Marco Ferreri, Le Paté de Canard e La Grande Abbuffata!

Nelle eleganti e patinate atmosfere borghesi, Ferreri irrompe  con la sua carica dissacratoria a distruggere  tutte le certezze a cui  eravamo assuefatti… Gli obiettivi  per cui l’uomo ha lottato per secoli… Un buon lavoro, una bella casa, un posto in società.. All’improvviso perdono di significato  o diventano  addirittura proprio le malattie dell’uomo moderno… Quelle per cui vale la pena di morire…

Quando realizza”La grande abbuffata,” Marco Ferreri ha già alle spalle 10 anni di film che hanno dato fastidio e che molti  hanno rimosso perché costringono a riflettere… La famiglia tradizionale è una delle prime istituzioni  su cui, questo gigante, dai dolcissimi occhi azzurri, ha cominciato a  lanciare i suoi strali… “El Pisito” parte dalla problematica tutta  anni ’50, della mancanza di alloggi, per mostrarci un arido  protagonista costretto a rimandare le nozze… A data da destinarsi, perché la coppia non  trova casa…   Lui sposerà allora l’anziana proprietaria della pensione in cui abita, aspettandone con ansia la morte… Avrà in eredità la casa… e  coronerà il suo sogno d’amore. Ma non  fa  bene i conti… Perché  si  affeziona alla vecchia signora e seguiterà a  rimpiangerla  dopo  aver  sposato la sua gretta e prepotente  fidanzata… Ferreri seguiterà poi a infierire con “L’ape Regina,” dove una moglie avida di sesso  distruggerà il marito facendolo morire di consunzione… Mentre con la tragedia de “La donna  Scimmia “, una storia vera, la sua critica feroce al matrimonio – convenzione  diventa accanimento, fiera del grottesco, della cattiveria e del cinismo.

“Dillinger è morto,” invece, avrebbe potuto già essere una conclusione, tante sono le  drammatiche  e corrosive  situazioni  del più totale disfacimento… Le strade senza anima, l’ inquinamento ambientale  e la maschera antigas, lo squallor dei filmini delle vacanze, il sesso anemico e l’inutile uccisione della moglie …   Una sterile ribellione  senza alcuna liberatoria…

Amarissimo “L’Udienza”, con quell’impossibilità tutta kafkiana di comunicare con il potere e il soccombere di chi ci si avvicina è una dura critica alla burocrazia e non solo a quella vaticana… Pronta a tutto, pur di garantire la propria distaccata  supremazia … Grottesco e disperato “La Cagna”, con il gioco dei rapporti di coppia sempre malati, sempre in disequilibrio e la disperazione dell’uomo moderno che non riesce  a vivere nella civiltà  e nemmeno  a starne lontano…

“La grande abbuffata” ha opulente  scenografie e una disperazione cupa per un suicidio… Collettivo, ragionato e dimostrato come un teorema… “Se non mangi non puoi morire”  sentenzia Tognazzi, capovolgendo il grido della fame del mondo che arriva da continenti interi. Ma i 4 quattro uomini quel grido non lo possono udire… Sono troppo stanchi della loro vita noiosa e inappagata … L’anima l’hanno già persa… E’ necessario perdere anche il corpo… Così si chiudono in una casa un po’ decadente, nei dintorni di Parigi e mangeranno… Tanto, troppo, smodatamente e a lungo, fino a morirne. E in questo percorso, assurdamente illuminato dalla tenerezza e dall’amicizia e sempre più degradato, si arriverà alla fine… Ferreri non  farà loro  mancare niente… Gli strumenti del suicidio, quelle materie prime, così indispensabili all’obiettivo, arriveranno tutte le mattine, spesso da Fauchon e  Ugo, proprietario del ristorante “Le Biscuit a Soup” e grande chef, provvederà amorevolmente a preparare per i suoi amici suicidi  le pietanze più prelibate, come il “Cocktail di gamberetti” o quelle più immaginifiche come  “Il Paté de Canard” o gli “Ossibuchi giganti”…

L’immaginazione più sfrenata e la morale più severa, sia pure travestita da sarcasmo o  sberleffo, convivono nella personalità poliedrica e unica di un  Maestro del cinema come Ferreri che, qualche volta ricorda il surrealismo di Bunuel e a volte l’Italia delle grandi corti rinascimentali. Sui personaggi, su quei quattro  favolosi interpreti e sulle ricche  pietanze  che entrano in scena come cammei, occorre approfondire e tornarci sopra… Oggi presentiamo  uno  dei piatti più famosi della cucina francese, spesso oggetto di numerose varianti, nella versione in cui ce l’ha tramandata Ugo Tognazzi  grande cuoco, nella vita e nell’arte… Così come l’aveva preparata nella villa di Parigi.

