Gina Lollobrigida, la Bersagliera e gli spaghetti alla carbonara!

Un corpo snello e ben proporzionato, un viso dolce con grandi occhi castani, un naso delicato e una bocca morbida… Una bella ragazza che veniva da Subiaco, un paese della Provincia di Roma e si era classificata terza al concorso per Miss Italia… Ma così com’era poteva essere confusa con tante  altre… Fu quindi necessario creargli un’immagine inconfondibile  esasperando al massimo la moda dell’epoca che voleva donne dal seno procace e fianchi in rilievo. A  lei  la  strizzarono entro perversi “stringivita”   simili a quello che si usavano nell’800 per far svenire le signore che rimanevano senza fiato… In  questo modo seni e fianchi dovevano per forza traboccare da qualche parte… Per il viso  grandi sopracciglia circonflesse, labbra turgide e tanti ricciolini tutto attorno al viso… La bambola che milioni di italiani sognavano… Era difficile sfuggire ai cliché del cinema commerciale degli anni ’50… in cui  alla donna si chiedeva di essere solo la “maggiorata fisica”… di  improbabili telenovelas  strappalacrime  o di volgari commedie dozzinali…

Aveva cominciato con piccole parti fino ad assumere ruoli più impegnativi con “Campane a martello” , “La sposa non può attendere,”  “Altri Tempi,” quando la  fama della sua bellezza giunse alle orecchie di Howard Hughes, l’eccentrico miliardario americano che aveva il vizio di andarsi a scegliere le sue donne fra le attrici del cinema.  Sperò di far cadere nella sua trappola anche Gina  e l’invitò a Holliwood… ma il colpo gli riuscì solo a metà… Lei aveva già firmato il contratto, ma con quell’innato buonsenso che  gli derivava dalla sua famiglia di piccoli imprenditori di paese, capì che stava cadendo in una  gabbia dorata,  dove  più che l’attrice per i prossimi anni avrebbe fatto la donna ancella di Hughes… Allora  scappò letteralmente dall’America… Aspettò quasi dieci anni prima di tornarci… Che scadessero gli ultimi vincoli contrattuali che sul suolo americano la legavano a Hughes …

Poi  a Roma arrivò la sua grande occasione… E riuscì a trasformare quella  pesante icona “oggetto del desiderio” ne “La bersagliera,” un personaggio, fresco, spontaneo, con un garbato neorealismo tutto paesano, che non fu per Gina Lollobrigida  forse nemmeno difficile da interpretare, visto che quello in fondo era il suo retroterra. .. “Pane, Amore e Fantasia”  lanciò sicuramente nel mondo un’immagine  manierista e falsa di un’Italia già rampante, che si avviava verso il miracolo economico, ma fece di Gina Lollobrigida lo standard della bellezza  all’italiana che poi lei si è portata appresso per tutta  la vita. Quell’anno  il film vinse il “Nastro d’Argento…”

Luigi Zampa stava realizzando il film  “La Romana” tratto dal romanzo di Alberto Moravia… All’ inizio del libro così si descrive  la protagonista ” Avevo il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po’ largo in basso, gli occhi lunghi, grandi e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, la bocca grande, con le labbra belle, rosse e carnose e, se ridevo, mostravo denti regolari e molto bianchi. La mamma diceva che sembravo una madonna…” La descrizione di Adriana,  sembra l’immagine stessa della Lollobrigida… Era fatale che le affidassero la parte…  Ormai stava diventando anche la musa degli intellettuali…

Per quasi 20 anni la carriera di Gina lollobrigida non conobbe ostacoli… Le mode cambiavano, le donne si assottigliavano, il look diventava più semplice e sofisticato, ma in Italia, Francia e Hollywood seguitavano a volere Gina Lollobrigida così com’era… Con i vestiti troppo ricchi e drappeggiati, la testa rigonfia, i tacchi a spillo che non portava più nessuno,  ma, ciononostante, le maggiori produzioni  non fecero altro che contendersela…  “La Regina d’Africa”, “Il gobbo di Notre Dame”, “Il Sacro e il Profano”… Con “La donna più bella del Mondo”e con “Buonasera Mrs Campbell”  vinse  il Davide di Donatello… con “Torna a settembre” il Golden Globe .. e poi tante nominations, riconoscimenti, la presentazione alla Regina di Inghilterra…

Ma a metà degli anni ’70, ancora bellissima, Gina Lollobrigida sparisce.. Tornerà una sola volta sullo schermo molti anni dopo…. Aveva poco più di 45 anni e per molte sue colleghe iniziava una nuova carriera… Lei orgogliosa preferì lasciare. Quell’immagine che all’inizio le avevano imposta era diventata se stessa, l’aveva fatta sua  e ora non la voleva vedere sullo schermo incrinata dai piccoli segni dell’età… Anni dopo dirà di Sofia Loren ” Era brava, l’ammiravo moltissimo… Ma forse si è ritirata troppo tardi”

