Pesto e pesce… I cappelletti capresi di Vissani

Picture-293-(Custom)-757132A 16 anni  pensa di aver finito di studiare… E’ impaziente, vuole far pratica, vedere, sperimentare, capire… e lascia perdere  il biennio di specializzazione … Capocuoco  dunque non lo  sarà mai … ma cuoco si!  E uno dei più grandi e famosi che l’Italia  ha  mostrato al mondo negli ultimi 40 anni!  E’ figlio d’arte… Il padre ha un ristorante a Civitella del Lago…  in Umbria,  posto suggestivo  di bianche pietre medievali e  strepitoso affaccio sul lago di Corbara… Ma per poterci tornare e per poterci restare, lui ora se ne deve andare…   E poichè tutto in Vissani dà la sensazione  dello spettacolare e dell’eccezionale  – a cominciare dal suo fisico,  1 metro e 92 centimetri  di altezza e un’ impressione di forza appena trattenuta –   così, anche le sue esperienze, a cominciare dalle prime, saranno al top… Nel suo curriculum  degli inizi c’è l’Excelsior di Venezia, il Miramonti  di Cortina, il Grand Hotel di Firenze e Zi’ Teresa a Napoli… Presto l’Italia gli comincia a stare stretta  e Vissani se ne va in giro per il mondo. Però, accanto al cuoco dei luoghi affermati  e dei grandi nomi  viene sempre  fuori il ragazzo curioso e insoddisfatto che, appena finisce il turno di lavoro, va in giro per osterie, taverne  e luoghi sconosciuti,  cercando le origini delle cose  prima che tutto si perda, sommerso dal “benessere” e dalle novità…

Quando torna  a Civitella è ancora molto giovane, ma anche sicuro di sé e a 23 anni prende in mano il ristorante di suo padre…  In poco tempo, un piccolo  posto  di provincia,  sperso nel cuore dell’Umbria, diviene un luogo famoso…  La Guida d’Italia 1982 pubblicata da L’Espresso, gli assegna la votazione di 3 cappelli, designandolo primo assoluto, la Guida Michelin gli dà 2 stelle… Nel 2012 la guida del Gambero Rosso  mette  il suo ristorante al 1º posto con voto 95/100 …  Fra gli altri onori qualcuno comincia a chiamarlo il “Cuoco di Massimo D’Alema”, mentre si realizza e si perfeziona  lo stile  Vissani…   Che è fatto di tante cose insieme… Rielaborazione e mescolanza della  grande cucina classica, con i menù  fastosi e complessi, apertura, –  ed è stato uno dei primi e senza pregiudizi  – alla  cucina internazionale con l’occhio all’ Oriente, e poi, quasi una fissa,  alla qualità dei prodotti, la loro freschezza, la varietà dei sapori… Su tutto la sua fantasia allegra, spregiudicata,  originalissima… A leggere i suoi piatti  e gli insoliti accostamenti, a volte c’è da sobbalzare …  la Mousse di gianduia con purea verde  di carciofo e aggiunta di pepe di Sichuan,  la  Pasta e fagioli con  i classici spaghetti  spezzati della tradizione, ma l’insolita presenza di  sogliola,  porro e fragola, il dessert con la salsa di piselli e mirtilli o  il pollo in cocotte profumato con aglio e rosmarino, vaniglia e uva …

Molti gridano all’anatema , ma il grande cuoco, la sua solida fama se la va a fare in televisione… Uno showman eccezionale, ingombrante, che prende tutto lo schermo…  Cucina, spiega, polemizza,   diverte e fa divertire… Con momenti di umiltà tutti particolari, quando si ferma a raccogliere dalle voci del posto  i piatti  del territorio… Anni  e anni in cui domina i format televisivi…  E dopo di lui la cucina non potrà più fare a meno della televisione… ricette, cuochi, gare,  quando  lui, intanto, comincia a cercare  altre strade… Per un momento sembra averne trovata una a Gravina di Puglia… Ne è così entusiasta che ci si trasferisce…  Per lui è una grande emozione perché l’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità, gli affida la gestione  del  ristorante ” l’Antica masseria dell’alta Murgia.”  Vissani spera di portare avanti il sogno che ormai da qualche anno, soprattutto da quando c’è la crisi, non gli da tregua… Fare menù di alta qualità a prezzi sostenibili… E il successo sembra arrivare con i menù degustazioni a 35 euro… Ma il sogno dura poco…  Neanche un anno… La società che gestisce l’intera,  nobile  struttura del 17° secolo non ce la fa… I debiti si accumulano e il Comune di Altamura chiude i battenti… Anche  Vissani se ne va… Triste, ma  combattente  apre un ristorante a Capri…