PATE’ DE CANARD

INGREDIENTI per 10 persone: 1 anatra di circa un Kg, 200 grammi di pancetta,300 grammi di carne di maiale, 250 ml di vino liquoroso (Porto,Madera o Marsala), 1/2 bicchiere di vino bianco secco, 2 bicchieri di cognac o brandy, 4 fegatini di pollo, un dado per brodo, qualche fogliolina di timo, 1 carota, 1 foglia di alloro , 1 tartufo nero, 1 barattolo di fegato d’oca  da 50 grammi, 1 uovo, sale e pepe q.b.,

INGREDIENTI PER  LA PASTA DEL PATE: 300 grammi di farina, 100 grammi di burro, 2 uova, sale q.b.,acqua.

INGREDIENTI PER 1/2 LITRO DI GELATINA:  7 foglietti di colla di pesce, 50 cl di acqua fredda,1 cucchiaio di estratto di carne, 2 cucchiai di vino marsala secco, 4 grani di pepe,sale

PREPARAZIONE DELLA GELATINA:lasciate ammorbidire  i foglietti di colla di pesce in acqua per 15 minuti,strizzateli e metteteli in una casseruola con acqua fredda,sale,pepe,l’estratto di carne e sbattete con una frusta. Ponete la casseruola su fuoco molto basso e sempre sbattendo portate a ebollizione. Coprite e lasciate sobbollire per 5 minuti. Filtrate la gelatina attraverso un setaccio molto fine e lasciate raffreddare a temperatura ambiente.

le-saint-regisPREPARAZIONE DEL PATE: disossate l’anatra, ponete  le ossa in una casseruola e la carne  spezzettata dell’anatra in una ciotola. In un’altra ciotola mettete  i petti che avrete tolto all’anatra disossata, il fegato d’anatra, i fegatini di pollo con  la metà del vino liquoroso, 1 bicchiere di cognac e fate marinare tutta la notte. Nella ciotola dove c’è l’anatra aggiungere la carne di maiale, la pancetta tagliata a cubetti, il timo, l’alloro  poi cospargete di vino bianco, il resto del vino liquoroso, il resto del cognac e lasciate ugualmente marinare per l’intera notte. Il giorno dopo preparate  il brodo con le ossa dell’anatra, la carota,il dado da brodo, il sale e il pepe, ricoprite d’acqua e fate bollire per circa tre ore a fuoco basso. Se è necessario aggiungete altra acqua durante la cottura. Dovrà risultare alla fine un brodo molto ristretto.

Nel frattempo preparate   la pasta facendo una sfoglia con la farina, due uova, il burro fuso, il sale e un po’ d’acqua.  Rendete omogeneo l’impasto, formate una palla e fatelo riposare in un canovaccio umido per circa tre ore. Prendete la carne di anatra e di maiale ridotta a pezzi e passatela due volte al tritacarne, poi  mettetela in un tegame e aggiungete un poco di brodo passato al setaccio. Stendete la sfoglia di  pasta e con questa foderate la base e le pareti di uno stampo rettangolare, dal bordo apribile,  facendo fuoriuscire la pasta  di un centimetro oltre il bordo. Preparate un altra sfoglia rettangolare che vi servirà per coprire il paté. Ricoprite ora il fondo dello stampo con uno strato di carne tritata sopra il quale metterete i filetti di petto d’anatra, il fegato d’anatra e i fegatelli di pollo scolati dalla marinata e infine  aggiungete il resto della carne macinata. Ricoprite con la sfoglia saldando i bordi e praticate un foro  di sfogo sulla superficie nel quale inserirete un piccolo imbuto di alluminio per evitare che si possa richiudere durante la cottura. Sbattete un uovo e ricoprite la superficie della pasta, poi mettete lo stampo in forno pre – riscaldato a 150°C e fate cuocere per un’ora controllando di tanto in tanto che la crosta non bruci. Se necessario abbassate il calore del forno e prolungate la cottura. Prima di aprire lo stampo fate raffreddare il paté, poi attraverso il foro lasciato in superficie, versate la gelatina  mescolata con un po’ di vino liquoroso e mettete in frigo per almeno 3 ore. Estraete dal frigo il paté mezz’ora prima di portare in tavola e accompagnate con pane tostato, riccioli di burro, qualche foglia di insalata, olive etc.

