Lo stufato alla Guinness per un irlandese doc… Kenneth Branagh

Chissà cosa ne pensano gli inglesi vedendo che il loro miglior interprete di Shakespeare è un ragazzaccio irlandese dal sorriso caldo e dalla faccia sfrontata, arrivato in Inghilterra quando aveva quasi 10 anni. Erano protestanti di Belfast e il padre faceva l’operaio, ma quando cominciarono i “Troubles”, piuttosto che rimanere invischiati  nella guerra civile, preferirono andarsene. In Inghilterra, a Reading, la vita di Kenneth Branagh non era facile… Con quel terribile accento irlandese  era stato fatale che divenisse vittima dei  bulli. Con la paura d’essere diverso, preso in giro e picchiato, cominciò a fare quei faticosi esercizi  di pronuncia… per sembrare un inglese vero! Però non voleva nemmeno sentirsi fuori posto a casa e con i genitori seguitava a parlare come prima… un bel pasticcio di identità! Poi per apparire più forte si mise anche a giocare a calcio e a rugby… cosa che gli riusciva benissimo con quel corpo robusto…  da grande proletario. Finalmente a 15 anni tutto gli apparve diverso e l’Inghilterra non fu più luogo da cui doversi difendere. Gli era capitato di veder recitare Derek Jacobi in tour con Amleto e la passione fu improvvisa e totale. Deve aver studiato come un pazzo se a 18 anni gli spalancano le porte teatrali delle migliori scuole del Regno Unito… Appena esce dalla Royal Academy  of Dramatic Art c’è un ruolo pronto per lui, quello di  Tommy Judd in “Another Country”.  E’ un lavoro difficile… un atto d’accusa contro la scuola inglese e l’ipocrisia che nasconde  i gay, ma  Kenneth non fa in tempo a scendere dal palco che sono già  premi e riconoscimenti. Due anni dopo quando interpreta Enrico V, ormai lo ammettono tutti e volentieri, lui è il nuovo talento del teatro! Ma è anche una testa calda irlandese ribelle e insofferente che  lascia quasi subito la Royal Shakespeare Company per mettersi in proprio. Fosse stato per Kenneth stavolta il flop sarebbe stato totale perchè  con il suo “Public Enemy” tutto fatto in casa, scritto diretto e interpretato da se stesso, probabilmente avrebbe chiuso i battenti e la storia del teatro inglese, e non solo, sarebbe stata diversa. Ma per fortuna nella compagnia era venuto il suo idolo Derek Jacobi che, con il suo ben collaudato Amleto, contribuì fortemente a salvargli la stagione e la reputazione.

Non gli manca più molto per essere dichiarato “Il nuovo Oliver”, ma a questo punto è d’obbligo che ripercorra gli stessi passi…  ovviamente  stavolta lo vogliono al cinema e il testo è uno di quelli profondamente amati dagli inglesi perché celebra l’amor di patria e un eroe tutto positivo in mezzo agli innumerevoli personaggi noir del Bardo. Il suo Enrico V soddisferà le aspettative e  gli frutterà  le candidature all’Oscar per la Regia e la prova d’attore, ma a ben vedere non è un film innovativo come ci si sarebbe potuti aspettare… forse l’aspetto più nuovo è la recitazione senza fanfare di Branagh, il suo aspetto semplice di soldato fra i soldati… e questo è qualcosa che piace ai giovani, forse è addirittura una fredda azione studiata a tavolino per riavvicinare la gente ai classici… Per il resto … la regia è corretta e poco di più e la scenografia avrebbe avuto forse bisogno di maggior solennità. Siamo lontani dall’epica resa scenica di Laurence Olivier, ma Branagh ormai  si è consacrato attore di Shakespeare…

E a questo punto, Kenneth l’uomo delle sorprese, lascia Shakespeare e corre  al cinema, prima sulle orme di Hitchcock  con l'”Altro Delitto,” un thriller originale e ben costruito e poi una commedia dolce amara tutta di atmosfera inglese,”Gli amici di Peter”  con la moglie Emma Thompson, per tornare  ad Amleto, la passione shakespeariana di tutta la sua vita, solo dopo “Molto rumore per nulla”.