Però torna presto alla ribalta… Già prima di abbandonare del tutto lo schermo era diventta fotografa e  girava  il mondo… All’inizio nessuno sembra dargli credito… sembrano un po’ i capricci della diva annoiata…Ma Gina aveva talento, quel talento per le arti che giovanissima aveva coltivato al liceo artistico e poi aveva dovuto mettere da parte… perché guadagnava di più  come comparsa al cinema che fare ritratti a carboncino….  Il suo occhio fotografico gira per i paesi più poveri del mondo e sempre più spesso i suoi soggetti sono i bambini… oppure vecchi borghi dimenicati o grandi immobili paesaggi…

Le riviste “Life” e “Time Magazine” scoprono Gina fotografa e le chiedono di fare  un libro sull’Italia. Per riuscire a fotografare indisturbata , Gina si aggira per l’Italia per due anni e mezzo travestita da eccentrica e originale turista e nasce la raccolta “Italia mia”… Fidel Castro l’accoglie a Cuba… Lui racconta… “”L’ ho conosciuta bene… Siamo stati anche innamorati, pero’ era un amore platonico. E poi aveva sempre la mania di fare fotografie”… Difatti ne venne fuori un bellissimo documentario …

Dopo la passione della fotografia …La scoperta della scultura! Manzù l’aveva incoraggiata  quando, poco prima di morire, completava il suo busto… E lei va a Pietrasanta in Toscana… dove ci sono le migliori botteghe di fusione… Comincia a fare enormi colorate sculture dove mischia verdi e oro e … Stranamente i soggetti sono i personaggi che lei ha interpretato al cinema… da Paolina Borghese a  Esmeralda la protagonista di Notre Dame de Paris…Nel 2008 a Pietrasanta nella grande piazza fanno una mostra all’aperto delle sue opere … La folla è enorme e lei  è commossa e felice perchè può rivedersi  e mostrarsi giovane  ormai per sempre in quei marmi e quei bronzi…

Ma non le potevano bastare  le soddisfazioni personali… I suoi scatti fotografici in giro per il mondo le hanno fatto avvicinare i più poveri, i più bistrattati… E per  tutto quel dolore che aveva  accumulato ha finito per dedicare la maggior parte del suo tempo alle attività umanitarie, come rappresentante speciale per  l’UNICEF  e come ambasciatrice di buona volontà della FAO…Gina Lollobrigida  sembra instancabile e negli ultimi 10 anni   ha girato dappertutto per raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica nella lotta contro la fame. Adesso si sta vendendo all’asta una parte dei suoi favolosi gioielli… due bracciali che si potevano riunire a formare una tiara, orecchini di perle, un anello di smeradi, altri orecchini… Spera di ricavare un milione di euro e vuole destinarlo alla ricerca  e alla cura con le staminali… Nella lentezza con cui in Italia si stanno compiendo i primi passi nella sperimentazione, la giovanissima Gina Lollobrigida, una bella ed entusiasta  signora di 85  anni insegnerà forse qualcosa in materia di efficienza e di umanità ai nostri indecisi e un po’ pavidi  governanti…

Di Gina si sa che quando lavorava al cinema era rigorosissima… puntuale e precisa. In America, quando girava “Il Sacro e il Profano” era molto interdetta quando  le riprese la mattina iniziavano  tardi per aspettare Frank Sinatra che si doveva riprendere della sbronza della sera prima…  Seguitava a  studiare le lingue  e recitava direttamente senza doppiatori sia in inglese che in francese…Faceva ginnastica e quando era sul set mangiava pochissimo… ma quando   poteva… un buon piatto di pasta asciutta era la sua  gioia… Per questo le abbiamo dedicata questa ricetta di :

SPAGHETTI ALLA CARBONARA

INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di spaghetti, 2 etti di guanciale, 2 spicchi di aglio,1 peperoncino piccante di media grandezza secco, olio di oliva extra vergine, 4 tuorli più 1 uovo intero, sale q. b., pepe in abbondanza, 1 cucchiaio di panna liquida, 100 grammi di pecorino, qualche foglia di basilico fresco.

PREPARAZIONE: tagliate il guanciale a tocchetti, poi in una ciotola sbattete le uova con il sale e il pepe, il  pecorino grattugiato e qualche fogliolina di basilico spezzata con le mani. Mettete a cuocere gli spaghetti in acqua che bolle aggiungendo il sale  nell’acqua solo dopo avervi immerso gli spaghetti. Mentre gli spaghetti cuociono, in una padella fare soffriggere prima l’aglio e il peperoncino spezzato in due e appena l’aglio  ha assunto un lieve colore madreperlato toglietelo dalla padella insieme al peperoncino  e fatevi rosolare il guanciale sino a farlo divenire croccante, ma facendo attenzione a non indurirlo. Solo dopo rimettete nella padella l’aglio e il peperoncino espegnete il fuoco. Appena gli spaghetti sono cotti al  dente versateci sopra il guanciale e il peperoncino,togliendo l’aglio,poi mescolando velocemente aggiungete l’uovo e un cucchiaio di panna liquida per fare in modo che l’uovo non si rapprenda ma resti morbido come una crema. Servite subito.

