I Rotolini di Granchio per il re del Manga!

A vederlo per la prima volta, questo signore, già un po’ avanti con gli anni, ma dall’aria affabile e dal sorriso dolcissimo, non lo diresti capace  di tutte quelle cose terribili… Eppure è stato lui a portare  certi perfidi diavoli sulla terra  o a diventare padre di  creature così strane e ingombranti che  solo a vederle lasciano atterriti… Lui è nato nell’Estremo Oriente, ma in realtà è figlio di qualche  particolarissima terra di mezzo, dove tempo e spazio sono andati a confondersi e da dove possono quindi riemergere Dinosauri  intelligenti,  con la voglia di riprendersi la Terrat o  Mikenes  dalle  fattezze classiche ormai perdute,  divenuti  enormi mostri robotici con teste umane incastonate   nel ventre…

Gō Nagai   uno dei più importanti mangaka di sempre,   ha segnato la moderna storia dei manga  rendendo celebri in tutto il mondo  le sue  immagini  fra sogno eros e orrore, sempre in bilico fra Inferno e fantascienza..   Ha 23 anni, nel 1968  quando irrompe  nel  fumetto giapponese  sdoganando  l’erotismo,  nei manga destinati ai ragazzi …  A quel tempo Gō Nagai, nella sua terra di mezzo, leggeva Playboy e si era innamorato  dei corpi  favolosi delle modelle occidentali….   La Venere di Milo poi l’adorava sin dall’adolescenza…  Pieno di suggestioni  si inventa Harenchi Gakuen (Scuola senza pudore), fumetto eros – comico…  Dove comincia a violare il comune senso del pudore… Devo ammettere che mi piacciono proprio le immagini di ragazze nude e questo ha influenzato il mio modo di disegnare, dirà molti anni più tardi. Iniziammo con l’idea di fare un fumetto basato sul disordine scolastico. Mi piaceva la parola “harenchi” (scandalo), fino ad allora usata solo nei film per adulti… Scandalo e scuola sono come olio e acqua, perciò pensai che mescolarli assieme sarebbe stato divertente… …  Quando dopo 4 anni gli fanno chiudere la pubblicazione è ormai tutto inutile…i tempi sono cambiati e il  fumetto erotico è diventato una realtà senza fine..

Però lui, Go Nagai non si rende conto perché ce l’ avevano tanto con le sue belle ragazze svestite e per vendicarsi  si inventa fumetti pieni di Diavoli che  risalgono per distruggete l’umanità…  Nella biblioteca della sua terra di mezzo c’è  Dante Alighieri e  il suo”Inferno ” illustrato da Doré…Go Nagai è il re delle contaminazioni  e le cupe immagini di Dorè,  con il Principe delle tenebre dalle grandi ali di Vampiro, diventano la base  – immagine per le sue nuove storie , prima di Mao Dante e poi di Devilman… Storia di un giovane demone spedito sulla terra per sconvolgere il  corrotto genere umano, la sua artificiosa morale e far trionfare il Regno delle Tenebre.  E il disegno, prima caricaturale   gradualmente si evolve, divenendo sempre più cupo, “sporco”, espressionista e ricercato..

Chi di noi, bloccato nel traffico cittadino, con la ferma convinzione  di non riuscire mai  più ad arrivare a casa o al lavoro, non ha sognato  almeno una volta un paio d’ali per  sé stesso o la propria auto che li portassero via dalla pazza folla…   A Nagai  invece capitò di immaginare  cosa sarebbe accaduto se, alla sua vettura fossero  spuntate delle enormi gambe e delle enormi braccia, in modo da poter scavalcare gli altri mezzi … Questa fu l’origine fantastica di Mazinga Z, il robot gigante guidato – proprio come nel caso di un’auto – da un pilota umano collocato all’interno della sua testa… Fu un’idea esplosiva, non l’arido  atrumento tutto ferro e acciaio, ma l’uomo che recupera il suo umanesimo nel più  incredibile dei modi, all’interno di un mostro, il Mecha,  che tutti spaventa e tutti fa inchinare, che, però, senza l’intelligenza umana non è niente di più di un ferro vecchio. E  nacque  la saga di Mazinga ,  il primo, il capostipite, l’ispiratore di una pletora di  figli  e figliastri  di metallo ed energia che ha caratterizzato l’immaginario di una intera generazione, quella degli anni ’70 – ’80, cresciuta incollata alla televisione. Il suo fascino è passato indenne attraverso i decenni, incurante alle evoluzioni del genere, indifferente al successo cinematografico di altri. Mazinga e gli altri della Saga –  il gigante dai mille colori,  l’automa che deve contrastare i piani del Dottor Inferno e la consegna della Terra ai perfidi Mikenes –  è diventato in 40 anni un simbolo, e come tale indistruttibile.

Al Genio eclettico e visionario di Go Nagai , indistruttibile e colorato come  Mazinga, dedichiamo un piatto della cucina giapponese, ma un po’  mescolato con qualche ingrediente non proprio da Sol Levante,come il nasello o l’olio extra vergine… Di sicuro lui ne sarà entusiasta!

ROTOLINI DI GRANCHIO E SALVIA FRITTA

INGREDIENTI per 8 persone:

 – PER LE CREPES: 3 uova, 125 g di farina, 2 dl di latte, 0,5 dl di sake, burro una noce,  sale e pepe quanto basta, olio extra vergine di oliva

–  PER IL RIPIENO:  4 granchi  di media grandezza freschi per complessivi 2 Kg circa,  200 g di filetti di nasello, 2 cipollotti novelli sottili, fecola, sale e pepe q.b.

 – PER LE FOGLIE DI SALVIA FRITTE: 16 foglie di salvia, 1 tuorlo d’uovo,125 g di farina di grano tenero,olio extra vergine di oliva, sale

PREPARAZIONE:

Rompete le uova in una terrina aggiungete un  pizzico di sale e pepe e sbattetele con la forchetta. Unite la farina e,  cominciando a mescolare  con una frusta, il latte, poco alla volta insieme al sake. Sigillate  la terrina con un foglio di pellicola trasparente e lasciate  riposare   per 1 ora.  ponete sul fuoco un tegamino antiaderente del diametro di circa 15 centimetri, unto di burro e, quando è bollente versate un mestolino di pastella e appena si è rappresa buttatela. Serve per preparare la padella  a cuocere perfettamente le altre.  Versate un nuovo cucchiaio di pastella, poi  inclinate il tegame, spargendo uniformemente la pastella  sul fondo, quindi,dopo pochi istanti giratela rapidamente in modo che venga cotta  in entrambi i lati. Continuate fino a preparare otto crepes.

 Gettate i  granchi, ancora vivi in acqua bollente  per 8 – 10 minuti, poi metteteli a scolare ed estraete, quando sono freddi, tutta la polpa, sia dal ventre che dalle chele,  lessate per pochi i minuti i filetti di nasello, fateli freddare, togliete le eventuali spine, quindi passate granchio e nasello  al mixer per ottenere un composto morbido. Aggiungete alla  crema  di pesce un po’ di sale e spalmaltela sulle crepes in uno strato uniforme. Tagliate i  cipollotti puliti a metà, nel senso della lunghezza e mettete nel centro di ogni crepe un pezzo di cipollotto quindi avvolgete le crepes su loro stesse e sigillate i lati con un poco di fecola diluita con un goccio d’acqua.  Battete leggermente il tuorlo con 2,5 decilitri di acqua ghiacciata e un pizzico di sale. Aggiungete la farina, mescolate e appoggiate la ciotola in un’altra piu grande contenente del ghiaccio. Immergete le foglie di salvia nella pastella e friggetele nell’olio bollente, scolatele su carta assorbente.  Cambiate l’olio nel tegame e  friggete i rotolini di crepe, scolateli  su carta assorbente, affettateli e serviteli subito con le foglie di salvia fritte.

George Clooney e il risotto del Lago di Como.

Non è vero che si vive solo due volte. Per George Clooney, ed è sotto gli occhi di tutti,  le  vite sono tre, almeno per il momento e  anche se così  parallele  e  diverse fra di loro, lui  riesce a farle incontrare e a  passare istintivamente e senza grossi traumi  dall’una all’altra, in un fluire di esperienze che lo trasportano in altre dimensioni, sotto gli occhi attenti dei media che, per i motivi più diversi, su di lui seguitano a investire .  La prima vita iniziò quando all’improvviso l’America e il mondo si accorsero che era bellissimo! Fu  allora che divenne per  più di  6 anni  Doug Ross,  il pediatra di E.R. a cui le donne cadevano ai piedi.  Ma se Clooney entrò nell’immaginario collettivo come l’uomo più sexy del mondo,  il dr Ross,  con quel suo rancore verso il padre, che lo porta a sedurne la compagna, è stato anche il primo di quei personaggi equivoci  o borderline,  a volte aridi o più spesso senza  scrupoli con cui  Clooney  ha  sempre tradito Hollywood   e il cliché del personaggio seducente , fine a se stesso. Dall’ammazza-vampiri Seth, nella convulsa  notte degli orrori di Quentin Tarantino, al  rapinatore  di Out of Sight,  ha attraversato il Medio Oriente logorando la spia tradita dal  perfido mondo della Cia, fino a diventare “l’homo mechanicus” di “Up on the air”,  e il  politico senza scrupoli delle “Idi di Marzo”. Chissà, forse sono stati proprio i suoi personaggi ” intelligenti”  a introdurlo nella seconda vita , quella in cui spalanca inorridito gli occhi sui mali del mondo e corre incontro agli ultimi, ai diseredati, a quelli che non hanno più niente. Nel 2003 scopre il Darfur, nell’occidente del Sudan… e un intero popolo sotto genocidio… Scopre l’assurda guerra delle etnie   fomentata dallo spregiudicato dittatore del Sudan Omar al-Bashir e il dramma di milioni di profughi che scappano in Ciad. Scopre la miseria più nera nella siccità di un territorio arido,  che potrebbe invece essere fra i più ricchi del mondo … Peccato che il petrolio  se lo portano via i Cinesi e gli amici di Al- Bashir…

La seconda vita di George Clooney  è di sicuro la più drammatica…  Ed è una vita di guerra… La sua personalissima e spietata guerra ad AL Bashir… La denuncia di Cloney  diventa sempre più alta e coinvolge  il distratto mondo occidentale. La sensibilità che si riaccende  vigile diventa lo strumento di maggior  forza fino a che, in quelle terre martoriate, arriva una forza di pace ONU.  Ma Clooney non può fermarsi . Fame violenze e stupri  sono appena mitigate dalla presenza dei caschi blu  … E alla fine fanno  il giro del mondo le immagini di George Cloony arrestato insieme al padre, dalla polizia,  durante le  proteste in cui i manifestanti non si   disperdeono. L’arresto di Cloney  è peggio di una battaglia perduta per Omar al-Bashir… Che intanto è stato condannato   dal Tribunale dell’Aia  per crimini conro l’umanità… Anche se arrestarlo è pressochè impossibile…

p009_1_01Degli ultimi dieci anni, qualcuno, fra andare e venire, di sicuro Clooney l’ha trascorso tutto intero in Africa.  Ci si è preso anche la malaria..   Ma per il resto del tempo è entrato nella  sua terza vita…  Nella pace e nell’infinita  dolcezza  di “quel ramo del Lago di Como che volge a Mezzogiorno…”   frequentato  fin dai tempi di Plinio il Giovane e dei suoi aristocratici amici.  Clooney e’ ormai  un uomo troppo raffinato e troppo antico per stare sempre in America …  Qui,  nella sua bianca villa tutta  disposta sul lago,con il suo ricovero per le barche direttamente sull’acqua, viene con le sue bellissime donne, da Elisabetta Canalis a Stacy Keiblel,  oppure   fra  una crisi e l’altra, lo scapolo d’oro va in barca con gli amici  o fa  jam session  fino a tarda notte….  In Italia ogni tanto lo chiamano per qualche pubblicità,  particolare e divertente, studiata apposta per lui e il suo personaggio..   Con  i soldii di Nespresso, uno  degli spot più ironici e spiritosi, ci finanzia la sua guerra di logoramento a Omar al-Bashir…  un  “Satellite Sentinel Project”,   che controlla  il confine tra Nord e Sud  del Sudan e gli eventuali movimenti di truppe del Dittatore …  Che ci è rimasto proprio male… Questa mossa non se l’aspettava.

