Stefania Sandrelli e gli spaghetti del dì di festa!

Gli intellettuali l’hanno sempre un po’ snobbata… soprattutto le intellettuali o le femministe, che  vedevano nelle  sue interpretazioni di ragazza prima e di donna poi,  l’esclusivo emergere della sfera sessuale, ora accennata, ora evocata, ora più concretamente  offerta…  Lei del resto non ha mai reagito agli ostracismi,  ha camminato leggera, come inconsapevole, in mezzo alle critiche e alle malignità,  seguitando a offrire negli anni  quel suo  sorriso,   agli inizi   più malizioso e spigoloso, col tempo  più dolce …  Quando ride sembra sempre voglia ringraziare qualcuno…  Famosa è rimasta la non – intervista con Oriana Fallaci, la più intrepida, polemica e  e famosa delle giornaliste italiane che,  con la sua intransigenza di donna impegnata  cercò  di affondarla nel ridicolo…A un certo punto Oriana si alzò e gelidamente  disse “Scusi, signorina, proprio non ce la faccio” e  lasciò la casa di Stefania Sandrelli… Doveva aver preso come un’offesa alla sua intelligenza il fatto che Stefania la ricevesse masticando chewing gum e con le strips di Topolino in mano…  Alle domande  che le rivolgeva la Fallaci poi rispondeva con lentezza, quasi con fatica… A distanza di anni, Stefania si schermiva, senza  la minima traccia di astio    “È stata colpa mia, lei, la Fallaci, è così brava e simpatica. E poi è toscana, come me”.

Sarà stato per la sua leggerezza, ma certo il coraggio non le è mai mancato… Viareggio negli anni 60 è uno dei luoghi mitici dell’Italia rampante…  I vip di Milano scendono tutti qui per le  ferie e i locali notturni sono il fiore all’occhiello della   musica più   nuova… Fra i giovani cantautori ce ne è uno in particolare … “Con Gino c’incontrammo alla Bussola. In realtà io ero andata lì apposta perché quella sera lui cantava. A me piaceva molto e volevo incontrarlo. Mi ero anche messa un bel vestito verde acqua, con una striscia di raso intorno alla scollatura. Lui mi vide e mi invitò a ballare e siccome ero piuttosto carina, mi stringeva. Poi però mi chiese quanti anni avevo e quando sentì che erano solo quindici si staccò bruscamente….” Invece fu un lungo amore … Lui aveva 12 anni più di lei e una moglie, che  trascurava  ma non lasciava…  Stefania cominciava quasi per gioco a lavorare nel cinema … Lui  beveva, era geloso, ma  per lei scrive “Sapore di sale”  una canzone  da giovani, che sa di mare, di estate, di felicità e … invece poco dopo, Gino  si punta una Derringer al cuore … “Volevo vedere cosa succede” spiegherà poi… E quel proiettile a Gino Paoli gli rimarrà conficcato dentro… Lei anche se  così giovane non si spaventa e non si allontana…

Nel 1964 nasce Amanda… Non era facile andare così controcorrente negli ipocriti anni ’60 dove tutto era lecito e consentito… Purchè non fosse risaputo… Poco tempo prima avevano allontanato dalla televisione Mina, la più grande  cantante italiana e una grande showgirl…  Aspettava un figlio da un uomo separato dalla moglie, in un Italia dove non c’era divorzio… Ma Stefania non ha paura e di questa maternità contestata, sente solo la  gioia infinita…  Mentre  la carriera di Gino Paoli comincia a entrare in un’ombra lunga, da cui uscirà solo molti anni dopo, Stefania  diventa una delle più acclamate dive. Poi  la sua storia d’amore con Gino finisce, si trasferisce a Roma, si sposa e avrà un altro figlio…

I suoi registi sono tutti importanti ma i ruoli che le affidano  sono sempre trasgressivi…  Comincia come giovane ladra ne “Il Federale” per  raggiungere subito dopo la fama in un  film di forte satira di costume come  “Divorzio all’Italiana”  E’ la giovanissima amante del Barone Fefè che per amor suo ucciderà la moglie, facendolo sembrare un delitto d’onore … Altre attrici  che, come lei, iniziano la carriera in quegli anni saranno sempre lì a sbandierare  i loro interessi culturali, l’impegno sociale o politico, la fedeltà  e la famiglia … Stefania non ci prova affatto… Sembra felice dei ruoli che interpretà e non le dispiace  che sia circondata  da quest’alone di sesso che le gira attorno..   Ma se oggi le si chiede se ha mai  provato attrazioni sessuali sul set  risponde scherzando “Il set è il luogo meno adatto per un feeling di quel genere. Con tutte le luci addosso, i tecnici e la parrucchiera che ti assesta un capello, ti senti pronta per la vivisezione. Io però sul set riesco a valutare il partner che mi piace e quello che mi lascia freddina”…