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Una storia italiana: Roberto Saviano e la mozzarella di bufala

Un giro nelle città di mare, Genova, Napoli, Bari…E’ tornato per qualche giorno in Italia per presentare il  nuovo libro… ” Zero Zero Zero”,… Si chiama  quasi come la farina, perché gli somiglia, ma ha uno zero in più… perché si tratta della cocaina… Di sera Saviano va nelle Librerie Feltrinelli, ma il giorno lo passa a inebriarsi d’acqua e di luce… Forse sono le cose che gli mancano di più, assieme ai selci di Napoli e alle scampagnate di Pasquetta  nei giardini della Reggia  di Caserta… 34 anni non sono molti … E’ poco più di un ragazzo, ma sono sette anni che vive molto peggio di un recluso. L’ha descritto   nel libro apparso nel 2009 “La bellezza e l’inferno”….. “Non potevo  girare per cercarle e nemmeno decidere da solo dove abitare…. E se diventava noto che io stavo in quella via ero subito costretto a traslocare. Ho scritto in una decina di case diverse. Tutte piccolissime e buie. Le avrei volute più spaziose, luminose, ma nessuno me le fittava… Più spesso ancora ho scritto in caserma… Mentre fuori intuisci movimento, c’è il sole, è già estate. Sai che se potessi uscire, in due minuti passeresti davanti alla tua vecchia casa… e in altri cinque saresti al mare…

Chissà in quale parte del mondo si trovano quei luoghi oscuri dove oggi  vive Roberto Saviano… Nel suo rimpianto  per il mare e per la luce sembrano tutti avvolti nelle brume e nelle nebbie nordiche dove è più facile perdersi, non farsi riconoscere  e soprattutto stare il più possibile lontano da Napoli la città denunciata e messa a nudo  da “Gomorra” il romanzo  dove lo storie sono vere, le vittime amare e da cui hanno tratto un film di immenso successo. Era cominciato tutto come un reportage… La camorra che in quelle zone del napoletano era sempre stata la sua vicina di casa, adesso che è giornalista se la va a studiare  negli archivi della polizia, dove ci sono i rapporti degli agenti operativi… Ore e ore a guardare le trascrizioni delle intercettazioni… ma alla fine non gli basta e si fa assumere da un importatore cinese che controlla il traffico di merci…. E’ un big che ha comprato alcuni palazzi del centro e li ha sventrati per trasformarli in enormi  magazzini, dove con fulminea rapidità vengono accolte le merci  cinesi che escono dal porto senza che ci sia nemmeno il tempo di verificarne l’arrivo… Il viaggio al contrario  lo fanno i vestiti dei grandi sarti copiati negli scantinati  napoletani  da povera gente quasi non pagata e che poi si ritrovano indosso alle grandi dive di Hollywood…A un certo punto il reportage si trasformò in qualcosa di diverso e tutti quei personaggi e quelle situazioni che Saviano aveva incontrato, cominciarono a vivere di vita propria… a voler diventare personaggi letterari  portandosi dietro tutta la loro  drammatica verità. Alla fine  venne fuori un’opera del tutto nuova che nessuno è riuscito a definire esattamente… Forse  si tratta di un “romanzo non fiction”… Ma la storia di Don Giuseppe Diana ucciso a Casal di Principe, i rapporti della  Camorra in Gran Bretagna, come si articola  la struttura interna della Camorra che i suoi affiliati chiamano “Sistema”…  Una volta diventati  libro, sfuggirono letteralmente dalle mani del suo autore per diventare in pochissimo tempo un successo internazionale… “Gomorra” è stato tradotto in 52 paesi. Se fosse rimasto un successo a livello locale, i camorristi, spesso riconoscibili, si sarebbero  divertiti o se ne sarebbero addirittura vantati nel loro ben noto narcisismo.   Così invece i boss  cominciavano a mal tollerare  il successo del libro che aveva troppo attirato l’attenzione sui loro traffici e  finirono per non resistere all’onda d’urto  che seguitava a crescere  e  riversava su di loro le critiche e l’orrore di mezzo mondo.  Così decisero di passare al contrattacco e di vendicarsi.  Gomorra era stato pubblicato nell’aprile del 2006, qualche mese dopo arrivano le prime lettere minatorie, le telefonate mute.  Saviano non si intimorisce e li sfida apertamente da un palco a  Casal di Principe il 23 settembre.  Arriva a chiamarli per nome  e conclude: «Non valete niente, ve ne dovete andare da qui».  Pochi giorni dopo il Ministero dell’Interno gli dà una scorta… Sono arrivate troppe minacce… Più tardi un pentito svelerà un piano spettacolare in cui la camorra  sperava di uccidere Saviano su una autostrada con una strage simile a quella di Capaci. Nel 2008  Saviano lascia Napoli…   “Penso di aver diritto a una pausa – disse allora – Ho pensato che cedere  alla tentazione di indietreggiare non fosse una buona idea, non fosse soprattutto intelligente… Ma in questo momento non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo… Voglio una vita, voglio una casa, voglio innamorarmi… passeggiare, prendere il sole..ho soltanto 28 anni… E voglio ancora scrivere, scrivere perché è questa la mia passione e la mia resistenza… Rivoglio indietro la mia vita… “

