Qualunque atteggiamento, anche il più innocente… Qualunque frase detta, magari solo per scherzo, poteva diventare uno spaventoso equivoco una volta in pasto ai giornali, così a Hollywood si imparava presto a tenere la bocca chiusa, a ridere solo quando era permesso e dire soltanto ciò che autorizzavano le produzioni… Non parliamo poi della vita privata, fatta, disfatta e inventata secondo le aspettative dei fans e la morale corrente.. . Ma loro, oltre che divi erano anche due ragazzi, di 23 e 24 anni, spesso abbastanza soli, con la voglia di confessarsi, raccontare, discutere… Chissà cosa li indusse a fidarsi l’uno dell’altro, ma sta di fatto che, sul set di The Giant, Liz Talor e James Dean avevano cominciato a parlare … E lei, nonostante la difficile vita a venire, da alcolista, quando i freni spesso cadono, fu capace di mantenere il segreto… Fu solo perché lui voleva che alla fine tutto si sapesse, che più di 40 anni dopo, Liz la rivelò a un giornalista.”Adoravo Jimmy. Ti dirò una cosa ma in maniera ufficiosa finché non muoio, ok? La madre di Jimmy scomparve quando lui aveva 11 anni e Jimmy cominciò ad essere molestato dal suo sacerdote. Penso che sia una cosa che l’abbia perseguitato per il resto della sua vita. Ne abbiamo parlato. Durante ‘Il Gigante’ rimanevano le notti svegli a parlare e parlare, e quella è stata una delle cose che mi ha confessato“
Perseguitato forse è la parola giusta, perché da quell’esperienza James Dean non riuscì più a mettere a fuoco la propria identità sessuale… Gli Studios lo riempivano di belle ragazze, per lo più inventate di sana pianta, ma l’amore per Pier Angeli pare che fosse una cosa seria… Elia Kazan, ai tempi della Valle dell’Eden, racconta la notte di amore di Pier e Jimmy nel camerino dell’attore e, quando lei alla fine sposò un altro, lui – o qualcuno che gli somigliava, disse Jimmy, che non lo voleva ammettere – seguì il matrimonio a bordo della sua moto, dal ciglio della strada.
Ma anche l’amore per lo sceneggiatore William Bast fu una cosa vera e lunga… 5 anni. Bast, dopo la morte di Jimmy aveva l’ansia , la fretta di raccontare… Forse aveva paura di dimenticare qualcosa di importante o che ad altri potesse succedere… E così un anno dopo era diventato il primo biografo… Loro due erano stati compagni di stanza a UCLA, l’Università di Los Angeles, Blast era lì quando James lasciò gli studi di giurisprudenza per quelli teatrali e scoppiò l’ira del padre… Gli stava vicino quando Jimmy faceva il guardiano notturno, senza più università e i contratti di Hollywood che non arrivavano… Fu allora che decisero di andarsene via, insieme a New York in cerca di miglior fortuna a Broadway… Ma fu solo 50 anni dopo,quando capì che non avrebbe fatto più del male a Jimmy, che William Blast disse l’ntera verità… Che loro si erano amati …
Forse ora è più facile capire le immagini che James Dean ci ha lasciato… Quel suo muoversi irrequieto, il carattere ombroso, gli improvvisi sorrisi usciti dalla tristezza dei personaggi dei suoi 3 film cult… Quel ribellarsi di Jim-Dean alla quieta e appagata provincia americana, è lontana dalla rivolta intellettuale e ascetica di cui i Beatnik cominciavano a lasciare i segni , è distante dalla rivolta ‘politica’ delle grandi correnti del decennio avvenire e non è neanche la voglia di libertà di quegli adolescenti che la trovavano nelle sale da ballo del rock and roll … L’ impulsivo mal de vivre di Jim ha un carattere tutto interiore… Lui si ribella a una vita familiare ristretta al bigotto mondo della provincia, al padre debole, alla madre rattrappita nel suo ruolo, all’orrore del quotidiano senza battiti d’ali. E ancor di più ai coetanei, branco macho e ottuso, insensibile e pronto a emarginare chiunque sia diverso.. E Jim – Dean diverso lo era, lo sapeva e provava a nasconderlo…
43 canzoni, una ventina di film e tantissime biografie, ma la voglia che abbiamo di James Dean sembra non finisca mai… Adesso, che di lui si sa e si può dire di più, sembra che vogliano fare un nuovo film con Robert Pattinson e Dane DeHaan… James era anche un bravissimo attore, dietro quel viso, quel corpo e quei jeans indimenticabili… Se fosse vissuto sarebbe stato una celebrità… Invece quella morte improvvisa e assurda, ma in fondo così aderente al suo essere James Dean, ha deciso che lui diventasse un mito…
Mito che non conosce frontiere e che ciascuno ha interiorizzato e vissuto a modo suo… Come questo Ristorante nel cuore della città di Praga, che hanno voluto appunto chiamare “James Dean Restaurant”… Subito dopo l’ingresso si è colpiti da una monumentale colonna rivestita da 60 pezzi di lamine in ceramica, che ricompongono le immagini di James Dean e Marilyn Monroe. All’interno l’arredo è tutta una provocatoria rivisitazione dei miti americani degli anni ’50 con i colori violenti dominati dal rosso e le poltrone ispirate a quelle della Chevrolet Bel Air del 1952… Dal menu del ristorante abbiamo scelto qualcosa di molto americano , un pesce dei mari del nord che può raggiungere dimensioni davvero considerevoli, anche qualche metro, ma con un aspetto che lo fa somigliare u n po’ a una sogliola, col corpo piatto e la carne decisamente magra…
FILETTO DI ALIBUT GRIGLIATO CON LIMONI E CAPPERI
INGREDIENTI per 4 persone : 4 filetti di halibut fresco di circa 150 – 180 grammi ognuno, 2 spicchi di aglio tritati, il succo di un limone, 1 cucchiaio di capperi, 2 cucchiai di basilico o timo fresco tritato, 1 mazzetto di prezzemolo fresco tritato, 2 cucchiai di olio extra vergine d’oliva,1 scalogno tritato, 400 grammi di pomodori a cubetti, Sale, Pepe.
PREPARAZIONE: Porre i filetti di pesce, preferibilmente fatti preparare e pulire dal venditore, su un pezzo di pellicola trasparente per alimenti, cospargerli di sale, pepe, basilico o timo e metà dell’olio d’oliva. Avvolgere la pellicola e lasciarli marinare per 15 minuti. Mettere l’olio rimanente in una padella, aggiungere lo scalogno e far cuocere fino a quando sia ammorbidito. Aggiungere i pomodori, un pizzico di sale, una spruzzata di pepe, l’aglio schiacciato e i capperi. Cuocere il sugo per 5 minuti. A questo punto liberare il pesce dalla pellicola e porlo su una griglia o u una bistecchiera per circa 3 minuti per lato.Trasferirlo in un piatto, spruzzarlo di limone e coprirlo con il sugo ai pomodori. Cospargierlo infine con il prezzemolo e portarlo in tavola.
Ma che noiosi che siamo! Andy Warhol era stato carino e spiritoso quando aveva detto “Nel futuro tutti avranno 15 minuti di celebrità”, quelli altrimenti detti anche “il quarto d’ora”… Aveva osservato i nuovi mezzi di comunicazione , la loro capacità di espansori e moltiplicatori e ci aveva dato un mucchio di speranze e messaggi felici… Come dire: “Dai, anche tu che non sei nessuno”… ” Un’immagine curiosa, appena un po’ particolare, la posti e può fare il giro del mondo…”Una parola detta al momento giusto, una battuta spiritosa e gli altri ti copieranno” Era un modo come un altro per valutare o rivalutare un individuo qualunque , in fondo un nuovo umanesimo, se solo pensiamo ai milioni di nostri simili che sono scivolati via sconosciuti visto che la storia per secoli l’hanno fatta solo i re e i generali… E noi invece di esclamare che bello, ci siamo pure noi, invece ci mettiamo ad arzigogolare, mordicchiandoci le unghie nello sforzo di pensare… Ma sarà giusto e corretto? Ma saranno proprio 15 minuti o magari 16 o addirittura 17? Ma sono etici questi social network? E poi che immagine di noi trasmetteremo? Quella vera o un’ altra deformata? Nel 2011 l’hanno persino data come traccia per il tema d’esame di maturità… ” Nel futuro ognuno di noi sarà famoso al mondo per 15 minuti. Il candidato, prendendo spunto da questa previsione di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla fama (effimera o meno) nella società moderna e rifletta sul concetto di fama proposta dall’industria televisiva (Reality e Talent Show) o diffuso dai social media (Twitter,Youtube,Facebook).” Si percepiva già una così forte condanna nell’impostazione del la traccia che al candidato saggio, in cerca del diploma, non restava altro che convenire che quello dei Social, era tutto un mondo fuggevole e futile e che lui invece avrebbe seguitato a studiare seriamente e a credere nei valori, quelli veri, etc etc… Per poi magari finire disoccupato … Cosa però che non si poteva scrivere… Ma un po’ di leggerezza, di accettazione, di novità, perché ce la neghiamo sempre?
C’è da pensare che allora fece bene Andy Warhol a rifiutare in blocco ogni esperienza artistica creata in Europa… Con tutte le sue stratificazioni, le sue riflessioni o anche perchè no, le sue rivolte… E dire che l’arte europea dei primi del ‘900 era stata un’ assoluta novità… Ma se l’avesse presa in considerazione, mai e poi mai avrebbe osato… Se ci avesse pensato troppo sopra, non avrebbe avuto il coraggio di muoversi unicamente nell’universo delle immagini prodotte dall’industria e dalla cultura di massa americana. Il solo mondo dell’arte che lui conosce e riconosce è in fondo proprio quello che per gli europei, almeno allora, erano anatemi … I fumetti, il cinema, la pubblicit, e ci si avvicina senza selezione alcuna o scelta estetica… Le cose gli interessano solo perché hanno varcato la soglia di percezione , sono state registrate nella memoria e diventate patrimonio di tutti … Solo questo ha diritto ad essere rappresentato.. dalla Coca Cola , naturalmente la sua bottiglietta, ai detersivi nelle scatole colorate , fino alll’immagine di Marilyn Monroe, icona indiscussa non solo di tutti i camionisti americani ma anche del Presidente Kennedy… Sono tutti espressione di democrazia sociale per Andy Warhol, perchè una Coca Cola è sempre la stessa, per il ricco come per il povero… Basta averla interiorizzata…
E per dire che l’oggetto dell’arte era di tutti, la ripetizione fu il suo metodo di successo, riproducendo più volte la stesso oggetto o lo stesso personaggio su grandi tele , in cui alterava i colori vivaci e forti. Tutta la “way of live” americana divenne il suo mondo dell’ arte, dall’ immagine pubblicitaria di quando disegnava le copertine per i primi vinile fino ai temi più sgradevoli degli incidenti stradali e la sedia elettrica, immagini svuotate però – e questo fu il suo particolare approccio all’arte – di ogni significato originario usando la loro fredda, impassibile, implacabile ripetizione. Così sdrammatizzava le immagini e toglieva allo spettatore le armi della critica sociale… E in tutte c’era il manifesto nemmeno troppo velato, degli obiettivi della Pop Art, secondo cui l’arte doveva essere “consumata, ” come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Naturalmente la critica europea non poteva capire l’accettazione acritica della realtà, cardine primo del mondo di Andy Warhol e cominciò a coprire di senso delle cose, tutto europeo, quello che l’artista non aveva voluto esprimere…E dissero che quella di Warhol era una presa di coscienza del kitsch, della mediocrità, della perdita culturale che aveva invaso l’America e da essa si irradiava per l’occidente… Non c’è niente da fare… La vecchia Europa non ce la fece a capire – se non molto dopo – il troppo giovane Warhol, a cui era bastata la prima generazione da immigrato per dimenticarsi il vecchio mondo…
Fra i quadri più famosi di Andy warhol vi sono quelli delle zuppe, i “Campbell’s Soup Cans” . Nel più puro stile del multiplo, si tratta delle riproduzioni di più o meno numerosi barattoli delle varie specialità della Campbell e, se non fossimo al MoMa di New York, si potrebbe quasi credere di avere davanti i colorati scaffali del supermercato… E’ nel ricordo di Warhol, dunque, che presentiamo questa zuppa cremosa sperando che la ricetta riesca a unire vecchio e nuovo continenete.
Si tratta di una zuppa fresca, ridotta in crema, con limitate calorie e un gradevolissimo e delicato sapore.