Stavolta Brenagh dice davvero qualcosa! Sembrava impossibile con un personaggio dove tutti  si erano avventurati per secoli. Eppure Branagh  ci riprova  e non fallisce…Un film esasperatamente lungo,con quattro ore che  sembrano allontanare il pubblico, e creano un capolavoro. Lontano dalle interpretazioni psicanalitiche e dalla consueta ombrosità emaciata, Branagh ci restituisce un personaggio vivo, vivido, non folle, tutto teso a lanciare un messaggio…  Lo fa attraverso il gioco degli specchi, in una atmosfera fastosa e barocca, spesso simbolica e a volte magica, nella ripetizione e nella dilatazione … Vuole, lui, il comunicatore che l’esperienza di Amleto arrivi a tutta l’umanità, facendola in qualche modo diventare l’esperienza di tutti. Con Amleto sembra  proprio che Ken Branagh raggiunga  il sogno della sua vita e si  liberi della sua magnifica ossessione, iniziata quando aveva appena 15 anni… Dopo ci sarà una lunga carriera costellata di molti successi, qualche infelicità come Frankenstein  e il gioiello della sua maturità artistica che è il “Flauto Magico” che volle tutto riscritto in inglese, nel suo sforzo costantemente mediatico di avvicinare chi si sente escluso …  Che dire poi delle altre interpretazioni dove si lascia andare, nella sua recitazione più spontanea ed efficace, affidandosi alla regia di altri come ad esempio “The Gingerbread Man”  di Altman e  “Celebrity di Allen” o lo splendido cupo e perfido Riccardo III  in cui torna al teatro diretto da  Michael Grandage,…

Ma è l’ultimo film “Thor” del 2010,  quello che ci da forse la più forte scossa per la sorpresa di trovare un  Branagh  del tutto inedito che si abbandona alle sue più sfolgoranti fantasie che finalmente ha il coraggio di tirare fuori… Et  voila… ci ritroviamo in mezzo a un fantasmagorico mondo a fumetti  dove la Fantascienza è la dominante di un mondo epico e sfolgorante … nel ritorno di antiche e terribili fiabe nordiche che a un certo punto della storia si calano, rivitalizzate dall’ironia e dalla fantasia, nella nostra attualità, con il Dio Thor completamente diseroicizzato nel suo impermeabile stazzonato…. che gira per le strade del mondo senza essere riconosciuto.

Lunga vita a questo genio poliedrico  e alla sua capacità di rinnovare  grandi classici e storie a fumetti con la stessa disinvoltura e la stessa  umiltà che solo i grandi riescono ad avere. Sarà quella fantasia della sua origine irlandese che lui non si stanca mai di rivendicare … Perché è quella che gli ha dato la marcia in più per capire il più grande di tutti gli inglesi.

A lui e alla sua indimenticata  terra d’origine dedichiamo  uno dei piatti più decisamente  e tradizionalmente irlandesi:

STUFATO ALLA GUINNESS

INGREDIENTI per 5 persone: 1 kg di carne di manzo adatta allo stufato, farina q.b., un cucchiaino di zucchero di canna o un cucchiaio di miele, 6 cipolle , una birra Guinness da 0,33 litri, 1 etto di pancetta di maiale, burro q.b., sale. pepe e prezzemolo tritato a piacere.

PREPARAZIONE:  tagliate la carne a pezzi di almeno 5 per 5 centimetri,poi tagliate le cipolle a fette e la pancetta a cubetti. Mettete a rosolare la pancetta e la cipolla con il burro e poi mettetela da parte. Infarinate la carne e poi mettetela a rosolare in tegame  dalle pareti  sufficientemente alte,con altro burro e quando è ben dorata da tutte le parti unitevi la cipolla e la pancetta. Sfumate la carne con la Guinness e aggiungete lo zucchero o il miele, il sale e il pepe e il prezzemolo. Abbassate il fuoco al minimo,coprite il tegame con il coperchio e lasciate cuocere per circa due ore e 1/2 aggiungendovi ogni tanto un po’ di acqua. La carne per essere cotta al punto giusto deve essere morbida con la possibilità di tagliarla con la sola forchetta.

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Moqueca de Peixe

VascodagamalandsatCalicutBahia, nel Nord Est del Brasile era una bella terra, tutta fiumi e foreste che arrivavano quasi a lambire le lunghe spiagge bianche. Da Bahia cominciò l’0ccupazione portoghese, quando Francisco Cabral approdò  nel 1500 nelle vicinanze di Porto Seguro. Peccato che per i Tupinanba che, in quella zona ci abitavano da più di 700 anni, di sicuro rimase  ben poco. Molti furono fatti schiavi, mentre altriimages morirono solo per il contatto col temibile uomo bianco, che trasmise loro terribili  e sconosciute malattie, come il raffreddore. Se avessero saputo che stavano arrivavando i portoghesi, forse  i nativi si sarebbero fatti un po’ di anticorpi…! A quelli che rimasero, poi, mandarono i Gesuiti a convertirli!