Ma di tutte le cose che Roberto Saviano sperava di avere  quando  se ne andò da Napoli ne ebbe soltanto una… La possibilità di scrivere. Nelle sue lunghissime giornate in qualche luogo della Terra sconosciuto ai più,  Saviano  scrive, denuncia, pubblica…  “La bellezza e l’Inferno”,”La parola contro la Camorra”, “Super Santos”, ha collaborato  persino con  Fabio Fazio alla trasmissione televisiva “Vieni con me” … Ma  di tornare a vivere in Italia non se ne parla…Se si avvicina a Casal di Principe,  sia pure circondato dalla sua scorta, debbono mettere i poliziotti  persino sui tetti delle case tanto è alto il rischio di un attentato.

Ma in questo mese d’aprile è tornato in Italia per il suo libro…”Zero, Zero, Zero”  è ancora una volta un  libro di denuncia, lo stile, metà reportage, metà racconto è quello di Gomorra, ma stavolta Saviano nel suo pellegrinare attorno al mondo  ha inseguito le vie della  cocaina  e ce la  racconta partendo dalle radici della sua storia. Così  conosciamo i luoghi, i sistemi, i clan di questa la rete organizzata che frutta più di qualunque investimento in borsa…  A Napoli, da cui mancava da più di cinque anni era emozionatissimo, a Bari la folla non è riuscita tutta a entrare nella libreria… Hanno dovuto sistemare un maxischermo all’esterno. Non era emozionato solo Saviano… Lo era anche la gente…  Giovani e anziani venuti per il suo libro che mostravano in mano come un trofeo, ma venuti soprattutto per lui, a fargli sentire un attimo di umano calore… Prima che riprendesse da solo le sue strade del mondo.

Cosa mangi Saviano  è  abbastanza avvolto nel mistero, come tutto quello che lo riguarda personalmente… Ma in molti si ricordano che era un ragazzo dai gusti  semplici con qualche passione per il cibo della sua terra… Il Casatiello che mangiava quando andava con la famiglia a fare le scampagnate nella Reggia di Caserta e la mozzarella… il formaggio più fresco e più delicato di tutta la Campania, che nessuno al mondo può riuscire a imitare… La “Mozzarella in Carrozza” di cui diamo la ricetta è un tipico piatto della cucina tradizionale  campana  che si può mangiare sia come antipasto che come stuzzichino…

MOZZARELLA IN CARROZZA

INGREDIENTI per 4 persone: 8 fette di pane casereccio, preferibile al pane in cassetta che si utilizza nelle versioni più attuali, 3 uova, 100 ml di latte, farina q. b., un pizzico di sale, olio extra vergine di oliva quanto basta per friggere, pepe macinato  in modesta quantità, 400 grammi di mozzarella di bufala, con esclusione del fior di latte che  si utilizza in un’altra ricetta, tipica esclusivamente del Lazio-

PREPARAZIONE: Tagliate la crosta esterna  alle fette di pane casereccio a cui darete una forma quadrata. Tagliate 4 fette di mozzarella dello spessore di circa 2 cm, posatele su 4 fette di pane e ricopritele con le rimanenti. Dividete in diagonale i quadrati ricavandone 8 triangoli, poi in una ciotola mettete   le uova e sbattetele con il latte, il sale e il pepe. Mettete della farina in un piatto e rotolateci i triangoli di pane prima di immergerli nelle uova sbattute. Fate scaldare abbondante olio di oliva in una padella e friggete i triangolini rigirandoli su entrambi i lati e poi scolateli su carta assorbente prima di servire, aggiungendo un po’ di sale in superficie.