Nel 1970 Bernardo Bertolucci  ne “Il Conformista”  la riveste di una preziosa, sofisticata immagine  di giovane signora  a cavallo fra gli anni ’30 e ’40…  e le affida il personaggio di Giulia,  moglie naturalmente  amorale  che  eccita  il marito  in viaggio di nozze, raccontandogli   il suo lungo amore di quindicenne  con un uomo di sessanta anni … Per poi subito dopo mettersi a  filtrare con  una  bellissima  donna bionda…   Giulia è una figura a cui lei  aderisce completamente senza paura  di  compromettersi e di essere identificata  con il suo personaggio…

Di film ne ha interpretati  130 compresi quelli per la televisione, un  attività addirittura frenetica, senza sosta che solo raramente ha subito flessioni…  Con punte di erotismo  che hanno fatto  scrivere fiumi di inchiostro sulla validità  artistica del cinema erotico, le sue differenze e le sue analogie col cinema porno… A Stefania non si può toccare”La Chiave”… Questo film l’ha amato troppo  e lei, abituata a buttarsi tutto alle spalle, invece per quel film ci ha sofferto …”Dopo “La Chiave” mi è stata appiccicata addosso l’etichetta di attrice erotica. È stata un’etichetta che mi è pesata…” La Chiave è la storia della rivelazione di una folle passione coniugale, che porterà alla morte uno dei due protagonisti   “Un romanzo che mi è piaciuto infinitamente, quando l’ho letto nella sceneggiatura di Tinto Brass… Così non ho avuto paura di spogliarmi, di recitare nuda in un copione valido.  Sono stata per molti anni un’eterna ragazza del cinema italiano di volta in volta ingenua, maliziosa, tenera, disponibile. Con La Chiave sono diventata una donna, una madre di quasi 40 anni che, nell’Italia fascista (uso questa parola per esprimere un modello di educazione, una passività femminile di intere generazioni di madri) scopre la propria sessualità repressa…Il nudo, l’erotismo sono forme, modi di espressione. Purtroppo, c’è stato chi ha voluto vederli in un’altra maniera, e così è caduta la distinzione tra erotismo e pornografia».

Ma Stefania non si arrende… Istintivamente  ha sempre capito l’importanza dell’Eros nella vita delle persone… La sua è una consapevolezza che riporta alle radici della vita, in un tempo mitico che poco ha a che fare con le sovrastrutture sociali e  con l’intermediazione della psicoanalisi… Così l’anno dopo interpreta “Una donna allo specchio”… Un  incontro  durante il carnevale…Tre giorni di amore insensato e sfrenato, di scoperte e di confessioni.  Un’avventura che non si nasconde dietro  speranze di futuro e in cui  proprio la brevità  dell’incontro porta alla ricerca della  trasgressione più totale…  E seguiterà a rappresentare la trasgressività sessuale anche dopo, quando a 45 anni interpreterà la perfida Conchita che cadrà succube di passione per il possente Raoul…

Quando le chiesero se fosse  femminista lei rispose «Credo proprio di sì. Ma spero che questo non mi affatichi troppo» Indubbiamente sarebbe stata una grossa  impresa spiegare alle femministe il suo modo di essere una donna libera… Ha preferito farlo con un film, cosa che a lei dà gioia  e proprio per questo non l’affatica… Alla sua prima prova come Regista  chiama, come interprete, sua figlia Amanda e racconta una storia insolita, quella di una poetessa e scrittrice a cavallo fra il Medio Evo e il Rinascimento. Pochi conoscono il nome di Cristina da Pizzano. Eppure Cristina è stata una figura avvincente! Italiana, in Francia  fu la prima donna  a sopravvivere e a riconquistare la sua dignità   scrivendo e pubblicando opere poetiche, erudite e  persino scritti   in difesa di Giovanna d’Arco. Schiacciata dalle guerre e dalla miseria Cristina  riuscì a vincere  fame, paura e disperazione grazie alla scoperta di un dono che portava dentro di sé senza saperlo, la cultura che suo padre le aveva insegnato e il talento poetico che le era innato.