Riso al barolo… per Silvana Mangano.

Un grande affresco neorealista sulla vita delle mondine, su un mestiere infame, uno dei più infami … con le donne a testa china, le gambe in acqua otto ore al giorno a prender su riso nella palude, in  mezzo alle zanzare..  Ma era anche un melo … eccessivo, sopra le righe, pieno di stereotipi, che tenta, senza riuscire convincente, la via del noir,  fra colei che si perde, colei che si ritrova, il cinico seduttore, il bravo ragazzo. Poteva essere uno di quei film di serie B degli anni ’50, che non superarono mai le frontiere nazionali… Invece  era “Riso Amaro” e ne nacque un’icona a se stante, che valicò i destini del film e rimase simbolo di bellezza, di sesso e di femminilità per più di un decennio. Anche la storia della location, è quanto meno insolita. Il filn fu in buona parte girato a Venaria, nella tenuta di Gianni Agnelli che fu felicissimo di prestarla per un film di protesta sociale a quel rigido comunista che era il regista Giuseppe De Santis.

Quando Silvana Mangano si presentò ai provini, Giuseppe de Santis la scartò… Troppo truccata, troppo costruita per la parte di una contadina… poi la incontrò per caso in un giorno di pioggia e quella ragazza dai capelli bagnati e senza un filo di trucco ottenne immediatamente la parte.

Con quel film dunque la nuovissima attrice diventa un fenomeno  esplosivo… E impone  il successo internazionale del film …   Qualche anno dopo i critici cinematografici ancora cercavano  di spiegarselo “E’ un fatto fuori dal normale la consacrazione di un mito con un solo film…  Fu un imporsi di colpo e la ragione fu  il legame al personaggio, misteriosamente suo…Complici  le risaie dove gli inediti corpi delle mondine potevano spiccare in tutta la loro sensualità”

Erano tempi di maggiorate fisiche e l’Italia imponeva le sue migliori, Sofia Loren, Gina Lollobrigida… anche Silvana Mangano sembrava una di loro… Invece il suo fu un percorso tutto alla rovescia.

Il produttore di “Riso amaro” si chiamava Dino de Laurentis e quando si sposarono tutti pensarono che  lei l’avesse fatto per la carriera… solo dopo, molto dopo si capì che con quel matrimonio si voleva mettere al sicuro, uscire di scena. Invece non le fu possibile… Incredibilmente e per diverso tempo furono proprio i suoi film a dare forza a denaro alla produzione di suo marito. I melo seguitavano ad andare di moda e lei diventò “Anna”, la ballerina ceduta alla vita monastica in un film tutto strappalacrime, ma di grande successo finanziario…  L’unica cosa bella del film è Silvana Mangano che balla il Mambo in un mix incredibile di tecnica, innocenza e consapevolezza… come del resto seguiterà a fare anche in “Mambo…

All’apparenza sembrava che tutto andasse bene… in pochi anni lei  avrà quattro figli e un affetto immenso da parte del marito che la vizia e la coccola. In realtà   non voleva più recitare… Chissà quando e perché, ma in lei si era rotto qualcosa … Un dramma che non le darà più pace… Si sentiva inadatta e seguitava a negarsi attrice “Non ho mai avuto nessuna scuola alle spalle… Io improvviso ”  Ma c’erano gli interessi di famiglia e lei  doveva seguitare a lavorare. Su questo la produzione … e il marito,  erano inflessibili.