 

Fra terra e mare… Livorno, Modigliani e il Cacciucco…

Non c’era più niente da fare… I Pisani avevano lottato a lungo ma dove una volta c’era il loro orgoglioso porto, ormai era tutta una distesa di sabbia, da cui  emergevano a tratti, in un’atmosfera  surreale, le antiche strutture marinare…  Era l’inizio del XVI secolo e questa fu la prima delle fortune di Livorno …  dove  ebbe inizio una straordinaria avventura! Era vicina a Pisa, c’erano già delle fortificazioni  e l’acqua lì, di certo non mancava. Così i Medici decisero di ampliarla e  costruirvi il nuovo Porto.  L’altra fortuna di Livorno fu l’arrivo dei mercanti Ebrei, che  scappavano perseguitati, ma con parecchi  averi, dalla penisola iberica, dopo “la reconquista” cristiana. A Livorno vissero  liberi  come gli altri cittadini e  al contrario del resto d’Italia e d’Europa , non c’era nessun ghetto dove andarsi a chiudere nelle ore serali … Evidentemente la libertà fa bene… Perché col tempo, divennero la più importante comunità ebrea d’Italia. Poi cominciarono ad arrivare  anche  altri mercanti, di “qualsivoglia natione” perchè i Medici, liberali e affaristi come erano sempre stati, avevano emanato quelle specialissime “Leggi Livornine” che garantivano a tutti libertà di culto e  annullamento di tutte le condanni penali… eccezion fatta per gli assassini e i falsari. …

  Non ci volle poi molto a fare le strutture portuali e la città nuova… Un doppio molo e  un canale navigabile tra Pisa e Livorno, mentre si progettava la “città ideale”… Con squadra, compasso e i minimi particolari… Una splendida città, con quartieri, piazze e strade di grande  respiro, ma anche una città-fortezza  a pentagono, avvolta dentro mura  imponenti, baluardi e fortificazioni …  Perchè all’epoca  risalivano ancora a depredare il Tirreno le navi pirata dei Mori e Saraceni…   Ma quello che segnò definitivamente il destino di Livorno fu la sua proclamazione  di  porto franco  che la fece diventare il porto  più ricco di tutto il Mediterraneo e  anche uno dei più caratteristici con le navi che  giravano tranquillamente dentro la città dove,  lungo i canali navigabili  di Venezia Nuova, c’erano i magazzini dei grandi Import – Export, pronti ad accogliere o caricare le merci che venivano da tutto il mondo.  Nei secoli la città crebbe… alla fine del ‘700 arrivarono i Granduchi di Lorena dopo che i Medici si erano estinti… Erano fissati con  l’irrigazione e le acque… A Livorno ampliarono  i canali,  costruirono  altre darsene interne, lungo il circuito delle nuove mura daziarie, seguendo l’inclinazione naturale della Città…   Mentre il mare entrava  docile nei muraglioni di contenimento e  formava nuove vie d’acqua.

Il primo colpo all’economia della città  pensarono bene di assestarlo, verso la fine dell’800, gli ottusi regnanti dell’Unità d’Italia… quelli dell’indipendenza  tanto desiderata che portò più danni che felicità… Tolsero il porto franco e i commerci precipitarono … Per fortuna  i Livornesi erano gente sveglia…  divennero in fretta centro industriale con i cantieri navali, poi accolsero l’Accademia Navale e infine si trasformarono in città turistica e centro benessere con gli eleganti stabilimenti termali e balneari…  Per il cinema poi ci fu una passione precoce perché già nel 1896  si proietta il Cinématographe Lumière …

Città di forti contraddizioni, nel 1921 vide  la nascita del Partito Comunista, ma poichè era anche la patria del genero di Mussolini, la famiglia Ciano pensò bene di dargli una nuova dignità urbanistica all’altezza del suo lignaggio e cominciò a sventrarla per fare spazio a imponenti e retoriche piazze e architetture di regime, sacrificando e ricoprendo alcuni canali… Il resto lo fece la guerra e i 99  bombardamenti sulla città per colpire il porto e le industrie …E questo si potrebbe anche capire. Quello che fu un delitto, fu la distruzione del centro storico con incursioni specificamente  dedicate.

Ci mise tanto a risollevarsi… Ma se vi capita di andarci potete  trovare ancora una parte della Venezia Nuova, la grande Fortezza circondata dall’acqua, il Museo Fattori  in una deliziosa villa dell’800 che ospita i macchiaioli … E la luna che di notte riesce ancora a creare  i suoi antichi miti… “Le Notti Bianche” non a caso l’hanno girato a Livorno.  In città c’è un’atmosfera  gentile, di grande cortesia… si sta proprio bene a Livorno, ma non andatelo a raccontare a nessuno … Loro non vogliono… Temono che arrivi troppo turismo!

