Appena comincia a parlare, dà una sensazione di tranquilla semplicità mischiata a una leggera ironia… Ma di quelle che non fanno male a nessuno… E ci vuole un po’ di tempo per scoprire quanto invece sia irrequieto. Che se poi andiamo a dare uno sguardo alla vita di questo arguto e vivacissimo signore di 80 anni, ci si accorge che non è stato fermo un attimo e ha sempre ricominciato dai suoi punti di arrivo, quelli dove, la maggior parte delle persone, si fermerebbe, guardandosi attorno soddisfatta. Di certo non è da tutti nascere già con 40 camere d’albergo e un ristorante nel cuore di Milano… Ma il sereno avvenire che vede davanti a sé a Gualtiero Marchesi non basta … La sua è una vocazione, un’ ansia di migliorare, una sfida dove si mette continuamente in discussione … E fin dall’inizio non è solo cucina…. C’erano la pittura, le letture, la musica, l’opera.. Di pianoforte era proprio appassionato e prendeva lezioni, salvo smettere quando si innamorò della pianista e la sposò… Comunque a 18 anni era già da parecchio fuori casa in un’alta scuola di cucina a Lucerna. Quando tornò nel ristorante di famiglia era bravissimo… Poteva raccogliere i suoi frutti e infatti per qualche anno sembrò quietarsi… Ma appena il tempo di dare nuovo lustro al ristorante dove negli anni ’60 si inventò il “Pollo alla Kiev!”… un piatto a cui Marchesi è stato sempre particolarmente affezionato… tanto che ha seguitato a modificarlo negli anni e oggi, rivisitato per una volta ancora, è nel menù del Marchesino, il suo ultimo ristorante alla Scala di Milano.
Ma gli anni della sua vera formazione, quelli della sua particolare rivoluzione culturale, quelli che porteranno la cucina italiana a un punto di non ritorno, sono senza alcun dubbio alcuno legati al ’68, che lui vive a Parigi, nel cuore più profondo del movimento ribelle. Tanto per Marchesi, la cucina è comunque un espressione culturale e tutto ciò che di innovativo il ’68 si portava appresso nell’arte come nella letteratura o il viver sociale, Marchesi l’ha riversato nella cucina. Parafrasando l’Artusi ha sempre detto che la cucina è di per sé una scienza … che solo i più bravi riescono a trasformano in arte… E arte per lui è stata … Arte e fantasia in uno sgorgare continuo di idee che l’ha portato, di ristorante in ristorante, di ricetta in ricetta, a rivisitare l’intera cucina italiana lasciando stupito il mondo intero, fino a quando l’idea ha fatto strada e si è imposta nelle sue infinite varietà… Cucina creativa è stato per Marchesi dare sfogo alle emozioni, giocare a un puzzle senza fine in cui le tessere sono state scomposte e ricomposte per dar vita a nuove figure, nuovi oggetti, e soprattutto nuovi colori, dove ogni piatto vuole diventare un quadro d’autore.. Con Marchesi, il suo particolare Iperuranio, già perfetto e chiuso in sé, è sceso in terra e si è posato sulle tavole, dando una linfa nuova a quelle ricche tradizioni d’italia che rischiavano ormai di morire soffocate nel formalismo ritualistico che da troppi anni le avvolgeva. .. Lui ha dato loro nuova vita utilizzando la sottrazione e il minimalismo per arrivare un gusto più raffinato ed essenziale della vita… Che dire dello spettacolare “Tripping di pesce” dove, per amor di Pollock , le vongole e i calamaretti della tradizione vanno a posarsi su una giallla base di maionese in mezzo agli spruzzi del nero di seppia ,della salsa al pomodoro e della maionese verde alla “clorofilla? E chi non é quasi impazzito davanti alla contraddizione in termini del ” Raviolo Aperto”, dove la pasta di copertura, impossibilitata ad avvolgersi al suo contenuto, resta distesa a ostentare la sua verde e incorporata foglia di prezzemolo ? E il nuovo risotto alla milanese, forse dedicato ai nuovi Re Mida lombardi , dove lo zafferano non è stato più sufficiente e Marchesi ha decorato il riso con una foglia d’oro a 24 carati appoggiata a centro piatto…?