“L’ Altro Vissani ” è aperto da   pochi mesi  e si  rinnovano le offerte… Un menù intitolato “La Memoria del Gusto”, con un omaggio alla Campania. Si va dal risotto con sogliola al Black Velvet all’aragosta al mirtillo,  sino al crudo di pesce all’italiana con dressing di senape e doppia panna… Con una sorpresa eccezionale…  Oltre al ristorante in sala, c’è un drugstore con prodotti campani e    il take –  away, per le barche di passaggio…  E un sushi, dicono gli esperti, eccezionale, realizzato esclusivamente con il pescato locale e con gli insoliti abbinamenti di anguria, melone ,cicoria… Vissani, si sa, non si smentisce mai…  Ma arriva una delle ultime interviste  dove  lui dice che ormai non è più tempo di televisione,  che ha inflazionato e deformato lo spirito della cucina… E’ ora di territorio, da purificare e rigenerare in uno sforzo collettivo che ci riporti alle antiche eccellenze… Quando il grano era veramente intero e non c’erano i diserbanti chimici… Dificile l’ultima crociata, per Vissani  che parte all’attacco dell’Unione Europea… Ma come non essere con lui?

Viene dal menù de “L’Altro Vissani” la ricetta che oggi proponiamo, per sentirci tutti,  almeno per un giorno, ospiti del grande cuoco e della sua inesauribile fantasia…

CAPPELLETTI CAPRESI

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

INGREDIENTI per la pasta: 190 grammi di acqua, 350 grammi di farina 00, 150 grammi di semola rimacinata, che  è quella  ottenuta con un passaggio in più in fase di molitura, è di granulosità più sottile e di colore più chiaro.

INGREDIENTI per la farcia dei cappelletti: 180 grammi di mozzarella di bufala, 40 grammi di parmigiano, 30 grammi di pomodori del Vesuvio, (quelli  raccolti a grappolo e appesi fuori i balconi, che si conservano anche per l’inverno), i 3 foglie di basilico

INGREDIENTI per la salsa: 80 grammi di calamari piccoli  e tagliati a striscioline o pezzotti,  20 grammi di burro, 2 zucchine medie, 50 grammi di parmigiano.

INGREDIENTI per il pesto:  25  foglie di basilico,  70 g di  parmigiano grattugiato,  90 ml di olio extravergine di oliva, 1 spicchio di aglio,  20 g di pinoli, 1 pizzico di sale, 1 pizzico di pepe

 PREPARAZIONE  della pasta: mescolate   gli ingredienti, impastate fino ad avere un composto fine ed elastico, formate una palla e lasciate riposare per un’ora in frigo. Nel frattempo preparate la farcia setacciando la mozzarella , allo scopo di eliminare tutta l’acqua che la impregna, setacciate anche i pomodorini per disfarli  , grattugiate  il parmigiano e tritate  il basilico. Mescolate tutti gli ingredienti fino a farli diventare una crema consistente. Stendere la pasta molto sottile formando una striscia lunga. Con la farcia formate delle palline e   ponetele a distanza regolare sulla striscia di pasta.  Ricoprire la farcia girando su stessa l’altra estremità della pasta,  piegandola  a portafoglio e tagliando  a triangolo ogni piccolo composto. Poi con l’indice della mano destra sotto al ripieno chiuderli ognuno ad anello, saldando le punte.

PREPARAZIONE  della salsa: in padella fate rosolare olio extravergine d’oliva e uno spicchio di aglio.  Aggiungere gli straccetti e i pezzotti di calamaro, sale, pepe e fate rosolare per due minuti. Tagliate le zucchine  a cubetti   piccoli e metttele a marinare per un paio d’ore  in olio, sale, pepe, basilico e aglio.

PREPARAZIONE del pesto: Mettete nel mixer tutti gli ingredienti e qualche goccia di olio, avviate il mixer e aggiungete a filo il resto dell’olio dal foro sovrastante il mixer.  Rimettete il coperchio e frullare fino ad avere una crema.

PRESENTAZIONE: dopo aver cotto i cappelletti in abbondante acqua salata, aggiungete alla salsa di pesce le zucchine, il parmigiano, una noce di burro e un po’ di acqua di cottura della pasta. Far mantecare tutto insieme  qualche minuto sulla fiamma.. Sul piatto, mettere prima a specchio uno strato di pesto su cui poggerete la pasta con la salsa.