Dell’ Italia George Clooney, un po’ per volta   ha imparato ad apprezzare il modo di mangiare, attento  alle risorse della terra e al volgere delle stagioni… dicono, che nella sua terza vita  sia diventato un esperto di  cucina  mediterranea. Una ricetta per lui non poteva dunque essere una pietanza qualunque, sia pure di buon sapore, ma un piatto con l’occhio volto al territorio e alle tradizioni del Lago di Como….

RISOTTO CON IL PESCE PERSICO

INGREDIENTI per 6 persone: 800 grammi di pesce persico sfilettato,  ( oppure circa 1 kg e 300 grammi di pesce intero) farina bianca q.b.,150 grammi di burro, 12 foglie di salvia, 100 grammi di burro, 400 grammi di  riso 1,5 litri di brodo vegetale, per la cui preparazione occorrono  2 litri di acqua, qualche grano di pepe nero, sale q. b.,1 foglia di alloro, 1 spicchio piccolo di aglio,1 ciuffetto di prezzemolo,1 carota,1 cipolla 2 coste di sedano.1 zucchina  piccola.

PREPARAZIONE.: Cominciate con il brodo vegetale. In una pentola capiente mettete l’acqua fredda e tutti gli ingredienti che lascerete bollire a fuoco medio per circa un’ora e mezza. Al termine filtratelo e  tenetelo pronto per cuocervi il riso. Se qualche verdura di quelle segnalate è fuori stagione rinunciateci e sostituitela con altra verdura dal gusto non troppo invasivo, come ad esempio un mazzetto di bieta. Procedete poi a sfilettare il pesce che deve essere freschissimo. Si possono anche far sfilettare i pesci dal negoziante ma non prendete mai i filetti  già pronti  sul bancone perchè  è più difficile accertarne la freschezza. Per sfilettare il pesce occorre prima di tutto estrarre le sue interiora praticando un preventivo taglio sull’addome, poi tagliare di netto  la coda e le pinne con le forbici adatte e la testa e le branchie con il coltello, dopo private il pesce  delle scaglie con l’apposito attrezzo lavatelo sotto l’acqua corrente, tagliatelo in due o tre sezioni orizzontali togliendo alla  sezione mediana la lisca. Sempre muovendo la lama del coltello in orizzontale, facendo la massima attenzione e procedendo adagio, private i pesci della  pelle   poi sciacquateli  nuovamente e asciugateli.

Portate  di nuovo a ebollizione in brodo vegetale e cuocetevi il riso al dente, senza mai scuoterlo o girarlo durante la cottura. Mentre il riso si sta cuocendo prendete una padella antiaderente e sciogliete il essa il burro a fuoco moderato, assieme alla salvia, affinchè si insaporisca e solo dopo scaldatelo per brevi minuti a fiamma alta per  friggere  i filetti di pesce, infarinati leggermente  i. Se la padella  fosse piuttosto larga potrebbe occorrere più burro per evitare che il pesce si bruci. L’unica accortezza è quello di buttare al termine il burro di frittura e  asciugare i filetti con carta assorbente. Un piccolo segreto per evitare che il pesce bruci e si annerisca la crosta , è quello di immergerlo nel burro molto caldo, ma di abbassare immediatamente la fiamma durante la cottura. Mentre aspettare il termine della cottura del riso, tenete i pesci in ambiente caldo. Quando il riso è cotto, scolatelo e fatelo insaporire, per qualche minuto,  in un tegame con burro fuso e salvia. Al termine versatelo nel piatto di portata e appoggiatevi sopra i filetti di pesce. Servite caldo.

Il Camoscio alla piemontese all’ombra di una dinastia!

32Quando nel ’39 a. C. Livia Drusilla andò sposa a Gaio Ottavio, aveva 20 anni, aveva appena divorziato dal primo marito, aveva già un figlio di tre anni Tiberio ed era incinta. Lui di anni ne aveva 24  e per sposare Livia anche lui aveva appena divorziato, da soli 3 giorni, dalla moglie Scribonia  proprio mentre nasceva la loro figlia Giulia.  Tre mesi dopo il nuovo matrimonio  nasceva Druso e nessuno ha mai saputo se quel figlio fosse del primo o  del secondo marito. Comunque  anche se di padre incerto il bambino fu subito amatissimo dal futuro Augusto… E poi lui e Livia erano  così giovani e avrebbero di sicuro avuto altri figli.. L’anno successivo  infatti nacque un altro bambino, ma morì subito e dopo  Livia non ne poté più avere…

Mentre il suo potere cresceva sino a farne il primo imperatore della storia di Roma, Augusto seguitava a covare l’amarezza per quel figlio mai avuto, a cui avrebbe voluto lasciare  il potere … La figlia Giulia non contava perché a Roma le donne non avevano incarichi pubblici… Dapprima  pensò che Marcello, figlio di sua sorella Ottavia  e primo marito di  Giulia  potesse essere l’erede, ma il ragazzo morì poco dopo, di tifo,  a soli 21 anni… Augusto allora obbligò Giulia a sposare Agrippa il  suo grande amico e comandante militare dell’Impero… anche se aveva il doppio degli anni della figlia…  Stranamente fu un matrimonio abbastanza felice e in meno di dieci anni ebbero 5 figli… Augusto adottò i due ragazzi   Lucio e Gaio e ricominciò a sperare… Anche quando morì Agrippa  c’erano ormai Tiberio e  e l’amatissimo Druso che proteggevano le frontiere…  E la figlia Giulia la obbligò a sposare proprio Tiberio, nella speranza  che il potere, anche in futuro rimanesse in famiglia…  Ma i due si detestavano..  E cominciò la seconda ondata delle tragedie…Druso,  abilissimo   in guerra, bello, amato da tutti  morì   in Germania a 29 anni e qualche anno dopo a distanza di   mesi morirono anche Gaio e Lucio… Dell’ultimo figlio di Agrippa e Giulia nemmeno a parlarne…  Agrippa Postumo sembra che fosse pazzo   e comunque Livia non lo voleva fra i piedi e riuscì a mandarlo via da Roma…  In linea di successione faceva troppa concorrenza  a Tiberio…  Più tardi sembra che lo fece uccidere… Era rimasto solo Tiberio, il ragazzo sgraziato e antipatico di cui Augusto non aveva mai voluto riconoscere il valore… E fu lui alla fine che ereditò quell’immane impero mentre Giulia moriva in esilio confinata dal padre per  troppi scandali e  troppi amanti… Forse la verità era un’altra, sembra che Giulia stesse organizzando una congiura per uccidere il padre, ormai stanca di tutte le violenze che lui aveva imposto alla sua vita privata…

Stranamente quell’antica tragedia dinastica alla ricerca di un erede, torna alla mente quando si pensa  agli Agnelli, la più potente famiglia italiana da  quasi un secolo, sempre alla ricerca di un erede per quell’immenso impero industriale della Fiat… Eppure Gianni Agnelli veniva da una famiglia numerosa… Erano ben 7 figli di cui tre erano maschi… Ma avevano avuto una giovinezza difficile… Il padre Edoardo, l’erede dell’impero muore a 42 anni prima ancora di  cominciare a condurre l’azienda… Il padre non si fida!  Nel 1935 Edoardo era a bordo dell’ idrovolante di famiglia e durante un ammaraggio all’idroscalo i galleggianti del velivolo urtarono un tronco vagante sull’acqua…  L’aereo si ribaltò ed Edoardo morì, decapitato dall’elica rimasta in movimento…  Era venuto meno l’erede dell’ industria e il nonno col tempo si affidò a un amministratore… Gianni   allora ha 14 anni e lui e i suoi fratelli  si trovano in mezzo alle battaglie legali combattute dal nonno    che li vuole sottrarre alla madre e dar loro un’educazione tutta Fiat… Alla fine vincerà la madre ma anche lei muore  presto in uno scontro con un camion degli alleati  sul finire della seconda guerra mondiale… Lui Gianni, il primogenito non potrà nemmeno mettere piede nell’azienda di famiglia  che è dominata da un uomo di fiducia del nonno… Così disse Vittorio Valletta al Delfino nel 1946 “Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io», al che  il giovane Agnelli rispose mondano e disinvolto: «Ma di certo voi, professore». E sparì per quasi 20 anni in giro per il mondo… Difatti l’erede Edoardo nasce a New York e la figlia Margherita in Svizzera…

Forse quando Gianni Agnelli, ormai per tutti l”Avvocato,” nel 1966 prende in mano le sorti della Fiat non  ha nemmeno il tempo per accorgersi  che Edoardo, quel bellissimo, esile  ragazzino  è pieno di fantasie, timidezze, introspezioni… Quando arriva all’Università di Princeton  ci va per studiare Lettere Moderne… Sostanzialmente Storia delle Religioni … E il padre comincia a sobbalzare… In Fiat c’è bisogno di qualcuno che sappia di   finanza o magari ingegneria o relazioni industriali… Si preoccupa davvero quando Edoardo comincia   i viaggi in India… Ci andavano in molti all’epoca, in cerca di spiritualità… dai Beatles   ai giovani hippies… E’ quasi una tappa d’obbligo…  In seguito Edoardo diventerà di casa  dall’Ayatollah Khomeini.  E’ entusiasta della rivoluzione religiosa che ha cacciato il laico  Sha Reza Pahlavi dall’Iran e si avvicina all’Islam sciita… Non è del tutto certo ma sembra che si converta col nome di Mahdi.

Ma nonostante le sue  forme ascetiche o forse proprio per questo Edoardo comincia a interessarsi dell’azienda di famiglia… Naturalmente a modo suo… Non concepisce aziende basate  esclusivamente sul profitto, approda al principio della solidarietà sociale e finisce in un ibrida posizione di   marxismo mistico… Inoltre è sensibile ai temi dell’inquinamento e vorrebbe  auto ecologiche. Ma quello che soprattutto colpisce la famiglia è l’accusa pubblica che  fa all’azienda di sfruttare l’intera collettività…   Il ricorso massiccio alla Cassa Integrazione e  gli sconti con  gli incentivi  alle vendite, forse a qualcuno sfugge,  ma vanno sempre  a gravare sullo Stato,  ormai sotto ricatto…  Ne va della pace sociale…  Forte è il timore che  la Fiat  faccia licenziamenti di massa a ogni minima crisi del mercato…

Molti così cominciano a pensare che Edoardo sia matto, ma proprio da quelle parti, a Ivrea, Adriano Olivetti ha costruito un diverso impero su quegli stessi principi  che  pronunciati da Edoardo sembrano follie…  In  sé l’esperimento era riuscito… A Ivrea c’erano  case e cultura agli operai, partecipazione alla gestione e abbandono dell’alienante catena di montaggio…  Solo per l’incapacità dei successori di Adriano andrà in rovina l’impero delle macchine da scrivere e tutto quello che di elettronico venne dopo…

La Fiat  comincia a dubitare di avere l’erede…  Degli altri due fratelli dell’Avvocato, Umberto già l’affianca in azienda, ma è già troppo in là negli anni per diventare un erede e l’altro Giorgio è morto giovane, senza figli, ricoverato a lungo  in una clinica svizzera per schizofrenia… Margherita,   è donna e alla Fiat  entrano solo gli uomini…  Come del resto succedeva negli antichi imperi…

La posizione di Edoardo diventerà insostenibile quando nel 1990 sarà arrestato in Kenia con l’accusa di possesso di eroina…  Passerà anche due notti in prigione dritto in piedi perché nell’orribile cella manca anche lo spazio per sedersi. Poi l’accusa si smonta e lui torna in Italia ma dopo pochi mesi  viene nuovamente accusato per un giro di droga … Anche stavolta  Edoardo  è innocente, ma deve ammettere la propria tossicodipendenza…

E’ il 1993 e Giovannino Agnelli il figlio di Umberto è diventato grande…  E’ un ragazzo simpatico, allegro e   preparato.. E’   ora  che entri nel Consiglio di Amministrazione… l’anticamera dell’Impero…   Lo zio Gianni esulta, ma è solo  per poco… La tragedia irrompe di nuovo  quasi senza preavviso … Nel 1997 a soli 33 anni Giovannino muore…  una malattia che  non gli da via di scampo…

L’avvocato ha il viso sempre più tribolato dalle rughe e una bocca amara dove è difficile rintracciare un sorriso… Però ci sono i figli di Margherita… Si chiamano Elkann , ma sostanzialmente John e Lapo sono cresciuti in Fiat dopo averli strappati alla madre… con la quale non parlano da anni..