Ma a pensarci bene tutta la “Nouvelle cuisine” di Marchesi è stato un lunghissimo atto d’amore per l’Italia, che lui ha orgogliosamente riproposto al mondo in una nuova forma, ma con gli stessi ingredientti che hanno fatto grande il territorio… E il suo appassionato rispetto all’Italia e alla sua supremazia ” culturale” – uno dei pochi, in un mucchio di politici, industriali e ricchi, proni all’Europa d’oltralpe – lo dimostrò con forza quando con polemica e verità nel 2008, fu il primo a restituire tutte le sue Stelle Michelin alla Francia… Nessuno si doveva più permettere di criticare e giudicare cuochi e ristoranti italiani, se non il pubblico e i clienti… Loro, quelli delle stelle, potevano al massimo indicare i luoghi e raccontare i piatti, ma non entrare con tutta l’albagia francese in terra d’Italia… Per Marchesi, infatti, il senso della stella era infranto convinto che,” ormai, si trattava di un gioco al rialzo, dove si saliva e si scendeva per tenere alto il buon umore e le fortune dei critici.”
Dal mondo innovativo di Gualtiero Marchesi una ricetta estiva che, nella forma argutamente ricreata, ricorda quasi una satiro o un folletto della commedia dell’antica Roma.
SEPPIA AL NERO
INGREDIENTI per 4 persone: 4 seppie freschissime da 150 grammi ognuna, vino bianco secco tipo Inzolia 1 dl,20 rametti di cerfoglio, 10 grammi di burro, pepe bianco q.b, sale q.b.
PREPARAZIONE: Cominciate la ricetta munendovi di guanti e facendo l’operazione di pulitura all’interno del lavandino. Servendovi di una forbice, incidete la seppia sul dorso dove si trova l’osso e con una leggera pressione estraetelo. Tagliate poi la testa e togliete tutte le interiora facendo attenzione alla sacca dell’inchiostro che dovrete riporre in una ciotola senza romperla. Eliminate dalla testa gli occhi e il becco e private l’intera seppia della pelle che la ricopre. Lavate poi accuratamente sotto l’acqua corrente. Iniziate la cottura riunendo in una piccola casseruola il vino bianco, un litro d’acqua , per poi salarlo e portarlo a ebollizione. Unitevi i tentacoli, il cappuccio delle seppie e cuocere a calore moderato per 20 minuti. Togliere dal fuoco. In un’altra piccola casseruola versare l’inchiostro e diluitelo con altrettanta acqua, scaldatelo a fuoco moderato senza portarle a ebollizione, aggiungete il burro a fiocchetti, amalgamandolo al resto con una frusta, quindi salare e pepare. Coprire con la salsa nera il fondo dei piatti, adagiarvi sopra le seppie con la parte concava rivolta verso l’alto, ricomporle unendovi i tentacoli, quindi guarnire con il cerfoglio.
Stabilimenti Penali di Pianosa, 26 febbraio 1933 “Mamma… Con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me….Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede che è tutta la mia vita… Non ho mai chiesto pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché dunque propormi un così vergognoso mercato?…”
Stabilimenti Penali di Pianosa 23 febbraio 1933 – “A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale – La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico Sandro Pertini”
“Io lasciai l’Italia nel 1926.La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze,quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un paese di violenti, gli anni ’20 furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti… Questo non è stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il 1 maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale… Perché ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: Sotto il barbaro dominio fascista. Ho vissuto i miei 20 anni così e non me ne pento.”
Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge alla cattura scappando a Milano. Da lì organizza la fuga di Filippo Turati, il grande leader del socialismo in pericolo. Tornano assieme a Savona dove li aspettano Ferruccio Parri, Adriano Olivetti e Carlo Rosselli… Anche Pertini deve andarsene… Li porteranno con un motoscafo in Corsica…”Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino Verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino Verde c’era il ristorante “I pesci vivi”… Passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”…
Mentre gli amici che li hanno aiutati, a eccezione di Olivetti, finiscono tutti in carcere, Pertini in Francia resiste poco più di due anni. Duro e orgoglioso rifiuta l’aiuto di Turati e trova lavoro come muratore, lavavetri di taxi e comparsa cinematografica. Non ha la minima difficoltà a svolgere lavori umili, ma si sente troppo frustrato e inutile, anche se a Nizza mette su una radio clandestina per mantenersi in corrispondenza con i compagni…A marzo del 1929 torna in Italia con un passaporto falso, intestato allo svizzero Luigi Roncaglia. Ha grandi idee, prima fra tutte quella di ammazzare Mussolini, proprio mentre parla dal balcone di Piazza Venezia… Ma i sotterranei sono sorvegliati e bisogna cercare un’ alternativa…
A Pisa mentre sta ancora lavorando all’attentato viene arrestato… La sua libertà è durata meno di un mese… Al processo non si difende perché non riconosce l’autorità del Tribunale. A novembre del 1929 arriva la condanna a quasi 11 anni di carcere… Mentre il giudice legge la sentenza lui grida “Viva il Socialismo, abbasso il Fascismo”
Nel carcere di Santo Stefano, le condizioni sono durissime … Ci rimane quasi due anni e si ammala di tubercolosi.” … Improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l’inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne…”
Lo trasferiscono al carcere di Turi dove praticamente mandavano tutti quelli a cui avevano rovinato la salute… C’é anche Gramsci e nasce una grande amicizia. Pertini che per sè non chiede niente riuscirà, minacciando ricorsi, a non farlo più svegliare di notte dalle guardie che, sadicamente battono sulle sbarre appena vedono che chiude gli occhi… Poi otterrà che gli diano delle matite e dei block notes, una sedia, un tavolino… Ed è in questo modo che ci sono arrivati “I quaderni dal Carcere”. Quando tanti anni dopo uno dei ragazzi che lui tutti i giorni riceveva al Quirinale, gli chiederà il ricordo della persona a lui più cara in quegli anni di prigionia, risponderà senza esitazioni Antonio Gramsci.
Dopo circa un anno cambia di nuovo carcere… A Pianosa le sue condizioni di salute si aggravano ed è allora che sua madre firma la domanda di grazia che lui rifiuta sdegnosamente.. “E’ giusto dire che non fui il solo,” e ricordava diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte lo avevano permesso alle proprie famiglie. E poi aggiungeva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…”
Nel 1934 esce dal carcere per essere inviato al confino… dove inviavano i dissidenti con reati minori o anche senza reati… Sono liberi ma non possono uscire dalla località in cui appunto sono stati… “confinati.” Quando nel 1936 scopppia la Guerra di Spagna però le condizioni dei confinati peggiorano… Pertini protesta e viene denunciato… Avrà un altro processo, viene assolto ma resterà al confino a Ventotene fino al 1940, quando la sua pena scade e dovrebbe tornare a casa…
Ma interviene Mussolini… Ordinanza della prefettura di Littoria del 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.