C’è da chiedersi come abbia fatto con tutta la sua insicurezza e la sua paura a interpretare per anni e così bene i ruoli più diversi. A parte i film  “Peplum,” come Ulisse, di cui anche lei fu vittima, nei ruoli inespressivi di Circe e Penelope, c’è per esempio l’umanissimo ritratto della prostituta Costantina de “La Grande Guerra” dove lei  è spigliata,  un po’ aggressiva, a tratti comica e non lascia assolutamente sospettare  l’insofferenza e il disagio  di cui era vittima. Anche in un film dolente come “La diga sul Pacifico” è di nuovo una scatenata e disinibita ballerina  al fianco di Anthony Perkins  e tutta la Francia si infiamma per lei…  C’era solo un fatto che poteva far capire  la nevrosi che l’agitava, ma all’epoca non c’erano i dati per interpretarlo. Era il suo fisico in  metamorfosi… Qualcosa che cominciò quasi in sordina e ad un certo punto nei primi anni ’60 divenne evidentissimo… In lei non c’era più niente della ragazza dal fisico esuberante, che l’aveva  lanciata in Riso Amaro”. Quel fisico lei aveva imparato a disprezzarlo e odiarlo come qualcosa di volgare, di contaminato.. e un po’ per volta divenne una signora diafana, estremamente  magra, quasi esile e senza più nessuna delle sue curve leggendarie… Era bellissima, ma non era più lei…  Ormai la chiamavano l’antidiva per quel suo modo di sottrarsi, di non apparire, di vivere sempre più appartata. Ma anche questo non era possibile…La volevano i più importanti registi e non perché era la moglie del produttore, ma solo perchè era Silvana Mangano, anche se lei faceva fatica a capirlo. Però quando saliva sul set  si trasformava, si identificava, si dava completamente al personaggio. Spesso  è strepitosa, anche in un dubbioso film di Pasolini come “Teorema”. Sono tanti i personaggi che affollano  la trama, ma è solo lei che dà credibilità alla storia, in un ruolo difficile… Quello della signora borghese che si abbandona a tante esperienze sessuali in cerca di un’improbabile salvezza. E’ felice anche la collaborazione con Visconti …  Sorprende la verve con cui si cala, lei così timida e introversa, nell’ esuberante, eccessiva affittuaria che sconvolge la quiete del solitario professore in “Gruppo di famiglia in un interno”…  E già prima Visconti doveva averla amata alla follia quando  interpretò la madre del giovane Tazio in “Morte a Venezia”. Per capire tutto Visconti basterebbe solo guardare lei, eterea, distante, splendidamente seduta al caffè fra i suoi veli e i grandi cappelli… in quella magica e torbida atmosfera di Venezia.

Poi ci fu la terribile disgrazia del figlio e lei non voleva più saperne di cinema e di nessuno. Ancora una volta fu il marito, quasi a costringerla, perché accettasse un ruolo in Dune, il film  di fantascienza che produceva con la figlia Raffaella… Stavolta Dino non la voleva usare, come lei troppe volte,  forse a torto aveva pensato…  La voleva solo aiutare, ma forse lei nemmeno lo capì.

L’ultima interpretazione “Oci Ciornie” con Mastroianni  invece fu quasi un dono…  Per lei che non aveva avuto quasi mai voglia di recitare… Adesso invece ne era felice. Si ritrovava, ora che il suo ciclo stava per finire e lei lo sapeva, proprio con Marcello, l’amore della sua prima giovinezza, il ragazzo che la baciava su una panchina dei giardinetti di  San Giovanni solo di pomeriggio, perché il padre siciliano  non voleva che la figlia uscisse di sera… E’ bello  sapere che alla fine, almeno in parte si è riconciliata con se stessa e forse ha capito, lei che non ci voleva credere, quante persone l’hanno ammirata e le hanno voluto bene.

Sarà ovvio ma è anche giusto dedicare a Silvana una ricetta a base di riso, quel riso che lei ha reso tanto famoso in  “Riso Amaro” e “La diga sul Pacifico.” E’ solo un piccolo omaggio ma lo facciamo tutti di cuore.

RISOTTO AL BAROLO

INGREDIENTI per 4 persone: 350 grammi di riso, 1 cipolla, 1 sedano, 500 ml di brodo vegetale, 70 grammi di burro, 2 bicchieri di vino barolo, 1 carota, parmigiano reggiano a piacere, olio extra vergine di oliva,sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE: tritate la cipolla, il sedano e la carota e fate appassire in un tegame con olio e  circa 20 grammi di burro a fuoco molto basso. Quando le cipolle sono appassite, aggiungete tutto il vino Barolo e fate evaporare. Versate quindi il riso e portatelo a cottura aggiungendo poco alla volta il brodo vegetale caldo. Mescolate spesso per non farlo attaccare e aggiustate di sale solo verso la fine della cottura. Quando il riso sarà cotto aggiungete il burro, il parmigiano e una spolverata di pepe.

Marcello Mastroianni e… La Minestra di Pasta e Ceci!

Sicuramente il più noto in tutto il mondo, forse anche il più bravo, l’attore romano, nato in Ciociaria a Isola del Liri. Sembrava il suo destino quello di fare il buono e l’ingenuo. In teatro aveva sempre parti garbate  e  galanti e anche quando misero in scena un dramma forte come “Un tram che si chiama desiderio”, a lui riservarono la parte di Mich, lo sprovveduto e il buono fra tutti i personaggi. Al cinema poi stava diventando l’interprete ideale del bravo ragazzo in quelle sdolcinate commedie, appena velate di neorealismo, come “Domenica d’agosto”  e “Le ragazze di Piazza di Spagna” o nel più brillante”Peccato che sia una canaglia”, che segna anche il suo debutto con Sofia Loren. Che  dire poi de”Le notti bianche” nel patetico ruolo di Mario, innamorato senza avvenire o del Tiberio, pasticcione de “I soliti ignoti,” bravo padre di famiglia, che non riesce nemmeno a fare il ladro?