Alla prima del film  Stefania Sandrelli, sempre schiva delle grandi dichiarazioni, per una volta  si lascia un po’ andare e dichiara “Bisogna fidarsi  di più di quella forza femminile… e spenderla… usarla … Riuscire a camminare non davanti agli uomini, perché non vogliamo e neanche dietro, alla pari…  Percorrere un po’ lo stesso cammino”

 Un piatto di pasta asciutta per Stefania Sandrelli, simile a quello che mangiava in “C’eravamo tanto Amati” un film di rara poesia, sulle disillusioni  della gioventù e della  politica. Lei è Luciana, la ragazza venuta a Roma per fare cinema che diventerà la donna di tutti e tre i protagonisti, fino alla saggia scelta di quello fra i tre che potrà farla felice…

SPAGHETTI DEL DI’ DI FESTA

Ingredienti: per 6 persone: 250 gr. di Spaghetti  di farina bianca, 250 gr. di Spaghetti  Integrali con Omega 3,  4 salsicce,  350 gr di funghi porcini freschi o 50 grammi di funghi essicati, 10 rosette di cavolfiore, 2 spicchi di aglio, peperoncino, pepe, sale, olio extra vergine di oliva, pomodorini, parmigiano

PREPARAZIONE .  Pulite il cavolfiore e  lavatelo.  In una padella  mettete un po’ di olio, uno spicchio d’aglio tagliato a metà e fatelo appena rosolare sino a quando diventi madreperlaceo, poi  unite il cavolfiore a pezzi e il peperoncino, salate e versate un po’ di acqua. Fate cuocere, aggiungendo acqua di tanto in tanto finché il cavolfiore non si sarà disfatto e ridotto quasi ad una crema. In un’altra padella versate pochissimo olio, l’altro spicchio d’ aglio tagliato a fettine, la salsiccia e i funghi porcini( se usate quelli secchi devono essere messi a bagno in acqua tiepida per 30 minuti circa e strizzati prima di aggiungerli al sugo)  salate e fate cuocere a fiamma vivace per pochi minuti, dopodiché aggiungete il cavolfiore e spegnete il fuoco. Mentre cuoce la pasta potrete preparare le cialde di parmigiano e i pomodorini per la decorazione. Per le cialde sarà sufficiente versare alcuni mucchietti di parmigiano grattugiato in una padellina antiaderente calda e attendere giusto il tempo che si sciolga, girarle e poi riporle su un piattino. I pomodorini invece andranno appena scottati in una padellina (un paio di minuti a fiamma alta e senza l’aggiunta di olio). A questo punto scolate la pasta e saltatela nel condimento di funghi cavolfiore e salsiccia unendo una spolverata di parmigiano e nell’eventualità un paio di cucchiai di acqua di cottura. Impiattate con l’aggiunta dei pomodorini e delle cialde di parmigiano come decorazione.

  

Empanadas de Tango!

Tango Argentino… In realtà è platense perchè attorno al 1880 lo ballavano a Buenos Aires e a Montevideo, su tutte e due le sponde  del grande fiume, il Rio de la Plata… Il popolo di migranti  era lo stesso…  Le speranze perdute, una vita dura e la nostalgia della patria. Erano venuti da mezza Europa in quella terra spopolata  perché la fortuna sembrava facile… Ma per loro c’erano stati solo i lavori  umili, la difficoltà di comunicare… E quei quartieri desolati, “le orillas” venuti su dal niente e solo per loro. Strani migranti quasi tutti uomini… le donne erano rimaste  a casa aspettando il colpo di fortuna che non arrivava.

Ma i giorni di festa, nonostante tutto si ballava! Erano Polke, Mazurche, Valzer, Habanera portati da casa, che si mischiavano con il  Candombe,  danza dove la coppia non si toccava… E più che melodia erano percussioni. Quello lo ballavano i neri, da tanto sul territorio, ma soli come loro … e da secoli! Quando diventò Tango, di preciso non lo sa nessuno…   forse non si accorsero neanche loro, bianchi e neri,  che stavano creando il Tango, un universo nuovo.  Un ballo che si ballava solo fra gli uomini…Perché all’inizio di donne ce ne erano poche e in ogni caso era  immorale ballarlo con una donna… troppa, sfacciata l’allusione all’atto sessuale… Le donne  le trovavi solo se andavi nei bordelli di Buenos Aires  “a 10 centesimi il giro, compresa la dama” come racconta Borges… Dopo un po’ che la ballavano, quella strana  ibrida musica si riempì di canzoni. Molte si persero perchè nessuno sapeva scrivere la musica ma quelle che si salvarono come “El Choclo” erano allusive o direttamente oscene.. Per fortuna che spesso nemmeno le capivano perchè il linguaggio  era il Lunfardo, quell’idioma meticcio infarcito di tutte le lingue degli emigranti…