CREMA DI SEDANO
INGREDIENTI per 4 persone : 3 cespi di sedano bianco, 1 scalogno, 200 g di patate, 40 g di burro,1,3 l di brodo vegetale 2 tuorli di uova, 1 dl di panna fresca, pecorino grattugiato 2 cucchiai, sale e pepe quanto basta, qualche foglia di prezzemolo, pane a dadini 100 grammi, eventuale.
PREPARAZIONE: sbucciate e tritate finemente lo scalogno. Sbucciate le patate dopo averle lavate bene sotto l’acqua corrente, poi tagliatele a dadini. Pulite il sedano dividendone le coste, lavatelo, asciugatelo e tagliatelo a piccoli pezzi, eliminando i filamenti duri. Fate sciogliere il burro in una casseruola, unite lo scalogno e fatelo appassire, quindi versate i dadini di patate, il sedano, lasciando a parte qualche pezzetto poi salate, mescolate e fate insaporire per 5 minuti.
Incorporate poco alla volta il brodo caldo, portate a ebollizione mescolando continuamente, poi abbassate la fiamma, regolate di sale e fate bollire a fiamma bassa per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto, quindi con il frullatore a immersione riducete a crema la preparazione; aggiungete i pezzetti di sedano tenuti da parte , rimettete sul fuoco e proseguite la cottura per altri 10 minuti.
In una ciotolina sbattete i tuorli con la panna e 2 cucchiai di pecorino grattugiato; salate, pepate e incorporate la crema di uova nella zuppa; mescolate bene per 1 minuto prima di spegnere la fiamma. Distribuite la crema nelle fondine individuali, decorate a piacere con qualche fogliolina di prezzemolo e servite. A piacere si può aggiungere qualche dadino di pane scaldato in forno.
Era stato malinconico in vita e forse fu per questo che quando morì i funerali diventarono tre. E dire che lui, col suo solito pessimismo, aveva detto pochi giorni prima “Chiudo in fallimento. Nessuno mi ricorderà”. A Roma, in effetti non era cominciata bene perchè il prete, venuto a benedirlo, subito dopo la morte, pretese che Franca Faldini, per lui solo una concubina, uscisse sul pianerottolo…Subito dopo però cominciò l’ondata di folla che si riversò in casa per 48 ore… Amici e conoscenti dello spettacolo, ma anche l’italia degli sconosciuti che arrivavano ininterrottamente, coi pullman organizzati all’ultimo momento. Due giorni dopo, a Sant’Eugenio, nella Chiesa chic del quartiere Parioli, si presentò con le sue migliori insegne… La bombetta e il garofano rosso sulla bara… Quelli degli anni dell’avanspettacolo… Ma non valse a nulla. Fu una cerimonia frettolosa, più che altro una benedizione, perché c’era la presenza imbarazzante di Franca Faldini … Al massimo, pensavano le autorità religiose, una moglie in senso biblico…
Fu il gran cuore di Napoli che non fece storie. Quasi 3000 persone all’interno della Basilica del Carmine… Più di 250.000 in strada, a piangere quella perdita senza ritorno, mentre la bara scortata dai motociclisti della polizia a sirene spiegate, raggiungeva il cimitero…Fu mentre stava per ritornare a Roma che la figlia Liliana fu fermata da una specie di apparizione…Un uomo tutto vestito a lutto, col cappello nero e qualcosa sotto il braccio. E mentre si presentava “Io sono Campoluongo, ” lei capì che era il famoso “guappo”, Nas’e cane,” quello che “proteggeva” il quartiere Sanità… Totò, tanti anni prima gli aveva regalato una sua foto con dedica, quella che aveva sotto il braccio…”Questa cosa non può andare – disse – Deve avere il funerale a casa sua.” E tre mesi dopo a Liliana arrivò l’invito scritto, la macchina con l’autista e l’albergo già prenotato a Napoli… Nella Chiesa della Sanità, proprio lì dove Totò era nato e aveva vissuto la sua irrequieta e povera giovinezza, ci fu il terzo funerale, con la bara, sia pur vuota, al centro della navata…
Sarà stato anche figlio di un marchese, sia pure squattrinato, ma soprattutto era figlio di una ragazza sedicenne e senza marito o, come si diceva allora figlio di N.N…. Povero, affidato alla nonna, perché sua madre si profumava, s’incipriava e usciva col marchese, spesso lo vestivano con i pantaloni ricavati dalle gonne smesse delle donne di famiglia, che qualche volta erano anche a fiori… Non ci vuole molto a emarginarlo e chiamarlo “Recchione”. Lui si ribella, si toglie i calzoncini a fiori e in mutande, improvvisa una serie di smorfie. I ragazzini ammutoliscono poi si divertono e poi l’accettano.. A lui piace anche fare il prete… Prepara così degli altarini con immagini di santi e lumini e si mette a officiare inventando filastrocche strampalate… Ma non è ancora la maschera di Totò…Questa arriverà più tardi quandpo la mamma per toglierlo dalla strada lo manderà a scuola dai preti… Qui non volendo, gli daranno un pugno… lì per lì sembra niente, ma poi il naso si torce e una parte del viso scande più dell’altra…
A 14 anni con la scuola chiude. Con quei pochi soldi che guadagna facendo l’imbianchino se ne va a teatro e nelle feste di famiglia fa l’imitazione del fantasista preferito… Si è accorto che la sua faccia deformata dal pugno può assumere qualunque espressione estrema e anche il suo corpo, le braccia, le gambe, il collo sembra che se ne vadano per conto suo. Quando comincia a presentarsi in pubblico lo fa, e non poteva essere diversamente, in posti infimi, pieni di fischi e di urli…E lui già così fragile comincia la serie delle crisi depressive, che periodicamente torneranno… Ma è noto! I più tristi sono sempre i comici. Poi la prima affermazione quando, cambiato il repertorio, imbocca la strada della parodia… Il primo successo arriverà a Roma all’Ambra Jovinelli, la consacrazione nei principali caffè-concerto italiani, dal Trianon al San Martino di Milano al Maffei di Torino… Il repertorio è quello ormai collaudato in cui si afferma il tipo della marionetta disarticolata, ormai nota come «l’uomo gomma»
Nel dopoguerra arriverà il successo travolgente del cinema … Lui offre tutta la sua mimica, lo sguardo obliquo , gli inesauribili movimenti del corpo e del collo che si allunga e si accorcia a suo piacimento… Una recitazione forte dell’esperienza teatrale con il ritmo dei tempi scenici e le entrate e le uscite a effetto… E poi l’invenzione di un nuovo linguaggio, le espressioni che sbeffeggiano il potere e la burocrazia, nel loro linguaggio paludato… E in più tante parodie a fare il verso a film famosi, il gusto di contraddire, la voglia di contaminare, tra un «eziandio» e un «tampoco», tra un «a prescindere» e un “è d’uopo.” I critici d’allora storcevano il naso su quei film frettolosi, a basso costo, di cassetta… Quasi 100 in venti anni…”Toto’ Le Mokò,” “Totò cerca moglie” ,”47 morto che parla” e perché no, anche “Totò terzo uomo” “È veramente doloroso, scrivevano, constatare come la comicità di certi film italiani sia ancora legata a sorpassati schemi appartenuti al più infimo teatro di avanspettacolo e Totò sfoggia come al solito i tipici atteggiamenti di quella comicità così banale.” E salutarono infine, come la liberazione del genio, la sua chiamata, già sul finale di vita, a partecipare a film come “La Mandragola” e “Uccellacci e Uccellini” di Pasolini. Ma al pubblico, per anni la qualità dei film sembrò non interessare… Correva a vedere lui, e dopo più di 40 anni dalla morte di Totò occorre avere un po’ di umiltà e riflettere… Perché il cinema di questo straordinario attore dell’eccesso spesso è ancora vivo, fresco, immediato, nonostante i limiti della farsa e le approssimazioni delle sceneggiature…
Nella vita seguitò a essere triste… Cercava strani equilibri nei titoli nobiliari che riscattassero la sua misera infanzia dei bassi napoletani… E non gli bastò il titolo di Marchese che gli lasciò il padre con un tardivo riconoscimento… Si fece adottare anche dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas. Forse era vero… forse no, ma al termine di una lunga battaglia legale decisero che il suo nome era “Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio” e che lui era Principe, Conte Palatino, Nobile, con trattamento di Altezza Imperiale… Qualcuno,come Oriana Fallaci durante un’intervista arrivò a dirgli che aveva un viso “bizantino”… Ma Oriana era una perfida toscanaccia…
Le donne … Anche quelle devono essere state lo strumento del suo riscatto… Le voleva bellissime e poi le abbandonava… La bella Liliana Castagnola si suicidò per lui… E a lui nel ricordo pieno di rimorsi, non restò altro che dare il suo nome all’unica figlia… Si sentiva anche un po’ vittima e da quei suoi stati d’animo amari e malinconici nacquero canzoni come “Malafemmina”o “Sulo”… “Sulo! Songo rimasto sulo, nun tengo cchiù a nisciuno, tenevo sulo a te” … o poesie come” A livella”, con l’amara consolazione della morte che rende tutti uguali…
Solo alla fine trovò un po’ di pace con la giovanissima Franca… Che seppe amarlo per 15 anni e fino alla morte nonostante lui fosse anziano e malandato… Ma lei aveva doti straordinarie di maturità e di equilibrio che in fondo erano sempre mancate a quel genio tormentato, grande e malinconico che era stato Totò o, come era più felice di essere chiamato… Il Principe De Curtis…
D’obbligo pensando a Totò pensare anche a tutta la cucina napoletna, a quella che nonostante tutto sopravvive, che arriva dai profumi dei vicoli ed è fatta di spaghetti fumanti, di pizze colorate, di collane di mtili e di molluschi… C’è un ristorante a Napoli che è soprannominato “Nas’e Cane, proprio come il guappo che ammirava Totò.. E’ dai menù di questo ristorante che ci siamo ispirati per la ricetta. In quella tradizionale si adoperano le vongole “veraci”, ma poiché negli ultimi anni sono quasi tutte di allevamento, hanno perso un po’ di sapore. E’ questo il motivo per cui abbiamo preferito i “lupini”, varietà di vongole più piccole e meno scenografiche, ma di maggior sapore.
LINGUINE AI “LUPINI” E AI GAMBERONI
INGREDIENTI per 4 persone: 330 grammi di linguine, 700 grammi di vongole “lupini”, 500 grammi di gamberoni, 1 mazzetto di prezzemolo, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 2 spicchi di aglio, sale grosso e fino
PREPARAZIONE: Mettete uno scolapasta posizionato all’interno di pentola, versate le vongole nello scolapasta, copritele con acqua fredda “a filo” e una manciata di sale grosso. Lasciatele così per 7 – 8 ore ore affinché perdano la sabbia, cambiando l’acqua 3 – 4 volte. Poi sollevatele con lo scolapasta in modo che l’eventuale sabbia rimanga sul fondo della pentola. Lavate il prezzemolo, tritate le foglie e buttate via i gambi che possono causare intolleranza o intossicazione. Scaldate in una larga padella l’olio extravergine, unite gli spicchi di aglio spellati e schiacciati e fate aprire le vongole a fuoco alto con il coperchio. Non appena aperte (ci vorranno 1-2 minuti), togliete la padella
dal fuoco e sgusciatene la metà. Sgusciate i gamberi, levando la testa e lasciando le codine, incideteli sul dorso ed eliminate il filamento scuro, poi scottateli per 3-4 minuti in una pentola con abbondante acqua salata e scolateli. Lessate nella stessa acqua le linguine e scolatele al dente. Saltate la pasta in padella pochi minuti con le vongole sgusciate e il loro liquido filtrato, aggiungete i gamberi e unite una parte del prezzemolo tritato. Impiattate e decorate ciascun piatto con le vongole col guscio, poste alla sommità assieme alla restante parte del prezzemolo tritato.