Ma alle soglie degli anni ’60 Marcello Mastroianni, attore limpido e affermato a senso unico, finì per incontrarsi con   l’ambiguità…  Si chiamava Federico Fellini ed era un regista ingombrante e corpulento, col basco e gli occhiali. Ed era anche un genio, come ne nasce uno al secolo,-quando nasce – e, di quell’attore dal viso buono e sincero, fece il personaggio più equivoco del cinema dell’epoca …   A lui affidò il malessere di una società corrotta e cinica come appariva a Fellini, – provinciale venuto dal Nord – la Roma spregiudicata degli anni ’60.”La Dolce Vita,” anche a distanza di anni, sembra essere stata per Marcello un’esperienza stregata da un maleficio che lo turbò profondamente … o forse fece emergere qualcosa dal  profondo… Non è solo un attore che interpreta  una parte, è un uomo che si immedesima in un difficile ruolo fino a uscirne cambiato nella personalità e nelle scelte di vita che seguiranno.  Marcello Rubini è un  capolavoro di personaggio molto italiano, superficiale, debole e un po’ bugiardo e lui se lo porterà appresso per parecchi anni…  nella vita privata.  Anche lo squallido barone Fefè Cefalù di “Divorzio all’italiana” o il regista in crisi di “8 1/2” sono figli del disincanto che entrano nell’anima di Marcello. Ciononostante di cose buone dentro di sé Marcello ne doveva avere parecchie, era generosissimo e dolce, sempre pronto a captare le esigenze degli altri e ad andare loro incontro. Se lo ricordano così tutti coloro che con lui hanno lavorato o l’hanno conosciuto… Ma aveva un  rapporto con le donne così turbato che forse solo Fellini, con le sue voglie mal trattenute di harem lo poteva capire…  Una moglie intelligente vivace e graziosa a casa e, più o meno, come se gli anni’60 fossero il Medioevo, lui era fuori ad amare, soffrire e gioire in una continua girandola di donne come se tutto fosse naturale.

Difficili per Marcello gli anni fra il 1967 e il 1970. Abituato a spendere come un pazzo per gli oggetti di antiquariato e le macchine sportive, che con Fellini facevano a gara a chi le aveva più belle, si mise in testa di fare anche il produttore e ci rimise l’osso del collo. “Spara forte, più forte ” con la regia di un grande come  Edoardo De Filippo fu un tonfo e anche “Lo Straniero” diretto da un altro mago, Luchino Visconti, non ebbe successo. Marcello ci rimise altri soldi e chiuse la casa di produzione. Così pieno di debiti lavorava come attore a ritmo serrato recitando anche in lingua inglese, come ne i “Diamanti a colazione.” Lui l’inglese non lo sapeva perché per la sua nota pigrizia non aveva mai voluto impararlo. Ma riuscì persino a farsi fare i complimenti per la sua pronuncia…  In quel periodo disperato e drammatico si innamorò come un adolescente – e gli succedeva spesso – di una bellissima attrice americana, Faye Dunaway che dopo circa due anni lo lasciò. Marcello era disperato e andò letteralmente a rifugiarsi fra le braccia della moglie Flora che tirò un sospiro di sollievo perché l’attrice americana non le era mai stata simpatica… Troppo altezzosa, diceva. Ma dopo pochi mesi Marcello era già innamorato di un’altra donna, un’attrice francese famosa Catherine Deneuve, con la quale ebbe una figlia. Lei distaccata e algida, lui rumoroso e godereccio, sempre più ingolfato nel ruolo del seduttore italiano, anche se seguitava a negare di esserlo, con ostinazione. Rimasero insieme quattro anni e poi lui ritornò a casa da sua moglie dalla quale non si era mai separato… Altro che commedia all’italiana!

Ma Sofia Loren no… hanno provato in tutti i modi a dire che fossero amanti e invece furono molto di più! Una coppia di amici indistruttibile e una coppia di interpreti eccezionale in cui uno valorizzava l’altro. Troppi i film che hanno girato insieme per ricordarli tutti… dalle spensierate scene di “Ieri, oggi e domani” all’amaro e divertente “Matrimonio  all’italiana” in cui ancora una volta Marcello offre un cinico personaggio maschilista e superficiale… Fino al drammatico e forse più bello di tutti “Una giornata particolare”, nel quale  loro due già con qualche segno dell’età, danno vita agli indimenticabili, dolenti personaggi della casalinga frustrata e dell’omosessuale mandato al confino… La storia di due esclusioni… E Marcello che sembra riavvicinarsi ai personaggi dei suoi primi film a cui mancava cinismo e superficialità. Sono i film dell’ultima parte della sua vita, in cui sembra aver ritrovato se stesso  al fianco di una nuova compagna che durerà per più di 20 anni e sino alla fine. Sono gli anni  dei suoi malinconici e  dolcissimi personaggi  come il nonno di “Verso Sera” o il padre vagante fra una sconfitta e l’altra dei figli di “Stanno tutti bene” fino al fantastico personaggio di Pereira, che trova la sua strada nel coraggio e nella rivolta al regime di Salazar.