Anche tutto il resto tardarono un po’ a capirlo. Anche quando nei locali malfamati e nei bordelli il tango si aprì alle donne. C’era dentro tutto quello che non si può dire, c’era la nostalgia struggente e la tristezza…e la felicità, però più effimera  e illusoria…Soprattutto se era  felicità d’amore. E il Bandoneon lo strumento a mantice  che dopo un po’ arrivò col piano e il violino, aveva un suono denso  e frammentato  che sembrava fatto apposta per aumentare il disagio. Ma non c’era solo questo… Il tango sapeva di fantasia e di miracolo… Era l’improvvisazione. Bastava il passo base, la camminata … E poi i ballerini si scatenavano in tutte le figure possibili… l’uomo guidava e la sensibilità fisica e corporea di tutti e due costruiva quell’immediato fluido dialogo, fatto d’intesa, di movenze e di sesso … Ogni volta diverse …Perché non c’era limite… Il tango era libertà e liberazione. Quando i ricchi e i borghesi di  Buenos Aires cominciarono a  conoscerlo durante le loro incursioni  nei quartieri malfamati… Il tango se ne andò dall’Argentina.

Emigrò a Parigi portato da un talento  eclettico, Angel Villoldo. Parigi era all’epoca moda, glamour, allegria e  audacia. La cultura aveva accettato già tutto, cubismo e astrattismo genio e sregolatezza. E fra tutto questo adoravano il ballo… Lì la vita del tango fu più facile… Un terreno fertile fra curiosità e passione  che prese  l’Europa. Quando tornò in Argentina, appena un po’ depurato delle figure troppo  sensuali c’era ad aspettarlo un mito… Si chiamava  Carlos Gardel ed era nato… forse da quelle parti, ma in una data imprecisata.  Probabilmente non lo iscrissero mai in nessun registro comunale. Durante l’infanzia e l’adolescenza  stava a  Buenos Aires in mezzo alle bande  dei giovani di strada… Lo chiamavanio “El Morocho”  e fu anche arrestato dalla polizia, però all’epoca imparò il Lunfardo… e cantava per la strada. Gli studi  li interrompe, ma in teatro ci arriva presto, magari dietro le quinte a fare il macchinista, ma fra una cosa e l’altra impara a suonare la chitarra. Solo notizie  a frammenti… Gardel  arrivato al top   capì che non era il caso i dare in pasto al pubblico la storia della sua giovinezza esclusa… Dal 1912  si comincia a sapere di più …E’ in un trio …Canta con Josè Razzano e  Francisco Matino suona la chitarra.  Nel 1913 canta in un locale esclusivo di Buenos Aires l’Armenoville dove l’avevano invitato dopo averlo sentito cantare in un bordello. Comincia a incidere dischi  e sono milongas, cifras e tonado… Il tango è ancora lontano… e la sua vita ha ancora lati oscuri….Lo feriscono in una rissa e un proiettile gli rimarrà in un polmone…

Ma arriva il 1917 e al Teatro Empire di Buenos Aires stavolta è tango! “Mi noche triste” con i versi in lunfardo  è l’inizio.. .Dopo vorranno in tutto il mondo la sua voce incredibile di baritono, estensibile sino ai registri di tenore e di basso. Lui è il protagonista del primo film argentino “Flor de Durazno”, nonostante il cinema sia  ancora muto… Suppliranno con il cantante e  l’orchestra in sala e fingeranno che sia lui a cantare dallo schermo. Intanto comincia a incidere dischi e saranno  900  alla fine. A Madrid è al Teatro Apollo, a Barcellona al Goya e a Parigi si esibisce con Josephine Baker. Quando arriva il sonoro,il cinema lo porta in trionfo perchè ormai il mondo intero canta e balla il Tango e Gardel è il suo  Profeta più schietto, appassionato e nostalgico. Morirà in un disastro aereo sulla pista di Medellin nel 1935… Un incidente misterioso qualcuno disse che a bordo di uno dei due aerei ci fu uno sparo prima che si scontrassero. Quell’aura di mistero, di  oscuro che l’aveva accompagnato per buona parte della sua vita riapparve al momento della sua morte… Quasi un destino che andò ad a alimentare il suo mito  e il  legame  con il tango… entrambi  usciti dai bassifondi per conquistare il mondo. Molti anni dopo l’Unesco dichiarerà la sua  unica ineguagliabile voce, Patrimonio dell’umanità.