Non è vero che si vive solo due volte. Per George Clooney, ed è sotto gli occhi di tutti, le vite sono tre, almeno per il momento e anche se così parallele e diverse fra di loro, lui riesce a farle incontrare e a passare istintivamente e senza grossi traumi dall’una all’altra, in un fluire di esperienze che lo trasportano in altre dimensioni, sotto gli occhi attenti dei media che, per i motivi più diversi, su di lui seguitano a investire . La prima vita iniziò quando all’improvviso l’America e il mondo si accorsero che era bellissimo! Fu allora che divenne per più di 6 anni Doug Ross, il pediatra di E.R. a cui le donne cadevano ai piedi. Ma se Clooney entrò nell’immaginario collettivo come l’uomo più sexy del mondo, il dr Ross, con quel suo rancore verso il padre, che lo porta a sedurne la compagna, è stato anche il primo di quei personaggi equivoci o borderline, a volte aridi o più spesso senza scrupoli con cui Clooney ha sempre tradito Hollywood e il cliché del personaggio seducente , fine a se stesso. Dall’ammazza-vampiri Seth, nella convulsa notte degli orrori di Quentin Tarantino, al rapinatore di Out of Sight, ha attraversato il Medio Oriente logorando la spia tradita dal perfido mondo della Cia, fino a diventare “l’homo mechanicus” di “Up on the air”, e il politico senza scrupoli delle “Idi di Marzo”. Chissà, forse sono stati proprio i suoi personaggi ” intelligenti” a introdurlo nella seconda vita , quella in cui spalanca inorridito gli occhi sui mali del mondo e corre incontro agli ultimi, ai diseredati, a quelli che non hanno più niente. Nel 2003 scopre il Darfur, nell’occidente del Sudan… e un intero popolo sotto genocidio… Scopre l’assurda guerra delle etnie fomentata dallo spregiudicato dittatore del Sudan Omar al-Bashir e il dramma di milioni di profughi che scappano in Ciad. Scopre la miseria più nera nella siccità di un territorio arido, che potrebbe invece essere fra i più ricchi del mondo … Peccato che il petrolio se lo portano via i Cinesi e gli amici di Al- Bashir…
La seconda vita di George Clooney è di sicuro la più drammatica… Ed è una vita di guerra… La sua personalissima e spietata guerra ad AL Bashir… La denuncia di Cloney diventa sempre più alta e coinvolge il distratto mondo occidentale. La sensibilità che si riaccende vigile diventa lo strumento di maggior forza fino a che, in quelle terre martoriate, arriva una forza di pace ONU. Ma Clooney non può fermarsi . Fame violenze e stupri sono appena mitigate dalla presenza dei caschi blu … E alla fine fanno il giro del mondo le immagini di George Cloony arrestato insieme al padre, dalla polizia, durante le proteste in cui i manifestanti non si disperdeono. L’arresto di Cloney è peggio di una battaglia perduta per Omar al-Bashir… Che intanto è stato condannato dal Tribunale dell’Aia per crimini conro l’umanità… Anche se arrestarlo è pressochè impossibile…
Degli ultimi dieci anni, qualcuno, fra andare e venire, di sicuro Clooney l’ha trascorso tutto intero in Africa. Ci si è preso anche la malaria.. Ma per il resto del tempo è entrato nella sua terza vita… Nella pace e nell’infinita dolcezza di “quel ramo del Lago di Como che volge a Mezzogiorno…” frequentato fin dai tempi di Plinio il Giovane e dei suoi aristocratici amici. Clooney e’ ormai un uomo troppo raffinato e troppo antico per stare sempre in America … Qui, nella sua bianca villa tutta disposta sul lago,con il suo ricovero per le barche direttamente sull’acqua, viene con le sue bellissime donne, da Elisabetta Canalis a Stacy Keiblel, oppure fra una crisi e l’altra, lo scapolo d’oro va in barca con gli amici o fa jam session fino a tarda notte…. In Italia ogni tanto lo chiamano per qualche pubblicità, particolare e divertente, studiata apposta per lui e il suo personaggio.. Con i soldii di Nespresso, uno degli spot più ironici e spiritosi, ci finanzia la sua guerra di logoramento a Omar al-Bashir… un “Satellite Sentinel Project”, che controlla il confine tra Nord e Sud del Sudan e gli eventuali movimenti di truppe del Dittatore … Che ci è rimasto proprio male… Questa mossa non se l’aspettava.
Dell’ Italia George Clooney, un po’ per volta ha imparato ad apprezzare il modo di mangiare, attento alle risorse della terra e al volgere delle stagioni… dicono, che nella sua terza vita sia diventato un esperto di cucina mediterranea. Una ricetta per lui non poteva dunque essere una pietanza qualunque, sia pure di buon sapore, ma un piatto con l’occhio volto al territorio e alle tradizioni del Lago di Como….
RISOTTO CON IL PESCE PERSICO
INGREDIENTI per 6 persone: 800 grammi di pesce persico sfilettato, ( oppure circa 1 kg e 300 grammi di pesce intero) farina bianca q.b.,150 grammi di burro, 12 foglie di salvia, 100 grammi di burro, 400 grammi di riso 1,5 litri di brodo vegetale, per la cui preparazione occorrono 2 litri di acqua, qualche grano di pepe nero, sale q. b.,1 foglia di alloro, 1 spicchio piccolo di aglio,1 ciuffetto di prezzemolo,1 carota,1 cipolla 2 coste di sedano.1 zucchina piccola.
PREPARAZIONE.: Cominciate con il brodo vegetale. In una pentola capiente mettete l’acqua fredda e tutti gli ingredienti che lascerete bollire a fuoco medio per circa un’ora e mezza. Al termine filtratelo e tenetelo pronto per cuocervi il riso. Se qualche verdura di quelle segnalate è fuori stagione rinunciateci e sostituitela con altra verdura dal gusto non troppo invasivo, come ad esempio un mazzetto di bieta. Procedete poi a sfilettare il pesce che deve essere freschissimo. Si possono anche far sfilettare i pesci dal negoziante ma non prendete mai i filetti già pronti sul bancone perchè è più difficile accertarne la freschezza. Per sfilettare il pesce occorre prima di tutto estrarre le sue interiora praticando un preventivo taglio sull’addome, poi tagliare di netto la coda e le pinne con le forbici adatte e la testa e le branchie con il coltello, dopo private il pesce delle scaglie con l’apposito attrezzo lavatelo sotto l’acqua corrente, tagliatelo in due o tre sezioni orizzontali togliendo alla sezione mediana la lisca. Sempre muovendo la lama del coltello in orizzontale, facendo la massima attenzione e procedendo adagio, private i pesci della pelle poi sciacquateli nuovamente e asciugateli.
Portate di nuovo a ebollizione in brodo vegetale e cuocetevi il riso al dente, senza mai scuoterlo o girarlo durante la cottura. Mentre il riso si sta cuocendo prendete una padella antiaderente e sciogliete il essa il burro a fuoco moderato, assieme alla salvia, affinchè si insaporisca e solo dopo scaldatelo per brevi minuti a fiamma alta per friggere i filetti di pesce, infarinati leggermente i. Se la padella fosse piuttosto larga potrebbe occorrere più burro per evitare che il pesce si bruci. L’unica accortezza è quello di buttare al termine il burro di frittura e asciugare i filetti con carta assorbente. Un piccolo segreto per evitare che il pesce bruci e si annerisca la crosta , è quello di immergerlo nel burro molto caldo, ma di abbassare immediatamente la fiamma durante la cottura. Mentre aspettare il termine della cottura del riso, tenete i pesci in ambiente caldo. Quando il riso è cotto, scolatelo e fatelo insaporire, per qualche minuto, in un tegame con burro fuso e salvia. Al termine versatelo nel piatto di portata e appoggiatevi sopra i filetti di pesce. Servite caldo.
Che nel 1860 l’Italia fosse stata “fatta” è cosa nota, che, però, restassero da fare gli italiani, lo andava dicendo uno dei suoi figli più illuminati, quel Massimo d’Azeglio, che era stato statista scrittore, pittore, patriota…. Ma non era cosa facile da realizzarsi dopo quattordici o quindici secoli che si viveva divisi in Statarelli, Contee e Marche, con le spalle rigirate l’un contro l’altro… Le tradizioni avevano preso strade diverse e persino i Santi protettori dei paesi più vicini non si conoscevano fra di loro. Non parliamo poi del linguaggio… Italiano si fa per dire… Una delle cause delle battaglie perse nel 1848, durante la 1° guerra di Indipendenza, sembra fosse dovuta al fatto che il colorato esercito di entusiasti volontari calabro- lucano- napoletani non riuscisse a capire gli ordini che lanciavano loro quei ruvidi ufficiali a cavallo, nel loro ostico linguaggio piemontese… Ciascuno pensò dunque che era giunto il momento di rimescolare le carte e, mentre, in politica arrivavano i deputati di tutte le regioni, Manzoni, prima di tutti, andò a “risciacquare i panni in Arno”, cercando di far diventare Toscano quel suo modo di scrivere che, più che lombardo sembrava longobardo….
Ci fu qualcuno che in questo sforzo all’unità prese vie diverse… All’apparenza meno auliche e nobili, nella sostanza ugualmente importanti… Si chiamava Pellegrino Artusi e a parte la sua stazza notevole, poteva sembrare un borghese piccolo piccolo, per essere nato figlio di droghiere, aver fatto il mediatore finanziario e il commerciante di seriche stoffe… Nato suddito dello Stato della Chiesa, in quel di Romagna, morì italianissimo e toscano, dopo aver vissuto gli ultimi 60 anni della sua lunga vita a Firenze, la città che fu per ben cinque anni anche capitale del nuovo regno… Per la verità si era anche interessato di altri aspetti del sapere, ma non se ne era accorto quasi nessuno e finì per diventare il Padre della Patria della “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene…”
Pellegrino Artusi, l’immagine stessa dell’uomo tranquillo – che per sua stessa ammissione riconosceva solo nella nutrizione e nella propagazione della specie, le funzioni principali della vita – aveva avuto invece alcuni momenti fortementte drammatici e movimentati… La vita sua e della famiglia venne sconvolta per sempre dall’incursione del 25 gennaio 1851 a Forlimpopoli del Passatore, che al di là di quello che scrisse Pascoli, forse era davvero il re della strada e della foresta, ma “cortese, inteso come brigante, non lo era affatto… Infatti prese in ostaggio, nel teatro della città, tutte le famiglie più facoltose, rapinandole una per una. E in mezzo ci finirono pure gli Artusi, anche loro in bella vista a Teatro … E non gli bastaroro i soldi dei signori e i gioielli delle signore… Quelli della banda stuprarono alcune donne, e tra queste Gertrude, una delle sorelle di Pellegrino che, impazzita per lo shock, non si riprese più e finì in manicomio.
Neanche la famiglia si riprese e fra vergogna e rabbia, in pochi mesi si trasferì e se ne andò a Firenze… E pensare che per poco si sarebbe potuto evitare quel dramma… Il Passatore infatti morì ucciso solo due mesi dopo.
A Firenze l’ Artusi, subito preso da quello spirito rinascimentale che forse ancora aleggiava in città, si dette tutto insieme alla scienza e alla letteratura, mischiandole in un unico sapere. Scrisse una biografia di Ugo Foscolo e una critica a trenta lettere di Giuseppe Giusti. Di essi pagò la stampa di tasca sua, ma nessuno li lesse mai … Invece la sua passione per la scienza e soprattutto per quella applicata, tipica del secolo del positivismo, ebbe più fortuna.
Il manuale, dal titolo La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, dopo un breve insuccesso al suo apparire nel 1891,[3] fece raggiungere subito dopo al suo autore la popolarità , che non è più venuta meno… e sono ormai più di 120 anni… Ma cosa lo spinse a scrivere di cucina, lui che era stato mercante e sapeva di finanza, ma che cuoco non era? Forse il fatto che proprio la sua attività di venditore l’aveva portato a viaggiare e a provare i cibi di un bel pezzo d’Italia… Così nacque la voglia di riunire in un ” testo unico” l’infinita varietà delle ricette sparpagliate in ogni regione e dare ad esse un linguaggio comprensibile a tutti… Tradurre cioè, la confusa tradizione orale delle osterie e gli scritti ancora più confusi che sovrapponevano le fasi di cottura e usavano termini approssimativi tipo un “mucchietto”, “un pezzo”, o un “appena appena” in qualcosa di più preciso che rendesse facile e accessibile il lavoro del trattore o della donna di casa. Non sempre l’Artusi indica le quantità precise, ma la strada verso la scienza della cucina l’aveva proprio spalancata… Un vero lavoro da scienziato che usa un metodo induttivo e sperimentale, perché ogni ricetta prima di inserirla nella sua voluminosa opera, la volle testare più volte, naturalmente assaporandola. E neanche questo gli bastò…. Teneva una vera e propria corrispondenza, che andò avanti per anni con gli addetti ai lavori o le semplici casalinghe, che davano suggerimenti o raccontavano di varianti… E lui tutto accoglieva e testava in un continuo processo di comunicazione a più vie… Alla fine fece più lui per unire gli italiani in un comune sentire, di tutti quei politici dotti , pomposi e spesso corrotti che ben presto cominciarono a spargere sfiducia e delusione….