Ma sono stati proprio i Gesuiti, con i loro resoconti sempre a metà fra lo stupore e la pedanteria, a lasciarci qualche notizia  sui Tupinanba che oggi, ridotti a sole tremila persone, hanno persino dimenticato la lingua Tupi. Il resoconto più antico, trovato per caso mezzo ammuffito in un archivio portoghese, risale al 1554 ed è  francamente un pò horror!  Il gesuita, Padre Luis de Gra é spaventato  dagli indios ” Quì è l’inferno – scrive al re del Portogallo – Sono esseri maledetti, arrostiscono (moquecan) carne umana mescolata al pesce! E pensano che la nostra carne bianca sia una specialità! Per questo vi supplico di poter tornare in Portogallo prima possibile!”

Meno orrifica la descrizione di Padre Fernando Cardim che nel 1584  conferma l’uso delle griglia, ” Ci hanno dato la loro grigliata povera di pesci, ma con patate, patate dolci, mangara e altri frutti della terra…” Forse non erano così cattivi i Tupinanba! Pare infatti che il mangiar carne umana fosse limitato ai soli nemici morti in guerra.

C’è da dire che la grigliata antica poco ha a che fare con la Moqueca moderna, perché allora si trattava di “avvolgere i pesci con foglie di alberi o di piante erbacee e di metterle sotto la cenere calda,” secondo una cronaca del XVII secolo, mentre oggi e, chissà perchè, si è trasformata in uno stufato.  Forse tutto  ha a che fare con gli schiavi neri che i portoghesi, non a caso i maggiori trafficanti di schiavi dell’epoca, portarono in Brasile. La prima sosta era proprio a Bahia e molti li ci rimasero. Sembra che appunto gli africani fossero soliti chiamare “Mu’keka” uno stufato o zuppa di pesce, tipica della loro cucina. E, se questo piatto fosse un derivato dalla cucina indigena o una ricetta che avevano portato dall’Africa, non è facile assodare. In ogni caso,nell’attuale Moqueca c’è il pesce dei Tupinanba e lo stufato dei Neri.E poi si sa,il Brasile è il Paese dove tutto si mescola e, a volte, con risultati sorprendenti!

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A proposito “Moqueca,” secondo il dizionario è qualunque tipo di stufato a cottura lenta, quindi comprende anche  tutte le carni… ma il discorso ci porterebbe lontano ed è meglio  racchiudere l’argomento alla “Moqueca de peixe” che è già ambbastanza complicata… E come poteva essere diversamente, considerata la fantasia e lo spirito indipendente dei brasiliani? In ogni regione c’è un modo diverso di cucinare il pesce e diversi sono i pesci da sciegliere e le spezie da aggiungere. C’è poi anche da tener conto che, delle due più famose versioni, la Moqueca Capixaba o di Espirito Santo, influenzata dagli Indios, prevede l’aggiunta di Urucum, mentre quella di Bahia, più debitrice alle etnie africane, va giù forte con il peperoncino e il coriandolo. L’augurio per tutti? Riuscire a gustarle entrambe.

MOCHECA DE PEIXE BAHIANA (per 4 persone)img-moqueca_02

INGREDIENTI  PER IL PESCE: 800 grammi di pesce bianco a tranci come cernia, dentice, spigola; 400 grammi di frutti di mare come gamberi, calamari, cozze e vongole: 1 peperone verde senza semi tagliato e rondelle; 1 cipolla tagliata a rondelle; 2 pomodori rossi tagliati a rondelle; due spicchi d’aglio tritati; alcuni rametti di coriandolo o prezzemolo; 100 ml  di olio di palma; 100 ml di latte di cocco; 2 peperoncini freschi verdi o peperoncino secco; 1 pezzo di zenzero lungo 3 cm, fresco, sbucciato e tritato; 2 cucchiaini  di curcuma; 2 cucchiaini di paprika; sale.

INGREDIENTI PER IL RISO DI COCCO: 150 grammi di cocco fresco grattugiato che può essere anche quello che si trova in commercio secco purché non sia del tipo dolce; 5 tazze da te di riso di tipo patna, evitando in ogni caso tipi di riso profumati; sale; 10 tazze da te di acqua bollente:

INGREDIENTI PER IL PIRAO DE PEIXE:1 Kg di teste di pesce o pesce comune; un pomodoro tagliato a pezzi; 1 cipolla tagliata a pezzi; 1 mazzetto di prezzemolo; 1 1/2 litri di acqua; 2 spicchi d’aglio schiacciati; 3 cucciai di olio di oliva extra vergine; il succo di 1 limone; farina di manioca torrada; sale; 1 peperoncino fresco o secco.

