Marchesi e la Seppia al Nero… il futuro ha un cuore antico !

 Appena comincia a parlare, dà  una sensazione di tranquilla  semplicità mischiata a una leggera ironia…  Ma  di quelle che non fanno male a nessuno… E  ci vuole un po’ di tempo per  scoprire  quanto invece sia   irrequieto.   Che se  poi  andiamo  a dare uno sguardo alla vita di questo arguto e vivacissimo signore di 80 anni, ci si accorge che non è stato fermo un attimo e  ha sempre ricominciato dai suoi punti di arrivo, quelli dove, la maggior parte delle persone, si  fermerebbe,  guardandosi  attorno soddisfatta. Di certo  non è da tutti nascere già con 40 camere d’albergo e un ristorante nel cuore di Milano… Ma  il sereno avvenire che vede davanti a sé  a Gualtiero Marchesi non basta …  La sua è una vocazione, un’ ansia di migliorare, una sfida  dove si mette continuamente in discussione … E fin dall’inizio   non è solo  cucina….  C’erano  la pittura, le letture,  la musica, l’opera..  Di pianoforte era proprio appassionato e prendeva lezioni, salvo  smettere quando si innamorò della pianista e la  sposò… Comunque a 18 anni  era già da parecchio fuori casa in un’alta scuola di cucina a Lucerna.   Quando tornò  nel ristorante di famiglia era bravissimo… Poteva raccogliere i suoi frutti  e infatti per qualche anno sembrò quietarsi… Ma appena il tempo di dare nuovo lustro al ristorante dove  negli anni ’60  si inventò  il “Pollo alla Kiev!”…  un piatto a cui Marchesi è stato sempre particolarmente affezionato… tanto che ha seguitato a modificarlo negli anni e oggi,  rivisitato per una volta ancora, è nel menù del Marchesino, il suo ultimo ristorante alla Scala di Milano.

Ma gli anni della sua vera formazione, quelli della sua particolare rivoluzione culturale, quelli che porteranno la cucina italiana a un punto di non ritorno,  sono senza alcun dubbio alcuno legati al ’68, che lui vive a Parigi, nel cuore più profondo del movimento ribelle. Tanto per Marchesi, la cucina è comunque un espressione culturale  e tutto ciò che di innovativo il ’68 si portava appresso nell’arte come nella letteratura o il viver sociale,  Marchesi l’ha   riversato  nella  cucina. Parafrasando l’Artusi ha sempre detto che la cucina è di per sé una scienza … che solo i più bravi riescono a trasformano in arte… E arte per lui  è stata … Arte e fantasia in uno sgorgare continuo di idee che l’ha portato, di ristorante in ristorante, di ricetta in ricetta, a rivisitare l’intera  cucina italiana lasciando stupito  il mondo intero, fino a quando  l’idea ha fatto strada  e si è imposta nelle sue infinite varietà… Cucina creativa è stato per Marchesi dare sfogo alle emozioni, giocare a un puzzle senza fine in cui le tessere sono state  scomposte e ricomposte  per dar vita  a nuove figure, nuovi oggetti,  e soprattutto nuovi  colori, dove ogni piatto vuole diventare un quadro d’autore..   Con  Marchesi,  il suo particolare Iperuranio, già perfetto e chiuso in sé,  è sceso in terra e si è posato sulle tavole, dando una linfa nuova a quelle ricche tradizioni  d’italia che rischiavano  ormai di morire   soffocate  nel formalismo ritualistico che da troppi anni  le avvolgeva. ..  Lui ha dato loro nuova vita utilizzando la sottrazione e il  minimalismo per arrivare un gusto più raffinato ed essenziale della vita… Che dire dello spettacolare  “Tripping di pesce” dove, per amor di  Pollock , le vongole e i calamaretti  della tradizione vanno a posarsi su una giallla  base di maionese in mezzo agli spruzzi  del nero di seppia ,della salsa al pomodoro e  della maionese verde alla “clorofilla?  E chi non  é quasi impazzito davanti alla  contraddizione in termini del ” Raviolo Aperto”,   dove  la pasta di copertura, impossibilitata ad avvolgersi al suo contenuto,  resta distesa a ostentare la sua verde e  incorporata foglia di prezzemolo ? E il nuovo risotto alla milanese, forse  dedicato ai nuovi Re Mida lombardi , dove lo zafferano non è stato più sufficiente e Marchesi ha decorato  il riso con una foglia d’oro a 24 carati  appoggiata a centro piatto…?

