A vederlo per la prima volta, questo signore, già un po’ avanti con gli anni, ma dall’aria affabile e dal sorriso dolcissimo, non lo diresti capace di tutte quelle cose terribili… Eppure è stato lui a portare certi perfidi diavoli sulla terra o a diventare padre di creature così strane e ingombranti che solo a vederle lasciano atterriti… Lui è nato nell’Estremo Oriente, ma in realtà è figlio di qualche particolarissima terra di mezzo, dove tempo e spazio sono andati a confondersi e da dove possono quindi riemergere Dinosauri intelligenti, con la voglia di riprendersi la Terrat o Mikenes dalle fattezze classiche ormai perdute, divenuti enormi mostri robotici con teste umane incastonate nel ventre…
Gō Nagai uno dei più importanti mangaka di sempre, ha segnato la moderna storia dei manga rendendo celebri in tutto il mondo le sue immagini fra sogno eros e orrore, sempre in bilico fra Inferno e fantascienza.. Ha 23 anni, nel 1968 quando irrompe nel fumetto giapponese sdoganando l’erotismo, nei manga destinati ai ragazzi … A quel tempo Gō Nagai, nella sua terra di mezzo, leggeva Playboy e si era innamorato dei corpi favolosi delle modelle occidentali…. La Venere di Milo poi l’adorava sin dall’adolescenza… Pieno di suggestioni si inventa Harenchi Gakuen (Scuola senza pudore), fumetto eros – comico… Dove comincia a violare il comune senso del pudore… Devo ammettere che mi piacciono proprio le immagini di ragazze nude e questo ha influenzato il mio modo di disegnare, dirà molti anni più tardi. Iniziammo con l’idea di fare un fumetto basato sul disordine scolastico. Mi piaceva la parola “harenchi” (scandalo), fino ad allora usata solo nei film per adulti… Scandalo e scuola sono come olio e acqua, perciò pensai che mescolarli assieme sarebbe stato divertente… … Quando dopo 4 anni gli fanno chiudere la pubblicazione è ormai tutto inutile…i tempi sono cambiati e il fumetto erotico è diventato una realtà senza fine..
Però lui, Go Nagai non si rende conto perché ce l’ avevano tanto con le sue belle ragazze svestite e per vendicarsi si inventa fumetti pieni di Diavoli che risalgono per distruggete l’umanità… Nella biblioteca della sua terra di mezzo c’è Dante Alighieri e il suo”Inferno ” illustrato da Doré…Go Nagai è il re delle contaminazioni e le cupe immagini di Dorè, con il Principe delle tenebre dalle grandi ali di Vampiro, diventano la base – immagine per le sue nuove storie , prima di Mao Dante e poi di Devilman… Storia di un giovane demone spedito sulla terra per sconvolgere il corrotto genere umano, la sua artificiosa morale e far trionfare il Regno delle Tenebre. E il disegno, prima caricaturale gradualmente si evolve, divenendo sempre più cupo, “sporco”, espressionista e ricercato..
Chi di noi, bloccato nel traffico cittadino, con la ferma convinzione di non riuscire mai più ad arrivare a casa o al lavoro, non ha sognato almeno una volta un paio d’ali per sé stesso o la propria auto che li portassero via dalla pazza folla… A Nagai invece capitò di immaginare cosa sarebbe accaduto se, alla sua vettura fossero spuntate delle enormi gambe e delle enormi braccia, in modo da poter scavalcare gli altri mezzi … Questa fu l’origine fantastica di Mazinga Z, il robot gigante guidato – proprio come nel caso di un’auto – da un pilota umano collocato all’interno della sua testa… Fu un’idea esplosiva, non l’arido atrumento tutto ferro e acciaio, ma l’uomo che recupera il suo umanesimo nel più incredibile dei modi, all’interno di un mostro, il Mecha, che tutti spaventa e tutti fa inchinare, che, però, senza l’intelligenza umana non è niente di più di un ferro vecchio. E nacque la saga di Mazinga , il primo, il capostipite, l’ispiratore di una pletora di figli e figliastri di metallo ed energia che ha caratterizzato l’immaginario di una intera generazione, quella degli anni ’70 – ’80, cresciuta incollata alla televisione. Il suo fascino è passato indenne attraverso i decenni, incurante alle evoluzioni del genere, indifferente al successo cinematografico di altri. Mazinga e gli altri della Saga – il gigante dai mille colori, l’automa che deve contrastare i piani del Dottor Inferno e la consegna della Terra ai perfidi Mikenes – è diventato in 40 anni un simbolo, e come tale indistruttibile.
Al Genio eclettico e visionario di Go Nagai , indistruttibile e colorato come Mazinga, dedichiamo un piatto della cucina giapponese, ma un po’ mescolato con qualche ingrediente non proprio da Sol Levante,come il nasello o l’olio extra vergine… Di sicuro lui ne sarà entusiasta!