Nel 1941 riesce a incontrare finalmente la madre a Savona… “Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente… Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Al mattino vennero a prendermi per ricondurmi a Ventotene. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto… Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
A Ventotene c’è un famigerato poliziotto come direttore, Marcello Guida… Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che ha come esito quello di rendere le condizioni dei confinati ancora più dure… Pertini è ritenuto un provocatore …
Nel 1969 dopo la strage di Piazza Fontana, il Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini si recò a Milano per rendere omaggio alle vittime dell’attentato e si incontrò faccia a faccia con Marcello Guida. Aveva fatto carriera ed era diventato Questore di Milano… Sandro Pertini si rifiutò di stringergli la mano e si girò dall’altra parte… Forse in cuor suo pensò ancora una volta che Togliatti aveva sbagliato a non consentire, dopo la guerra, l’epurazione dei funzionari fascisti dalla Pubblica Amministrazioni…
Quando il 26 lugglio 1943 cade il fascismo gli 8oo confinati di Ventotene non hanno nemmeno più la forza di esultare….Pertini va da Guida che siede terrorizzato dietro la scrivania… La foto del Duce è già stata rimossa… Pertini sarà liberato per primo e da Roma comincia la battaglia burocratica per liberare anche gli altri… Rivedrà anche sua madre… e sarà l’ultima volta mentre il sogno di libertà si infrange subito dopo… A settembre è a Roma, a Porta San Paolo a sparare contro i tedeschi che stanno occupando militarmente la città… Poi gli daranno la Medaglia d’oro, ma intanto i nazisti riescono a entrare in città. Due mesi di clandestinità e viene nuovamente arrestato assieme a Giuseppe Saragat… Sono due Presidenti della repubblica”in pectore”, ma per il momento finiscono in carcere a Regina Coeli… e ci vuol poco a condannarli a morte… Bisogna organizzare la loro fuga… Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli hanno ancora la carta intestata del Tribunale Militare di cui erano stati giudici fino all’8 settembre… Scriveranno un perfetto ordine di scarcerazione con tutti i timbri a posto… Ma Pertini riesce a complicare le cose… Non basta che facciano uscire lui e Saragat… Debbono liberare anche i loro compagni di cella… 4 ufficiali del breve governo di Badoglio… Alla richiesta si gettano tutti nel panico mentre Pietro Nenni, il Segretario del Partito Socialista si infuria… “Se è così allora fate uscire solo Peppino (Saragat)… Tanto Pertini a stare in carcere ci è abituato… ” Naturalmente l’ebbe vinta lui, ci rideva ancora, quando nel 1973, lo raccontò durante un’intervista a Oriana Fallaci..
Raggiunge Milano nel maggio del 1944 sull’auto di un amico. L’atmosfera è pesante e la pace lontana.. Milano è teatro degli attentati dei Gap e delle rappresaglie tedesche. Lui da clandestino viaggia in tutto il settentrione per organizzazione la stampa clandestina socialista …Ma appena Roma è liberata Pietro Nenni lo richiama… Lui non riuscirà a tornare tanto facilmente. Da Prato a Firenze le la farà a piedi appena in tempo per prendere parte all’ insurrezione della città, l’8 agosto… Da una tipografia fa uscire un numero dell’ “AVANTI !”.
Arrivato a Roma ci resta poco… Chiede di tornare a Milano come Segretario del Partito Socialista per tutta l’Italia occupata e come membro del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia
Alle 8 del mattino del 25 aprile, del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L’esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI ” I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. “(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)
Lo stesso giorno Mussolini tenta una mediazione per una resa onorevole tramite l’Arcivescovo di Milano, presso cui si recherà lo stesso Mussolini e i Membri del CNLAI. Sarà l’unica volta che Sandro Pertini vedrà il Duce… Ma non lo riconosce … Lui avvisato in ritardo sta salendo le scale dell’Arcivescovado quando vede un gruppo di persone che scende. In mezzo a loro c’è uno con la faccia emaciata, livida e distrutta. Quando entra e capisce chi era l’uomo Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini…” Il Duce si è preso qualche ora per riflettere gli risposero… Pertini dalla rabbia sembrava uscito pazzo.. e chiede subito che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, venga consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati come prevedeva l’armistizio firmato dal Re… Mussolini invece stava in quel momento già fuggendo e quando i partigiani lo ritrovarono l’ammazzarono senza consegnarlo, né agli alleati né al Tribunale del popolo, in uno di quei misteri italiani di cui poco si è capito… Pertini amaramente commentò “L’insurrezione è disonorata”.