L’arte a Livorno è stata sempre di casa e gli scambi culturali con quel porto spalancato sul mondo sono sempre stati ricchi… E tuttavia c’è stato un momento magico  quando con Parigi si era stabilito un rapporto  di scambio del tutto paricolare, tanto che Oscar Ghiglia uno dei post macchiaioli più cosmopoliti così scriveva “…C è stato un momento anni fa, quando Mascagni musicava a Parigi la Parisina e Cappiello era il re del cartellone francese e Niccodemi uno dei principi del teatro boulevardier e Modigliani dipingeva a Montparnasse quei suoi strani quadri (…) che Parigi poteva sembrare un mezzo feudo artistico dei livornesi…”

Ecco fra tutti gli artisti uno più grande dell’altro, un pensiero particolare va ad Amedeo Modigliani e non solo perché forse è stato il più grande di tutti, ma perché lui, ebreo sefardita, forse era il più livornese di tutti, erede di quei pionieri arrivati in fuga, che assieme al Granduca di Toscana dettero vita a una delle più originali e avveniristiche città e all’ inizio all’età moderna.

Una vita sciagurata fra malattia, droga e alcol, quella di Modi, il Maledetto, come suonava in francese quel diminutivo, dove solo l’arte annullava  le sue umane miserie e le sublimava nei dipinti e nelle  sculture, che non seguivano alcuna corrente  ma scendevano all’origine di tutte le rappresentazioni… All’arte primitiva, all’Africa nera, dove la forma era sintesi, eleganza ed emozione  mentre il colore  che ricopriva quella forma era caldo, sensuale ed esprimeva la gioia  e la passione di vita che lui  non sapeva trovare al di fuori…

Dopo qualche anno che stava a Parigi tornò a Livorno, era  roso di nostalgia ma  non ci rimase a lungo… Lì era sotto gli occhi di tutti con la sua malattia e tutto il resto.. Probabilmente sapeva che era un addio…  Ma preferì tornare a Parigi e perdersi a Montparnasse, sconosciuto e immenso  mentre faceva i suoi rapidi schizzi ai clienti dei ristoranti in cambio di un po’  di assenzio… per poter continuare a dipingere.!

A Livorno il Cacciucco è il piatto nazionale, non solo cibo, di sicuro un modo di vivere… All’inizio era un piatto dei poveri, che i pescatori preparavano con gli avanzi della pesca…Mascagni  era un appassionato e se lo cucinava da solo in estenuanti gare con Puccini… Forse anche Modigliani tornò a Livorno per sentire ancora  il colore e l’odore del mare  in quella zuppa di pesce…

CACCIUCCO ALLA LIVORNESEricetta-cacciucco-cacciucco-livornese

INGREDIENTI per 6 persone: 500 grammi di polpo, 500 grammi di seppie, 300 grammi di palombo a trancio, 500 grammi  di scorfano, gallinella o altro pesce da zuppa, 500 grammi di crostacei misti cicale, scampi, gamberi, 500 grammi di cozze, 500 grammi di pomodori pelati, 3 spicchi di  aglio, qualche foglia di salvia, due peperoncini secchi piccoli o anche qualcosa in più se piace, 1 cipolla,una carota,un gambo di sedano, 1 bicchiere di vino rosso,olio extra vergine di oliva 4 cucchiai, 6 fette di pane casereccio toscano, una manciata di prezzemolo.

PREPARAZIONE: Prendete una casseruola di grandi dimensioni, possibilmente di terracotta e mettete a soffriggere a fuoco basso, nell’olio, 2 dei tre spicchi di aglio “in camicia,” e il ciuffo di salvia. Quando l’aglio è dorato,versate la metà del vino, aggiungete i peperoncini e fate sfumare a fuoco vivace. Togliete dalla casseruola l’aglio, la salvia e i peperoncini e metteteci  il pesce perfettamente pulito e lavato. Cominciate con  il polpo tagliato a pezzi e precedentemente battuto per ammorbidirlo. Dopo 15 minuti aggiungete le seppie tagliate a pezzi alle quali, durante la pulizia avrete tolto anche la sacca del nero. Fate rosolare e sfumate con il restante vino. Aggiungete i pomodori pelati a pezzi con la loro acqua, coprite e abbassate la fiamma. Mentre il pomodoro cuoce prendete una pentola riempita di acqua in cui metterete la cipolla, il sedano, la carota e i pesci da zuppa. Portate a bollore  e quando i pesci  sono cotti, toglieteli  dall’acqua e riduceteli a una polpa nel passatutto, togliendo prima allo scorfano la  sua corazza. Dopo che avrete versato la polpa ricavata, nella casseruola del pomodoro, mettete nel passatutto anche  la corazza dello scorfano da cui ricaverete  sicuramente altra polpa  e liquido da aggiungere alla casseruola dei pomodori. Ricordatevi di non buttare via il brodo di cottura perché potrebbe servire… Quando il polpo e  le seppie sono ammorbidite e ci vorranno circa  25 minuti dal momento in cui avete aggiunto le seppie, aggiungete i crostacei e il palombo  a rondelle. Fate cuocere per non più di 10 minuti altrimenti i gamberi possono indurirsi, aggiustate di sale e pepe  e aggiungete per pochi minuti ancora, le cozze. Quando le valve si aprono il cacciucco è pronto. Se il sugo si fosse troppo ristretto aggiungete  il brodo che avete tenuto da parte.