Molte delle ricette di Pellegrino Artusi hanno la ricchezza prorompente dei cibi di Romagna con tortellini, zamponi e ragù dalle molte carni, ma largo spazio viene dato anche a ricette semplicissime, condite con pochi ingredienti, per le quali, l’unica rigorosa parola d’ordine è l’alta qualità delle materie prime…
Fra esse abbiamo scelto una ricetta di pesce, in cui sono state precisate le quantità – omesse dall’Artusi – e modificati i mezzi di cottura, dall’autore previsti col fuoco di legna. Si tratta di una ricetta molto estiva, affidata al profumo delle erbe e che può essere utilizzata per più tipi di pesce come sogliola, spigola ,orata.
FILETTI DI ORATA AL PIATTO.
INGREDIENTI per 4 persone: 4 orate freschissime non di allevamento, del peso medio ciascuna di 450 grammi, 4 spicchi d’aglio, 4 mazzetti di prezzemolo, olio extra vergine di oliva, q.b. , sale e pepe q.b., 4 pomodorini pachino (facoltarivi), 1 bicchiere di vino bianco secco
PREPARAZIONE: preparate un battuto con il prezzemolo l’aglio, il sale, il pepe e l’olio e mettetelo da parte. Poi sfilettate le orate. Per fare un buon lavoro avete bisogno di tre attrezzi: un coltello flessibile e affilato, specifico per sfilettare il pesce, un paio di forbici da cucina e uno “squamatore”, un attrezzo che, appunto, toglie le squame. Ponete il pesce su un tagliere poi con le forbici fate un taglio sul ventre sino sotto la testa ed estraete dalla cavità, con le mani, le interiora e gettatele via. Lavate bene il ventre del pesce sotto l’acqua corrente e poi passate a eliminare le pinne tagliando con le forbici prima le due pinne laterali situate vicino alla testa poi la pinna caudale situata sotto il ventre. Con lo squamatore squamate accuratamente l’orata, andando “contro squama” cioè passando ripetutamente l’attrezzo dalla coda verso la testa e poi risciacquate il pesce sotto l’acqua corrente. Ponete di nuovo l’orata sul tagliere ed eliminate le branchie (situate sotto le due aperture semicircolari poste ai lati della testa), estraendole manualmente, quindi con il coltello sfilettatore incidete la testa ed eliminatela, poi sempre con lo stesso coltello cominciate a muovete la lama sotto pelle dall’alto verso il basso, orizzontalmente rispetto al piano di lavoro, per ricavare il primo filetto. Allo stesso modo procedete per ricavare il secondo filetto, spolpandolo però con molta attenzione dalla lisca con cui si troverà a contatto. A questo punto avrete ricavato tre filetti dalla prima orata. Non vi resta che procedere allo stesso modo anche per gli altri pesci. Senza togliere la pelle di fondo ai filetti che l’hanno conservata, passateli ognuno nel battuto e lasciateli insaporire per circa mezz’ora. Poi scaldate l’olio in una padella insieme a un’altra parte di battuto e ponetevi sopra i filetti fino a riempire la padella stessa. Fateli cuocere senza rigirarli per circa 10 minuti e comunque sino a quando il filetto non diventi interamente bianco e poi aggiungete il vino e fatelo evaporare. Il pesce così cucinato può essere mangiato anche dai bambini, perché l’alcol evapora completamente. A piacere in questi ultimi minuti potete aggiungere il pomodorino tagliato a pezzi, anche se la ricetta originale non lo prevede. Se la padella non è stata sufficiente per accogliere tutti i filetti ripetete l’operazione ripartendo battuto e vino. Serviteli caldi decorandoli con qualche ciuffo di prezzemolo.
“Voglio una vita spericolata… Voglio una vita esagerata… ” E la vita di Gabriele D’Annunzio è davvero così … Non come quella del piccolo eroe di Vasco Rossi che al massimo arrivava a bere whisky al “Roxy Bar” per poi tornare a perdersi chissà dove … Invece lui il Vate, il Patriota, il Guerriero, della sua vita ha ne ha fatto un’avventura e uno spettacolo permanenti, esibiti dall’inizio alla fine… E senza perdersi mai… Sembrava solo un precocissimo ragazzo di lettere quando a 16 anni pubblica una raccolta di poesie dal romantico titolo “Primo Vere” che però, già nel titolo, a leggerlo bene, è un edonistico omaggio alla sua gioventù… Seguiterà poi tutta la vita a celebrare se stesso fra un’opera letteraria e una spericolata avventura di mare, di terra, di cielo… Senza parlare di quell’eccentrico modo di vivere fatto di lusso sfrenato e incontenibile desiderio di possedere … “Io sono un animale di lusso e il superfluo m’è necessario come il respiro” amava dire con quel suo sorriso appena ironico tutto rivolto a épater le bourgeois … E difatti se c’era qualcosa che D’annunzio detestava e che forse sinceramente lo immalinconiva era la vita del travet, di quel borghese piccolo piccolo che passava il tempo coltivando il suo orticello, il suo privato , il suo riserbo… Tutte “virtù civiche” impossibili per Gabriele… Quando c’è il lancio della seconda edizione di “Primo Vere” si inventa la storia che l’autore è morto cadendo da cavallo… La commozione è tanta e le vendite del libro vanno alle stelle…
La voglia sconfinata di imporsi lo porta a Roma appena finisce il liceo … Si iscrive alla facoltà di Lettere e filosofia, ma non prenderà mai la laurea.. A Roma ha troppo da fare ed è impossibile non notarlo … Francesco Paolo Michetti, il grande pittore abruzzese e il suo gruppo del Cenacolo lo introducono negli ambienti più esclusivi della Capitale… sono tutti in adorazione del vento di novità artistica e intellettuale che questo gruppo di provinciali sta portando nella smorta capitale addormentata… D’Annunzio è felice e realizzato, è l’animatore dei migliori salotti e le spregiudicate nobildonne sono ai suoi piedi… Ma il risveglio è brusco… Pena l’ostracismo deve affrontare un urgente matrimonio riparatore con la duchessa Maria Hardouin di Gallese e un affrettato impiego presso un giornale… di cui seguiterà a lamentarsi perché toglie tempo ai suoi interessi letterali. Gli era costato caro tradire il suo primo vero amore “Lalla” a cui aveva dedicato le belle poesie d’amore di “Canto Novo”… “Ma ancora ancor mi tentan le spire volubili tue…”
Naturalmente il matrimonio va a rotoli in breve tempo nonostante la nascita dei figli, ma è a Roma che D’Annunzio ha la sua consacrazione come letterato… “Il Piacere” viene pubblicato nel 1890 e così ne scriverà Benedetto Croce pur parlando di ” malati di nervi” a proposito dei nuovi autori, lui Fogazzaro e Pascoli “Risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente “… Ci doveva essere un’evidente stanchezza verso i grandi temi sociali o la narrazione della povertà contadina o della prima industria… Quello di D’annunzio è un mondo poetico di sentimenti individuali… tutto psicologia e introspezione, in cui si celebra il mito del bello e dei valori estetici che dall’arte devono arrivare alla vita .. Unico modo per dare dignità e senso a un’esistenza altrimenti povera di contenuti e di emozioni… Così D’Annunzio descrive il suo protagonista Andrea Sperelli che abita nel barocco Palazzo Zuccari, vicino a Piazza di Spagna: ” Egli era per così dire tutto impregnato d’arte … Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. Fin dal principio egli fu prodigo di sé… Ma l’espansione di quella forza era la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere … Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui. “
Roma ha il suo cantore che gli fa acquistare un posto di tutto rispetto nel mondo internazionale… Non a caso D’annunzio verrà sempre più strettamente unito all’estetica decadente di Oscar Wilde … Ma Roma non fruirà per molto del suo vate… Dopo una lunga relazione con la sofisticata Barbara Leoni, D’annunzio approda a Napoli perso dietro il suo ultimo amore… La nobildonna Maria Gravina… Sarà il periodo peggiore di tutta la vita immerso nella miseria, con la figlia Renata appena nata, denunciato per adulterio dal marito di Maria e condannato a 5 mesi di carcere… Lo salverà un ‘amnistia e poi il rifugio presso il fedele amico Michetti a Francavilla sul Mare… Ma sono anche gli anni in cui si accosta a Nietsche… e forse il sentirsi un “Superuomo l’avrà salvato dalla disperazione… E intanto scrive, scrive Giovanni Episcopo, L’innocente, Il trionfo della morte … tutte tematiche truci in cui si abbandona a una specie di razzismo aristocratico e biologico con tutta la sua insofferenza per l’uomo qualunque…
La sua vera salvezza però non sarà né un uomo né un superuomo ma un’attrice sensibile e e con una grande fama… Eleonora Duse lo accoglie in Toscana in una villa vicina alla sua e gli pagherà le rette del collegio per la figlia Renata… Lui completamente esaltato dal nuovo amore si infiammerà per il teatro e ripagherà la la Divina Eleonora “dalle bianche braccia” con qualche tragedia non eccezionale e un romanzo “Il Fuoco” in cui non si farà il minimo scrupolo di raccontare anche nei dettagli più erotici ed intimi la sua storia passionale con la Duse . Sono anche gli anni però in cui scrive alcune delle liriche più belle … Quelle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi ” che non completerà mai … In cui trovano spazio i suoi miti rivisitati…. dalla Grecia classica, al culto degli eroi, al sogno di una grande Italia imperialista e ai versi in cui l’amore si fonde con lo spirito panico della natura …. “La pioggia nel Pineto” in cui i due amanti si perdono nel bosco come in uno sconosciuto mondo antico e intatto è l’ultimo omaggio a Eleonora – Ermione, la compagna che lo segue nel mistero e nella musica della natura…
La sua nuova rovina finanziaria inizierà proprio abbandonando la Duse … Non c’era più nessuno che lo sostenesse nelle folli spese che aveva affrontato per arredare la sua villa “La Capponcina”, in cui il Vate – Superuomo doveva vivere “la vita del signore rinascimentale”. Fra Teatro e liriche aveva guadagnato somme enormi, ma niente per coprire le sue spese… Il superuomo per sfuggire i creditori, scappò letteralmente in Francia e ci rimase cinque anni, mentre la Capponcina e tutti i suoi tesori estetico – decadenti finivano all’asta.
In fondo lo salvò la Guerra… Quando scoppiò il conflitto, divenne uno fra i più sfrenati interventisti… Con le sue parole infiammò gli italiani per la riconquista delle terre irredente, quelle che non erano bastate tre guerre Risorgimentali per accoglierle nella nuova Italia… Lui aveva già 52 anni ma la guerra e l’avventura che vedeva in essa lo galvanizzò e lo fece ritornare quasi un adolescente.. Era già qualche anno che inneggiava , auspicava , si batteva per una nazione dominata dalla volontà di potenza, sentendosi umiliato dall’«Italietta meschina e pacifista».
E così allo scoppio della guerra- e non aspettava altro – in quelle”radiose giornate di maggio”, si arruolò volontario nei Lancieri di Novara, partecipando impaziente a tutto quello che la guerra gli poteva offrire. Era un ottimo pilota e si sfrenò letteralmente nelle incursioni aeree su Trento e sul fronte carsico. Lo fermò per un po’ di tempo una brutta ferita su una tempia e poiché il Superuomo non aveva molto tempo per curarsi finì per perdere la vista di un occhio… La sua esaltazione patriottica era sincera ma di gran lunga più esaltante fu per il Superuomo la passione per il rischio e il senso dell’avventura e così torno a combattere … Non gli mancava certo la fantasia e alcune delle sue imprese vanno ammirate e ricordate per l’audacia e l’originalità degli interventi… Famoso il volo dimostrativo su Vienna… 11 aerei partiti e 8 arrivati, percorsero 1000 chilometri per andare a lanciare su Vienna circa 300.000 manifesti di propaganda di guerra… L’ultimo aereo era un biposto pilotato dal Capitano Natale Palli…. Nell’abitacolo con D’Annunzio c’era anche un ragazzino di 9 anni figlio di un amico del Vate …Ancora più spettacolare fu l’incursione nella baia di Buccari dove tre Mas arrivarono indisturbati sino in fondo alla baia dove schierata c’ era una buona parte della flotta austriaca, lanciando siluri e colpendo tre navi per poi ritornarsene via sani e salvi… I danni furono limitati ,ma il morale delle truppe iraliane salì alle stelle…
L’avventura più esaltante il Vate Comandante la sperimentò alla fine della Guerra con l’impresa di Fiume… Visto che in base ai Trattati di pace la città non sarebbe tornata all’Italia, D’annunzio alla testa di un gruppo di 2500 ribelli la occupò militarmente instaurandovi una propria Repubblica e una Costituzione molto avanzata in cui erano riconosciuti diritti per i lavoratori, pensioni di invalidità, suffragio universale depenalizzazione dei reati diomosessualità, nudismo e uso di droga… Fu costretto a sgombrare un anno dopo sotto l’assalto dell’esercito regolare che non voleva compromettere i buoni rapporti di pace con le altre potenze… Ci pensò pochi anni dopo il fascismo con un colpo di mano a riportare Fiume all’Italia..