Sushi Forever

16-03Non si sa di preciso quando arrivò in Giappone, nè chi lo portò. Fino a poco tempo fa si pensava a un’emigrazione Coreana che si era trascinata appresso le sue piantine, poi un recente esame del DNA ha escluso l’origine coreana in favore di  una qualità che dovrebbe essere arrivata direttamente dall’estuario dello Yangtze, al Sud della Cina. Quanto all’epoca, i contorni di fanno ancora più incerti con un’oscillazione che va  dal 300 a.C. al 250 d.C. Pare che proprio la sua introduzione abbia fatto la fortuna della cultura Yayoi, le cui genti,  in quel periodo, divennero sedentarie, si arricchirono e finirono col dominare il Giappone. Non si trattava, però, di un alimento qualunque perché veniva chiamato anche  “Il cibo degli Dei” e guai a chi non glielo offriva  in dono!  Poteva succedere di tutto all’uomo che perdeva la benevolenza Divina. Fu in  questo modo, dicono le storie, che i Giapponesi conobbero il “riso”  e  impararono a coltivarelo con così tanto amore  da renderlo ben presto il  cibo nazionale. E non solo cibo! Un po’ come  l’agave per i messicani o il maiale per gli italiani, del riso non si spreca nulla! Le spighe si seccano in paglia e con la paglia si fanno i tatami o gli intrecci per i tetti, le foglie diventano oggetti d’uso e con  gli ultimi residui del risosi fa la carta, mentre  il Sake, non a caso la bevanda nazionale, si ottiene dalla distillazione. E non fnisce qui. In età feudale, non con la geometria si misurava il campo, ma dalla produzione di riso si valutava la ricchezza della terra e dei signori che la possedevano.

L’unione poi del riso col pesce fresco, in Giappone avvenne più tardi, ma  il rapporto durò a lungo, anzi non si è più interrotto!  La pesca nei grandi mari dell’Est era sempre abbondante e la varietà eccezionale, ma il pesce non si mantiene  a lungo e spesso quando la nave pescava lontano, il pesce, non ce la faceva ad arrivare  fresco, nemmeno  a riva. Un bel guaio per l’alimentazione e per  i commerci, se non si riusciva a sfruttare una risorsa così importante. Ma ci pensò il riso, così versatile  e dai mille usi che si prestò a dare il suo apporto, davvero importante. Si scoprì infatti,  chissà se per caso o per l’aiuto di qualche Dio benevolo, che aveva mangiato ciotole di riso a sufficienza, che il pesce si poteva conservare perfettamente se, una volta pulito e salato, anzichè mangiarselo lo si avvolgeva in una strato di  riso appena lessato. Certo ci voleva del tempo, da qualche mese sino a tre anni, ma intanto si poteva trasportare, stoccare,vendere e infine…mangiare. Popoli molto  vicini al mare, tutta gente che il riso lo coltivava da tempo immemorabile, come  gli indonesiani o addirittura i I cinesi, già si erano resi conto dello strano fenomeno. Sembra che furono proprio dei Monaci, che, nell’8° Secolo, dalla Cina tornavano, freschi d buddismo, in Giappone, a svelare, assieme al Nirvana, anche come  utilizzare il riso per conservare il pesce… E se per gli altri popoli il pesce conservato era stata una tecnica, da allora, per i giapponesi, diventò un’arte.

Cosa succede al pesce,quando, a contatto con il riso lessato, fermenta  e spinge il riso a produrre l’acido lattico, che poi serve proprio a marinare il pesce, allora non lo potevano sapere, ma  il termine Sushi, che compare per la prima sushi1volta  nell’8° Secolo, fa riferimento alla conservazione e questo, per i tempi, era sufficiente. Lo preparavano, in genere, con carpe salate e riso lessato, disposti a strati e chiusi dentro un contenitore su cui veniva posata una pietra per favorire l’uscita dell’aria e dell’acqua. A quello non avevano dato un nome preciso, ma non c’è dubbio, avevano inventato la tecnica del sottovuoto. In quel periodo lo chiamavano Nare Zushi e, poiché la moneta doveva scarseggiare un po,’ lo inviavano a Kyoto, la capitale, per pagarci le tasse. Quello che restava se lo mangiavano buttando però  via il riso  perché aveva un sapore troppo acido

Per  far cambiare opinione ai Giapponesi sul riso acidulato, bisognerà aspettare il  15° Secolo e ciò avvenne in un modo molto semplice, stoppando prima, esattamente dopo un mese, il processo di fermentazione. Certo il Sushi, che, con quel trattamento, cambiò nome, per diventare il “Nama Nare Zushi, durava molto di meno, ma il riso restava  più integro e, assorbendo meno acidità, si poteva pure mangiare.