Dopo la morte di Giovannino,  a soli 22 anni   John Elkann entra   nel Consiglio di Amministrazione .

Edoardo  è sempre più in ombra…  Ci soffre molto… Vive in una villa  di proprietà dei genitori, ma ne occupa solo la portineria… Fa ripensare  a Giulia la figlia di Augusto costretta nel suo esilio, in un alloggio di una sola camera…Una fredda mattina di novembre del 2000 Edoardo viene ritrovato morto alla base di un cavalcavia alto  più di 70 metri. Sembra si sia gettato  dopo aver lasciato  l’auto con il motore acceso…  L’inchiesta è rapidissima e si chiude in un giorno…   E’ suicidio!

Ma dopo qualche tempo cominciano i dubbi…  Troppe incongruenze in quella morte… Perché  era uscito senza scorta? Perché era vestito a metà con la giacca del pigiama sotto una normale giacca? A che ora è entrato in autostrada? Si dice alle nove del mattino, ma un pastore dice di aver visto il corpo sotto il viadotto alle 8… Come mai una persona che precipita per 70 metri ha ancora le scarpe addosso? Perchè il viso di Edoardo, trovato a faccia in giù non è devastato?    A chi dava fastidio Edoardo Agnelli? Qualcuno dice che volevano che rinunciasse   ai suoi diritti in Fiat in cambio di un po’ di soldi… E che lui testardamente non avesse accettato… Qualche giorno prima aveva detto a un amico di essere preoccupato…  Nel 2008 la televisione manda in onda uno speciale elencando tutti i dubbi e raggruppando testimonianze. Esce anche un libro “Ottanta metri di mistero – La tragica morte di Edoardo Agnelli”  Si chiede di riaprire l’inchiesta, ma sembra che nessuno lo voglia fare…

Oggi il potere della Fiat in buona parte è in mano all’ AD Sergio Marchionne…  Lui lo nega  ma  forse porterà via  la Fiat dall’Italia…  Magari un po’ per volta ora che c’è il partner Chrysler…  John Elkann è Presidente, ma  sembra solo… Suo fratello Lapo  un ragazzo estroverso e pieno di fantasia, che curava  l’immagine dell’Azienda se ne è dovuto andare dopo essere finito all’ospedale, in coma, per un overdose… L’ambulanza è arrivata appena in tempo nella casa del trans, dove stava quasi per morire…

La figura gentile di Edoardo con la morte sembra aver acquistato spessore…  Ne parlano tutti con rispetto… In qualche modo la morte lo ha ricongiunto alla famiglia…

Si dice che a casa dell’Avvocato si mangiasse sempre poco, ma prodotti di qualità vicino alla terra…  Erano piemontesi e  molto attaccati alle loro tradizioni… Sicuramente  ” Il  Camoscio alla  Piemontese con la polenta” lo conoscevano bene…

CAMOSCIO ALLA PIEMONTESE CON POLENTA

INGREDIENTI PER IL CAMOSCIO per 6 persone: spalla o petto di camoscio kg 1, burro grammi 120, farina bianca 30 grammi, 1 bicchiere di aceto bianco di qualità, 1 carota, 2 coste di sedano, 2 cipolle, salvia e rosmarino,  4 cucchiai di olio extra vergine di oliva , 1 bicchiere di brodo di carne di manzo,  1 cucchiaino di zucchero,  sale e pepe.

INGREDIENTI PER LA POLENTA per 6 persone: faina gialla bramata cioè a trama grossa grammi 500,  acqua 1,750 litri, sale q. b.

PREPARAZIONE DEL CAMOSCIO: tagliate il camoscio in pezzi piuttosto grossi, poi adagiateli in un tegame di terracotta, unite la carota affettata, le coste di sedano a pezzetti, un po’ di salvia, un rametto di rosmarino  e l’aceto. Lasciate la carne a macerarsi per 24 ore e anche di più, poi affettate le cipolle e fategli prendere colore in una casseruola sul fuoco in 50 grammi di burro,poi unite la farina impastata con 30 grammi di burro e lasciatela dorare, poi aggiungete  il brodo e fate cuocere il tutto per 5 minuti.  Mettete una padella sul fuoco con il restante burro e l’olio, poi aggiungete i pezzi di camoscio scolati dalla marinara, asciugati e infarinati. Quando il grasso del camoscio si sarà sciolto togliete la carne e mettetela nel tegame delle cipolle, salate e pepate. Terminate la cottura  coprendo il tegame e a fuoco basso per circa due ore.

PREPARAZIONE DELLA POLENTA; in una pentola capoiente portate a ebollizione l’acqua e fatevi cadere  un po’ per volta  a pioggia la farina mescolando  ogni con un cucchiaio di legno affinché non si formino grumi; seguitando a rimestarla fatela cuocere per 50 minuti e non meno perché la polenta poco cotta può far male. A fine cottura riversatela su una spianatora di legno  e poi tagliatela a fette abbastanza spesse.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO: Distribuite 1 o più fette di polenta sul piatto di ciascun commensale, sistemateci sopra il camoscio e poi dopo aver passato al setaccio il sugo di cottura   versatelo sulla carne.

La Serenissima Repubblica di San Marino e gli Strozapret!

Ha 20 milioni di anni, e francamente non li dimostra!   Era successo nel Terziario … Ci fu  a quel tempo un susseguirsi  di  violenti terremoti … E fra  spaventosi  boati e cieli lampeggianti si  sconvolse tutta la superficie terrestre… Fu  uno di questi, in uno scenario di  tremenda apocalisse, che riuscì a spostare una  Montagna  di roccia, la trascinò via  per 80 chilometri e la fece scivolare tutta intera  nell’ Adriatico …Il mare fu costretto  a ritirarsi per   15 chilometri… Ed è per questo che oggi, se  vi capitasse di scavare sulle pendici  del Monte Titano potreste trovare qualche pesce fossilizzato ché non fece in tempo a  fuggire via col mare. Sono per  lo più squali e  peccato che il pezzo più bello, il cranio e le vertebre di una balenottera  se lo sono portato via …   Per fortuna, il Museo di Bologna, dove l’hanno esposta, con tutti gli onori,  è lì vicino…

Gli uomini arrivarono molto dopo e trovarono tutto sistemato… Da un lato la montagna era rimasta ripida, scabra rocciosa, ma nella parte   opposta  scendeva in un leggero declivio ricoperto di alberi, ricco di fiori e di uccelli… Se si saliva in cima  si vedeva da lontano il mare… Ed era  tutto talmente bello che non se ne sono più andati… Ognuno ha lasciato qualcosa …Forse per  non essere dimenticato… Dall’ascia di pietra all’ascia di bronzo, dalle urne cinerarie ai  resti della  spendente civiltà romana… Ma è dal passaggio di quei semi barbari Goti  che è arrivata la testimonianza più curiosa…Accadde alla fine del 19° secolo… A Domegnano, nel territorio di San Marino,  un contadino  trovò  un tesoro nel campo … Un mucchietto di gioielli tutti d’oro che portò subito al suo padrone…  Erano oggetti  da favola… Forse il corredo funebre di una principessa o forse li aveva sepolti la  principessa stessa  mentre  sfuggiva dalle armate  bizantine, durante la lunga “Guerra Gotica”…  L’avido padrone smembrò il tesoretto e lo vendette a pezzi… fra i vari musei del mondo quello di Norinberga si è aggiudicato il pezzo più interessante… la “Fibula ad aquila” che è divenuta poi il simbolo dei Goti in Europa…

E’ uno degli Stati più piccoli di Europa con i suoi 61 Kmq, ma è anche,  dopo quella  romana, la più antica Repubblica d’Europa perché esisteva già, incastrata in chissà  quale contesto giuridico e amministrativo, all’epoca dell’Impero Romano. Sembra infatti che, dal mare di fronte, attorno al  257   fossero arrivati due  operai tagliatori e incisori di pietra…  Dicono che  ci fosse urgenza di ricostruire le mura di Rimini… L’Impero all’epoca era un po’ nei guai perché  i barbari alle frontiere  premevano per entrare a godersi la società del benessere… Forse i due profughi, invece, erano scappati da qualche persecuzione locale contro i cristiani… La storia  si fa un po’ confusa ed è  meglio non approfondire troppo… Si da per certo che si chiamassero  Leo e Marino e li mandarono a estrarre pietre sul Monte Titano … Dopo tre anni si dividono … Leo va a fondare  San Leo…, la Rocca  da dove scapperà  Cagliostro e Marino si fa  una grotta sul Monte Titano… Quando poi il figlio della matrona del luogo proverà a scacciarlo… per punizione divina resterà paralizzato… Inutile dirlo… all’atto della donazione del Monte Titano a Marino, il ragazzo guarirà e Marino dopo questo miracolo è già diventato S. Marino. Risale ufficialmente… ma non  del tutto, al 3 settembre 301, la fondazione di questa Serenissima Repubblica…

Se ne  sa poco durante tutto il Medioevo…  Ma è sicuro che la democrazia  fosse diretta… L ‘avevano copiata ai greci, e, nella loro versione della Città –  Stato,  tutti i padri di famiglia partecipavano all’Arengo, la grande Assemblea  che radunava tutti i poteri , legislativo, politico, giudiziario… Durerà fino al 13° secolo poi saranno costretti a farsi rappresentare.. Lo Stato era sempre piccolo, ma la popolazione aumentava…E ‘ certo però che  i due Capitani Reggenti, i loro capi di Stato,   discendono direttamente dai Consoli romani, solo che  nella durata della carica erano stati ancora più drastici… 6 mesi invece di un anno… Lo dovevano aver capito subito che il potere corrompe…

La parola “Libertà ” l’hanno scritta dappertutto, perché non ci fossero dubbi da parte di nessuno…  Nella bandiera, nello stemma  e nella Piazza del Governo dove c’è una bella statua  proprio al centro a testimoniarla… “Reliquo vos liberos ab utroque homini”… Forse non l’ha detto proprio San Marino come hanno voluto far credere per non pagare le tasse,  ne’ all’Imperatore né allo Stato della Chiesa,  ma di fronte al nome del Santo fondatore persino il processo del 1296 riconobbe la loro indipendenza ” Non dipendono da nessuno” proclama un antico documento ritrovato in un Convento da quelle parti…”Non pagano perché non hanno mai pagato. E’ stato il loro Santo a lasciarli liberi”. Il Papa del resto si era già arreso qualche anno prima… Aveva riconosciuto la Repubblica nel 1291…  Sessanta anni dopo San Marino era anche libero Comune…

Solo una volta ha aumentato il territorio… quando il Papa nel 1463 per gratitudine  gli cedette  Fiorentino, Montegiardino e Serravalle… poi non ne ha più voluto sapere. C’era sempre il rischio di perdere qualche libertà a farsi beneficare dai potenti… Un paio di volte San Marino se l’é vista brutta come quando Cesare Borgia, il duca Valentino l’occupò con le sue truppe per quasi un anno… Figurarsi il Duca s’era messo in testa di  prendersi tutta L’Italia… Come avrebbero fatto a cacciarlo da San Marino? Ci volle la morte del Papa per costringerlo a levare le tende con armi e bagagli…  Ormai non aveva più la protezione della Chiesa…  Chiesa che  tuttavia  ci riprovò a mettere le mani  su San Marino anche nel ‘700, ma insorse mezza Europa a difendere il piccolo Stato … Faceva  comunque  barriera  al dilagante imperialismo dello Stato pontificio.