Dalle sue imprese di guerra ricavò un titolo nobiliare dal nome vagamente da operetta “Principe di Montenevoso” cosa di cui il Superuomo tutto preso di sé non si accorse… Per il resto al di là di tutto quanto ci si sarebbe potuto aspettare, si ritirò in volontario esilio in una villa di Gardone Riviera… che lui chiamò “Il Vittoriale degli Italiani ” Osannato e richiesto a gran voce da Mussolini e fascismo, rifiutò incarichi pubblici come pure di frequentare a fondo gli uomini “nuovi” anche se non ruppe i rapporti formali .. Non era tanto questione di ideologia … La rozzezza e la volgarità del Regime erano per la sua anima raffinata troppo difficili da sopportare.
A Gardone Riviera ormai libero dai debiti e dalle ristrettezze economiche potè dare spazio e realizzazione ai suoi sogni più pazzi. Arrivò al top del suo stile di vita e trasformò lla villa in una sorta di museo eclettico degli oggetti più strani e dell’arredamento più fantasioso… Nel parco aveva costituito il “quartiere degli artigiani ” un gruppo di specialisti che creava i suoi mobili e i suoi oggetti, in aggiunta a quelli che si faceva venire da tutto il mondo… A volte di gran gusto altre di un Kitch da far paura … Aveva 300 paia di scarpe negli armadi e decine e decine di eccentriche vestaglie con cui riceveva le sue belle e giovani amanti… In fondo fu felice.. Aveva raggiunto il lusso e il superfluo di cui la sua anima estetica non aveva mai potuto fare a meno…
Mangiava poco, ogni tanto a scopo curativo digiunava tre giorni alla volta, ma era attaccatissimo soprattutto alla cucina della sua terra d’Abruzzo … Una terra di pastori che per lui appartenevano ancora al mondo greco e una lingua che lui si rifiutava di chiamare dialetto e definiva latina… Del formaggio della sua terra diceva “…è tutto nel nostro cacio pecorino… È il cacio nerastro, rugoso, durissimo: quello che può rotolare su la strada maestra a guisa di ruzzola in gioco ” e ogni tanto si faceva preparare “I maccheroni alla chitarra”… Quelli che si preparano su un telaio rettangolare di legno di faggio, in cui sui lati lunghi sono tesi dei sottili fili metallici, che ricordano appunto le corde della chitarra… La sfoglia di pasta si stende sopra e poi pressata dal mattarello cade sul piano inferiore divisa in maccheroni di taglio quadrato … Ci sono diversi modi di preparare il condimento sia a base di carne che vegetariano come quella che abbiamo scelto noi…
MACCHERONI ALLA CHITARRA
INGREDIENTI per 4 persone: farina di semola di grano duro 400 grammi, 4 uova, sale q.b., pomodori pelati 400 grammi, 2 spicchi d’aglio, 4 cucchiai di pecorino abruzzese, 1 peperoncino essicato di media grandezza, un mazzetto di prezzemolo, olio extra vergine di oliva.
PREPARAZIONE: Disponete la farina a fontana , al centro rompete 4 uova e aggiungete un pizzico abbondante di sale . Impastate a lungo per circa mezz’ora e dopo fate riposare l’impasto almeno per due ore , in frigo,avvolto nella pellicola trasparente. Scaduto il tempo tirate una o più sfoglie di dimensioni inferiori, di spessore non inferiore ai 5 mm e ponetele sulla chitarra leggermente infarinate da ambo le parti. Passate il mattarello con forza su tutta la superficie della sfoglia in modo da tagliarla in un colpo solo formando i maccheroni che si andranno a deporre sul fondo dell’attrezzo. Ripetete l’operazione se avete preparato più sfoglie e mettetele aperte su un panno fino al momento dell’utilizzo.
Per realizzare il sugo, affettate finemente dopo averli sbucciati i due spicchi di aglio e metteteli a dorare nell’olio facendo attenzione che non si brucino. Se dovesse succedere è preferibile buttare il tutto e ricominciare perché rovinerebbero con il loro amaro la delicatezza del sugo. Una volta dorato l’aglio aggiungete il pomodoro, il sale e il peperoncino e fate sobbollire il sugo per 20 – 25 minuti. Qualche minuto prima di togliere dal fuoco aggiungete una parte del prezzemolo. Una volta cotta la pasta in acqua bollente e salata, scolatela molto al dente, conditela col il sugo,spolverizzatela di pecorino e il resto del prezzemolo tritato.
Lontano da tutti i luoghi comuni… dai facili qualunquismi e dagli stereotipi… Niente sole, niente pizza, niente mandolini… Ma una sofferenza antica, stoica, fatta di mille pudori, senza rassegnazione però e con l’0rgoglio di essere … “Io penso in napoletano, Io sogno in napoletano… Cioè … mi riesce proprio facilissimo …” Ma non ti sforzi di parlare italiano? – Chiedeva la giornalista di buona famiglia – “Sono ormai tre anni che stai qua”… E c’era quasi una vena di impazienza e di divertita commiserazione nella voce di lei… “No, non mi sforzo. Oltretutto all’inizio c’era un po’ di rabbia… Ci steva questa prevenzione … Dicevano che non capivano… Perché, io posso capire il romano e anche il milanese… Insomma… e voi non potete capire il napoletano?… Non è che non potete …E’ una mancanza di disponibilità …” Diceva cose dure, ma parlava pacato, con quella voce dolcissima, fatta di constatazioni senza polemiche, quasi senza rimprovero… ” Senti, non ti faccio una domanda seria…” – diceva, cambiando argomento, la ragazza un po’ confusa – Ti chiedo così… Ma tu hai per caso idea di come possano risolversi i problemi giù di Napoli? Politicamente, non so, hai vagamente un’ aria di sinistra, non so se ti occupi di politica eccetera” E lui rispondeva senza badare alla superficialità dell’approccio, impegnato solo a sfruttare quello spazio televisivo al meglio possibile, per poter aiutare la sua città ” I problemi vanno risolti nella Struttura giusta… Qualche volta si chiede di risolverli con la canzone, con il calcio o con il teatro… Invece noi possiamo partecipare ma non risolverli … La difficoltà oggi però è che non si sa nemmeno dove sta il potere… Ai tempi di Masaniello si andava ad assaltare il palazzo del Viceré , al tempo dei tedeschi si riconoscevano quelli con gli elmetti, ma adesso invece c’è questo potere subdolo… “
Forse per capire la rabbia e il dolore di Massimo Troisi bisogna andare a San Giorgio a Cremano… Un aggregato ormai saldato alla città di Napoli, dove, in un un tessuto sub – urbano disordinato e degradato dalle infiltrazioni della camorra, esistono o per lo più resistono, una trentina di meravigliose ville barocche, una più bella dell’altra… sparse sul territorio… Erano “Le ville di delizie,” dove i signori del ‘700 trascorrevano le villeggiature…
A San Giorgio Massimo nasce nel 1953 in una grande famiglia … 17 persone fra fratelli, nonni e zie… “Quando sto con meno di 15 persone mi sento solo…” seguiterà a dire una volta lontano da S. Giorgio a Cremano… Un’ infanzia serena col padre Capo Stazione e una assurda collezione di trenini elettrici che era l’immancabile befana delle Ferrovie dello Stato, ai figli dei dipendenti… Ma a 12 anni Massimo si ammala… Le febbri reumatiche gli cominciano a scassare il cuore… e da allora quel viso allegro da scugnizzo comincerà ad assottigliarsi…
Questo non gli impedisce di fare teatro… Nel suo gruppo ci sono Lello Arena, Nico Mucci, Valeria Pezzagiovani … Hanno un testo tutto scritto da loro …”Crocefissioni d’oggi,” e una sala per le rappresentazioni..Il Teatrino dell’Oratorio… Al parroco, fanno leggere una versione depurata del testo, ma al momento della rappresentazione, il parroco li caccia dal Teatro… Gente che non si arrende, prendono allora in affitto un vecchio garage che tutti fieri chiameranno “Centro Teatro Spazio”, Rappresentano Eduardo e le Marionette, ma quando le cose si avviano bene, Massimo non ce la più…
In America c’è un grande chirurgo… il Professor De Bakey, è uno dei pochi al mondo che può sostituire una valvola al cuore, ma le spesa è enorme… Quando tutto sembra perduto é un giornale a salvare Massimo… “Il Mattino” lancia una sottoscrizione e il cuore di Napoli salverà quello di Troisi a cui in America sostituiscono la valvola usurata.
Quando lui torna nel 1976 arriva il successo… Il trio Troisi, Decaro, Arena si chiama “La Smorfia…” Altro che Freud…. A Napoli e dintorni ci sono i veri esperti che interpretano i sogni, li trasformano in numeri… che poi si giocano a Lotto… Un modo tutto Napoletano per risolvere i guai… Questo nome dell’antica tradizione l’ha voluto Troisi… Sono spettacoli di sketch comici con temi di attualità… Forse il più esilarante e il più famoso è La Natività che diventa l’occasione per parlare della mancanza di lavoro a Napoli… Ha preso ormai forma il personaggio di Troisi timido, impacciato, in sordina, irresistibilmente comico, Lello Arena è il cattivo e De Caro suona le più antiche musiche napoletane … . A Napoli lavorano al San Carluccio, a Roma al Brancaccio ed è lì che li scopre Gigi Proietti che li fa arrivare in televisione… Il successo a Massimo fa bene… Prende il sospirato – da suo padre – diploma di geometra e trova l’amore… una giovane e bella attrice che si chiama Anna Pavigliano… E’ la prima delle sue belle amanti che gli rimarranno tutte vicino anche quando non ci sarà più l’amore…
Era inevitabile l’arrivo al cinema… e “Ricomincio da tre ” sarà il trionfo di Gaetano, napoletano schivo,educato, ma che, nella sua logica fuori dai clichè, si ribella alll’etichetta dell’emigrante, con cui lo vogliono bollare, solo perché viene da Napoli… Arriva a Firenze con un candidato al suicidio, si innamora di Marta , scappa, ritorna. Forse il figlio che aspetta Marta non è il suo, ma la questione più importante diventa il nome da mettere al bambino in un dialogo da nuovissima commedia all’italiana, tutto fatto di surreali ragionamenti… Gaetano: “Ma mettiamo che questo figlio… cioè… mettiamo che io ‘sto figlio… Cioè, come lo chiameremmo? ” Marta: “Mah… io non ci ho ancora pensato. Massimiliano? ” Gaetano: “No no no no, per carità, quale Massimiliano!? No, guarda, lo chiamiamo. cioè… si se decide che ‘sto figlio è… cioè che può., cioè… io avevo pensato: Ugo… E’ propria perché accussì ‘o guaglione vene cchiù educato. ” Marta: “Ma perché? Massimiliano…? ” Gaetano: “Massimiliano vene scostumato. Cioè… niente, lo so… È proprio il nome che è scostumato. Perché Massimiliano… Per esempio, questo ragazzo sta vicino alla mamma… questo ragazzo si muove per andare a qualche parte? La mamma prima di chiamare Mas-si-mi-lia-no, il ragazzo già chissà dove è andato, chissà cosa sta facendo! Non ubbidisce, perche è troppo lungo! Invece Ugo, quello come sta vicino alla mamma e sta per muoversi: Ugo! Il ragazzo non ha nemmeno il tempo di fare un passo. Ugo!, e deve tornare per forza, perche lo sente, il nome. Al massimo, proprio… ecco… volendo lo potremmo chiamare Ciro. È più lungo, ma proprio per non farlo venire troppo represso… Però Ciro tiene il tempo di prendere un poco d’ aria… “.
“Pensavo fosse amore e invece era un calesse” e’ la fine di un amore con le grottesche verità di Troisi sulla vita e sull’amore … Cecilia ha appena lasciato Tommaso… Lui si reca sotto casa di lei e la chiama al citofono… Lei non lo vuole far salire…
“Apri un momento… Senti sono in pantofole, con la vestaglia..E allora, mi fa impressione che stai in pantofole con la vestaglia? Ci spieghiamo un attimo, apri per favore…Dai, sono messa male, stavo dormendo, non voglio che mi vedi così, sono brutta…Sei brutta? Tanto mi devi lasciare mica ti devi fidanzare, meglio no, se sei brutta?”
Gli amici vogliono avvisare Tommaso che Cecilia ha un altro uomo… Abbiamo visto Cecilia, lei non stava sola.. stava insieme a uno.Uscivano dal cinema, parlavano, ridevano e scherzavano….Vabbè sarà stato un amico!… Stavano assieme, Tomma’, stavano proprio assieme .Noi ti diciamo la verità per il bene tuo…Chi vi ha chiesto niente, queste non sono cose che si dicono in faccia sono cose che vanno dette alle spalle dell’interessato. Sono sempre state dette alle spalle.