PREPARAZIONE DELLA MOCHECA: In una padella larga sistemare  uno strato di pomodori, peperoni e cipolle, un successivo strato di pesce e frutti di mare, salare e aggiungere un poco di coriandolo o prezzemolo e aglio; poi spolverare con una parte di curcuma, zenzero, peperoncino e paprika. Ripetere  allo stesso modo per gli strati successivi sino a esaurimento degli ingredienti. In ultimo versare il latte di cocco e l’olio di palma.

Coprire e cuocere a fuoco alto fino al bollore, poi abbassare la fiamma e cuocere per altri 15 minuti senza mescolare.Aggiungere i gamberi e cuocere per altri 5 minuti.Quest’ultimo accorgimento è importante perché una cottura più lunga indurisce i gamberi.

SERVIRE BOLLENTE ACCOMPAGNANDOLO CON  RISO AL COCCO E PIRAO DE PEIXE

PREPARAZIONE DEL RISO AL COCCO: friggere il cocco nell’olio finché prenda un po’ di colore, aggiungere il riso e il sale e far tostare girando con un cucchiaio, aggiungere l’acqua bollente un poco alla volta,coprire abbassare la fiamma e attendere che tutta l’acqua sia stata assorbita.Spegnere il fuoco e attendere qualche minuto prima di srvire in accompagnamento alla Mocheca.

PREPARAZIONE DEL PIRAO DE PEIXE. bagnare il pesce con il succo di limone e lasciar riposare per alcuni minuti. In una pentola fae riscaldare l’olio e far prendere un leggerissimo colore all’aglio e alla cipolla poi aggiungere il pomodoro e il peperoncino. Aggiungere il pesce e friggere leggermente. Aggiugnere l’acqua,il prezzemolo e il sale e far bollire coperto a fuoco medio per circa 30 minuti. Quando il pesce è cotto scolare il brodo e poi rimetterlo sul fuoco aggiungendo la farina di manioca a poco a poco, al fine di non formare grumi. Mescolare sino a formare una crema non molto spessa e trasparente. Cucinare per altri 3 o 4 minuti e poi servire caldo  in accompagno alla Moqueca e al riso al cocco.

Bahia_Moqueca_5MOQUECA CAPIXABA o di ESPIRITO SANTO

Udite, udite! Questa è la ricetta di Dona Flor del romanzo di Jorge Amado dove la protagonista la descrive con dovizia di particolari e con continui nostalgici riferimenti al suo defunto marito. Quindi quanto ad autenticità fa sicuramente concorrenza alla ricetta di Bahia! Le principali differenze sono dovute al fatto che questa ricetta deve essere ofsqasassolutamente preparata in un tegame di terracotta di cui la città di Espirito Santo è grande produttrice, poi altro  aspetto importante sono le spezie, molto influenzate dalla cucina indigena e poco  da quella africana e infine l’olio extra vergine di oliva  come retaggio della cucina portoghese in sostituzione dell’olio di palma Concludendo, ad ognuno la sua Moqueca!

INGREDIENTI:  ( per 4 persone) 1Kg e 200 grammi di pesce ( cernia, dentice, spigola,orata), 1 mazzetto di coriandolo, 1 mazzo di cipollotti, 1 cipolla media, 3 spicchi di aglio, 4 pomodori rossi, chili, olio extra vergine di oliva, 3 cucchiai di urucum, olio di soia.

PREPARAZIONE: Squamare il pesce, togliere le interiora, passare sotto l’acqua fredda e poi tagliare a fette di 5 centimetri. Ricoprire con succo di limone e  lasciare riposare in un piatto coprendolo di acqua appena salata. Schiacciare l’aglio, tagliare la cipolla a grossi anelli cipolla,tritare il mazzetto di coriandolo tritato e il mazzetto di cipollotti e aggiungere il sale. Strofinare il fondo del tegame di terracotta con due cucchiai di olio di soia e 1 cucchiaio di olio extra vergine di oliva. Porre nel tegame una parte del trito di aglio, cipollotti, coriandolo e cipolla e porvi sopra il pesce scolato e poi ricominciare con il trito e successivamente con il pesce sino a esaurimento degli ingredienti. Irrorare con olio extra vergine di oliva e limone e lasciar riposare per circa 40 minuti. Far sciogliere in un poco di olio 3 cucchiai di urucum e versarlo sul pesce che si porrà subito a cuocere. Quando comincia il bollore, controllare  il sale e senza rigirare far cuocere a fuoco alto e a tegame scoperto per 20 minuti circa. Si abbina con riso bianco o porridge.

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