Nonostante la vita per molti versi raffinata e le esperienze di ogni tipo in giro per il mondo, Marcello aveva sempre mantenuto  gusti semplici. Gli piaceva mangiare, ma non pretendeva  grandi cose. Una delle sue passioni erano le  “minestre”  che sono un classico nella cucina romana, ma anche un modo di dire molto efficace per offrire aiuto a qualcuno. Quando Marcello era quasi sul lastrico e pieno di debiti dopo l’esperienza come produttore, il fratello Ruggero, famoso montatore cinematografico andò da lui e, con il tono ruvido e affettuoso che spesso hanno i Romani, nel fargli coraggio gli disse “E non ti preoccupare che a casa nostra un piatto di minestra lo trovi sempre” Un modo per  offrire aiuto, fare coraggio ed esprimere tante cose… Senza molte parole. Nel film  “I soliti ignoti” uno dei classici più divertenti di tutta la commedia all’italiana c’è la famosa scena dei ladri, che dopo aver fallito la rapina, nella casa dove erano entrati per accedere al “Banco dei Pegni”, per consolazione e perchè l’ora era tarda, si fermano a mangiare la minestra che trovano in cucina. Si tratta di una “Minestra di Pasta e Ceci” che dedichiamo a Marcello in ricordo di una delle sue più belle e umane interpretazioni, quella dello scombinato e patetico Tiberio che, dopo il furto mancato, va in tram a riprendere il figlioletto che aveva affidato per qualche ora alla moglie… in carcere per contrabbando di sigarette.

MINESTRA DI PASTA E CECI

INGREDIENTI per 6 persone: pasta corta 320 grammi, ceci lessati 500 grammi, 1 cipolla piccola, 1 costa di sedano, 1 spicchio di aglio,  sale q.b., pepe q. b., pancetta affumicata 120 grammi, olio extra vergine di oliva 4 cucchiai,  pomodori passati 200 ml, 1 rametto di rosmarino.1 carota.

INGREDIENTI  e PREPARAZIONE  del brodo vegetale: In circa 2 litri d’acqua mettere a bollire per circa un’ora 2 carote, 2 gambi di dedano,1 cipolla, 3 etti di  bieta, 2 pomodori rossi pelati e altre verdure a piacere dal gusto non troppo forte. Far lessare per circa 1 ora e poi filtrare il brodo prima di utilizzarlo

PREPARAZIONE della minestra: Preparate un fine trito di carota,sedano, cipolla e aglio, quindi fatelo appassire a fiamma bassa per 15 minuti immerso nell’olio di oliva. Poi aggiungere gli aghi di rosmarino tritati,mescolate e infine  aggiungete la pancetta affumicata.tagliata a dadini. Lasciate rosolare a fiamma bassa,girando spesso gli ingredienti e poi aggiungete i ceci lessati. (Si ricorda che prima di lessare i ceci è necessario lasciarli a bagno per 12 ore, poi  vanno sciacquati e messi a  cuocere insieme a un rametto di rosmarino e al sale,togliendo con un mestolo forato la schiuma che si forma nelle prime fasi di cottura). Dopo aver mescolato tutti gli ingredienti coprite con il brodo vegetale e unite la passata di pomodoro. Fate bollire a fuoco basso per 15 minuti,prendete 1/3 dei ceci, frullatelo  finemente e riaggiungetelo  ai ceci rimasti nella pentola. In una pentola separata fate cuocere  la pasta al dente e poi unitela ai ceci,aggiustandola di sale e pepe. Servitela calda portando in tavola parmigiano grattugiato e altro brodo vegetale a parte per chi la desiderasse più brodosa.

A Comacchio: Riso all’Anguilla!

image.phpQuando  sta per arrivare  al mare, il Po perde la sua identità di grande e solenne  fiume e diventa un  groviglio di canali e di paludi dove quasi a perdita d’occhio, affiorano isole e isolotti ricoperte di canne. Ci pensarono gli abili mercanti  Etruschi  circa 500 anni prima di Cristo a insediarsi nella zona. Una questione di convenienza, perchè i commerci con la Grecia erano molto  più rapidi dall’Adriatico piuttosto che dal Tirreno. La città  famosa era Spina, su cui  però fiorirono presto le leggende perchè si interrò e eelse ne persero le tracce, fino a pochi decenni fa. Comacchio era più piccola e meno importante, ma riuscì a difendere dalle acque e dagli uomini quelle 13 isolette unite dai ponticelli, che sono tutta la sua essenza ormai millenaria.  Nonostante la caduta dell’Impero Romano, sino al secolo IX se la cavò benissimo  con i Longobardi e  il commercio del sale, di cui il mare gli riempiva le terre, penetrando nei mille anfratti della laguna.  Ma non aveva fatto i conti con Venezia, una rivale emergente, anch’essa, dalle acque  e troppo gelosa della flotta di Comacchio per lasciarla in pace. Così distrussero la città parecchie volte, ma Comacchio miracolosamente tornava a vivere perché oltre le saline aveva un’altra risorsa, l’Anguilla, una pesca miracolosa!