Morì appena in tempo per non accorgersi che il Tango stava passando di moda… Ci vorranno molti anni e un musicista di eccezione per  riportarlo ai livelli di Gardel… E sarà un tango nuovo… Nonostante in Argentina si dicesse che tutto poteva cambiare meno il Tango. E all’inizio suonerà  come un delitto perchè il tango ormai è un classico. Ma Astor Piazzolla infrange la tradizione e mischia  senza paura il tango con il Jazz… usa le dissonanze e introduce altri strumenti  l’organo Hammond, il flauto, la marimba il basso elettrico… Tutto quello che sembrava proibito… E compone con un estro e una fantasia senza fine opere come il “Concerto para Bandoneon, orquesta, cuerdas y percusion” e” Adios Nonino”  solo per citarne qualcuna, perché hanno calcolato che in tutto abbia scritto 3000 brani…  Adesso anche lui è un mito… E il tango è in tutto il mondo più nuovo e più amato di prima….Carlos Gardel era stato il cantore della prima metà del secolo, Astor Piazzolla della seconda metà.Tutto insieme è stato il secolo del tango.

Qualche anno fa hanno intitolato ad Astor Piazzolla l’Aeroporto di Buenos Aires e il Papa argentino appena eletto  ha subito manifestato la sua passione per il tango… Almeno finora, è sempre stato un assiduo a tutti gli spettacoli… Ne ha fatta di strada la musica triste degli emigranti.

All’Argentina e al suo mitico Tango dedichiamo un piatto di grande tradizioni “Las Empanadas” che venivano un tempo preparate dalle donne per festeggiare il ritorno degli uomini dalle Pampas.

20081116122346EMPANADAS ARGENTINAS

INGREDIENTI  per 10 empanadas del diametro di circa 10 – 12 centimetri: farina 250 grammi, olio extra vergine di oliva 4 cucchiai  di olio extra vergine di oliva più abbondante olio extra vergine di oliva per friggere, sale q.b., acqua tiepida 120 ml,  olive verdi o nere 5, carne bovina tritata 250  grammi, 2 uova, 250 grammi di cipolle, grammi 30 di uvetta, peperoncino piccante in polvere 1 cucchiaino, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato,  1 cucchiaio di maggiorana fresca.

PREPARAZIONE: Mettete in una ciotola 2 cucchiai di olio e la farina. Sciogliete il sale nell’acqua tiepida e versate nella ciotola, mescolatelo e poi lavorate il composto sulla spianatore sino a quando diventa liscio e omogeneo: Avvolgetelo nella  pellicola trasparente e fate riposare in luogo fresco per un’ora. Nel frattempo preparate il ripieno mettendo in ammollo l’uvetta in acqua calda per circa 10 minuti  e comunque sino a quando diventi morbida e allora strizzatela. Tritate la cipolla e fatela soffriggere a fuoco basso nell’olio di oliva per circa 10 minuti. Attenzione a non farla bruciare! Unite alla cipolla la carne di manzo e fate cuocere a fuoco medio per 10 minuti, aggiungete il peperoncino e mescolate il tutto. Spegnete il fuoco e aggiungete l’uvetta, il prezzemolo, la maggiorana e il sale.Trasferite la carne in una ciotola e fatela freddare. Fare rassodare due uova, sbucciatele e tagliatele a fettine. Dividete in due ciascuna oliva. Togliete la pellicola alla pasta e stendetela sulla spianatora sino ad uno spessore di 2 millimetri, quindi ricavate dei cerchi del diametro di 10 – 12 centimetri servendovi di una coppetta appoggiata sopra la sfoglia e della rotella tagliapasta. Ponete su ogni cerchio un cucchiaio di impasto quindi aggiungete mezza oliva e una fettina di uovo. Spennellate con acqua i bordi di ciascun cerchio e richiudeteli su se stessi, formando intorno un cordoncino. Friggete le impanadas in abbondante olio e scolatele su carta assorbente prima di servirle.