Papos de Anjo… Dal Portogallo al Brasile!

Jan_Vermeer_van_Delft_016Fra il 13° e il 14° secolo e anche nei  tempi a  seguire, dame  e gentiluomini indossavano ricche  vesti a strati sovrapposti con pizzi rigidi e immacolati ai colli, al petto e ai polsi.  Nemmeno il costume delle monache e dei preti era meno elaborato, anche se avevano già ridotto al nero, bianco e qualche ecru, lo sfavillio dei costumi  profani. Oggi, guardando un quadro, qualche riproduzione un pò stinta o  un film d’epoca, spesso ci si chiede come sia stato possibile gestire  in modo cosi inappuntabile quelle complicatissime vesti, tanto fitte di pieghe, rigonfiamenti e anfratti. In realtà  in molti posti e sicuramente in Portogallo  la cura del guardaroba era compito affidato quasi completamente alle suore, a cominciare dal servizio di lavanderia a seguire con le 11jslfcpiccole riparazioni e a completare con la stiratuta dei capi. Le suore erano abilissime e fino a pochi anni fa  sono state maestre in quest’arte solo apparentemente umile che, in realtà, richiede  un lungo apprendistato e una grande specializzazione. Conoscevano tutti  i mille segreti per dare maggiore biancore ai capi, come il lavaggio sotto la cenere e la stenditura all’aria aperta, come pure, alchimiste in nuce, mischiavano colori per tingere i tessuti, senza tralasciare l’arte del rammendo, del ricamo e le tecniche per dare ” l’à plomb” ai vestiti affinché ricadessero in modo perfetto. Per questo c’era però b21e2_kyle-bean-1-largebisogno di inamidare  i molti strati di  sottogonne  e i pizzi dei corpetti, dei  colli e  dei polsi. Allora si ricorreva a un amido del tutto naturale che  era il bianco dell’uovo che, opportunamente miscelato con l’acqua e spruzzato, dava il grado di sostenibilità richiesto quando si passava il tessuto con il ferro da stiro caldo. L’albume, le suore, lo prendevano dalle uova di gallina che allevavano nei piccoli o grandi appezzamenti a ridosso del convento. Ma col tempo sorse il problema che, con tutta la buona volontà, le suore non riuscivano a consumare i tuorli d’uovo residui dopo che l’alnbume era stato sottratto per l’impiego della stiratura. Forse povere suore avevano ormai tutte il colesterolo senza saperlo, ma visto che il disequilibrio persisteva, con i tuorli eccedenti prvvedevano ad alimentarci i maiali, che allevavano, anche loro, nei campi del convento. A un certo punto si deve supporre che anche i maiali cominciassero a essere stufi di tutta quella monotonia di tuorli freschi e le monache furono costrette a inventarsi qaalche altra cosa. Non era contemplato nella rigida economia del tempo e nel rispetto del cibo, l’idea che si potesse buttare via qualche cosa.

Piccoli, delicati, soffici e leggermete  bombati, le suore, anime tenere e con pochi termini di paragone, si inventarono  questi dolcini a base di tuorli d’uova e li chiamarono” Papos del Anjo”, cioé “pancine d’ angelo”  ispirandosi a quei delisiosi puttini dipinti nei soffitti e sugli altari maggiori delle chiese. Per molto tempo ne ebbero il monopolio poi la ricetta cominciò a trapelare fuori dal convento  e le donne dei paesi  iniziarono a prepararli e venderli nei piccolo mercati più o meno itineranti dei tempo. L’economia d’uso così rigida nel medio evo si cominciava a trasformare in economia degli scambi.

2668697163_34d0998eb5Ma il gran salto ci fu quando il Portogallo si lanciò sui mari e  arrivò in Brasile. C’e persino la leggenda che Francisco Cabral appena sbarcato a Bahia, fra i piccoli doni per ingraziarsi i nativi e renderli innocui, offrisse loro piccole prelibatezze della cucina portoghese fra cui i Papos de Anjo. In  cambio, dal Brasile, arrivò in Portogallo abbondanza di zucchero che unito ai tuorli d’uovo andò a incrementare il numero e i dolci tipici  per cui la cucina portoghese è tuttora famosa. Fu allora che furono inventati, per lo più sempre nei conventi e quindi ispirando i propri nomi a elementi della religione cattolica, la “Barriga de Freira” il “Touchino di céu”, la “Fatia del Bispo” e tanti altri. C’è da dire che questo proliferare di dolci avveniva anche  perché il Portogallo seguitava nel frattempo a soffrire di abbondanza di tuorli  in quanto stava diventando appunto  il più grande produttore di uova del mondo ma seguitava ad avere  un rapporto tuorli / albumi sempre più squilibrato perché oltre che come amido, l’albume era impiegato anche come purificatore del vino bianco.