Per lo scampato pericolo arrivò anche a rifiutare le profferte amiche di Napoleone che gli voleva allungare il territorio sino al mare “la Repubblica di San Marino – disse l’allora Capitano Reggente –  contenta della sua piccolezza non ardisce accettare l’offerta generosa che le viene fatta, né entrare in viste di ambizioso ingrandimento che potrebbero col tempo compromettere la sua libertà”

Fu meno prudente durante il Risorgimento e i moti di liberazione… Considerò l’Italia la sua Patria più grande, in cerca della  libertà  e aprì le porte. Troppo dura sarebbe stata altrimenti la sorte dei carbonari e dei patrioti in fuga…  E un’altra volta San Marino  rischiò l’occupazione dell’Austria e dello Stato Pontificio… Nel 1849 Garibaldi in fuga da Roma dopo la Caduta della Repubblica Romana  procedeva a marce forzate, con la moglie incinta e 1500 uomini, per tentare di raggiungere Venezia… Ma nelle Marche era ormai accerchiato da  quattro eserciti nemici…  Però era un grande  condottiero e nella via di fuga aveva puntato su San Marino… A cui chiese asilo… Solo un momento il Capitano Reggente provò a rifiutare, terrorizzato per le conseguenze, ma Garibaldi era già davanti a lui e la richiesta d’asilo fu accolta… Dopo l’Unità d’Italia San Marico ricominciò a sentirsi sicura…

Oggi vive di eccellenze… Il turismo, la finanza, le monete e i francobolli… Spesso con un annullamento nel  giorno indovinato ci si fanno i soldi…  Il piccolo territorio ha una grinta estremamente moderna ed efficiente e  nonostante la crisi ha il tasso di disoccupazione più basso d’Europa… Ma non ditegli di rinunciare alla cerimonia di investitura  dei Capitani Reggenti  o di cambiare la date del suo calendario… Per San Marino l’anno comincia il 3 settembre   e  l’anno in corso e’ 1l 1713 d.F.R., cioè dalla Fondazione della Repubblica… Perché tutto cominciò  il giorno che San Marino dette loro la libertà…

Dal 2008 San  Marino e il Monte Titano sono diventati Patrimonio dell’Unesco… “… Sono eccezionali testimoni della costruzione di una Democrazia rappresentativa basata  sull’ autonomia civica e  sull’auto-Governo con un’unica, ininterrotta continuità nell’essere Capitale di una Repubblica indipendente sin dal 13° secolo.  …”

La cucina… Molto è in comune con le Marche e la Romagna, le sue  confinanti,  alcune  cose  però sono tipiche di San Marino, come i fagioli con le cotiche di maiale o la polenta servita sul tagliere magari con un sugo di salvia e uccelletti… Oppure la pasta e ceci della tradizione natalizia e la minestra Bobolotti,  quella dei poveri fatta con pasta fresca, fagioli scuri e lardo…Alcuni dolci sono ecccezionali come  la Pagnotta, tipica di Pasqua  o la Torta Titano o la Torta Tre Monti… Ma di alcuni  di essi non si conosce nemmero la rcetta precisa…Segreto della Repubblica!

Noi abbiamo scelto un piatto che nel nome ripete una certa dose di ironica insofferenza per quello Stato pontificio che per molti secoli è stato lo scomodo  vicino di casa della Serenissima Repubblica

STROZAPRET AL SUGO DI CARNE E FORMAGGIO DI FOSSA

INGREDIENTI PER IL SUGO per 4 persone: pomodori maturi 400 grammi, fegatini di pollo grammi 200, lombata di vitello grammi 100, burro grammi 80, besciamella grammi 100, prosciutto crudo grammi 50, 1 cipolla, 1 carota, 1 manciata di prezzemolo, marsala secco 5 cucchiai,  1/2 litro di brodo di carne,   noce moscata 1 pizzico, cannella 1 pizzico, sale e pepe a piacere.

INGREDIENTI PER LA PASTA per 4 persone: farina bianca 620 grammi, acqua, sale, formaggio di Fossa di san Marino 60 grammi (è una specialità del posto che si ottiene mescolando latte vaccino e latte di pecora)

PREPARAZIONE: per quanto attiene al sugo, sbucciate, lavate e  tritate la cipolla, la carota e il prezzemolo,  metteteli in un tegame di terracotta insieme a 50 grammi di burro e fateli rosolare sul fuoco a fiamma media. Tagliate a pezzi piccoli sia la carne che i fegatini e uniteli al soffritto, mescolando il tutto con un cucchiaio di legno, aggiustate di sale e pepe  e bagnate con il marsala. Lavate i pomodori, togliendo loro i semi (si possono usare anche i pelati in scatola, preferibili ai pomodori freschi nei mesi invernali,  dato che i pomodori freschi fuori stagione si rivelano con poco sapore e troppa acqua), tagliateli a pezzi e uniteli alla carne, poi aggiungete al sugo la besciamella, la noce moscata e la cannella e bagnate infine con il brodo versandolo poco per volta.. Cuocete per mezz’ora,poi tritate il prosciutto e fatelo rosolare con il restante burro in un tegamino a parte e unitelo al ragù solo negli ultimi minuti della cottura.

Per preparare la pasta versate 600 grammi di farina sulla spianatora distribuendola a “fontana”,versate al centro dell’acqua bollente e mescolate rapidamente con un cucchiaio di legno. Lavorate la pasta con le mani  per 15 minuti e poi ricavatene dei bastoncini della grandezza di un dito tagliandoli a pezzi di due centimetri e 1/2. Utilizzate la restante farina per  distribuirla sulla spianatora e con le dita rotolarvi sopra premendo i pezzetti di pasta in modo che restino vuoti all’interno oppure  prendendo ogni bastoncino, arrotolarlo, facendolo scorrere tra i palmi aperti delle mani (imitando il classico gesto di sfregamento che si fa per scaldarsi le mani.) Lessateli in acqua bollente salata. Quando vanno a posarsi sul fondo della pentola  scolateli subito e conditeli con il sugo preparato. Dopo averli ben mescolati spolverateli con il formaggio di Fossa.

Enzo Tortora e la Cima ripiena della sua terra

tortora_portobelloTre gradi di giudizio culminati nel 1987 con la piena assoluzione … E  nonostante ciò, qualche anno dopo, quando Enzo Tortora era già morto,  più di crepacuore che del suo male,  un Magistrato   affermo’  tranquillamente «L’assoluzione di Enzo Tortora rappresenta in realtà soltanto la verità processuale e non anche la verità reale del fatto storicamente accaduto”  Ma che strano… Non insegnano forse a Scuola che é compito della Giustizia  accertare la verità… E  come mai questo sfugge a un magistrato laureato in diritto con lode? Se un semplice cittadino avesse fatto un’osservazione simile  a quella del  Magistrato, probabilmente  avrebbe potuto passare i guai suoi…  Come ognun sa, le sentenze vanno rispettate…  Invece non successe nulla… Nemmeno a  chi in primo grado  aveva condannato Tortora a più di 10 anni e  non ha mai avuto alcuna ripercussione sulla carriera… Anzi sono sempre  stati così sicuri di se’ che quando Giuliano Ferrara, a sentenza emanata, prova a riepilogare gli indizi  infondati con cui Tortora era stato arrestato e processato… Si prende una querela  per diffamazione dai Pubblici Ministeri Lucio Di Pietro e Felice Di Persia  e dal giudice istruttore Giorgio Fontana…Per fortuna che poi se la cava…

Ma più di tutto nella memoria collettiva risuonano le parole accorate del difensore  di Tortora che in aula, rivolgendosi al pubblico Ministero quasi urlò “Signor giudice lei le ha lette le carte del processo?” Perché quello che lascia sconcertati è la superficialità, l’incuria della vicenda e il sospetto di vendette incrociate verso un personaggio televisivo scomodo e e ribelle… Due volte l’avevano cacciato dalla Televisione di Stato, la prima volta perché nella sua  trasmissione Alighiero Noschese aveva fatto l’imitazione di Amintore Fanfani… fatto evidente di lesa maestà…  E una seconda volta nel 1969 quando aveva definito la Rai “Un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne” … Il fatto poi che una volta  rientrato in Rai,  la sua trasmissione incollasse  davanti al televisore la metà degli Italiani non aveva fatto piacere a molti…

Ma pochi potevano prevedere quell’arresto spettacolo, mediatico alle 4,30 di mattina…  “Il Mattino ” di Napoli, va in stampa  a mezzanotte o giù di lì, già con la notizia dell’arresto di Tortora… I fotografi e la stampa son già pronti  all’ingresso dell’Hotel Plaza di Roma… Mentre appare il mostro in manette, accusato  di associazione a delinquere di stampo camorristico… Chi l’accusa sono i pentiti di camorra il cui numero lievita di giorno in giorno,  più  uno squallido pittore in cerca di un po’ di notorietà… La prova del fuoco? L’agendina di un camorrista dove c’è  il nome del presentatore e un numero di telefono… I contatti avuti? Dei misteriosi centrini perduti  che  dal carcere erano stati inviati , per la vendita in diretta nel mercatino virtuale  del  “Portobello” televisivo di Tortora…

Ci volle la sentenza di appello per scagionare Enzo Tortora e bastò un giudice più attento… Il nome sull’agendina  non era Tortora, ma Tortona e al numero telefonico, bastava chiamarlo… rispondeva appunto il Sig. Tortona…Quanto ai centrini inviati dal camorrista in carcere, erano arrivati in mezzo a quintali di oggetti diversi in trasmissione  e qualcuno li aveva persi… Alle proteste del proprietario Tortora aveva inviato un risarcimento in denaro pensando di chiudere la questione…Ma chi poteva immaginare che  Giovanni Pandico, oltre che camorrista era anche  schizofrenico e quella perdita di centrini l’aveva considerata uno ” sgarro” personale? Così  appena arriva la proposta, lui diventa uno dei  “gran pentiti” assieme ad altri tristi nomi come quello di Pasquale Barra detto “o’ nimale”…   Pandico  trova la possibilità di vendicarsi e al quinto interrogatorio butta là il nome di Tortora fra quei circa ottocentocinquanta  camorristii su cui si abbatterà con l’arresto, il “venerdì nero della camorra”…Peccato che in realtà, molti di quegli accusati erano innocenti come Tortora…

E’ proprio in quel venerdì nero della camorra che bisogna  ritornare per cercare  il cuore della vicenda …. Uno scenario incredibile,  sembra  un romanzo della complicata fantasia di Dan Brown… Invece non è la ricostruzione di  uno scrittore di trame nere ma della  Direzione  Antimafia di Salerno…  E’ il 27 aprile 1981 quando le Brigate Rosse sequestrano, in uno dei loro ultimi show terroristici,  Ciro Cirillo, notabile democristiano e assessore all’urbanistica della Regione Campania…Cirillo in quel momento è  il più importante…  L’anno prima c’è stato il violentissimo terremoto dell’Irpinia con tremila morti e migliaia di case abbattute… Il sud è ferito  ma deve cominciare l’opera di ricostruzione.. E presto! Perchè  la Democrazia Cristiana non vuole perdere consenso … E’ ovvio che il rapimento del suo uomo chiave  in Campania può essere un grosso colpo …La ricostruzione deve essere targata DC…  E del resto non si può nemmeno abbandonare Cirillo a se stesso, dopo  lo scandalo del mancato aiuto  a Moro di tre anni prima… Le BR stavolta vogliono soldi… e tanti, ma il grosso pasticcio viene fuori quando le istituzioni, anziché con un  gruppo di violenti ideologi di sinistra, si trova a trattare con la delinquenza comune … Il top della camorra del boss  Raffaele Cutolo che in qualche modo affianca le Brigate Rosse… Cominciò dunque prima di quello che dice la recente  cronaca, la trattativa Stato –  Mafia… e che si chiamasse camorra è solo una variante sul tema…  5 Miliardi vengono generosamente e rapidamente raccolti… Dai costruttori della zona…  E il perché è facile da capire… Una volta libero Ciro Cirillo potrà compensarli con grossi appalti  post sisma…    Ma solo formalmente  ai costruttori edili,  il liberato  Assessore dispenserà, i fondi della ricostruzione … Perché  sarà in realtà la camorra a beneficiarne, ora  che la sua presa di potere  è totalmente  avvenuta…Chi doveva sapere, sapeva, le cose  sarebbero potute anche andare avanti così, ma  quando cominciano le faide fra  un gruppo camorristico e l’altro, lo Stato si spaventa…Violenza, ferimenti e due, tre omicidi al giorno sono veramente troppi…C’è il contagio della paura … Mentre i media cominciano a fare troppe indagini. Chissà a quale cervellone dei servizi segreti venne allora in mente  di  fare un po’ di arresti, anzi, perché no, una bella retata a titolo dimostrativo per far capire la presenza dello Stato a chi pensava di essere abbandonato a se stesso… Fu così che cominciò l’altra trattativa con chi già era in carcere e a portata di mano, ai quali  vengono proposti sconti di pena e forse soldi in cambio di nomi di accertati camorristi… Fra le 850 persone  che verranno arrestate, di cui, più di 100 saranno dichiarate innocenti sin dalla prima fase di giudizio, finisce, per uno scherzo del destino e per la vendetta di un pentito schizofrenico  anche il nome di Tortora… Poi si troveranno altri 15  pentiti a cascata, che  confermeranno il nome del presentatore…Li chiameranno ” pentiti a orologeria” che balzeranno fuori ogni volta che ci sarà bisogno di distogliere l’opinione pubblica dagli strani appalti  e da una ricostruzione insostenibile, che aggrega  le antiche famiglie sparse nei campi o in piccole città, in enormi stranianti falansteri dove domina la solitudine e l’angoscia…