Da allora Pertini diventò uno dei Padri della Patria… Mentre trovò il tempo di sposarsi con Carla Voltolina,la fiera staffetta partigiana che aveva conosciuto al Nord, divenne Segretario del Partito Socialista e poi Membro dell’Assemblea Costituente, Senatore Deputato e poi Presidente della Camera per due Legislature … Andava sempre un po’ controcorrente e in parecchi lo criticarono come quando da presidente della Camera vietò ai parlamentari democristiani di mostrare il loro voto, che doveva essere segreto, ai notabili del loro partito… ” Non mi meraviglia niente… ( L’avevano accusato di essere un po’ squilibrato)- disse in un intervista – So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… Voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un’ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo… “
l’8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana. Furono anni durissimi e tuttavia riuscì a fare della figura del Presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano. I cittadini si riavvicinarono alle istituzioni, mentre imperversava il terrorismo degli anni di piombo…
Per un certo periodo Pertini diventò “Il presidente dei funerali di stato”: fu al funerale del sindacalista Guido Rossa, davanti a 250.000 persone, che sferrò il più duro attacco alle Brigate Rosse… Era stato avvisato che nell’ambiente del porto di Genova c’era chi simpatizzava con le BR … Lui entrò in un garage pieno di gente e disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.
Sensa parlare del terremoto dell’Irpina, in cui dopo due giorni lanciò il suo grido desolato agli inconcludenti poteri dello Stato “Fate presto.” Erano morte quasi tremila persone e le autorità erano allo sbando. Lui li denunciò pubblicamente in televisione e a reti unificate …. Sottolineò la scarsità e l’inadeguatezza delle norme in materia di protezione civile nella prevenzione e in emergenza, denunciò la mancanza di un organo di coordinamento nelle calamità e ancor prima che accadessero, i tentativi di quelli che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel terremoto del Belice. Dopo quell’appello disperato l’Italia ebbe una Protezione Civile che per parecchi anni fu riconosciuta come una delle migliori di tutto il Mondo…
I ragazzi li adorava… Lui si era sposato tardi … di figli suoi non ne aveva… ma in qualche modo fu il padre di tutti i ragazzi… Bisogna ogni tanto rivedere come si rivolgeva a loro… completamente alla pari senza far pesare né carica, né anzianità…
Lottò con tutte le sue forze contro la mafia difendendo l’estraneità delle popolazioni che la subivano, quando tutti in modo più o meno sottile volevano parlare di collusione dei cittadini…
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita del Paese fu una grossa novità, quasi al limite dei poteri costituzionali… E per capirlo bisognava entrare nella sua ottica : “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale,come non vi può essere giustizia sociale senza libertà” Se chi, di dovere, se ne dimenticava, interveniva il Presidente della Repubblica… Sicuramente ha dato fastidio a tanti, ma è stato il Presidente più amato dagli italiani..
Quando da Presidente riusciva ad andare a Savona, se ne andava sempre a mangiare il pesce, pretendendo, come al solito, di pagarlo di tasca sua anche agli uomini del seguito… Doveva compensare quella cena mancata, quando raccontò ai carabinieri che stava andando al ristorante “I pesci vivi” e invece stava scappando dall’Italia inseguito da un mandato di cattura…
Il Ciupin è una zuppa di pesce tipica della Riviera. Una volta era proprio il piatto dei poveri che si preparava con i pesci di scarto o avanzati… Ma ora invecealici e sardine sono considerati pesci di grande appeal, per tutte le proprietà di benessere che assicurano a chi ne mangia regolarmente…
CIUPIN
INGREDIENTI per 6 persone: 3 etti di alici,3 etti di sarde, 5 etti complessivamente di triglie di scoglio, 2 etti di pannocchie e/ o gamberi di media grandezza, 1 manciata di vongole e 1 di cozze 2 etti di seppie tagliate a striscioline, 6 pesci da scoglio,di proporzione riferita a una singola persona, tipo scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo a pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 cipolla tritata finemente, 2 spicchi di aglio, 4 pomodori maturi spellati e tagliati a pezzi,1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, sale e pepe e a chi piace anche un po’ di peperoncino, 12 fette di pane abbrustolito, 3 acciughe salate.
PREPARAZIONE: occorre 1 pentola e 1 ampio tegame,un passaverdure,un colino a maglie strette e uno schiacciapatate.