Le caratteristiche che dominano il personaggio di tutti i film di Troisi sono sicuramente la sua personale timidezza e il suo essere schivo, delicato e sempre un po’ fuori posto..Sono elementi che lui di film in film raffina e sublima nella sua ironia tutta speciale e nel suo modo di stare al mondo …
Di successo il successo finisce il breve tempo di Massimo Troisi col suo ultimo e struggente film “Il postino,” dove il personaggio riesce a vincere e a superare la sua timidezza grazie al dono della poesia.
Succede nel 1994… Quando fa un controllo al cuore negli Stati Uniti… Si deve sottoporre a un nuovo intervento chirurgico, ma le riprese del suo nuovo film stanno per iniziare e lui rimanda…
Il postino , girato a Procida e Salina , diretto da Michael Radford, è la storia di una insolita amicizia tra Mario, un umile portalettere e Pablo Neruda durante l’esilio del poeta cileno in Italia… Sarà l’amicizia col grande poeta che spingerà Mario a scrivere le poesie che non aveva il coraggio di tirar fuori… Troppo singolare l’analogia fra Mario il Postino e Massimo il suo interprete…
Mario morirà durante una manifestazione prima ancora che suo figlio nasca, Massimo riuscì a stento a terminare le riprese del film con enorme fatica, facendosi sostituire in alcune scene da una controfigura, poi morì nel sonno, nella casa della sorella per un attacco cardiaco, il 4 giugno 1994, 12 ore dopo aver terminato le riprese de Il postino.
Due anni dopo Il postino venne candidato a cinque Premi Oscar (tra cui uno per Troisi come miglior attore, una nomination per l’Oscar postumo), ma delle cinque nomination si concretizzò solo quella per la migliore colonna sonora scritta da Luis Bacalov.
Certo per Troisi non poteva mancare una delle più gustose pastasciutte napoletane … Semplice e raffinata assieme, nello stile di una grande ed elegante tradizione, che a lui sarebbe piaciuta…
SPAGHETTI CON LE VONGOLE VERACI AL VINO BIANCO
INGREDIENTI per 4 persone: 1, 200 kg di vongole veraci freschissime e non di allevamento, altrimenti è preferibile utilizzare i “lupini” varietà di vongole più piccole,ma altrettanto saporite. 400 grammi di spaghetti,1 mazzetto di prezzemolo, 3 spicchi di aglio, 100 ml di olio extra vergine di oliva, 150 ml di vino bianco secca , 1 cucchiaio di farina, pepe e peperoncino
PREPARAZIONE:
Fate spurgare almeno per 12 ore le vongole, coprendole a filo con l’acqua leggermente salata.
Dopodiché sul fuoco, ponete una padella larga e versateci l’olio, l’aglio sbucciato, un peperoncino, il vino bianco e per finire il cucchiaio di farina, che seve per addensare la salsa che si sta preparando e quindi rimescolando amalgamate il tutto.
Quando poi, il composto inizia a soffriggere, aggiungete le vongole, fate insaporire bene e spegnete il fuoco solo quando saranno tutte aperte. Dopo di chè estraetele dalle valve e rimettetele nel loro sugo, salvo 200 grammi circa che terrete come decorazione da porre in cima ai piatti con le loro valve.
Nel frattempo, mettete una pentola piena di acqua sul fuoco, salate a vostro piacimento e quando l’acqua è giunta a bollore gettate gli spaghetti.
Ed infine, una volta cotti, scolateli e versateli nella padella nella quale avete preparato la salsa e riportatela a fuoco vivo. Aiutandovi con le posate, lasciate che gli spaghetti si impregnino del condimento. Se occorre potete aggiungere un po’ di liquido della pasta e una volta spenta la fiamma, spruzzate di prezzemolo tritato. e guarnite con le vongole rimaste con le valve.
1950… Il nuovissimo grattacielo di Piazza Repubblica è alto 114,25 m… E’ la prima volta che a un edificio viene consentito di superare la Madonnina… alta poco più di 108 m… Anche altri grattacieli stanno sorgendo, uno a Piazza Diaz e un altro all’angolo tra Via Turati e Piazza Repubblica. La Casa Editrice Ricciardi apre la sua nuova sede a Milano… Ha un obiettivo ambizioso…La pubblicazione di tutta “La letteratura Italiana”. Antonioni sta girando il suo primo film “Cronaca di un amore” con una giovane attrice che fino a poco tempo prima faceva la commessa di pasticceria proprio a Milano La Callas canta per la prima volta alla Scala… E Milano sta cambiando, tutta presa dal suo miracolo economico.
Il quei dieci anni fra il ’50 e il ’60 quasi 300.000 persone arrivano in cerca di fortuna… Vanno a riempire le periferie dai palazzoni tetri o i malsani scantinati del centro e sembra che parlino altre lingue, che vanno a sovrapporsi e a mescolarsi con quella di casa… Magari le parole milanesi resistono, ma in bocca ai siciliani o ai pugliesi c’è da farsi cadere le braccia.. La fabbrica però non ha occhi per il passato, non può neppure per un momento fermarsi e cercare di capire… Così accoglie tutti nel suo disperato bisogno di mano d’opera.. Bisognerà aspettare il 1965 quando, Giovanni Pirelli, scrivendo «A proposito di una macchina», entrerà nel cuore della Lombardia industriale, squarciando definitivamente il velo delle illusioni. Per ora è tutta baldanza e il popolo di Milano, quello antico, sembra sopraffatto, quasi perso, pare non ci sia più, in quel confuso crogiolo aperto a tutte le esperienze…
C’è però qualcuno che quel popolo sa dove trovarlo… Lui voleva fare il medico e invece capì appena in tempo che forse, senza di lui, nessuno avrebbe più conservato la memoria… Enzo Jannacci aveva un nonno pugliese arrivato con le prime migrazioni dell’inizio del ‘900, un padre, già di seconda generazione integrata, che era Ufficiale dell’Aeronautica… Forse qualche volta quando Enzo era piccolo, lo avrà portato con sè all ‘Aeroporto di Linate che allora si chiamava Forlanini. Enzo se lo ricorderà nella canzone del Barbone con le scarpe da tennis… Al liceo conosce Giorgio Gaber un amico, un fratello, quasi un’anima gemella, uno con cui suonerà e canterà a lungo nei duetti strampalati dell’assurdo… Erano i primi a divertirsi da matti… 8 anni di pianoforte al conservatorio, diploma di armonia… e direzione di orchestra, mentre seguita a studiare medicina… Più in là lavorerà ai primi trapianti di cuore, in Sud Africa, nell’equipe di Barnard e sarà un jazzista capace di suonare con Chet Baker e Jerry Mulligan, ma intanto è fra i tra i primi in Italia a suonare il rock’n’roll e a spazzare via la musica melodica degli anni ’50 …
Al Santa Tecla e al Derby, i locali delle nuove tendenze, portò il suo stile singolarissimo. Non era un urlatore, non era un rockettaro, ma faceva un cabaret musicale dove dentro ci poteva essere tutto …Stralunato paradossale, inimitabile… Proprio com’era lui, con il corpo che sembrava andarsene per i fatti suoi e quel viso da bravo ragazzo un po’ triste… Cantava storie minime di gente minima, storie disperate venate di ironia, con punte di esilarante comicità e un fondo d’amore per i suoi eroi di strada… Un po’ recitava, un po’ cantava, suonava… parlava in dialetto… E intanto celebrava Milano… Sapeva che era senza scampo… Se ne stava andando quella dei barconi sui Navigli che ancora portavano la sabbia dalle cave fino alla darsena, il quartiere dell’Ortica in cui il “Palo” della Banda era guercio e non si accorgeva mai quando arrivava la polizia…La Bovisa, Viale Forlanini, le periferie prima che fossero distrutte dall’avanzare della citta Leviatano… E la minuscola stazione di Rogoredo ( I s’era conossü visin a la Breda, leì l’era d’ Ruguréd e lü… su no). In quei quartieri, c’era la Milano di una malavita minore… Il ladro di “ruote di scorta di micromotori ”, quel fratello cattivo che faceva piangere la mamma, nell’ ironica dissacrazione “di tutte le mamme del mondo ” che ancora imperversavano nel canto melodico dei Festival di San Remo” A chiedere il personaggio più amato non si sa rispondere… Il barbone ammazzato mentre “coltivava già da tempo il suo sogno d’amore”, il tassista che si ribalta con il suo taxi senza una ruota, ridotto a un triciclo o quel poveretto che l’Armando gettava giù dal ponte ” Ma per non bagnarmi tutto mi buttava dov’è asciutto”.
Quando sul finire degli anni ’60 quel mondo stava davvero scomparendo Jannacci se ne andò a fare il medico… Era bravissimo, pignolo sino all’esasperazione, ma a Cantù c’era chi lo ricordava entrare correndo nei reparti e gridare, rivolto ai malati: «Cià, che fèmm una cantàda», più o meno «Su che cantiamo insieme». Era il suo modo per tenere alto il morale a tutti e dava se stesso senza esitazioni…
Naturalmente più tardi tornò a cantare… Tematiche diverse per tempi cambiati, ma l’ironia era sempre la stessa… “Ho visto un re”, insieme a Dario Fo.. Sembra un non sense e invece è una metafora a sfondo politico. Diventa uno dei brani simboli del ’68, quando si capisce la graffiante satira sociale e lo sconforto della politica… “Vengo anch’io… no tu no”, forse il suo brano di maggior successo è in realtà la denuncia di nuove esclusioni… Quel “Tu no” oltre un bullo alla Carlo Verdone, messo in disparte può essere anche un extra comunitario… “Messico e Nuvole” è un amore per nuovi borghesi pieni di divorzi facili, ma la disperazione e l’amore sono così autentici che fanno venire da piangere…
Poi teatro, televisione, cinema, con quel disancorato triste personaggio de “L’Udienza”… Colonne sonore e tanti onori… Se ne è andato in punta di piedi qualche mese fa… Il tre giugno sarebbe stato il suo compleanno e lui non è riuscito ad arrivarci… Ma il Governatore della Lombardia che suona Jazz e il figlio Paolo lo stanno festeggiando ugualmente… Con una Jam Session nella sede della Regione Lombardia…
Quando é morto c’era anche un paio di scarpe da tennis nere, nella camera ardente. La ragazza che le aveva portate ha detto a bassa voce “Mi sembrava che mancasse qualcosa, e’ giusto cosi”
Pochi dubbi per la ricetta… C’è dentro tutta l’antica tradizione di Milano…
OSSIBUCHI ALLA MILANESE CON RISOTTO GIALLO
INGREDIENTI PER GLI OSSIBUCHI per 4 persone: 4 ossibuchi, farina q.b., 1 cipolla, 1 carota, 50 grammi di burro, 1 dl di vino bianco secco, 1 dl di brodo di carne, 1 spicchio di aglio, 1 manciata di prezzemolo, 1 limone biologico
INGREDIENTI PER IL RISOTTO per 4 persone: 400 g di riso, 1/2 cipolla bianca, un bicchiere di vino bianco fermo, 2 bustine di zafferano, olio extra vergine di oliva q. b. ,240 grammi di burro, 6 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato, brodo di carne, sale e pepe.
PREPARAZIONE DEGLI OSSIBUCHI
Tagliate la pellicola esterna degli ossibuchi per evitare che si arricci in cottura. Sciacquateli in acqua fredda corrente, asciugateli tamponando bene con carta assorbente da cucina e infarinateli.
Sbucciate e tritate finemente la cipolla, versatela in un tegame con il burro e fatela appassire a fuoco basso per circa 10 minuti, mescolando spesso. Mettete gli ossibuchi nel tegame, alzate il fuoco e lasciateli dorare bene da ogni lato, facendo attenzione che la cipolla non diventi troppo scura. Eventualmente toglietela dal tegame e rimettetela prima di sfumare la carne con il vino. Quando sarà evaporato, salatela e pepatela.
Unite il brodo, abbassate il fuoco, coprite e fate cuocere per circa 1 ora e 30 minuti, voltando la carne di tanto in tanto; il sugo dovrà restringersi pur rimanendo fluido.
Preparate la gremolata: sbucciate e tritate l’aglio; mondate e tritate il prezzemolo; lavate bene e grattugiate la buccia del limone. Mescolate il tutto, quindi versate il ricavato sulla carne e proseguite la cottura per 5 minuti. Servite gli ossibuchi nei piatti individuali, accompagnando con risotto alla milanese.