Ma a pensarci bene tutta la “Nouvelle cuisine” di Marchesi è stato un  lunghissimo atto d’amore per l’Italia, che lui ha orgogliosamente riproposto al mondo in una nuova forma, ma con gli stessi   ingredientti  che hanno fatto grande il territorio…  E il suo appassionato  rispetto all’Italia e alla sua supremazia ” culturale”  – uno dei pochi, in un mucchio di politici, industriali e ricchi, proni all’Europa  d’oltralpe – lo dimostrò con forza quando  con polemica e verità nel 2008,  fu il primo a restituire tutte le sue Stelle Michelin alla Francia… Nessuno si doveva più permettere di criticare e giudicare cuochi e ristoranti italiani,  se non il pubblico e i clienti… Loro, quelli delle stelle,  potevano al massimo indicare i luoghi  e raccontare  i piatti, ma non entrare con tutta l’albagia francese in terra d’Italia…  Per Marchesi,  infatti, il senso della stella era infranto convinto che,” ormai, si trattava  di un gioco al rialzo, dove si saliva e si scendeva  per tenere alto il buon umore e le fortune dei critici.” seppia-al-nero

Dal  mondo  innovativo di Gualtiero Marchesi una ricetta estiva che, nella forma argutamente ricreata, ricorda quasi una  satiro o un folletto della commedia dell’antica Roma.

SEPPIA AL NERO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 seppie freschissime da 150 grammi ognuna, vino bianco secco tipo Inzolia 1 dl,20 rametti di cerfoglio, 10 grammi di burro, pepe bianco q.b, sale q.b.

PREPARAZIONE: Cominciate la ricetta   munendovi di guanti e facendo l’operazione di pulitura all’interno del lavandino. Servendovi di una forbice, incidete la seppia sul dorso dove si trova l’osso e con una leggera pressione estraetelo. Tagliate poi la testa e togliete tutte le interiora facendo attenzione alla sacca dell’inchiostro  che dovrete riporre in una ciotola senza romperla. Eliminate dalla testa gli occhi e il becco e private l’intera seppia della pelle che la ricopre. Lavate poi  accuratamente sotto l’acqua corrente. Iniziate la cottura riunendo in una piccola casseruola il vino bianco, un litro d’acqua , per poi salarlo e portarlo a ebollizione. Unitevi i tentacoli, il cappuccio delle seppie e cuocere a calore moderato per 20 minuti. Togliere dal fuoco. In un’altra  piccola casseruola versare l’inchiostro e diluitelo con altrettanta acqua, scaldatelo  a fuoco moderato senza portarle a ebollizione, aggiungete il burro a fiocchetti,  amalgamandolo al resto con una frusta, quindi salare e pepare. Coprire con la salsa nera il fondo dei piatti, adagiarvi sopra le seppie con la parte concava rivolta verso l’alto, ricomporle unendovi i tentacoli, quindi guarnire con il cerfoglio.

Per Anita Eckberg… Gli “Spaghetti alla Gricia”, un’antica ricetta del Lazio!

Fontana di Trevi-1

Un’atmosfera notturna e misteriosa … I vicoli di una città vuota dove l’unica presenza è quella di una magnifica donna bionda con una stola bianca a illuminare la notte, che incede  quasi a passo di danza nella città deserta. Cammina a caso fra un vicolo e l’altro e gioca con un gattino bianco che le si è arrampicato sulla testa, finché, superato l’ultimo vicolo, davanti le si apre, semicircolare, compatta e chiusa  la piazza. Adesso la può vedere bene… La fontana è grande, monumentale, scenografica e l’acqua, che da più parti, cade nella vasca, riempie  di trasparenze la facciata del palazzo a cui la fontana si appoggia. La ragazza ha un attimo di stupore poi immemore o ignara della sua storia secolare, con un atto di piena confidenza o come una Dea che prende possesso dei suoi domini, vi entra dentro.  Adesso è lì, completamente a suo agio sotto gli spruzzi che, dalla scogliera marmorea sovrastante, le continuano irruenti a cadere addosso. L’uomo che, dopo pochi istanti la seguirà nella fontana, quasi non ha coraggio di toccarla…  la guarda e si perde completamente nella sua innocenza e nella sua bellezza, mentre le rivolge parole confuse e smemorate…

Fu quella scena  del film “La Dolce Vita” a dare ad Anita Eckberg la fama internazionale. Ma la celebrità arrivò anche prima. Forse una campagna pubblicitaria ben orchestrata… ma già mentre girava il film e si delineava il suo personaggio carico di sensualità nordica, Roma impazzì per lei. Divenne un mito e fu un fenomeno di massa che lascia ancora oggi stupiti. I fotografi seguivano ogni suo spostamento, l’assediavano e divennero proprio allora”Paparazzi…” Il gossip ormai esisteva solo per lei e Via Veneto era la sua vetrina. Cercava di seguirla dappertutto quel marito inglese Anthony Steel, folle di gelosia… ma era quasi impossibile controllarla. Si disse che in quel periodo ebbe una storia sia con Marcello Mastroianni, l’interprete del film, che con Federico Fellini, il regista. Per quanto riguarda Mastroianni non è difficile crederci perché era a quei tempi l’amante latino per eccellenza e poche donne gli sfuggivano… Per Fellini invece il discorso è più complesso perché lui, in fondo, era  rimasto un provinciale, e quell’attrice rappresentava la materializzazione di quell’eterno femminino, su cui giovanetto, aveva sognato in terra emiliana, davanti alle donne, Veneri o Madonne che fossero, dipinte dai cugini Carracci. Adesso Anita era davanti a lui, come un’epifania, con lo stesso corpo opulento che sembrava non finire mai e lo sguardo dolcissimo e fanciullesco che ha la Venere nella Galleria di Modena.