Più tardi,e siamo agli inizi del 17 secolo la Corte e il potere si traferirono a Tokio, che si chiamava Edo, e questo fu un periodo molto fiorente per l’agricoltura in genere e per il riso in modo particolare. Dal riso vennero prodotti e diffusi parecchi derivati, fra cui l’aceto di riso che portò a una seconda rivoluzione nella preparazione del Sushi. Anziché aspettare che il riso fermentasse naturalmente e cominciasse a marinare il pesce, lo si imbeveva di aceto e il processo di conservazione del pesce aveva immediatamente inizio. Bastava prepararlo la sera per cominciare a mangiarselo la mattina dopo. Nel 1700 i pesanti stampi vennero sostituiti da stampi più leggeri di legno  e una volta immerso  nello stampo il composto veniva tagliato  a piccoli rettangoli e consumato così. Da quì alle preparazioni  direttamente monodosi, che oggi conosciamo in forma di rettangoli, ovali o tandi  il passo fu abbastanza breve e ai primi  dell’800 se lo inventò un venditore ambulante di Sushi, Yohel Hanaya che, con il riso aromatizzato, preparava con le mani un unico bocconcino, sormontato da una fettina di pesce crudo. Era così nato il Nagiri Zushi , quello che oggi  mangiamo al Kaiten Sushi o al Sushi bar e  che cominciò la sua  avventura nella modernità, sui banchi  più vicini al mercato del pesce.

193083_673_354Nel 1923,Tokio fu colpita da un terribile terremoto e durante la fase di ricostruzione giunsero imprenditori e operai da tutto il paese e il “Nagiri Sushi” che era ancora poco conosciuto in giro,rapidamente divenne il piatto di tutta la nazione.

Dopo la seconda guerra mondiale, il Sushi era diventato un piatto di lusso, molto costoso, che si serviva esclusivamente nei ristoranti più raffinati. Erano ormai finiti da un mezzo i tempi in cui si mangiava per la strada  e dopo ci si puliva coralmente le mani sull’unico strofinaccio che il venditore metteva a disposizione di tutta la sua onorata clientela. E più lo strofinaccio era sporco più  stava lì a testimoniare il maggior numero di clienti che andava ad affollarsi  dove  bontà e freschezza era più evidente.

Fu allora, ed era il 1958, che un ristoratore, per abbattere i costi senza andare a incidere sulla qualità, si inventò il nastro che trasportava il sushi, appena preparato, attraverso il ristorante, senza il supporto o con un supporto minimo, di camerieri. Il nastro divenne un boom e il Sig Yoshiaki Shiraishi in breve aprì 250 ristoranti in tutto il Giappone. Poi negli anni  ’80, il fenomeno opposto, quando, negli Stati Uniti lanciarono il Sushi Bar, locale  per Yuppies rampanti  dove l’ordinazione era d’obbligo e la cultura giapponese  era nell’aria, spesso come una moda, qualche volta come stile di vita, elegante, essenziale, con qualche tocco zen  nell’arredo ad aggiungere fascino e desiderio d’oriente. Negli anni ’90 il Sushi,all’apice della sua fama, divenne un fumetto manga “Shota no sushi” e poi una serie televisiva, in cui il protagonista ogni settimana si imbatte in una specialità  della cucina giapponese. Forse fu l’inizio di una nuova era di democratizzazione, ma  oggi il Sushi bar  spesso nemmeno si riconosce,  qualche volta si è  banalizzato, spesso è addirittura un take away  o un ristorante o tutte le cose mischiate un po’ assieme. Per fortuna il Sushi è sempre li con le sue infinite variazioni sul tema che  hanno sempre il potere di incuriosire, chiedere, assaggiare e condividere… in qualunque parte del mondo ci si trovi.

Qualche tipo di Sushi :

MAKIZUSHI (sushi  arrotolato): polpettina cilindrica,avvolta nell’alga Nori che racchiude all’interno riso e ripieno.

FUTOMAKI (rotoli larghi): polpetta cilindrica con l’alga Nori all’esterno,spessa due centimetri e larga due. due o tre ripieni è la regola.