PREPARAZIONE DEL RISOTTO ALLA MILANESE
Preparare il soffritto con olio, poco burro e cipolla tritata . Quando tutto è ben dorato buttare il riso, amalgamare bene e sfumare con il vino bianco. Aggiungere quindi il brodo. in cui si sono già sciolte le bustine di zafferano)e continuare la cottura per circa 15 minuti. Mantecare fuori dal fuoco, con burro freddo e parmigiano.
Stabilimenti Penali di Pianosa, 26 febbraio 1933 “Mamma… Con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me….Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede che è tutta la mia vita… Non ho mai chiesto pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché dunque propormi un così vergognoso mercato?…”
Stabilimenti Penali di Pianosa 23 febbraio 1933 – “A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale – La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico Sandro Pertini”
“Io lasciai l’Italia nel 1926.La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze,quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un paese di violenti, gli anni ’20 furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti… Questo non è stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il 1 maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale… Perché ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: Sotto il barbaro dominio fascista. Ho vissuto i miei 20 anni così e non me ne pento.”
Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge alla cattura scappando a Milano. Da lì organizza la fuga di Filippo Turati, il grande leader del socialismo in pericolo. Tornano assieme a Savona dove li aspettano Ferruccio Parri, Adriano Olivetti e Carlo Rosselli… Anche Pertini deve andarsene… Li porteranno con un motoscafo in Corsica…”Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino Verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino Verde c’era il ristorante “I pesci vivi”… Passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”…
Mentre gli amici che li hanno aiutati, a eccezione di Olivetti, finiscono tutti in carcere, Pertini in Francia resiste poco più di due anni. Duro e orgoglioso rifiuta l’aiuto di Turati e trova lavoro come muratore, lavavetri di taxi e comparsa cinematografica. Non ha la minima difficoltà a svolgere lavori umili, ma si sente troppo frustrato e inutile, anche se a Nizza mette su una radio clandestina per mantenersi in corrispondenza con i compagni…A marzo del 1929 torna in Italia con un passaporto falso, intestato allo svizzero Luigi Roncaglia. Ha grandi idee, prima fra tutte quella di ammazzare Mussolini, proprio mentre parla dal balcone di Piazza Venezia… Ma i sotterranei sono sorvegliati e bisogna cercare un’ alternativa…
A Pisa mentre sta ancora lavorando all’attentato viene arrestato… La sua libertà è durata meno di un mese… Al processo non si difende perché non riconosce l’autorità del Tribunale. A novembre del 1929 arriva la condanna a quasi 11 anni di carcere… Mentre il giudice legge la sentenza lui grida “Viva il Socialismo, abbasso il Fascismo”
Nel carcere di Santo Stefano, le condizioni sono durissime … Ci rimane quasi due anni e si ammala di tubercolosi.” … Improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l’inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne…”
Lo trasferiscono al carcere di Turi dove praticamente mandavano tutti quelli a cui avevano rovinato la salute… C’é anche Gramsci e nasce una grande amicizia. Pertini che per sè non chiede niente riuscirà, minacciando ricorsi, a non farlo più svegliare di notte dalle guardie che, sadicamente battono sulle sbarre appena vedono che chiude gli occhi… Poi otterrà che gli diano delle matite e dei block notes, una sedia, un tavolino… Ed è in questo modo che ci sono arrivati “I quaderni dal Carcere”. Quando tanti anni dopo uno dei ragazzi che lui tutti i giorni riceveva al Quirinale, gli chiederà il ricordo della persona a lui più cara in quegli anni di prigionia, risponderà senza esitazioni Antonio Gramsci.
Dopo circa un anno cambia di nuovo carcere… A Pianosa le sue condizioni di salute si aggravano ed è allora che sua madre firma la domanda di grazia che lui rifiuta sdegnosamente.. “E’ giusto dire che non fui il solo,” e ricordava diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte lo avevano permesso alle proprie famiglie. E poi aggiungeva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…”
Nel 1934 esce dal carcere per essere inviato al confino… dove inviavano i dissidenti con reati minori o anche senza reati… Sono liberi ma non possono uscire dalla località in cui appunto sono stati… “confinati.” Quando nel 1936 scopppia la Guerra di Spagna però le condizioni dei confinati peggiorano… Pertini protesta e viene denunciato… Avrà un altro processo, viene assolto ma resterà al confino a Ventotene fino al 1940, quando la sua pena scade e dovrebbe tornare a casa…
Ma interviene Mussolini… Ordinanza della prefettura di Littoria del 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.
Nel 1941 riesce a incontrare finalmente la madre a Savona… “Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente… Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Al mattino vennero a prendermi per ricondurmi a Ventotene. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto… Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
A Ventotene c’è un famigerato poliziotto come direttore, Marcello Guida… Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che ha come esito quello di rendere le condizioni dei confinati ancora più dure… Pertini è ritenuto un provocatore …
Nel 1969 dopo la strage di Piazza Fontana, il Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini si recò a Milano per rendere omaggio alle vittime dell’attentato e si incontrò faccia a faccia con Marcello Guida. Aveva fatto carriera ed era diventato Questore di Milano… Sandro Pertini si rifiutò di stringergli la mano e si girò dall’altra parte… Forse in cuor suo pensò ancora una volta che Togliatti aveva sbagliato a non consentire, dopo la guerra, l’epurazione dei funzionari fascisti dalla Pubblica Amministrazioni…
Quando il 26 lugglio 1943 cade il fascismo gli 8oo confinati di Ventotene non hanno nemmeno più la forza di esultare….Pertini va da Guida che siede terrorizzato dietro la scrivania… La foto del Duce è già stata rimossa… Pertini sarà liberato per primo e da Roma comincia la battaglia burocratica per liberare anche gli altri… Rivedrà anche sua madre… e sarà l’ultima volta mentre il sogno di libertà si infrange subito dopo… A settembre è a Roma, a Porta San Paolo a sparare contro i tedeschi che stanno occupando militarmente la città… Poi gli daranno la Medaglia d’oro, ma intanto i nazisti riescono a entrare in città. Due mesi di clandestinità e viene nuovamente arrestato assieme a Giuseppe Saragat… Sono due Presidenti della repubblica”in pectore”, ma per il momento finiscono in carcere a Regina Coeli… e ci vuol poco a condannarli a morte… Bisogna organizzare la loro fuga… Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli hanno ancora la carta intestata del Tribunale Militare di cui erano stati giudici fino all’8 settembre… Scriveranno un perfetto ordine di scarcerazione con tutti i timbri a posto… Ma Pertini riesce a complicare le cose… Non basta che facciano uscire lui e Saragat… Debbono liberare anche i loro compagni di cella… 4 ufficiali del breve governo di Badoglio… Alla richiesta si gettano tutti nel panico mentre Pietro Nenni, il Segretario del Partito Socialista si infuria… “Se è così allora fate uscire solo Peppino (Saragat)… Tanto Pertini a stare in carcere ci è abituato… ” Naturalmente l’ebbe vinta lui, ci rideva ancora, quando nel 1973, lo raccontò durante un’intervista a Oriana Fallaci..
Raggiunge Milano nel maggio del 1944 sull’auto di un amico. L’atmosfera è pesante e la pace lontana.. Milano è teatro degli attentati dei Gap e delle rappresaglie tedesche. Lui da clandestino viaggia in tutto il settentrione per organizzazione la stampa clandestina socialista …Ma appena Roma è liberata Pietro Nenni lo richiama… Lui non riuscirà a tornare tanto facilmente. Da Prato a Firenze le la farà a piedi appena in tempo per prendere parte all’ insurrezione della città, l’8 agosto… Da una tipografia fa uscire un numero dell’ “AVANTI !”.
Arrivato a Roma ci resta poco… Chiede di tornare a Milano come Segretario del Partito Socialista per tutta l’Italia occupata e come membro del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia
Alle 8 del mattino del 25 aprile, del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L’esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI ” I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. “(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)
Lo stesso giorno Mussolini tenta una mediazione per una resa onorevole tramite l’Arcivescovo di Milano, presso cui si recherà lo stesso Mussolini e i Membri del CNLAI. Sarà l’unica volta che Sandro Pertini vedrà il Duce… Ma non lo riconosce … Lui avvisato in ritardo sta salendo le scale dell’Arcivescovado quando vede un gruppo di persone che scende. In mezzo a loro c’è uno con la faccia emaciata, livida e distrutta. Quando entra e capisce chi era l’uomo Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini…” Il Duce si è preso qualche ora per riflettere gli risposero… Pertini dalla rabbia sembrava uscito pazzo.. e chiede subito che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, venga consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati come prevedeva l’armistizio firmato dal Re… Mussolini invece stava in quel momento già fuggendo e quando i partigiani lo ritrovarono l’ammazzarono senza consegnarlo, né agli alleati né al Tribunale del popolo, in uno di quei misteri italiani di cui poco si è capito… Pertini amaramente commentò “L’insurrezione è disonorata”.
Da allora Pertini diventò uno dei Padri della Patria… Mentre trovò il tempo di sposarsi con Carla Voltolina,la fiera staffetta partigiana che aveva conosciuto al Nord, divenne Segretario del Partito Socialista e poi Membro dell’Assemblea Costituente, Senatore Deputato e poi Presidente della Camera per due Legislature … Andava sempre un po’ controcorrente e in parecchi lo criticarono come quando da presidente della Camera vietò ai parlamentari democristiani di mostrare il loro voto, che doveva essere segreto, ai notabili del loro partito… ” Non mi meraviglia niente… ( L’avevano accusato di essere un po’ squilibrato)- disse in un intervista – So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… Voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un’ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo… “
l’8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana. Furono anni durissimi e tuttavia riuscì a fare della figura del Presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano. I cittadini si riavvicinarono alle istituzioni, mentre imperversava il terrorismo degli anni di piombo…
Per un certo periodo Pertini diventò “Il presidente dei funerali di stato”: fu al funerale del sindacalista Guido Rossa, davanti a 250.000 persone, che sferrò il più duro attacco alle Brigate Rosse… Era stato avvisato che nell’ambiente del porto di Genova c’era chi simpatizzava con le BR … Lui entrò in un garage pieno di gente e disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.
Sensa parlare del terremoto dell’Irpina, in cui dopo due giorni lanciò il suo grido desolato agli inconcludenti poteri dello Stato “Fate presto.” Erano morte quasi tremila persone e le autorità erano allo sbando. Lui li denunciò pubblicamente in televisione e a reti unificate …. Sottolineò la scarsità e l’inadeguatezza delle norme in materia di protezione civile nella prevenzione e in emergenza, denunciò la mancanza di un organo di coordinamento nelle calamità e ancor prima che accadessero, i tentativi di quelli che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel terremoto del Belice. Dopo quell’appello disperato l’Italia ebbe una Protezione Civile che per parecchi anni fu riconosciuta come una delle migliori di tutto il Mondo…
I ragazzi li adorava… Lui si era sposato tardi … di figli suoi non ne aveva… ma in qualche modo fu il padre di tutti i ragazzi… Bisogna ogni tanto rivedere come si rivolgeva a loro… completamente alla pari senza far pesare né carica, né anzianità…
Lottò con tutte le sue forze contro la mafia difendendo l’estraneità delle popolazioni che la subivano, quando tutti in modo più o meno sottile volevano parlare di collusione dei cittadini…
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita del Paese fu una grossa novità, quasi al limite dei poteri costituzionali… E per capirlo bisognava entrare nella sua ottica : “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale,come non vi può essere giustizia sociale senza libertà” Se chi, di dovere, se ne dimenticava, interveniva il Presidente della Repubblica… Sicuramente ha dato fastidio a tanti, ma è stato il Presidente più amato dagli italiani..
Quando da Presidente riusciva ad andare a Savona, se ne andava sempre a mangiare il pesce, pretendendo, come al solito, di pagarlo di tasca sua anche agli uomini del seguito… Doveva compensare quella cena mancata, quando raccontò ai carabinieri che stava andando al ristorante “I pesci vivi” e invece stava scappando dall’Italia inseguito da un mandato di cattura…
Il Ciupin è una zuppa di pesce tipica della Riviera. Una volta era proprio il piatto dei poveri che si preparava con i pesci di scarto o avanzati… Ma ora invecealici e sardine sono considerati pesci di grande appeal, per tutte le proprietà di benessere che assicurano a chi ne mangia regolarmente…
CIUPIN
INGREDIENTI per 6 persone: 3 etti di alici,3 etti di sarde, 5 etti complessivamente di triglie di scoglio, 2 etti di pannocchie e/ o gamberi di media grandezza, 1 manciata di vongole e 1 di cozze 2 etti di seppie tagliate a striscioline, 6 pesci da scoglio,di proporzione riferita a una singola persona, tipo scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo a pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 cipolla tritata finemente, 2 spicchi di aglio, 4 pomodori maturi spellati e tagliati a pezzi,1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, sale e pepe e a chi piace anche un po’ di peperoncino, 12 fette di pane abbrustolito, 3 acciughe salate.