Intanto al di là della speculazione mediatica e gossip,  attorno a Enzo Tortora si comincia a radunare  un vasto movimento di opinione che lo ritiene innocente e  un anno dopo, Enzo Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo … Ma lui è uomo di coraggio e di sfide e appena Il 17 settembre 1985 , in 1° grado, viene condannato a dieci anni di carcere,  si dimette immediatamente dalla carica, perde l’immunità parlamentare che gli avrebbe garantito la libertà e si mette a casa  agli arresti domiciliari…

Le cose prendono un altro verso quando il giudice  di 2° grado Michele Morello, si mette in testa di vederci chiaro…. e ricomincia tutto da capo… “Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all’ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po’ sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell’altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell’imputato…”

Tortora ormai lo stava gridando da tempo e senza timore  nel processo:  “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.”

Quando fu prosciolto tornò a Portobello… Lo stile era sempre quello, sobrio educato, gentile con tutti… Ma durò soltanto pochi mesi… Non ebbe abbastanza tempo per godersi la libertà e l’affetto della gente che in lui aveva creduto… Sono in tanti ad essere convinti che quel cancro al polmone fosse di natura psicosomatica… La disperazione e il pregiudizio possono uccidere…

E’ una storia triste, ma un ritorno in Liguria, sua terra di origine, lontano dai suoi travagliati processi, avrebbe di sicuro consolato anche Enzo Tortora… Perché  un buon piatto tradizionale, frutto d’amore e di cultura può far bene all’animo amareggiato…

CIMA RIPIENA ALLA GENOVESE

INGREDIENTIper 8 persone: pancia  di vitello kg 1,200, polpa di vitello grammi 100, poppa  (tettina)  grammi 80, un’animella, mezzo cervelllo di vitella o 1 cervello di abbacchio,qualche pezzetto di schienale, 2 testicoli (granelli o gioielli di toro come  eufemisticamente si suol dire), 50 grammi di burro, pochi pinoli, un cucchiaio di maggiorana (persa),  qualche foglia mista di erbe aromatiche( prezzemolo,timo, salvia, alloro), parmigiano grattugiato 80 grammi, 8 uova, aglio 1 spicchio, sale a piacere, una manciata di piselli e una di funghi secchi,  2 litri circa di brodo di verdura.

PREPARAZIONE:Fate preparare dal macellaio una pancia di vitella con la sacca già pronta o in alternativa incidete voi la pancia tagliandola sino in fondo, con un coltello ben affilato, tenendovi lontano dai bordi circa due centimetri. Lavatela, sgocciolatela bene e poi asciugatela. Preparate il ripieno cominciando a rosolare nel burro tutte le carni,poi scolatele e poggiatele un un tagliere. Tritate finemente la polpa, la poppa e le animelle, e a pezzi più grossi il resto. Versate tutto in un grosso recipiente e aggiungete i piselli,  i pinoli,  lo spicchio d’aglio schiacciato, la maggiorana e i funghi ammollati per circa 20 minuti nell’acqua tiepida e poi strizzati. Sbattete bene le uova, poi unitele a freddo al composto. Insaporite con un pizzico di sale e le spezie tritate, poi aggiungete  il parmigiano grattugiato.Mescolate il tutto con delicatezza e riempite per non più di due terzi la sacca della pancia perché  in cottura la carne si ritira e la farcia si gonfia e potrebbe scoppiare se il ripieno fosse eccessivo. Cucite il bordo della sacca con filo bianco da cucina,poi avvolgete la cima in una pezza di  tela bianca ben legata. Porla sul fuoco nel brodo di verdure già caldo e farla cuocere un’ora a recipiente scoperto. Poi incoperchiate e fate cuocere ancora per due ore a recipiente coperto.  Dopo averla tolta dal fuoco appoggiatela sul tagliere,ricopritela con un piatto e mettete sopra il piatto un peso. Tenetela pressata per circa un’ora affinché perda l’acqua residua e  prenda la tipica forma ovale. Servire fredda a  fette.

Gli Agnolotti del lunedì per Marco Travaglio!

Ha un viso  che improvvisamente si illumina quando sorride… Ma lo fa poco e,  in genere, quello strano pallore e  gli occhi di ghiaccio mettono  soggezione… Ha una bella voce e un tono pacato, distaccato…      Quasi monotono… Ma  in realtà scatena l’ansia!  Le sue non sono mai semplici enunciazioni,  ma fatti  e ricordi spesso nascosti dal tempo, che all’improvviso balzano in primo piano…… Evocata, entra Madama Pace… scriveva Pirandello e allo stesso modo, con quel rigore quasi maniacale con cui si documenta, lui evoca  dai suoi appunti che smuove appena, con le mani che, leggère,  li toccano, personaggi dimenticati  che  tornano sulla scena…Tempi del passato  che si  saldano  agli istanti del presente,  concatenazioni di causa ed effetto che diventano un trattato di logica …

Molti nemici, tanti detrattori… Qualche grande maestro… Uno è Indro Montanelli…  Lui, Marco Travaglio, confessa di essere un liberale  come Montanelli e proprio come lui, di aver avuto, almeno in alcuni periodi della sua vita, un odio viscerale per tutto quello che  era sinistra o   matrice comunista… Strane affermazioni tuttavia per un uomo che buona parte della sua vita   l’ha trascorsa a scrivere per giornali  come l’Unità e Repubblica.

Quel modo gelido, obiettivo, da reportage neorealista che ha, di scrivere e di raccontare, probabilmente lo ha imparato  nel liceo cattolico, dove ha studiato… i Salesiani, si sa, sono dei grandi  formatori, ma il rigore scientifico,  quello sicuramente  glielo ha inculcato  Indro Montanelli, che nella sua cattiveria da maledetto toscano, agiva sempre con immenso rispetto della verità…. E sempre pronto a ricredersi se sbagliava… Ma l’allievo  deve aver superato il maestro, se lo stesso Montanelli diceva di Travaglio “È un Grande Inquisitore, da far impallidire Vyšinskij, il bieco strumento delle purghe di Stalin. Non uccide nessuno. Col coltello. Usa un’arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l’archivio”

Con Montanelli doveva lavorare proprio bene Travaglio perché quando era ancora  corrispondente da Torino de “Il Giornale” rifiutò un ingaggio propostogli da Repubblica… Montanelli che era un galantuomo lo fece assumere in pianta stabile… Travaglio poi  seguì Montanelli nel 1994 nell’avventura sbagliata de “La Voce”… e solo dopo la sua chiusura si mise sul mercato come battitore libero… e fra i tanti giornali approdò anche a Repubblica, perché, come spiegò lo facevano lavorare liberamente.

Di scoop ne ha fatti tanti, sembra abbia quasi un perverso piacere a scoprire e confrontarsi con il male… Gli si schierarono tutti contro quando pubblicò su un giornale chiaramente di destra come “Il Borghese” le intercettazioni telefoniche che seguirono all’arresto di Adriano Sofri, accusato di essere il mandante dell’omicidio Calabresi…   E da quelle telefonate viene fuori  uno spaccato della realtà  italiana sicuramente poco esaltante… In cui i massimi esponenti di  “Lotta Continua,” il gruppo estremista e sovversivo, avevano in realtà  solidi rapporti col partito istituzionale che da anni governava l’Italia… Il Partito Socialista di Bettino Craxi… Emblematico, di quella brutta storia e  di tante storie dell’Italia malata e vigliacca, il fuggi fuggi dei più autorevoli big socialisti non appena si ebbe sentore dell’arresto di Sofri… Le intercettazioni sono spietate… E forse il cattivo non era Travaglio.

Un altro grosso colpo al sistema, Travaglio lo  assestò nel 2001 con  il suo libro-inchiesta L’odore dei soldi, scritto con Elio Veltri, in cui avevano cercato di risalire  all’origine dell’arricchimento di Silvio Berlusconi e ai possibili coinvolgimenti del Cavaliere e di Marcello Dell’Utri con esponenti di Cosa nostra… Per anni Berlusconi e Dell’Utri hanno negato tutto, ma la sentenza più recente con i sette anni di condanna a Dell’Utri ha dimostrato che Travaglio non aveva poi tutti i torti.

Il Cavaliere nel suo decennale, appena interrotto dal governo Prodi, ha fatto chiudere diverse trasmissioni dei suoi oppositori… “Annozero” di Santoro e “Il Fatto” di Enzo Biagi con cui Travaglio collaborava… Ma la bocca, al terribile Marco non è riuscita a chiuderla nessuno. Imperterrito fustigatore di costumi, dopo un lungo periodo di collaborazione a L’Unità, nel 2009, si è aperto un giornale in proprio  assieme ad  Antonio Padellaro  e, in memoria dell’altro grande maestro, il mite, grandissimo Enzo Biagi,  distrutto da Berlusconi, l’hanno chiamato “Il Fatto Quotidiano” … La prima regola che si sono dati, in tempi di facili sovvenzioni, non prendere soldi dallo Stato.

Brillante,  cattivo, in controtendenza con destra e sinistra, perchè sempre alla ricerca della verità, “il Fatto Quotidiano” non ha risparmiato critiche al Presidente della Repubblica per quelle strane telefonate intercettate fra Napolitano e l’ex Ministro Mancino coinvolto nella trattativa Stato – Mafia e, recentemente, ha anche infuriato contro uno dei pochi miti rimasti nel cuore degli Italiani, dimostrando come  Emma Bonino, in lista per raggiungere il Colle, avesse in realtà per anni appoggiato la politica di aggressione dell’America a paesi come l’ex Jugoslavia e l’Iraq…

Il monologo più drammatico, aggressivo e profondamente  umoristico, dove si ride, anche se con molto amaro in bocca, forse Travaglio l’ha interpretato il 18 aprile a Servizio Pubblico, la trasmissione risorta dalle ceneri di Annozero… Se l’è presa con l’imbelle, incapace Pd che  ha bruciato in pochi mesi la possibilità di vincere elezioni già vinte, non è riuscito a mettere in piedi un governo e si è fatto  bocciare  tutti i suoi candidati alla Presidenza della Repubblica… Alla fine della lettura, Travaglio  sconsolato conclude:

“Bersani è il settimo leader che si fuma il centrosinistra in 20 anni, mentre a destra c’è sempre e solo B”. “Ma questi (il PD) –  si chiede con la sua impassibile faccia- sbagliano ininterrotamente da 20 anni o sono 20 anni che sono d’accordo con Berlusconi?”

Scomodo, arrogante, polemico, Travaglio non è solo l’Inquisitore di Montanelli… Spesso sembra animato da un sacro fuoco… quasi religioso… E con quegli occhi accesi e  indagatori e la  voglia di “cupio dissolvi”, fa venire piuttosto in mente Savonarola o Martin Lutero…  Ma  per fortuna che esiste! Perché in un’Italia povera e sconfitta con la distruzione morale che si trascina appresso, come la palla al piede di un condannato, abbiamo ancora Marco Travaglio, qualcuno che ci costringe a ragionare, ad aprire gli occhi e forse…  Se riusciamo a tenerli ben aperti, tutto non è perduto!