Mettete nella pentola un trito composto di metà dell’aglio e della cipolla e dell’olio, le due aggiughe salate tritate e fate imbiondire su fiamma media. Aggiungete le alici,le sarde e le triglie di scoglio a cui avrete tolto le lische e girate delicatamente per poi aggiungere 1 litro d’acqua e far bollire lentamente.
Nel tegame mettete un trito composto del restante aglio e cipolla, e fate colorire nell’olio di oliva, poi aggiungete i pomodori, le seppie e fate assorbire i liquidi. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino, fate evaporare e infine aggiungete i crostacei. Infine versate il resto del vino e fate evaporare. Infine aggiungete 1 litro di acqua e fate bollire per 15 minuti. pane,Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente di peperoncino. Le cozze e le vongole preventivamente pulite e fatte aprire sul fuoco, in un’altra padella con poca acqua, le terrete a parte.
Riprendete la pentola e con una frusta elettrica amalgamate l’intero contenuto riducendo il tutto a poltiglia, passatela nel passaverdure e poi filtratela nel colino, recuperate il contenuto residuo del passaverdura,inumiditelo con un po’ di brodo della pentola e ricavatene tutto ciò che è possibile con lo schiacciapatate. Aggiungete nel tegame il brodo ricavato dagli ingredienti della pentola e fate evaporare su fiamma media sino ad ottenere un brodetto consistente. Aggiungete i 6 da singola porzione, far bollire per 5 minuti e spolverate con il prezzemolo. Se fra i vari pesci c’è il grongo inseritelo nel tegame 5 minuti prima degli altri.
Per preparare i singoli piatti appoggiate sul fondo le fette di pane, aggiungete 1 pesce da singola porzione su ciascun piatto, decorate con qualche cozza o vongola ancora nel loro guscio tenute da parte, coprite con il brodetto e un filo di olio.
Non c’era più niente da fare… I Pisani avevano lottato a lungo ma dove una volta c’era il loro orgoglioso porto, ormai era tutta una distesa di sabbia, da cui emergevano a tratti, in un’atmosfera surreale, le antiche strutture marinare… Era l’inizio del XVI secolo e questa fu la prima delle fortune di Livorno … dove ebbe inizio una straordinaria avventura! Era vicina a Pisa, c’erano già delle fortificazioni e l’acqua lì, di certo non mancava. Così i Medici decisero di ampliarla e costruirvi il nuovo Porto. L’altra fortuna di Livorno fu l’arrivo dei mercanti Ebrei, che scappavano perseguitati, ma con parecchi averi, dalla penisola iberica, dopo “la reconquista” cristiana. A Livorno vissero liberi come gli altri cittadini e al contrario del resto d’Italia e d’Europa , non c’era nessun ghetto dove andarsi a chiudere nelle ore serali … Evidentemente la libertà fa bene… Perché col tempo, divennero la più importante comunità ebrea d’Italia. Poi cominciarono ad arrivare anche altri mercanti, di “qualsivoglia natione” perchè i Medici, liberali e affaristi come erano sempre stati, avevano emanato quelle specialissime “Leggi Livornine” che garantivano a tutti libertà di culto e annullamento di tutte le condanni penali… eccezion fatta per gli assassini e i falsari. …
Non ci volle poi molto a fare le strutture portuali e la città nuova… Un doppio molo e un canale navigabile tra Pisa e Livorno, mentre si progettava la “città ideale”… Con squadra, compasso e i minimi particolari… Una splendida città, con quartieri, piazze e strade di grande respiro, ma anche una città-fortezza a pentagono, avvolta dentro mura imponenti, baluardi e fortificazioni … Perchè all’epoca risalivano ancora a depredare il Tirreno le navi pirata dei Mori e Saraceni… Ma quello che segnò definitivamente il destino di Livorno fu la sua proclamazione di porto franco che la fece diventare il porto più ricco di tutto il Mediterraneo e anche uno dei più caratteristici con le navi che giravano tranquillamente dentro la città dove, lungo i canali navigabili di Venezia Nuova, c’erano i magazzini dei grandi Import – Export, pronti ad accogliere o caricare le merci che venivano da tutto il mondo. Nei secoli la città crebbe… alla fine del ‘700 arrivarono i Granduchi di Lorena dopo che i Medici si erano estinti… Erano fissati con l’irrigazione e le acque… A Livorno ampliarono i canali, costruirono altre darsene interne, lungo il circuito delle nuove mura daziarie, seguendo l’inclinazione naturale della Città… Mentre il mare entrava docile nei muraglioni di contenimento e formava nuove vie d’acqua.