Servite su scodelle dove  su ciascuna di esse, avrete già poggiato una fetta di pane bruscato, strofinato con lo spicchio d’aglio non consumato e spolverizzate le porzioni col prezzemolo tritato. ATTENZIONE! Il Cacciucco, data la ricchezza del suo gusto, si accompagna esclusivamente con un vino rosso giovane.

A San Valentino… Torta con Panna e Fragole!

Fra un sorriso e un sussurro, lo scambio delle coppie appare un disinvolto gioco d’attualità e invece, non tutti lo sanno, ma si tratta di una storia antica!   I Romani l’avevano capito già  quattro secoli prima di Cristo, che, ogni tanto, l’amore ha bisogno di di un pizzico di novità, se no, come dire… S’illanguidisce! Ad evitare il  rischio,, allora ci pensavano i Lupercalia, una bella festa, di carattere religioso, dove si ricordavano i gemelli fondatori della città, si celebrava la Primavera e, a sorte, si estraevano i nomi dei giovani e delle giovani che si facevano accoppiare per la durata di un anno…   Se qualcosa non andava, senza tanti problemi, l’anno dopo si ricominciava. Dopo quasi cinque secoli di cristianesimo, verso la fine del 400, un Papa si rese conto stupefatto che i Lupercalia  si celebravano ancora  e non solo, ma, ad essi, partecipavano molti cristiani. Corse allora dalle autorità e, tanto alte furono le sue proteste contro quella festa immorale e pagana, che la fece abolire.

Però si pose subito il problema! Che cosa avrebbero dato al popolo  in cambio dei Lupercalia?  Una festa è una festa,  e non si abolisce  così… soprattutto una festa d’amore. Fu allora che Papa Gelasio rovistando fra le reliquie e le leggende  trovò un patrizio romano,Vescovo e martire di due secoli prima che poteva fare al caso suo, per via di un casto e romantico amore che lui, il Vescovo Valentino, aveva protetto. Sembra infatti che vivesse allora a Terni, Serapia, la figlia di una famiglia molto patrizia e molto cristiana Di lei si innamorò perdutamente Sabino un centurione bello, aitante e molto pagano. E’ ovvio che la cosa non piacque ai genitori della  fanciulla che, in un’epoca in cui, la tolleranza religiosa, doveva essere vicino a zero, si opposero strenuamente al nascente amore. Nell’angoscia che ne seguì  Serapia, come “ultima ratio” inviò il bel centurione a parlare con il Vescovo della città. Valentino con molto senso pratico suggerì allora al giovane di farsi cristiano e cominciò a insegnargli i primi rudimenti religiosi. Ma mentre lui era lì che si preparava al  battesimo,  Serapia s’ammalò e Vescovo e innamorato corsero insieme al suo capezzale. Che fare? Serapia era morente, Sabino, rude soldato piangeva, … A Valentino non restò altro che battezzare il centurione, unirli di gran fretta in matrimonio, e poi assistere impotente alla loro rapida e comune morte… Serapia per consunzione e Sabino per disperazione. Forse tutto il resto era perduto, ma  la festa era salva e si poteva ben celebrare all’ombra di quell’amore casto e sfortunato, senza offesa alcuna alla pubblica morale. L’amor sacro si era sostituito al profano e da allora  San Valentino ha sempre protetto i giovani innamorati.