Marco Travaglio è torinese, riteniamo che gli piacciano gli agnolotti che da quelle parti fanno in modo eccezionale e con molta saggezza…Perchè spesso di lunedì c’è la tradizione di prepararli riciclando gli avanzi di carne del giorno di festa… Quelli che presentiamo dunque sono una proposta che potrete variare a vostro piacimento e secondo le carni di cui disponete… Arrosto di coniglio, stufati vari,animelle etc…

AGNOLOTTI PIEMONTESI DEL LUNEDI’8191b

INGREDIENTI per 6/8 persone: stufato di manzo circa 350 g, arrosto di maiale 200 g, salsiccia a metro 100 g, cervella di vitello 100 g, un cespo di scarola, 6 uova, 1 pizzico di noce moscata, parmigiano grattugiato 4 cucchiaiate abbondanti più 100 g per condire gli agnolotti, burro 120 g, sale q.b., farina bianca 600 g, acqua 250 g, tartufo 10 g e qualche foglia di salvia.

PREPARAZIONE: lessate leggermente e in pentolini separati la salsiccia e le cervella. Lessate la scarola, solo per pochi minuti, strizzatela, tritatela e insaporitela in poco burro, il resto servirà per condire gli agnolotti. Tritate finemente tutte le qualità di carne e la salsiccia mettendole in un recipiente a cui aggiungerete la scarola, un pizzico di sale, una grattata di noce moscata e 3 uova intere mescolando accuratamente l’impasto.

Con la farina, le restanti 3 uova e l’acqua preparate la pasta e poi stendete con il mattarello due sfoglie sottili, mantenendole coperte fino al momento del loro utilizzo. Dal composto di carni ricavate pallottoline grandi quanto una nocciola e sistematele sulla sfoglia distanziate fra loro ricoprendoil tutto poi con altra sfoglia, premendo con le dita tra un ripieno e l’altro e successivamente utilizzando una rotellina dentata ricaverete agnolotti di sfoglia quadrata. La  tradizione vuole che questi ravioli siano serviti come piatto in brodo, ma si possono anche presentare asciutti cuocendoli sempre però in brodo. Si passerà a condirli poi con burro fuso, qualche foglia di salvia, una spolverata di parmigiano e sottile fettine di tartufo.

Fra terra e mare… Livorno, Modigliani e il Cacciucco…

Non c’era più niente da fare… I Pisani avevano lottato a lungo ma dove una volta c’era il loro orgoglioso porto, ormai era tutta una distesa di sabbia, da cui  emergevano a tratti, in un’atmosfera  surreale, le antiche strutture marinare…  Era l’inizio del XVI secolo e questa fu la prima delle fortune di Livorno …  dove  ebbe inizio una straordinaria avventura! Era vicina a Pisa, c’erano già delle fortificazioni  e l’acqua lì, di certo non mancava. Così i Medici decisero di ampliarla e  costruirvi il nuovo Porto.  L’altra fortuna di Livorno fu l’arrivo dei mercanti Ebrei, che  scappavano perseguitati, ma con parecchi  averi, dalla penisola iberica, dopo “la reconquista” cristiana. A Livorno vissero  liberi  come gli altri cittadini e  al contrario del resto d’Italia e d’Europa , non c’era nessun ghetto dove andarsi a chiudere nelle ore serali … Evidentemente la libertà fa bene… Perché col tempo, divennero la più importante comunità ebrea d’Italia. Poi cominciarono ad arrivare  anche  altri mercanti, di “qualsivoglia natione” perchè i Medici, liberali e affaristi come erano sempre stati, avevano emanato quelle specialissime “Leggi Livornine” che garantivano a tutti libertà di culto e  annullamento di tutte le condanni penali… eccezion fatta per gli assassini e i falsari. …

  Non ci volle poi molto a fare le strutture portuali e la città nuova… Un doppio molo e  un canale navigabile tra Pisa e Livorno, mentre si progettava la “città ideale”… Con squadra, compasso e i minimi particolari… Una splendida città, con quartieri, piazze e strade di grande  respiro, ma anche una città-fortezza  a pentagono, avvolta dentro mura  imponenti, baluardi e fortificazioni …  Perchè all’epoca  risalivano ancora a depredare il Tirreno le navi pirata dei Mori e Saraceni…   Ma quello che segnò definitivamente il destino di Livorno fu la sua proclamazione  di  porto franco  che la fece diventare il porto  più ricco di tutto il Mediterraneo e  anche uno dei più caratteristici con le navi che  giravano tranquillamente dentro la città dove,  lungo i canali navigabili  di Venezia Nuova, c’erano i magazzini dei grandi Import – Export, pronti ad accogliere o caricare le merci che venivano da tutto il mondo.  Nei secoli la città crebbe… alla fine del ‘700 arrivarono i Granduchi di Lorena dopo che i Medici si erano estinti… Erano fissati con  l’irrigazione e le acque… A Livorno ampliarono  i canali,  costruirono  altre darsene interne, lungo il circuito delle nuove mura daziarie, seguendo l’inclinazione naturale della Città…   Mentre il mare entrava  docile nei muraglioni di contenimento e  formava nuove vie d’acqua.

Il primo colpo all’economia della città  pensarono bene di assestarlo, verso la fine dell’800, gli ottusi regnanti dell’Unità d’Italia… quelli dell’indipendenza  tanto desiderata che portò più danni che felicità… Tolsero il porto franco e i commerci precipitarono … Per fortuna  i Livornesi erano gente sveglia…  divennero in fretta centro industriale con i cantieri navali, poi accolsero l’Accademia Navale e infine si trasformarono in città turistica e centro benessere con gli eleganti stabilimenti termali e balneari…  Per il cinema poi ci fu una passione precoce perché già nel 1896  si proietta il Cinématographe Lumière …

Città di forti contraddizioni, nel 1921 vide  la nascita del Partito Comunista, ma poichè era anche la patria del genero di Mussolini, la famiglia Ciano pensò bene di dargli una nuova dignità urbanistica all’altezza del suo lignaggio e cominciò a sventrarla per fare spazio a imponenti e retoriche piazze e architetture di regime, sacrificando e ricoprendo alcuni canali… Il resto lo fece la guerra e i 99  bombardamenti sulla città per colpire il porto e le industrie …E questo si potrebbe anche capire. Quello che fu un delitto, fu la distruzione del centro storico con incursioni specificamente  dedicate.

Ci mise tanto a risollevarsi… Ma se vi capita di andarci potete  trovare ancora una parte della Venezia Nuova, la grande Fortezza circondata dall’acqua, il Museo Fattori  in una deliziosa villa dell’800 che ospita i macchiaioli … E la luna che di notte riesce ancora a creare  i suoi antichi miti… “Le Notti Bianche” non a caso l’hanno girato a Livorno.  In città c’è un’atmosfera  gentile, di grande cortesia… si sta proprio bene a Livorno, ma non andatelo a raccontare a nessuno … Loro non vogliono… Temono che arrivi troppo turismo!

L’arte a Livorno è stata sempre di casa e gli scambi culturali con quel porto spalancato sul mondo sono sempre stati ricchi… E tuttavia c’è stato un momento magico  quando con Parigi si era stabilito un rapporto  di scambio del tutto paricolare, tanto che Oscar Ghiglia uno dei post macchiaioli più cosmopoliti così scriveva “…C è stato un momento anni fa, quando Mascagni musicava a Parigi la Parisina e Cappiello era il re del cartellone francese e Niccodemi uno dei principi del teatro boulevardier e Modigliani dipingeva a Montparnasse quei suoi strani quadri (…) che Parigi poteva sembrare un mezzo feudo artistico dei livornesi…”

Ecco fra tutti gli artisti uno più grande dell’altro, un pensiero particolare va ad Amedeo Modigliani e non solo perché forse è stato il più grande di tutti, ma perché lui, ebreo sefardita, forse era il più livornese di tutti, erede di quei pionieri arrivati in fuga, che assieme al Granduca di Toscana dettero vita a una delle più originali e avveniristiche città e all’ inizio all’età moderna.

Una vita sciagurata fra malattia, droga e alcol, quella di Modi, il Maledetto, come suonava in francese quel diminutivo, dove solo l’arte annullava  le sue umane miserie e le sublimava nei dipinti e nelle  sculture, che non seguivano alcuna corrente  ma scendevano all’origine di tutte le rappresentazioni… All’arte primitiva, all’Africa nera, dove la forma era sintesi, eleganza ed emozione  mentre il colore  che ricopriva quella forma era caldo, sensuale ed esprimeva la gioia  e la passione di vita che lui  non sapeva trovare al di fuori…

Dopo qualche anno che stava a Parigi tornò a Livorno, era  roso di nostalgia ma  non ci rimase a lungo… Lì era sotto gli occhi di tutti con la sua malattia e tutto il resto.. Probabilmente sapeva che era un addio…  Ma preferì tornare a Parigi e perdersi a Montparnasse, sconosciuto e immenso  mentre faceva i suoi rapidi schizzi ai clienti dei ristoranti in cambio di un po’  di assenzio… per poter continuare a dipingere.!

A Livorno il Cacciucco è il piatto nazionale, non solo cibo, di sicuro un modo di vivere… All’inizio era un piatto dei poveri, che i pescatori preparavano con gli avanzi della pesca…Mascagni  era un appassionato e se lo cucinava da solo in estenuanti gare con Puccini… Forse anche Modigliani tornò a Livorno per sentire ancora  il colore e l’odore del mare  in quella zuppa di pesce…

CACCIUCCO ALLA LIVORNESEricetta-cacciucco-cacciucco-livornese

INGREDIENTI per 6 persone: 500 grammi di polpo, 500 grammi di seppie, 300 grammi di palombo a trancio, 500 grammi  di scorfano, gallinella o altro pesce da zuppa, 500 grammi di crostacei misti cicale, scampi, gamberi, 500 grammi di cozze, 500 grammi di pomodori pelati, 3 spicchi di  aglio, qualche foglia di salvia, due peperoncini secchi piccoli o anche qualcosa in più se piace, 1 cipolla,una carota,un gambo di sedano, 1 bicchiere di vino rosso,olio extra vergine di oliva 4 cucchiai, 6 fette di pane casereccio toscano, una manciata di prezzemolo.

PREPARAZIONE: Prendete una casseruola di grandi dimensioni, possibilmente di terracotta e mettete a soffriggere a fuoco basso, nell’olio, 2 dei tre spicchi di aglio “in camicia,” e il ciuffo di salvia. Quando l’aglio è dorato,versate la metà del vino, aggiungete i peperoncini e fate sfumare a fuoco vivace. Togliete dalla casseruola l’aglio, la salvia e i peperoncini e metteteci  il pesce perfettamente pulito e lavato. Cominciate con  il polpo tagliato a pezzi e precedentemente battuto per ammorbidirlo. Dopo 15 minuti aggiungete le seppie tagliate a pezzi alle quali, durante la pulizia avrete tolto anche la sacca del nero. Fate rosolare e sfumate con il restante vino. Aggiungete i pomodori pelati a pezzi con la loro acqua, coprite e abbassate la fiamma. Mentre il pomodoro cuoce prendete una pentola riempita di acqua in cui metterete la cipolla, il sedano, la carota e i pesci da zuppa. Portate a bollore  e quando i pesci  sono cotti, toglieteli  dall’acqua e riduceteli a una polpa nel passatutto, togliendo prima allo scorfano la  sua corazza. Dopo che avrete versato la polpa ricavata, nella casseruola del pomodoro, mettete nel passatutto anche  la corazza dello scorfano da cui ricaverete  sicuramente altra polpa  e liquido da aggiungere alla casseruola dei pomodori. Ricordatevi di non buttare via il brodo di cottura perché potrebbe servire… Quando il polpo e  le seppie sono ammorbidite e ci vorranno circa  25 minuti dal momento in cui avete aggiunto le seppie, aggiungete i crostacei e il palombo  a rondelle. Fate cuocere per non più di 10 minuti altrimenti i gamberi possono indurirsi, aggiustate di sale e pepe  e aggiungete per pochi minuti ancora, le cozze. Quando le valve si aprono il cacciucco è pronto. Se il sugo si fosse troppo ristretto aggiungete  il brodo che avete tenuto da parte.