Il primo colpo all’economia della città pensarono bene di assestarlo, verso la fine dell’800, gli ottusi regnanti dell’Unità d’Italia… quelli dell’indipendenza tanto desiderata che portò più danni che felicità… Tolsero il porto franco e i commerci precipitarono … Per fortuna i Livornesi erano gente sveglia… divennero in fretta centro industriale con i cantieri navali, poi accolsero l’Accademia Navale e infine si trasformarono in città turistica e centro benessere con gli eleganti stabilimenti termali e balneari… Per il cinema poi ci fu una passione precoce perché già nel 1896 si proietta il Cinématographe Lumière …
Città di forti contraddizioni, nel 1921 vide la nascita del Partito Comunista, ma poichè era anche la patria del genero di Mussolini, la famiglia Ciano pensò bene di dargli una nuova dignità urbanistica all’altezza del suo lignaggio e cominciò a sventrarla per fare spazio a imponenti e retoriche piazze e architetture di regime, sacrificando e ricoprendo alcuni canali… Il resto lo fece la guerra e i 99 bombardamenti sulla città per colpire il porto e le industrie …E questo si potrebbe anche capire. Quello che fu un delitto, fu la distruzione del centro storico con incursioni specificamente dedicate.
Ci mise tanto a risollevarsi… Ma se vi capita di andarci potete trovare ancora una parte della Venezia Nuova, la grande Fortezza circondata dall’acqua, il Museo Fattori in una deliziosa villa dell’800 che ospita i macchiaioli … E la luna che di notte riesce ancora a creare i suoi antichi miti… “Le Notti Bianche” non a caso l’hanno girato a Livorno. In città c’è un’atmosfera gentile, di grande cortesia… si sta proprio bene a Livorno, ma non andatelo a raccontare a nessuno … Loro non vogliono… Temono che arrivi troppo turismo!
L’arte a Livorno è stata sempre di casa e gli scambi culturali con quel porto spalancato sul mondo sono sempre stati ricchi… E tuttavia c’è stato un momento magico quando con Parigi si era stabilito un rapporto di scambio del tutto paricolare, tanto che Oscar Ghiglia uno dei post macchiaioli più cosmopoliti così scriveva “…C è stato un momento anni fa, quando Mascagni musicava a Parigi la Parisina e Cappiello era il re del cartellone francese e Niccodemi uno dei principi del teatro boulevardier e Modigliani dipingeva a Montparnasse quei suoi strani quadri (…) che Parigi poteva sembrare un mezzo feudo artistico dei livornesi…”
Ecco fra tutti gli artisti uno più grande dell’altro, un pensiero particolare va ad Amedeo Modigliani e non solo perché forse è stato il più grande di tutti, ma perché lui, ebreo sefardita, forse era il più livornese di tutti, erede di quei pionieri arrivati in fuga, che assieme al Granduca di Toscana dettero vita a una delle più originali e avveniristiche città e all’ inizio all’età moderna.
Una vita sciagurata fra malattia, droga e alcol, quella di Modi, il Maledetto, come suonava in francese quel diminutivo, dove solo l’arte annullava le sue umane miserie e le sublimava nei dipinti e nelle sculture, che non seguivano alcuna corrente ma scendevano all’origine di tutte le rappresentazioni… All’arte primitiva, all’Africa nera, dove la forma era sintesi, eleganza ed emozione mentre il colore che ricopriva quella forma era caldo, sensuale ed esprimeva la gioia e la passione di vita che lui non sapeva trovare al di fuori…
Dopo qualche anno che stava a Parigi tornò a Livorno, era roso di nostalgia ma non ci rimase a lungo… Lì era sotto gli occhi di tutti con la sua malattia e tutto il resto.. Probabilmente sapeva che era un addio… Ma preferì tornare a Parigi e perdersi a Montparnasse, sconosciuto e immenso mentre faceva i suoi rapidi schizzi ai clienti dei ristoranti in cambio di un po’ di assenzio… per poter continuare a dipingere.!