E’ inutile dire che i “Papos de Anjo” andavano sempre per la maggiore ed erano diventati così comuni che finirono per cadere in una brutta avventura. Nel convento di Mirandela, nel Nord del Portogallo era allora abate Don julio Sarmenta che si era perdutamente innamorato di una signora sposata, dona Teresa Peçanha. Non era facile per i due amanti comunicare  normalmente  senza destar sospetti e così finirono con l’inventarsi un codice tutto basato sul dolci. Quando  Don Julio desiderava incontrare la bella Teresa, le inviava, tramite il suo servitore, un cesto di Papos de Anjo e un dolce  di zucca e la Signora contraccambiava con  dolce di mela se madeira_1l’incontro poteva avvenire in quello stesso giorno, con della marmellata se l’incontro poteva essere rimandato al giorno dopo e con  gelatina… se tirava una brutta aria!  Purtoppo arrivò anche il giorno della gelatina e poco tempo dopo Don Julio fu trovato morto, decapitato  e gettato in un pozzo!

Il Papos de Anjo si fa prevalentemente con sciroppo di zucchero, ma vi sono diverse ricette che prevedono anche succhi di frutta. Tuttavia a titolo di scaramanzia, dai ricettari più accreditati della cucina portoghese, come quello di Maria de Lourdes Modesto, si escludono lo sciroppo di mele, la marmellata  e la gelatina, consentendo invece lo sciroppo di zucca che era il giorno dell’offerta d’amore … ” Na preparaçao destes papos de anjo pode ser utilizado qualquer  doce de fruta, (incluido de abobora) con excepao dos doces de maça, marmelada ou qualquer geleia…” Altri tempi per fortuna!

Ma nè il dranmma consumato a Mirandela, per fortuna sconosciuto ai più, nè i vincoli della preparazione sono riusciti a fermare la marcia trionfale dei “Papos de Anjo”. Oggi in eleganti  presentazioni si può trovare nei migliori ristoranti del Portogallo… Ma se andate a Rio de Janeiro e c’è il Carnevale durante le sfilate delle fantastiche Scuole di Samba non potrete fare a meno di sbocconcellare, come tutti  paposdeanjogli appassionati in festa, i  “Papos de Anjo” in formato “take away” … e così  sarete sicuri che non  perderete nemmeno un minuto  dei canti dei balli e dei colori  del più grande carnevale del mondo!

PAPOS DE ANJO

INGREDIENTI: 7 tuorli e 1 albume di uova, 1 cucchiaio di maizena, 1 cucchiaino di lievito, 500 ml di acqua, 500 grammi di zucchero, 1 limone, 1 stecca di cannella.

PREPARAZIONE:  Imburrate uno stampo di forma rettangolare  di silicone o di metallo che abbia da 10 a 14 vaschette rotonde. In una ciotola montate a parte i tuorli con l’apposita frusta e in un’ altra ciotola montate l’albume a neve ferma, poi  amalgamateli fra di loro con grande delicatezza. Dopo aggiungete anche  il cucchiaio di maizena, il lievito e mescolate ancora.

Versate il composto nelle vaschette dello stampo riempiendole a 3/4  e mettetele in forno, precedentemente scaldato a 180 ° C per circa 20 minuti. Sfornateli appena dorati e punzecchiateli con uno stuzzicadenti 4 o 5 volte ognuno.

Preparate a parte uno sciroppo facendo sciogliere lo zucchero in acqua bollente  aggiungendo la cannella e la scorsa di limone.

Ponete i Papos in un vassoio e versateci sopra lo sciroppo caldo ricoprendoli interamente.

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Bacalhau Gomes de Sa

1374“Hic sunt leones” avevano sconsolatamente affermato i  Romani, affacciandosi dalle Colonne d’Ercole perché, nonostante  fossero così bravi ad andare per mare, quella grande distesa d’acqua li aveva bloccati. Nei secoli bui del Medioevo sicuramente le cose erano andate anche peggio e per il Portogallo, tutto esposto su quella costa infinita, il mare era stato l’ incognito e la paura. Perchè divenisse un destino e una vocazione ci volle un giovane, un grande sognatore. Si chiamava Enrico e se fosse stato il figlio primogenito avrebbe saputo subito, cosa fare da grande, ma era solo il quinto figlio del Re del Portogallo e un mestiere se lo dovette trovare. Fu  così che divenne  Enrico il Navigatore. Era nato a Oporto, ma aveva la passione per il Sud. Quando aveva poco più di 20 anni, nel 1414, convinse il padre re a organizzare una  spedizione per andare a conquistare  Ceuta. Era un piccolo istmo  sulla costa Marocchina  di fronte alle coste  spagnole, ma di importanza strategica per arginare gli sconfinamenti degli africani verso il Nord e aprire al Portogallo nuove rotte commerciali   per le spezie. Da quell’epoca il Sud gli era rimasto nel sangue e non passarono nemmeno due  anni che, sul Promontorio di Sagres, nella parte Ovest dell’Algarve, aprì la sua base operativa e  la mitica Scuola della Navigazione  per  l’esplorazione dell’Atlantico e delle coste settentrionali dellAfrica.