PREPARAZIONE: occorre 1 pentola e 1 ampio tegame,un passaverdure,un colino a maglie strette e uno schiacciapatate.
Mettete nella pentola un trito composto di metà dell’aglio e della cipolla e dell’olio, le due aggiughe salate tritate e fate imbiondire su fiamma media. Aggiungete le alici,le sarde e le triglie di scoglio a cui avrete tolto le lische e girate delicatamente per poi aggiungere 1 litro d’acqua e far bollire lentamente.
Nel tegame mettete un trito composto del restante aglio e cipolla, e fate colorire nell’olio di oliva, poi aggiungete i pomodori, le seppie e fate assorbire i liquidi. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino, fate evaporare e infine aggiungete i crostacei. Infine versate il resto del vino e fate evaporare. Infine aggiungete 1 litro di acqua e fate bollire per 15 minuti. pane,Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente di peperoncino. Le cozze e le vongole preventivamente pulite e fatte aprire sul fuoco, in un’altra padella con poca acqua, le terrete a parte.
Riprendete la pentola e con una frusta elettrica amalgamate l’intero contenuto riducendo il tutto a poltiglia, passatela nel passaverdure e poi filtratela nel colino, recuperate il contenuto residuo del passaverdura,inumiditelo con un po’ di brodo della pentola e ricavatene tutto ciò che è possibile con lo schiacciapatate. Aggiungete nel tegame il brodo ricavato dagli ingredienti della pentola e fate evaporare su fiamma media sino ad ottenere un brodetto consistente. Aggiungete i 6 da singola porzione, far bollire per 5 minuti e spolverate con il prezzemolo. Se fra i vari pesci c’è il grongo inseritelo nel tegame 5 minuti prima degli altri.
Per preparare i singoli piatti appoggiate sul fondo le fette di pane, aggiungete 1 pesce da singola porzione su ciascun piatto, decorate con qualche cozza o vongola ancora nel loro guscio tenute da parte, coprite con il brodetto e un filo di olio.
“…Da parte nostra, abbiamo denunciato, vituperato, celebrato e mentito a proposito di aspetti e sfaccettature del nostro paese e dei nostri cittadini… Sotto l’impulso urgente di indagare sul mondo, al di là di innocui stereotipi e scortesie, per compiere una disamina accorata… Ispirata da curiosità, impazienza, un po’ di rabbia, e un amore appassionato per l’America, l’idea e il mistero”. Una confessione, quasi un testamento l’indagine con cui John Steinbeck conclude il suo ultimo lavoro… “L’America e gli americani”, iniziato come un reportage sull’ attualità degli anni 60 che finisce inevitabilmente in cerca dei solchi del passato… Comincia dal mare l’avventura americana di John Steinbeck, quando il pirata Morgan al soldo della Regina di Inghilterra, prende possesso della città di Panama… Ma non sarà una conquista…La Santa Rossa, la bellissima signora che Morgan non riuscirà a possedere, è il primo simbolo della complessa realtà americana che sfugge persino alla sua identificazione… “Un caleidoscopio non facile da accettare, ma terribilmente affascinante”.
Come Morgan il giovane Steinbeck era insoddisfatto e in cerca di qualcosa… Non solo ansia di conquista ma voglia di spingersi oltre… soddisfare e ricreare continuamente l’inquietudine in cui non ci poteva e non ci doveva essere posto per la pace. “… Una delle definizioni che più ricorrono a proposito di noi americani è che siamo gente sempre insoddisfatta, che non ama fermarsi, che è alla perenne ricerca di qualche cosa. In effetti dedichiamo la vita alla ricerca della sicurezza e la odiamo quando l’ abbiamo conquistata”…
I suoi genitori non erano ricchi, ma un avvenire tranquillo glielo volevano assicurare… Il padre era il tesoriere della Contea di Monterey e aveva il suo negozio di granaglie a Salinas… Una casa dignitosa ancora vittoriana con la torretta a “cappello di strega”.
Sua madre in quel figlio aveva riposto tutte le sue ambizioni frustrate, di insegnante ritirata per motivi di famiglia… C’erano altre sorelle oltre John… Ma quando quel ragazzino quattordicennne si chiudeva scontrosamente nella sua stanza per scrivere, la madre ne era felice… Non sapeva quanto difficile e sbandata sarebbe stata la via della letteratura per John…Inaspettatamente appena finita l’High Scool, sembrava che tutti i suoi interessi fossero diventati chimici, perché andò a fare analisi presso uno zuccherificio… Allora i genitori lo iscrissero a Stanford, l’Università più trendy di tutta la California, a studiare biologia… Si disinteressò presto… Anche Morgan una volta conquistata la favolosa e imprendibile Panama, sognata per anni, cominciò subito a correre dietro a un altro sogno…Di esami a Stanford nemmeno a parlarne, però scriveva molto senza che nessuno gli pubblicasse niente… Quando lasciò l’università aveva ventitre anni, niente laurea e e neanche un dollaro… Andò a fare il pescatore alla baia di Monterey… Gli piaceva andare per mare e forse sarebbe rimasto volentieri lì … Invece andò a New York… L’America è il paese di quelli che per un motivo o senza motivo, vanno… Come in un imperativo categorico. Fra i Carpetbaggers e Kerouac John Steinbeck stava quasi in mezzo… A New York ci provò seriamente a fare il giornalista e non ci riuscì… Tuttavia diventò sterratore … Proprio allora stavano costruendo il Madison Square Garden… E quando del sogno gli rimase veramente poco, si decise a tornare verso casa un anno dopo… Per sdrammatizzare il ricordo, ci scrisse sopra anche un racconto ironico… “Come si diventa Newyorkesi”
In mezzo ai monti che lo circondano da ogni lato, il lago Tahoe è famoso per la chiarezza delle sue acque… John Steinbeck riuscì a depositare qui la sua rabbia dopo l’insuccesso di New York… Trovò lavoro come custode di una residenza estiva… Lunghi mesi di tempo libero…Guardava il lago e scriveva… Nell’agosto del 1929 pubblicò il suo primo romanzo Cup of Gold, “La santa Rossa”, due mesi prima del “giovedì nero” di Wall Street .. Schiacciato dalla crisi il libro vendette solo 15 copie… Decisamente non fu un successo…
E non lo furono nemmeno i “Pascoli del Cielo” e “Al Dio Sconosciuto” … Sono storie troppo piene di dolore. La California di Steinbeck è luogo di bellezza misteriosa ma denso di sortilegi e di ataviche maledizioni… Nelle disperazione dei dannati della valle e nel panteismo di Joseph che si immola al Dio sconosciuto, il giovane Steinbeck comincia l’opera distruttiva del mito americano …
Il successo pieno e totale arriva con Pian della Tortilla . E’ un libro scanzonato, tenero e picaresco. Gli ultimi discendenti dei veri californiani, coloro che hanno nelle vene sangue spagnolo, messicano, indio e caucasico, i paisanos, vivono felici e allegri alle spalle di Danny che ha ereditato una vecchia casa assai malconcia. E’ un mondo di piccoli espedienti, piccoli reati, nessun lavoro e tanta baldoria. L’altra faccia dell’America ricca e operosa, posta ai margini e nel disprezzo della collettività. Invece una volta trascinati nel romanzo di Steinbeck diventano personaggi di fama e chi li evitava ora li esalta e ci si diverte… Steinbeck si arrabbia “Ho scritto queste storie perché sono storie vere e perché mi piacevano. Ma le sentine della letteratura hanno considerato i miei personaggi con la stupidità delle duchesse che si divertono con i contadini e li compiangono… Se ho causato loro dei torti raccontando qualcosa delle loro storie, me ne dispiace. Ciò non avverrà più. Addio Monte!”
Nei libri successivi non ci sarà più possibilità di equivoci… La denuncia e la rabbia di Steibenck esploderanno nel cuore della crisi americana. “La Battaglia” è uno sciopero agricolo e drammatico, guidato da un giovane Jim Nolan che vi perde la vita, l’ entusiasmo e i suoi ideali sociali. “Uomini e topi” è la denuncia schiacciante dell’intolleranza nei confronti del “diverso”, ma è anche una poetica storia di amicizia e di solidarietà fra George, giovane manovale di campagna, e Lennie, un gigante con un cervello da bambino. L’atto finale quando George uccide Lennie per sottrarlo al linciaggio e alla vendetta, ha la disperazione di una tragedia greca in un mondo cupo dove non c’è più speranza. Steinbeck verso la strada del successo con la sua prosa limpida ed elegiaca è la punta massima de i drammi sociali, colui che scopre l’amaro calice degli immigrati e degli sradicati, dei lavoratori sfruttati e senza voce. Nessuno si era mai permesso di parlare così della terra promessa degli emigranti del vecchio continente.
La Route 66 è la vera protagonista di “Furore”, questa strada che aveva attraversato tutta l’America piena di baldanza a seguire la frontiera che si spostava sempre più avanti, nella conquista del West… Adesso è diventata la strada di questa migrazione biblica, dei disgraziati che vanno ad ovest in cerca di una improbabile salvezza. La famiglia Joad e la sua dispersione, il linguaggio a tratti elevato che si alterna al dialetto degli agricoltori dell’Oklahoma, diventano per Steinbeck gli strumenti di una spietata analisi della società, delle ingiustizie e dello sfruttamento delle masse proletarie…
Molto tempo dopo fu lecito a tutti dimenticarsi di Steinbeck. Il suo sembrava un mondo irreale. .. Drammi che erano ignoti alle generazioni nate e cresciute dopo la seconda guerra mondiale, avvolte nel benessere e nell’ignaro consumo… Anche Steinbeck negli anni ’60 aveva perso la sua grinta rivoluzionaria quasi assopito nella nuova società opulenta… Il suo libro più famoso del dopoguerra, “La Valle dell’Eden” era un dramma familiare, intimista… Il Nobel arrivò tardi, quando lui nemmeno andava più di moda e, nonostante le lodi accademiche si finiva per pensare a Steinbeck con un certo distacco…
Fino al brusco risveglio di tutto il mondo occidentale, improvvisamente perso in una crisi senza limiti e quasi senza tempo… Suicidi e disperazioni di un’intera classe che precipita nella povertà…I visi amorfi dei giovani senza lavoro… Eppure nella sua disperazione Steinbeck la via d’uscita l’aveva trovata… L’aveva trovata nel valore della “solidarietà” fra gli uomini, come forza per traghettare verso la speranza … E’ ancora lì la soluzione, basta rileggere le ultime righe di “Furore” quando uno dei personaggi emerge con un gesto di generosità ingenua e sconfinata che fa riflettere… Non sempre le avversità riportano l’uomo allo stato selvaggio e alla cattiveria hobbesiana, a volte, al contrario, possono condurci a un diverso e più alto livello di salvezza.
Alla California di Steinbeck, una delle prime che sta allontanando coraggiosamente da sé il fantasma della crisi, vogliamo dedicare un piatto semplice e ricco assieme, ricordo del grande mare su cui andava a pescare il suo figlio più irrequieto e sensibile…
ARAGOSTA ALLA CALIFORNIANA
INGREDIENTI per 4 persone: 2 aragoste da circa 700 grammi ciascuna, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1/2 bicchiere di cognac o brandy, 1 cipolla, 2 pomodori rossi, sale e pepe a piacere, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 20 grammi di burro,1 spicchio d’aglio.
PREPARAZIONE: lavate le aragoste sotto l’acqua corrente, poi staccate la testa e tagliate il corpo a medaglioni seguendo le linee della corazza. Mettete una pirofila sul fuoco con l’olio in cui farete rosolare l’aglio intero e appena dorato aggiungete i medaglioni di aragosta facendoli rosolare fin quando il guscio diventa rosso. Bagnate col cognac e poi lasciate evaporare. Subito dopo aggiungete la cipolla affettata e i pomodori a pezzi, privati dei semi. Aggiustate di sale e pepe, bagnate col vino bianco e spolverizzate con una parte del prezzemolo. Mettete nel forno già scaldato a 180°C per circa 20 minuti, estraete dal fuoco le aragoste ed eliminate i gusci. Raccogliete in una casseruolina il sugo rimasto nella pirofila, unitevi il burro, mettetelo sul fuoco per pochi minuti, quindi versate la salsa sui medaglioni, spolverizzate con il restante prezzemolo e servite.