Stranissimo destino quella dell’Anguilla! Un’animale dalle grandi avventure marine di cui nessuno è riuscito a capire la  commovente e misteriosa vicenda. Sono  ancora  piccole larve, quando lasciano, senza girarsi nemmeno una volta indietro, le calde acque del Mar dei Sargassi dove sono nate e, come una tribù nomade in cerca della terra promessa, traversano tutto l’Oceano Atlantico e si vanno a infilare nelle nebbie  umide della Val Padana. Li nelle acque  di Comacchio trascorrono l’ adolescenza e la prima giovinezza, poi dopo quasi 15 anni se ne rivanno e col loro istinto infallibile lasciano il casoni-di-valleMediterraneo e tornano a ritroso nel mar dei Sargassi. Solo li si  accoppiano, si riproducono e, quasi subito, muoiono.

Ma solo una parte ce la fa a uscire dalla palude perchè  la gente della Valle ha da secoli bisogno dell’anguilla per sopravvivere e ha inventato  trappole di straordinaria efficacia per impigliarle e catturarle, proprio nel momento in cui raggiunta la maturità e pronte per la fuga hanno carni sode e saporitissime. Si chiama “lavoriero”  quell’insolita freccia di pali e canne affondata nella laguna che caratterizza  con le sue forme triangolari tutto il paesaggio, studiata per far entrare i  pesci ma impedir loro di andarsene.  Ce ne ha lasciato  una vivacissima descrizione  il Tasso nella “Gerusalemme Liberata” “Come il pesce colà dove impaluda/ nei seni di Comacchio il nostro Mare/ fugge da l’onda impetuosa e cruda/ cercando in placide acque riparare/ e vien che da se stesso ei si rinchiuda/ in palustre prigion né può tornare/ che quel serraglio é con mirabil uso/ sempre all’entrare aperto, a l’uscir chiuso.”

Poi la storia per Comacchio si fa drammatica alla fine del 13° secolo quando passa sotto il dominio della Casa Estense. Pochi decenni dopo  i comacchiesi non sono più liberi di pescare perchè gli Estensi si valli.comacchio-800prendono il Monopolio. Qualcuno lavora per loro come “Vallante”, ma  la maggior parte viene esclusa. C’erano poche alternative. O morirsi di fame o pescare di frodo E così fu. Le cose non cambiarono di un centimetro nemmeno quando il Ducato degli Estensi alla fine del 16° secolo passò in proprietà dello Stato della Chiesa e lì ci rimase fino all’Unità d’Italia del 1860. Monopolio era e monopolio rimase. Ma il pescatore di frodo,” Il Fiocinino,” è rimasta una figura mitica, un personaggio sfuggente, che nell’oscurità della notte e della nebbia, pescava con la sua barchetta leggerissima, soprannominata “saltafossi” che, in caso di guardie in vista, si caricava sulle spalle e passava da un argine all’altro, nascondendosi fra le canne e l’erba. Ci sono pochi mesi freddi  per pescare l’anguilla e il “Fiocinino” esce quando il tempo è  più brutto perchè è il momento in cui le anguille escono dal fango in cerca del mare aperto.Poi la mattina, ” il Fiocinino” quando torna in paese, spesso deve dividere  la pesca col Grisolino, l’addetto al lavoriero, che gli ha lasciato … qualche falla aperta. Spesso lo catturano le guardie inviate dal monopolio e sono guai.Il “Fiocinino” finisce  spesso in prigione. Per fortuna qualche volta i sorveglianti chiudono un ‘occhio, anzi tutti e due perchè di notte il pescatore di frodo esce dal carcere, pesca, vende le anguille e torna in carcere sul far dell’alba.

Ma non era partcolarmente facile la vita nemmeno per il Vallante, quello che lavorava “in regola ” per il Consorzio. Per quei mesi invernali in cui  si pescava andavano a vivere in comunità nei “casoni,” quei bassi  rettangoli rossastri dall’alto camino, appoggiati sugli isolotti sperduti, che oggi i turisti  vanno a visitare come esempi di archeologia industriale. Stavano  lì in mezzo al freddo e all’umido con turni di circa un mese e quando tornavano a casa erano talmente abbrutiti che si fermavano  prima  in un isolotto  da quelle  parti, che spiritosamente chiamavano “Fattibello” dove c’era acqua e barbiere per 0063_BZ_030rimettersi un po’ in sesto.

