autore, Fouret, era stato “Officier de bouche” del re di Spagna. Avevano  dunque tutte le carte in regola per fare il loro mestiere, ma avevano fatto un’ imprudenza: il titolo.  Napoleone cadde definitivamente nel 1815 e la Francia  non solo non ebbe  più un Impero, ma se non fosse stato per l’abilità di Tailleryand, forse non avrebbe avuto più nemmeno uno Stato. E in ogni caso si dovette riprendere i  Borboni e il molto poco amato re Luigi XVIII.

Che fare? Viard corse ai ripari e alla prima occasione, nel 1817 cambiò il titolo. Fu d’obbligo: “Le Cuisinier Royal”.

Fra alterne vicende e il passaggio alla Casa di Orléans, la monarchia resse fino al 1848, quando nacque la  2° Repubblica. Sembrava proprio che la Francia non ne volesse più sapere di Re e Imperatori, ma …  guarda caso, chi fu eletto Presidente della Repubblica? Un Bonaparte, Luigi Napoleone che, da buon nipote del grande zio, non ci mise molto a farsi nominare imperatore. Oramai, probabilmente  il titolo, i Bonaparte l’avevano  acquisito nel DNA. Insorse amaro anche uno scandalizzato  Karl Marx : “Tutti  i grandi fatti e personaggi della storia universale, si presentano, come dire,  due volte… La prima volta come tragedia… La seconda come farsa. Ora i francesi hanno di nuovo Napoleone in persona, ma  in caricatura!”eugc3a8ne-delacroix-la-libertc3a9-guidant-le-peuple-1830

Viard e Fouret  avevano appena sostituito il titolo nel 1852, chiamando l’opera  “Le Cuisinier National” che era un titolo del tutto neutro e in linea con  la nuova  forma repubblicana dello stato. Ma,visti gli avvenimenti, all’improvviso si videro costretti a ripristinare il titolo  originario di “Le Cuisinier Imperial.” E non fu nemmeno questa l’ultima volta, perché, dopo la caduta dell’ultimo Bonaparte, nel 1870, l’opera riprese   definitivamente l’aggettivo “National”. Poi dopo qualche anno non si stampò più. Anche la cucina ormai  aveva i suoi nuovi idoli. Ma, indubbiamente, per quasi tutto il secolo “Le Cuisinier ” era stato un attento e puntuale “Testimone del Tempo.”

C’è da dire che l’opera aveva retto così a lungo perché i due bravissimi chef dovevano avere una grande inventiva ed  essere anche abili uomini d’affari: infatti ogni edizione usciva con una quantità incredibile di aggiornamenti. Basti pensare che solo quella del 1828 aveva ben 1100 ricette in più della precedente. Ed è proprio  da questa che è stata estratta l’originale e inconsueta ricetta  del “Pollo con le Cozze” che audacemente, ma con eccellenti risultati amalgama insieme carne e pesce, pietanze tipiche, entrambe, delle festività natalizie.

Per 4 persone  occorre  un pollo da 1 chilo e 200 grammi, da fare a pezzi. (Vanno benissimo anche due cosce e due petti). Si fa scaldare, sulla fiamma 1/2 etto di burro e mezza cipolla e si aggiunge il pollo che si fa colorire e cuocere, con l’aggiunta di mezzo bicchiere di vino bianco secco. Poi si conserva il pollo nel forno riscaldato, ma spento.

4835_zpsb5d2173fSi  pulisce, con grande accuratezza 1,5 Kg di cozze, esclusivamente sotto acqua corrente fredda, evitando di lasciarle a bagno, strofinando dove occorre con una retina metallica finché non diventano lucidissime. Poi si mettono in padella a fuoco alto con una noce di burro e metà cipolla e si fanno aprire, buttando quelle che non ne vogliono sapere e finendo con una buona spruzzata di vino bianco da far evaporare. Poi, tolte dal fuoco, vanno sgusciate, mettendone da parte  alcune che serviranno da decorazione. Il fondo di cottura va filtrato e tenuto, per il momento, da parte.

In un tegamino si mettono 50 grammi di burro e il fondo di cottura del pollo già filtrato, a cui si aggiungono 30 grammi di farina bianca che si fa leggermente tostare. Dopo si aggiunge anche il fondo delle cozze e un pò d’acqua e, a fuoco leggero,  si fa restrinere fino a ottenere una vellutata liscia e piuttosto densa, regolata di sale e pepe a cui, all’ultimo momento, vanno aggiunte le cozze sgusciate.

Si dispongono i pezzi di pollo su un piatto da portata caldissimo e si distribuisce sopra la vellutata. Con le cozze ancora  nel guscio si fa un giro decorativo  alla base del piatto e, per finire, una bella spolverata di prezzemolo tritato.

Un tocco di attualità? Il curry in sostituzione del pepe!

Un vino? Pinot Bianco!

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