HOSOMAKI (rotoli sottili):  polpettina cilindrica con l’alga Nori all’esterno,spessa due centimetri e larga due.Ha un solo tipo di ripieno.

TEMAKI (rotoli a mano):polpetta a forma di cono,con l’alga Nori all’esterno e  gli ingredienti che sporgono dall’estremità più larga. Lungo dieci centimetri si deve mangiare con le mani. troppo lungo per le bacchette.

URAMAKI (rotoli interno/esterno): polpetta cilindrica di medie dimensioni con uno o due  ripieni.Il riso è all’esterno e il Nori all’interno. Il ripieno centrale è contornato di Nori, poi uno strato di riso e una guarnizione esterna di pesce o sesamo.

OSHIZUSHI (sushi pressato): in una forma di legno si preme una guarnizione che si copre poi di riso sushi, poi si preme il coperchio dello stampo per dargli una forma compatta. Si toglie infine dallo stampo e si taglia in piccoli pezzi.

NIGIRIZUSHI (sushi modellato a mano): piccola polpetta preparata usando un  makisu. Nella sua forma più semplice è un blocchetto di riso sushi con una punta di Wasabi e una fettina avvolta sopra come guarnizione,di alga Nori.

GUNZANGUSHI (sushi nave da battaglia): polpettina di forma ovale in cui un pugnetto di riso viene avvolto a mano in una striscia di Nori,ma invece di avere all’interno un ripieno ha uova di pesce.

INARI (sushi ripieno): una tasca riempita con riso sushi o altri ingredienti. La tasca è ricavata da un pezzo di Tofu fritto o da una sottile frittata.

CHIRASHIZUSHI (sushi sparpagliato): è una ciotola di riso sushi con altri ingredienti mischiati.

NAREZUSHI : come noto,una delle forme più antiche di sushi.Si rimuovono gli organi interni e le squame dei  pesci, si riempiono di sale e si mettono in un barile miscelati con sale e  pressati con una pietra. Si lasciano fermentare sushiper un periodo che va da dieci giorni a un mese, quindi vengono tolti dal barile e posti sotto l’acqua corrente per  circa un’ora. Infine vengono sistemati in un altro barile a strati alternati di riso lessato freddi e sigillati. Con il passare dei giorni l’acqua filtra all’esterno e viene rimossa. Dopo sei mesi sono pronti.

FUNAZUSHI: è un piatto tradizionale della Prefettura di Shiga ottenuto dalla fermentazione lattica anaerobica di un pesce d’acqua dolce, il Funa.

RIPIENI E GUARNIZIONI: Fra i pesci in genere si utilizzano tonno,salmone, snapper, sarde e sugarello.Ccostacei, molluschi e frutti di mare, polpi, gamberetti e anguilla, uova di pesce, riccio di mare e vari tipi di conchiglia. verdura,  frutta e ortaggi come rafano, semi di soia, avocado, cetrioli e,tofu e prugne sottaceto. Carne rossa, uova e uova di quaglia. Alga Nori, frittata, riso sushi.

CONDIMENTI: salsa di soia, wasabi, gari, shiso, mirin.

UNA RICETTA DI SUSHI: per 20 pezzetti e per chi non ha completato l’intero corso di  Sushi della durata di 6 anni!

Ingredienti: 500 grammi di riso semifino, mezzo litro di aceto di riso, 2 cucchiaini di sale, 4 cucchiaini di zucchero, salsa di soia, filetti di tonno o salmone,contenitore d’acqua per bagnarsi le mani, pentola a pressione, un pentolino.

PREPARAZIONE DEL RISO SUSHI: Si sciacqua parecchie volte il riso per togliere l’amido ,poi  si scola e si mette in pentola coprendolo con 5 dl di acqua fredda.Si pone sul fornello a fiamma alta e si abbasserà quando ha raggiunto l’ebollizione e si lascia cuocere il riso per circa 20 minuti. Nel frattempo mettere nel pentolino l’aceto, il sale,  lo zucchero e qualche goccia di soia. Poi porre sul fuoco facendo sciogliere gli ingredienti.Questa salsa va versata sul riso quando sarà cotto.

PREPARAZIONE DEL SUSHI: stendere i filetti di pesce su una superficie piana e tagliarne delle striscioline  delle dimensioni scelte per le polpettine di riso. Portare  il riso e il contenitore dell’acqua vicino al pesce. Prepariamo  con le mani bagnate le polpettine di riso a forma allungata e copriamole con il pesce.

 

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