Che fine faceva la grande pesca del  Monopolio? Una parte  veniva caricata su barche con doppiofondo pieno d’acqua e, ancora vive, le anguille  arrivavano nei porti dell’adriatico e del Tirreno, anche fino a getp.cgiNapoli.Il resto,veniva portato a Comacchio nella grande “Sala del fuoco” dove le anguille venivano selezionate, tagliate a pezzi e infilzate in lunghi spiedi sospesi a un girarrosto che ne sosteneva sino a 12. A cottura ultimata, disposte in barili con una speciale salamoia erano pronte per la distribuzine.Oggi adoperano anche scatole di latta di piccole dimensioni ,ma  la tecnica della conservazione a Comacchio è perfetta da parecchi secoli. Per il resto dell’anguilla non si buttava niente. Il grasso che colava durante la cottura veniva raccolto e serviva per l’illuminazione,  la pelle essiccata serviva fer fare lacci alle scarpe, le teste e le code restavano alle famiglie dei fiocinini, le trippe d’anguilla erano una prelibatezza e le lische del pesce si mangiavano fritte e croccanti.

Cos’è rimasto oggi di quel mondo ancestrale? Una vita più umana per i pescatori e un’industria conserviera, che con poche innovazioni distribuisce in tutto il mondo. Un paesaggio che ha del miracoloso  nella sua varietà e nella sua dolcezza infinita, con i casoni che fanno la guardia  al territorio e gli uccelli, ancora 300 speci che qui svernano o ci restano anche tutto l’anno come i fenicoiteri.

Poi ci sono le memorie, quella di Garibaldi  che sfugge agli sbirri del Papa e si rifugia nella palude con la moglie morente, quelle dell’Agnese, la partigiana del romanzo autobiografico di Renata Viganò, che in uno dei casoni aveva casa,  i drammatici  personaggi   di “Ossessione” e ” Il Grido”, i film che quì  girò Michelangelo Antonioni  nel grigio inverno della laguna e,  infine a contrasto, la prorompente bellezza di  una giovanissima  Sofia Loren che ne “La Donna del Fiume” issa la scatola delle anguille come una bandiera.

Oggi  Comacchio è bellissima e intatta con i suoi ponti, i suoi canali i  palazzi antichi e un favoloso Carnevale. Da queste parti bisogna proprio  venirci!  Cè una bellezza nelle cose e una gentilezza nelle persone che toccano entrambe il cuore …e una cucina gustosa e leggera al tempo stesso, dove il pesce e soprattutto l’anguilla, cucinata in mille modi, la fa da padrona. Fra le tante ricette della zona abbiamo scelto ,una fra le più rappresentative e delicate:risotto-allanguilla

RISOTTO CON L’ANGUILLA

INGREDIENTI (per 4 persone): 250 grammi di riso, 2 anguille da 350 grammi ciascuna, 70 grammi di formaggio grana padano, 20 grammi di pecorino, 1 cipolla, 1 fettina di lardo di circa 50 grammi, noce moscata, sale, 1 carota, 1 zucchina, 1 gambo di sedano.

PREPARAZIONE: si fissano le anguille su un’asse di legno con un punteruolo, si aprono e dopo aver estratta la lisca e tolte le interiora, si sciacquano sotto l’acqua corrente. Si eseguono poi dei tagli trasversali che consentono di staccare meglio la polpa dalla pelle. Si prepara un brodo  con 1 litro abbondante di acqua immergendovi la pelle, le teste e le lische e unendo il sedano, la carota e 1/2 cipolla. Si schiuma anche più volte nelle prime fasi della cottura e si lascia sulla fiamma a calore moderato per circa 3/4 di ora. Se è necessario, durante la cottura si aggiunge altra acqua.

In una teglia a parte si fa soffriggere l’altra mezza cipolla con il lardo tagliato a tocchetti, aggiungendovi un po’ di brodo a cui si aggiungerà, una volta che il lardo si sia appena colorito, la polpa sminuzzata delle anguille, (lasciando da parte 4 tocchetti della lunghezza di 2 cm ciascuno che serviranno per la decorazione) e si fanno cuocere per circa 20 minuti. Dopo si aggiunge il riso, si copre con il brodo e lo si fa cuocere   seguitando  a coprirlo con poco brodo per non farlo bruciare. Verso la fine si aggiunge un pizzico di sale.

A parte si grattugiano i due formaggi insieme alla noce moscata e qualche minuto prima del termine della cottura si aggiungono al riso. Si serve caldo decorando ogni piatto alla sommità con una striscia arrotolata di zucchina grigliata e un tocchetto di anguilla.

Ponte-di-Comacchio