A Livorno il Cacciucco è il piatto nazionale, non solo cibo, di sicuro un modo di vivere… All’inizio era un piatto dei poveri, che i pescatori preparavano con gli avanzi della pesca…Mascagni era un appassionato e se lo cucinava da solo in estenuanti gare con Puccini… Forse anche Modigliani tornò a Livorno per sentire ancora il colore e l’odore del mare in quella zuppa di pesce…
CACCIUCCO ALLA LIVORNESE
INGREDIENTI per 6 persone: 500 grammi di polpo, 500 grammi di seppie, 300 grammi di palombo a trancio, 500 grammi di scorfano, gallinella o altro pesce da zuppa, 500 grammi di crostacei misti cicale, scampi, gamberi, 500 grammi di cozze, 500 grammi di pomodori pelati, 3 spicchi di aglio, qualche foglia di salvia, due peperoncini secchi piccoli o anche qualcosa in più se piace, 1 cipolla,una carota,un gambo di sedano, 1 bicchiere di vino rosso,olio extra vergine di oliva 4 cucchiai, 6 fette di pane casereccio toscano, una manciata di prezzemolo.
PREPARAZIONE: Prendete una casseruola di grandi dimensioni, possibilmente di terracotta e mettete a soffriggere a fuoco basso, nell’olio, 2 dei tre spicchi di aglio “in camicia,” e il ciuffo di salvia. Quando l’aglio è dorato,versate la metà del vino, aggiungete i peperoncini e fate sfumare a fuoco vivace. Togliete dalla casseruola l’aglio, la salvia e i peperoncini e metteteci il pesce perfettamente pulito e lavato. Cominciate con il polpo tagliato a pezzi e precedentemente battuto per ammorbidirlo. Dopo 15 minuti aggiungete le seppie tagliate a pezzi alle quali, durante la pulizia avrete tolto anche la sacca del nero. Fate rosolare e sfumate con il restante vino. Aggiungete i pomodori pelati a pezzi con la loro acqua, coprite e abbassate la fiamma. Mentre il pomodoro cuoce prendete una pentola riempita di acqua in cui metterete la cipolla, il sedano, la carota e i pesci da zuppa. Portate a bollore e quando i pesci sono cotti, toglieteli dall’acqua e riduceteli a una polpa nel passatutto, togliendo prima allo scorfano la sua corazza. Dopo che avrete versato la polpa ricavata, nella casseruola del pomodoro, mettete nel passatutto anche la corazza dello scorfano da cui ricaverete sicuramente altra polpa e liquido da aggiungere alla casseruola dei pomodori. Ricordatevi di non buttare via il brodo di cottura perché potrebbe servire… Quando il polpo e le seppie sono ammorbidite e ci vorranno circa 25 minuti dal momento in cui avete aggiunto le seppie, aggiungete i crostacei e il palombo a rondelle. Fate cuocere per non più di 10 minuti altrimenti i gamberi possono indurirsi, aggiustate di sale e pepe e aggiungete per pochi minuti ancora, le cozze. Quando le valve si aprono il cacciucco è pronto. Se il sugo si fosse troppo ristretto aggiungete il brodo che avete tenuto da parte.
Servite su scodelle dove su ciascuna di esse, avrete già poggiato una fetta di pane bruscato, strofinato con lo spicchio d’aglio non consumato e spolverizzate le porzioni col prezzemolo tritato. ATTENZIONE! Il Cacciucco, data la ricchezza del suo gusto, si accompagna esclusivamente con un vino rosso giovane.