Dall’Italia  la festa si spostò a Nord e, pur rimanendo incerta la sua evoluzione storica,  è sicuro che dopo il 1000  San Valentino era ormai presente in tutta Europa. La tradizione della festa a metà febbraio coincide col ritorno della Primavera e il periodo in cui  si credeva, almeno in Francia e in Inghilterra, che gli uccelli cominciavano ad accoppiarsi. Da loro al resto degli innamorati, il passo, almeno secondo gli studiosi, sembra sia stato breve e logico. Era, il Medioevo, anche il periodo dell'”Amor cortese”, che comincia a farsi strada proprio attorno al XII secolo. C’è il culto della donna vista dall’amante solo come essere irraggiungibile e come tale degno di totale  venerazione… E a  volte si può venerarla anche senza averla mai vista! Chi non ricorda Jauffrè  Rudel che dopo aver traversato, in nave, tutto il Mediterraneo incontrò la sua amata Melisenda solo in punto di morte? E’ certo che quel giorno a Tripoli di Siria doveva essere arrivato anche San Valentino…

E in America come ci  va San Valentino?  Di sicuro a  bordo delle navi dei pescatori di merluzzo e dei cacciatori di balene. Oramai era un esperto di vita marinara! A quel tempo e siamo fra il 18° e il 19° secolo, pescatori e cacciatori, per non farsi una concorrenza sleale, si erano  messi d’accordo di tornare, sulle coste del Massachussets, tutti nello stesso giorno, in modo da offrire, in contemporanea, il loro pescato,  ai compratori  in attesa al porto. La data d’arrivo era fissata  al 14 febbraio … Ma al porto  c’erano anche le mogli. le fidanzate e le ragazze. Se la pesca era andata bene ci sarebbero stati anche i soldi per i fidanzamenti  e i matrimoni. Così nei lunghi giorni di navigazione i marinai intanto preparavano i doni per le donne amate, quei piccoli ingenui “Sailor’s Valentines” costituiti da conchiglie incise, ricamini, intagli in legno che si evolveranno poi nelle cartoline  d’auguri che nella seconda metà dell’800, invasero il mondo.

Cartoline famose sono state quelle di Esther Hwland che, ispirandosi a una più antica  tradizione inglese, artigianale e casalinga, le cominciò a produrre su scala industriale , penetrando nell’immaginario collettivo e nella cultura popolare, finché non furono soppiantate, verso la fine del secolo, dallo scambio di regali. E allora furon mazzi di fiori, gioielli, cioccolatini e un’infinità di altri dolci spesso col color rosso in bellavista e il cuore nella forma, come simbolo d’amore.

Per  il Vostro, per il Nostro e per il San Valentino di tutti ecco la:

TORTA DI SAN VALENTINO CON PANNA E FRAGOLE

INGREDIENTI per il Pan di Spagna : 4 uova, 65 grammi di farina 00, 55 grammi di fecola di patate ,125 grammi di zucchero, 1/2 bustina di lievito, 1 bustina di vanillina.

INGREDIENTI PER IL RIPIENO: 500 grammi di panna zuccherata, 500 grammi di fragole, 7 cucchiai di zucchero.

PREPARAZIONE del Pan di Spagna: separate  gli albumi dai tuorli e montarli a neve. Aggiungetevi poi i tuorli e lo zucchero amalgamando con  una frusta elettrica. Aggiungere la farina,la fecola di patate, la vanillina e il lievito e seguitate ad amalgamare per alcuni minuti sino a quando il composto non risulti perfettamente omogeneo. Travasare in una teglia di circa 25 cm di diametro già  imburrata e cuocete per circa 25 minuti a forno pre – riscaldato a 180°C.

PREPARAZIONE DEL RIPIENO: Montate la panna con lo zucchero a neve ferma,tenendo presente che la quantità di zucchero può leggermente variare  a seconda dei gusti personali. Lavate e tagliate a pezzi le fragole, operazione che è preferibile fare ancor prima di iniziare la lavorazione del Pan di Spagna in modo che le fragole emettano più succo. Lasciatene alcune intere per la decorazione finale a seconda del disegno  che intendete fare sul top della torta. Tagliare in orizzontale il Pan di Spagna e mettete uno dei due rischi ricavati  già sul piatto di presentazione, bagnatelo con il succo delle fragole e se non dovesse bastare allungatelo con un poco di acqua. Sopra versate metà della panna montata su cui adagerete  le fragole a pezzi, meno quelle da serbare per la decorazione. Chiudete con il secondo disco di Pan di Spagna anch’esso imbevuto di succo di fragole. Infine ricoprite la torta con la restante panna e decorate apiacere preferibilmente formando uno o più cuoricini sul top.