Servite su scodelle dove  su ciascuna di esse, avrete già poggiato una fetta di pane bruscato, strofinato con lo spicchio d’aglio non consumato e spolverizzate le porzioni col prezzemolo tritato. ATTENZIONE! Il Cacciucco, data la ricchezza del suo gusto, si accompagna esclusivamente con un vino rosso giovane.

Giuseppe Verdi… e la “Spalla Cotta di San Secondo”!

 Il giorno prima a Le Roncole di Busseto c’era stata la festa del Santo Patrono e il  gruppo di attori girovaghi si era attardato ancora un giorno nella piccola frazione della bassa Parmense. Adesso da un po’ erano seduti all’osteria e già alticci suonavano e cantavano a squarcia gola. Senza volerlo fu la più bella e la più indovinata delle accoglienze  per il bambino che stava nascendo al piano superiore di quella modesta casa di  campagna. Pur italianissimo, all’anagrafe lo registrarono in francese come Joseph Fortunin François  perché allora c’era il dominio Napoleonico e prima che il ducato di Parma e Piacenza rientrasse nell’unità d’Italia dovettero passare  quasi 50 anni. Una parte del merito fu anche di quel bambino nato nell’ottobre del 1813  che non andò mai a combattere, ma compose delle musiche talmente belle  che risvegliò violentemente all’amor di patria gli animi di quel popolo  ripiegato, povero e ignorante. C’è da dire però che la musica, quella popolare e l’0pera lirica, da quelle parti ce l’avevano nel sangue e  senza alcun bisogno di andare a scuola non c’era contadino o paesano che non suonasse qualche strumento nella banda del paese,  non cantasse un  inno sacro alla messa della domenica o qualche canzonaccia sopra le righe la sera del giorno di festa.

Ma se ne accorse il padre che quel bambino aveva  qualche  marcia in più così quando aveva 6 anni lo mandò a studiar musica dall’organista del paese e gli regalò una spinetta di seconda mano. Era anche un po’ stonata, ma per il momento non aveva potuto fare di più. Più tardi quando aveva 10 anni lo mandò a Busseto, alla scuola municipale di musica e lì Giuseppe Verdi incontrò l’uomo che gli aprì la strada e gli rimase vicino per tutta la vita. Antonio Barezzi, mercante di coloniali, come  si diceva allora, in sostanza faceva il droghiere, ma sapeva suonare ben sei strumenti musicali e con i soldi guadagnati aveva messo su una filarmonica. Accolse il ragazzino a braccia aperte  e lo fece ben presto suonare nel salone della sua casa dove, oggi museo, è ancora lì da vedere il forte piano viennese che  utilizzo’ il giovane Verdi durante la sua prima esibizione in pubblico. Fu in quello stesso salone che fece la sua dichiarazione d’amore a Margherita  Barezzi, la figlia di Antonio, ma poi partì subito per Milano per costruirsi un futuro e sposare Margherita.

 Era un genio, ma al Conservatorio che ne potevano sapere? Aveva 19 anni e dissero che era troppo grande per iniziare. Aveva un modo tutto suo di impugnare  la bacchetta e dissero che aveva scarse attitudini musicali. Così lo respinsero. Del resto non c’è da meravigliarsi. Circa 60 anni dopo respinsero Einstein al Politecnico di Zurigo per scarsa conoscenza della materie letterarie.

Verdi  rimase però a studiare a Milano con una borsa si studio e l’aiuto di Barezzi e quando tornò a Busseto aveva un contratto in mano per  la sua prima opera  “Oberto, conte di San Bonifacio”. Così sposò Margherita, nel famoso Salone di Casa Barezzi  ed ebbero due figli. Sembrava che tutto  andasse per il meglio quando si abbatté totale la tragedia. Margherita e i bambini si ammalarono a breve distanza l’uno dall’altro e  fra il 1838 e il 1840 morirono tutti e tre. A 27 anni Verdi era un uomo finito con l’opera buffa “Un Giorno di Regno”, che fu  totale insuccesso e nessuna voglia di  andare avanti.

Ma l’impresario Merelli lo obbligò a comporre Nabucco e quando nel 1842 arrivò alla Scala, il successo fu incredibile.  A Milano dove più vivo era il sentimento liberale e più forte la voglia di riscatto, la storia dell’oppresso popolo di Israele era logico che venisse interpretata come una metafora delle condizioni attuali dell’intero popolo italiano. Poteva ancora essere considerata una di quelle operazioni culturali di più o meno velata opposizione al dominio Austro Ungarico, che si facevano in quegli anni. Ma c’era una componente in più che nessuno aveva potuto immaginare e prevedere, la musica travolgente, accesa, disperata e infiammata che il giovane Verdi seppe imporre alla storia. Suscitò un sentimento patriottico così totale e profondo che  nel centenario della morte del compositore, Ciampi, il Presidente della Repubblica ricordò “Se l’Italia divenne una sola Nazione lo si deve anche a lui e alla forza del suo linguaggio musicale.”

Da allora Verdi, come un fiume in piena non si fermò più e seguitò a incitare e sostenere  gli italiani in quel difficile movimento di liberazione che si concluse, almeno in parte, 20 anni dopo.

L’opera seguente “I Lombardi alla prima Crociata” aveva una struttura musicale simile al Nabucco  ma un fuoco  ancor più accresciuto perché  in Nabucco il popolo era oppresso e avvilito, nei Lombardi il popolo è invece in armi e il messaggio politico è fin troppo chiaro. Messaggio che poi replicherà nella “Battaglia di Legnano”, dove la rivolta dei Comuni Lombardi contro il Barbarossa era così  chiaramente riferita all’Imperatore Austro Ungarico che l’opera fini per essere proibita per decenni.

Arrivò il ’48, la rivolta delle 5 giornate di Milano e un osservatore straniero Alexander Von Hubner scriveva”In mezzo a questo caos di barricate si pigiava una folla variopinta. Preti col cappello a larghe tese, fregiato dalla coccarda tricolore…. borghesi portanti il cappello  alla Calabrese o in onore a Verdi il capello dell’Ernani”. Quello stesso cioè del nobile divenuto bandito che  nell’opera di Verdi voleva vendicare tutti i soprusi.

Dopo l’unità d’Italia Verdi divenne deputato nella prima legislatura dal 1861 al 1865. Ma era chiaro che era deluso, avrebbe voluto un Italia Repubblicana e così si ritirò presto dalla vita politica e se ne tornò a  Sant’Agata nella casa di campagna con la nuova compagna Giuseppina Strepponi. Lì lavorava in pace a un ritmo pazzesco lasciando fra le sue 28 opere capolavori musicali e storie  dai soggetti nuovi e stimolanti, talvolta addirittura rivoluzionari, come Rigoletto o Traviata.  E alla fine curava anche gli allestimenti scenici.

A  Sant’Agata era contento perché tornava a fare il contadino che  non aveva mai dimenticato di essere, investiva in terreni tutti i soldi che guadagnava ed era felice di amministrarseli. Difficilmente in un’epoca in cui l’industrializzazione stava arrivando anche in Italia, e lui a Milano, nella capitale dell’industria era di casa, avrebbe investito qualcosa in una fabbrica.

Amava la cucina e il buon vino e andava fiero delle specialità della sua terra. Su di esse intratteneva anche lunghe conversazioni attraverso le lettere  e i doni che era solito inviare agli amici. Famosa la lettera che scrisse al conte Arrivabene inviandogli una “Spalla di San Secondo”. Si tratta della famosa spalla di maiale di cui la Rocca di San Secondo va ancora oggi fiera e ne rivendica le origini. Pare che Verdi si fosse addirittura messo in testa di comprare quelle terre e  poi non se ne fece nulla. Ma la passione per la spalla gli rimase forte. La spalla si sa è una parte del maiale che difficilmente si presta alla stagionatura. (Quando ciò avviene arriva a risultati sublimi, ma è raro) Per questo motivo per lo più si mangia cotta e prima che venga la stagione calda perché poi  perde di morbidezza e di sapore.

In ricordo della passione del maestro vi proponiamo la ricetta che così rivisitata e aggiornata potete preparare in casa.

SPALLA DI MAIALE COTTA

INGREDIENTI: 2 Kg di spalla di maialino, rosmarino, aglio fresco, salvia,  olio d’oliva extra vergine di oliva, sale e pepe.

PREPARAZIONE: accendete il forno e portate la temperatura a 200 °C. Disossate la spalla tenendo solo l’osso dello stinco e raschiate accuratamente la cotenna per eliminare eventuali setole rimaste.Negli spazi vuoti lasciati dalle due ossa introducete in ognuno due piccole foglie di salvia.gli aghi di  mezzo rametto di rosmarino e 1 grosso spicchio di aglio a fettine. Legate strettamente la spalla,salatela,pepatela e mettetela in una teglia,bagnatela con abbondante olio. Copritela con carta metallizzata e fatela cuocere nel forno già caldo per 2 ore e 1/2. Durante la cottura spennellate la spalla di sovente con il grasso che si forma sul fondo della teglia, senza però rigirare la spalla. A cottura avvenuta estraetela dal forno, tagliate lo spago ed eliminatelo, presentate in tavola con le prime fette già tagliate. Accompagnate con purea di patate.

Villanova Arda - Villa Verdi S Agata

Rotolini di Cinghiale selvatico all’uva bianca, serviti con puré, verza stufata e castagne

640px-Rubens-Death-of-SemeleUna vita davvero avventurosa quella di Dioniso… fin dalla nascita e, anzi, per essere precisi, anche un po’ prima! Suo padre Zeus, infatti, aveva combinato un bel pasticcio  quando, tutto  parato a festa, nel  suo pieno  fulgore di fulmini e saette, era  apparso a sua madre  Semele e senza volerlo, in un baleno, è proprio il caso di dirlo, l’aveva incenerita. La poverina era incinta di 6 mesi  e il  maldestro padre, pieno di rimorsi e pentimenti, cercò  almeno di  salvare il bambino. Così se lo fece cucire  dal vecchio Efesto all’interno di una coscia e lì lo tenne per tre mesi a fargli  da incubatrice. Ma poi, appena nato, fu subito costretto a mandarlo lontano, per sottrarlo alle ire della sua gelosissima moglie Era. Fu così che  il piccolo Dioniso finì  sul Monte Nisa, allevato amorevolmente dalle  numerose Ninfe che lì avevano preso  la loro residenza. Iniziò da quel momento il suo destino, che dioniso_michelangelolo volle poi, per il resto della sua vita umana e divina, sempre circondato da bellissime fanciulle. Lo ritroviamo, appena cresciuto, che era un po’ fuori di senno e ogni tanto si abbandonava a terribili sfuriate o perfide vendette. I più dicono che si trattasse  di una maledizione della sempre gelosa Era, ma si può anche ritenere che avesse già cominciato a bere vino e ogni tanto  alzasse un po’ il gomito.

Comunque, in quel periodo, viaggiava molto col suo tutore Sileno e un gruppo di giovani donne, il suo corteo di Menadi che di giorno lo seguivano danzando attorno al suo carro e la sera bevevano e cantavano in coro. Ma  nulla di più sbagliato pensare  che il suo  andare per il mondo rientrasse nei viaggi turistici, organizzati per i gruppi, perché già nella sua prima tappa, sembra  in Egitto, dovette combattere contro i Titani, per fare un favore al Dio Ammon  a cui, quei perfidi, avevano rubato lo scettro. Poi si diresse verso l’India sconfiggendo  tutti i re che incontrava sul cammino, compreso la sventurato re di Damasco che fu  scorticato da Dioniso in persona. Solo dopo aver sottomesso tutta l’India, come benemerenza, lo resero immortale. Ma sconfiggere i nemici non doveva essere stato nemmeno l’obiettivo principale degli dei che lo avevano mandato, per così tanto tempo, in missione all’estero, perché, in realtà, in tutto il suo pellegrinare, il compito principale di Dioniso era stato quello di insegnare agli uomini a coltivare la vite  e a farne vino, perché, se pure in qualche paese, la vite già esisteva, fino a quel momento non era stata altro che una bella pianta ornamentale.

Più in là dell’India in quei lontani tempi, non era tanto facile andare e così Dioniso iniziò il suo viaggio di ritorno. Si hanno precise notizie che sia stato in Tracia, in Beozia e nelle isole dell’Egeo perché tutti questi posti rivendicano per  sé la prima coltivazione della vite, anche se si può ragionevolmente supporre che la prima tappa Dioniso l’abbia fatta anziché in Egitto, nel Caucaso, fra il Mar Caspio e il Mar Nero, dove sono state ritrovate  tracce di vino in grossi contenitori che risalgono a 9.000 anni a.C.