Ad Anita Roma l’aveva come stregata e affascinata e si sentiva accettata come non le era mai accaduto prima. Non in Svezia, dove nonostante avesse vinto il titolo di Miss Svezia l’avevano sempre  tenuta a distanza  per il suo dialetto del Sud, snobbato dalla gente chic… E nemmeno a Hollywood aveva avuto una grande accoglienza, confusa nel sottobosco delle attrici di serie B.

Ora l’aristocrazia, il mondo del cinema e quello della letteratura erano ai suoi piedi e questo l’autorizzava a scatenarsi, a bere un po’ troppo e ad accendere le grandi e un po’ peccaminose notti romane. Fu lei a dare il via allo scandalo del Rugantino  dove si esibì in uno sfrenato Cha Cha Cha a piedi nudi, cui seguì lo spogliarello della danzatrice turca, le cui foto fecero il giro del mondo, mentre  circolava la voce che Anita beveva un po’ troppo, spinta anche da quel marito mezzo alcolizzato, che lasciò poco dopo.

Su di lei, intanto, aveva messo gli occhi il più grande industriale italiano e uno degli uomini più affascinanti di  quei tempi, Gianni Agnelli, l’erede Fiat e per tutti l’Avvocato. La storia durò a lungo, sembra tre anni, avvolta nonostante  la notorietà di tutti e due, nel massimo riserbo. Alla fine fu lei a lasciarlo, addolorata per un suo tradimento, ma poi lo rimpianse per tutta la vita  e ne pianse dolorosamente la morte.

Però dopo “La dolce vita” non ci fu più nessuno in grado di utilizzare bene Anita Eckberg. Solo con Fellini riuscì a fare di nuovo un’ottima interpretazione nel surreale episodio di “Boccaccio ’70” e qualche anno dopo ne “L’Intervista”. Per il resto  furono tanti film ma nessuno che valorizzasse quella esagerata bellezza e le capacità recitative che solo Fellini conosceva sino in fondo.

Ma all’Italia Anita non seppe più rinunciare. Provò a starne lontana ma la nostalgia era forte. Per lei così nordica il calore umano e la gioia di vivere che allora c’erano in Italia non andavano perduti e si comprò una villa vicino Roma dove andare ad abitare. Le piaceva la buona tavola e i suoi amici dicevano che per farla felice bastavano “Pasta, cioccolato e Vodka”. Alcuni ristoratori le intitolarono anche dei piatti… in onore alla sua bellezza e alle sue ottime qualità di cuoca. Come cittadina del Lazio  dove vive ormai da tanti anni e di cui nel tempo ha imparato ad apprezzare le gustose ricette del territorio, le dedichiamo  un’antica pasta detta “alla Gricia”  di origini incerte, di pochi ingredienti e di grande sapore che, secondo alcuni, è l’antenata della “Pasta all’Amatriciana” – perché si fa con gli stessi ingredienti a esclusione del pomodoro, – mentre secondo altri il termine risalirebbe alla Roma del ‘400 dove “Gricio” era chiamato il panettiere che veniva dal Canton dei Grigioni ed era addetto alla preparazione della pasta fresca.

SPAGHETTI ALLA GRICIA

INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di spaghetti, 250 grammi di guanciale di maiale, 100 grammi di pecorino, 1 cucchiaio di aceto bianco, olio extra vergine di oliva, sale e pepe.

PREPARAZIONE: In una padella mettete a scaldare dell’olio extra vergine di oliva e aggiungete  il guanciale tagliato a dadini. Quando la pancetta è quasi rosolata, senza tuttavia che  secchi troppo, aggiungete il cucchiaio di aceto, fate evaporate e spegnete il fuoco.

Portate a ebollizione abbondante acqua, salatela, fatevi cuocere gli spaghettie scolateli al dente, conservando un mestolino dell’acqua di cottura. Metteteli in una padella, aggiungete il guanciale, il pecorino, il pepe, un poco dell’acqua di cottura e fate saltare su fiamma viva per qualche minuto, facendo attenzione a non scuocere la pasta.