Lui, Enrico, era già fuori  dalla metafisica medievale e come uomo che annunciava tempi nuovi, spalancò la porta alla Scienza e alla Tecnica. Navi da 60 tonnellate? Potevano andar bene per il Mediterraneo, non per il grande mare di Enrico. Così a Lagos, proprio vicino a Sagres, aprì un arsenale da cui cominciarono a uscire i grandi velieri adatti ad affrontare i venti e le tempeste dell’Oceano. Poi capì che anche la navigazione aveva bisogno di una scienza nuova e, prima costruì un Osservatorio, poi fece arrivare i migliori  esperti di astronomia e di cartografia. Tutto quello che sapevano lo fece raccogliere nelle carte nautiche e nei libri di marineria  e così formò le nuove  leve degli uomini di mare.

In pochi anni i risultati furono eccezionali. Le Coste dell’Africa cominciarono a riempirsi di navi che andavano a Sud e poi, non soddisfatte prendevano il largo. Basta uno sguardo all’elenco delle terre avvistate e poi conquistate  per capire l’importanza che assunse il Portogallo nel breve volgere di un secolo e niente, meglio del Monumento  alle Scoperte, dove Enrico guarda lontanoi00421 dalle rive del Tago, può esprimere  il fermento e la passione  di tutta un’epoca. Prima ci furono le Azzorre orientali e poi quelle Occidentali, poi le coste africane fino a Cabo Nao e Capo Bojador, le foci del Senegal, la Sierra Leone, Capo Verde, e nel  1482 i primi contatti con il re del Congo. Ma già pochi anni prima, fra il 1472 e il 1474, ormai senza paura, gli esploratorii  avevano già risalito  le fredde acque dell’Atlantico del Nord ed erano arrivati a Terranova. E li ci fu una fantastica scoperta che finì per incidere fortemente sull’economia del Paese e modificò l’alimentazione  dei portoghesi: il Merluzzo, di cui era  ricchissima la pesca in quei mari. Salato, essiccato, conservato lo portarono in Portogallo e divenne uno dei cibi nazionali. Oggi dicono orgogliosamente  i Portoghesi, abbiamo ben 365 ricette di cucina a base di baccalà, una per ogni giorno dell’anno .

timthumb.phpLa scelta  della ricetta era dunque difficile, ma alla fine abbiamo optato per  il “Bacalhau  Gomes de Sa,” perché ha conservato, nel tempo, a parte l’aggiunta di  latte, gli stessi ingredienti  e lo stesso tipo di preparazione che il commerciante di Porto, alla fine del XIX, secolo era solito preparare per intrattenersi con i suoi amici.

RICETTA DEL BACALHAU GOMES DE SA

INGREDIENTI: 700 grammi di baccalà ammollato, 500 grammi di patate, 3 cipolle di media grandezza, 2 spicchi di aglio, 2 decilitri di olio di oliva extra vergine, mezzo litro di latte, 50 grammi di olive nere, 2 uova, prezzemolo, sale, 1 peperoncino

PREPARAZIONE: Sbollentare il baccalà, in acqua, per 10 minuti, scolarlo e pulirlo da pelle e spine, ridurlo a pezzi e metterlo in una ciotola. Coprirlo con il latte bollente e lasciarlo riposare per un’ora.

Lessare le patate, sbucciarle e tagliarle a fette alte  1 centimetro.

Affettare sottilmente la cipolla e farla stufare insieme con gli spicchi d’aglio tritati e il peperoncino spezzettato, nell’olio.

Rassodare le uova, sbucciarle, tagliarle a fettine e tenerle da parte.

Scolare il baccalà dal latte e aggiungerlo al mix di aglio cipolla e peperoncino, poi aggiungere anche le fette di patate e mescolare.

Mettere il composto in una pirofila e poi in forno già caldo a 200° C per 10 minuti. Durante gli ultimi tre minuti accendere il grill. Appena si è formata una leggera crosta, estrarre il baccalà dal forno, cospargerlo di prezzemolo tritato, aggiungere le olive snocciolate e  le fettine di uova sode. Servire caldo.

cabo[1]