381px-Illustration_Vitis_vinifera0Comunque Dioniso, dopo essere stato a Creta, prese in affitto una nave per recarsi all’isola di Nasso, ma fu davvero sfortunato perché l’equipaggio era composto tutto di pirati. Fortuna che se ne accorse in tempo, così riuscì a catturarli, gettarli fuori bordo  e a trasformali in delfini, che, da allora, sono rimasti sempre lì, pronti a salvare i naufraghi, quando sull’Egeo soffiano i venti e si agitano le tempeste. Dioniso  invece in qualche modo arrivò a Nasso, ma lì non ebbe assolutamente tempo di occuparsi della vite perché all’improvviso si imbatté in una disperata fanciulla che piangeva tutta sola su uno scoglio. Chiedi e richiedi alla fine viene fuori che era  Arianna, la figlia del re di Creta, che aveva aiutato Teseo a uccidere il Minotauro nel labirinto, dandogli un grosso rotolo di filo, il cosiddetto filo di Arianna, con cui Teseo aveva ritrovato l’uscita dal labirinto  dato che, all’andata, a mano a mano che avanzava, aveva seguitato  a sciogliere il gomitolo. Chiunque altro sarebbe stato assai grato alla bella Arianna, ma non Teseo che, dopo essere scappato con lei da Creta, poi era fuggito da  Nasso nottetempo, lasciando Arianna sedotta e abbandonata. Dioniso di donne ne aveva conosciute tante, anzi ci viveva proprio in mezzo, ma Arianna fu l’unica di cui si innamorò follemente e per sempre. Forse aveva ragione Marilyn Monroe quando diceva [immagini.4ever.eu] marilyn monroe 152102n“Non correre mai dietro un autobus o dietro a un uomo, tanto dopo un po’ ne passa sempre un altro”. Così fu anche per Arianna che si sposò con Dioniso ed ebbe tre figli, che  per mantenere alte le tradizioni di famiglia si chiamarono, Enopio, “il Vinaio”, Euante,” il Fiorito” e  Stafilo, “il Grappolo d’Uva”.

E dovendo preparare, sempre nel rispetto della tradizione, una pietanza d’eccezione per il Capodanno è a Stafilo che ci siamo rivolti e con lui abbiamo ideato:”I Rotolini di Cinghiale Selvatico Brasati all’Uva Bianca con Puré, Verza stufata e castagne”

INGREDIENTI per 4 persone:

Per i Rotolini di cinghiale: 600 grammi di polpa di cinghiale, 200 grammi di lardo di Colonnata, 8 coste di sedano utilizzando solo la parte bianca più tenera, 4 cipolle, 4 carote, 4 foglie di alloro, 2 cucchiaini di  Timo, 8 bacche di ginepro, 2 rametti di rosmarino, 8 foglie di salvia, 40 chicchi di uva bianca,  vino rosso 3/4 di litro, brodo di carne 1 litro, , olio extra vergine di oliva, sale fino.

Per la verza stufata: 1 verza, 2 spicchi d’aglio, brodo vegetale, maggiorana, olio extra vergine di oliva.

Per il puré di patate: 100 grammi di patate, 2 decilitri di latte, 1 noce di burro.

Per  le castagne: 300 grammi di castagne.

PREPARAZIONE

Si fa marinare la polpa del cinghiale per 12 ore, immersa nel vino rosso, unitamente a : 4 coste di sedano, due carote, due cipolle  il tutto tagliato a minuscoli dadini non superiori e 3 mm di lato, aggiungendo 2 foglie di alloro sminuzzate, 1 cucchiaino di timo, 4 bacche di ginepro, tutti gli aghi staccati da 1 rametto di rosmarino, 4 foglie di salvia sminuzzate.

Tagliare a fette la polpa di cinghiale marinata, poggiare su ciascuna di esse una fetta di lardo di Colonnata e arrotolarle su se stesse. Fissare gli involtini con uno stuzzicadenti.

In una padella versare abbondante olio extra vergine d’oliva, le restanti 2  cipolle, le 2  carote e  le 4 coste di sedano tagliate grossolanamente  unitamente  alle restanti 2 foglie di alloro  intere, l’ultimo cucchiaino di timo, il rametto di rosmarino al  quale non vanno staccati gli aghi, le 4 bacche di ginepro e le 2 foglie di salvia. Non  usare assolutamente le verdure e le erbe utilizzate per la marinata, perché il loro sapore e la loro consistenza sono stati alterati nella lunga macerazione.

p66376nFate appena scaldare le verdure e le erbe e poi mettete in padella i Rotolini di cinghiale che verranno prima fatti rosolare uniformemente su tutta la superficie, poi sfumati con vino rosso e infine fatti cuocere coperti di brodo. Prima di togliere dal fuoco fate insaporire assieme ai rotolini per circa 2 minuti i 40 chicchi di uva bianca.

Per cuocere la verza fate scaldare in una padella un pò di olio extra vergine di oliva in cui fare appena imbiondire  2 spicchi d’agli. Subito dopo aggiungete la verza tagliata a julienne, salate, pepate, aggiungete un pizzico di maggiorana e coprite con il brodo vegetele sino a cottura ultimata che richiederà circa 40 minuti.

A parte cuocete in acqua bollente le castagne e a cottura ultimata togliete loro la buccia esterna e la pellicola interna. Al termine mescolare con la verza stufata.

Per il puré si lessano le patate in acqua bollente e a fine cottura si estraggono dalla pentola,togliendo la buccia, tagliandole a dadini e successivamente  mettendole nel passaverdura dove saranno ridotte in polpa. Si rimetteranno sul fuoco unendo la noce di burro, il sale e il latte  a piccole dosi sino a completo  assorbimento.

Servire in tavola i Rotolini di Cinghiale, dopo aver estratto gli stuzzicadenti, sopra il puré e contornati dalla verza mescolata alle castagne.

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El Pavon de las Indias

montezumaIn Europa non li conosceva  ancora nessuno quando in Messico, alla corte di Montezuma, se ne consumavano  1000 al giorno, di cui una parte era destinata ai dignitari e l’altra agli uccelli rapaci che il sovrano allevava. Il popolo, invece, come sempre accade, si doveva accontentare di poco e per lo più mangiava qualche schiacciatina di mais. Comunque era già una lunga conoscenza, quella che i messicani avevano con il tacchino, perché risaliva ormai a più di 1000 anni prima. Da animale selvaggio che scorazzava liberamente nelle praterie e nei boschi, l’avevano reso domestico per ammorbidirgli le carni e tenerlo a portata di mano quando, con le  sue colorate piume, dovevano adornare copricapi e lance.

Sembra che il primo a portarlo in Europa sia stato Colombo nel 1511, ma già pochi anni dopo, nel 1525, columbus_ships_1992era stato  oggetto di un dotto “Summario de la Historia Natural de las Indias Occidentales”, scritto direttamente dal Governatore di Hispaniola. Certo che quell”animale dava da pensare un po’ a tutti, per quanto era strano! Dormiva sugli alberi e somigliava di sicuro a un grosso pollo, ma faceva anche la ruota, come fosse stato un pavone. Più tardi avrebbero anche scoperto che  i maschi si disinteressavano della prole mentre le madri erano tenerissime e  spesso rischiavano di morire di fame per non allontanarsi dai piccoli che tenevano sotto le ali come in un’incubatrice. Comunque per non far torto a nessuno, in Francia lo chiamarono “Le Coq d’Inde” e in Spagna  “El Pavon de las Indias”, convinti ancora come erano che glielo avessero portato dall’India.

In ogni caso  la diffusione era stata rapidissima e già nel 1524 lo troviamo in Inghilterra sulla tavola di Enrico VIII  mentre, nel 1565, i monaci di Bourges, in Francia, aprirono  un grosso allevamento che gli dovette andar subito a gonfie vele, perchè pochi anni dopo, il tacchino fece il suo ingresso a corte, ospite d’onore alle nozze del Re Carlo IX con Elisabetta d’Austria. E Carlo, da quel momento lo dovette tenere in grande considerazione perché, quando si trattò di fare un dono di riguardo al Papa Gregorio XIII, gli inviò 12 tacchini.

tacchino[1]Pur essendo arrivato  trionfalmente in Europa, il tacchino non si era dimenticato della sua terra di origine e seguitava  ad essere il pranzo di gala per i nativi americani, che, secondo la leggenda lo fecero conoscere ai “Padri Pellegrini” con i quali generosamente lo spartirono il giorno che questi riuscirono ad ottenere il primo raccolto e ne vollero rendere grazie a Dio.

Fino al secolo XIX il tacchino fu cucinato in modo abbastanza semplice, intero, arrosto o allo spiedo, poi considerato che era il cibo delle grandi occasioni, e a Natale era d’obbligo, qualche famoso cuoco pieno di inventiva e di complicanze come Escoffier e Ali Bab pensarono di adoprarlo come uno scrigno, racchiudendovi dentro  i più complicati, fantasiosi  e stravaganti ingredienti: era nato il “tacchino farcito”. E furon prugne, castagne, erbe provenzali, carni miste, mirtilli  e chi più ne ha più ne metta  tanto, “Semel in anno licet insanire ” e Natale viene una volta sola.

Tacchinella arrosto ripiena alla frutta

Ingredienti per 4 persone

1 tacchinella  di circa 2 kg già svuotata, 100 grammi di burro fuso, 2 cucchiai di olo di oliva extra vergine, 200 grammi di mollica di pane casereccio raffermo, 2 mele renette, 120 grammi di prugne secche snocciolate, 60 grammi di gherigli di noce, il succo di un limone, 1 cucchiaio di pepe verde secco, salvia,rosmarino, timo, sale, pepe, .

Per legare la salsa: 1 cucchiaio di burro e un cucchiaio di farina.

Si lavano le prugne e si mettono in acqua calda sino a quando si ammorbidiscono.

Si sbucciano le mele, si tagliano a piccoli pezzi e si cospargono di limone per non farle scurire

Si taglia a pezzetti il pane e si cosparge di burro fuso, mescolandolo in una ciotola.

ricette-natale--tacchino-ripieno-arrostoAlla mollica di pane si aggiungono le mele, le prugne a pezzi, le noci tritate, un’abbondante spolverata di pepe, un cucchiaio di sale  e si mescola.

Si lava e si asciuga la tacchinella, si insaporisce all’interno con sale e pepe e si riempie con la farcia. Si cuciono i due fori praticati nella tacchina con l’apposito filo bianco resistente  e si legano  ali e cosce aderenti al corpo.

Si tritano insieme pepe verde, gli aghi del rosmarino, 6 foglie di salvia e 1 cucchiaino di timo e si fanno aderire sulla superficie esterna della tacchina, unta completamente di olio extra vergine di oliva.

Si pone la tacchinella  in una teglia possibilmente ricoperta di una griglia interna e si pone nel forno già scaldato a 180°.

Dopo circa 1/2 ora di cottura è necessario coprire il petto della tacchina con carta di alluminio che verrà poi tolta durante l’ultima ora di cottura.

Complessivamente la tacchina dovrà rimanere in forno circa 3 ore e 1/2 e durante questo tempo andrà inumidita spesso con il fondo di cottura e, se la teglia non ha la griglia, occorre rigirarla ogni mezz’ora circa.

A metà della cottura si spolverizza di sale.

Dopo la cottura si trattiene la tacchinella  nel forno caldo, ma spento sino al momento di portarla in tavola.

Si toglie il fondo di cottura dalla padella e lo si sgrassa, eventualmente dopo averlo raggelato, per fare in modo che la parte grassa affiori in superficie, si aggiunge ad esso il cucchiaio di farina, il burro e si fa amalgamare a fuoco caldo.  Al termine si aggiunge 1/2 bicciere di cognac e uno spruzzo di salsa Worcester che si fanno sfumare sul fuoco.

Si adagia la tacchinella sul piatto da portata e si porta in tavola, dove si affetta in presenza dei commensali. Su ciascuna fetta si versa infine qualche cucchiaio di salsa.

TenochEstrella