ROTOLINI DI GRANCHIO E SALVIA FRITTA
INGREDIENTI per 8 persone:
– PER LE CREPES: 3 uova, 125 g di farina, 2 dl di latte, 0,5 dl di sake, burro una noce, sale e pepe quanto basta, olio extra vergine di oliva
– PER IL RIPIENO: 4 granchi di media grandezza freschi per complessivi 2 Kg circa, 200 g di filetti di nasello, 2 cipollotti novelli sottili, fecola, sale e pepe q.b.
– PER LE FOGLIE DI SALVIA FRITTE: 16 foglie di salvia, 1 tuorlo d’uovo,125 g di farina di grano tenero,olio extra vergine di oliva, sale
PREPARAZIONE:
Rompete le uova in una terrina aggiungete un pizzico di sale e pepe e sbattetele con la forchetta. Unite la farina e, cominciando a mescolare con una frusta, il latte, poco alla volta insieme al sake. Sigillate la terrina con un foglio di pellicola trasparente e lasciate riposare per 1 ora. ponete sul fuoco un tegamino antiaderente del diametro di circa 15 centimetri, unto di burro e, quando è bollente versate un mestolino di pastella e appena si è rappresa buttatela. Serve per preparare la padella a cuocere perfettamente le altre. Versate un nuovo cucchiaio di pastella, poi inclinate il tegame, spargendo uniformemente la pastella sul fondo, quindi,dopo pochi istanti giratela rapidamente in modo che venga cotta in entrambi i lati. Continuate fino a preparare otto crepes.
Gettate i granchi, ancora vivi in acqua bollente per 8 – 10 minuti, poi metteteli a scolare ed estraete, quando sono freddi, tutta la polpa, sia dal ventre che dalle chele, lessate per pochi i minuti i filetti di nasello, fateli freddare, togliete le eventuali spine, quindi passate granchio e nasello al mixer per ottenere un composto morbido. Aggiungete alla crema di pesce un po’ di sale e spalmaltela sulle crepes in uno strato uniforme. Tagliate i cipollotti puliti a metà, nel senso della lunghezza e mettete nel centro di ogni crepe un pezzo di cipollotto quindi avvolgete le crepes su loro stesse e sigillate i lati con un poco di fecola diluita con un goccio d’acqua. Battete leggermente il tuorlo con 2,5 decilitri di acqua ghiacciata e un pizzico di sale. Aggiungete la farina, mescolate e appoggiate la ciotola in un’altra piu grande contenente del ghiaccio. Immergete le foglie di salvia nella pastella e friggetele nell’olio bollente, scolatele su carta assorbente. Cambiate l’olio nel tegame e friggete i rotolini di crepe, scolateli su carta assorbente, affettateli e serviteli subito con le foglie di salvia fritte.
Ma che noiosi che siamo! Andy Warhol era stato carino e spiritoso quando aveva detto “Nel futuro tutti avranno 15 minuti di celebrità”, quelli altrimenti detti anche “il quarto d’ora”… Aveva osservato i nuovi mezzi di comunicazione , la loro capacità di espansori e moltiplicatori e ci aveva dato un mucchio di speranze e messaggi felici… Come dire: “Dai, anche tu che non sei nessuno”… ” Un’immagine curiosa, appena un po’ particolare, la posti e può fare il giro del mondo…”Una parola detta al momento giusto, una battuta spiritosa e gli altri ti copieranno” Era un modo come un altro per valutare o rivalutare un individuo qualunque , in fondo un nuovo umanesimo, se solo pensiamo ai milioni di nostri simili che sono scivolati via sconosciuti visto che la storia per secoli l’hanno fatta solo i re e i generali… E noi invece di esclamare che bello, ci siamo pure noi, invece ci mettiamo ad arzigogolare, mordicchiandoci le unghie nello sforzo di pensare… Ma sarà giusto e corretto? Ma saranno proprio 15 minuti o magari 16 o addirittura 17? Ma sono etici questi social network? E poi che immagine di noi trasmetteremo? Quella vera o un’ altra deformata? Nel 2011 l’hanno persino data come traccia per il tema d’esame di maturità… ” Nel futuro ognuno di noi sarà famoso al mondo per 15 minuti. Il candidato, prendendo spunto da questa previsione di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla fama (effimera o meno) nella società moderna e rifletta sul concetto di fama proposta dall’industria televisiva (Reality e Talent Show) o diffuso dai social media (Twitter,Youtube,Facebook).” Si percepiva già una così forte condanna nell’impostazione del la traccia che al candidato saggio, in cerca del diploma, non restava altro che convenire che quello dei Social, era tutto un mondo fuggevole e futile e che lui invece avrebbe seguitato a studiare seriamente e a credere nei valori, quelli veri, etc etc… Per poi magari finire disoccupato … Cosa però che non si poteva scrivere… Ma un po’ di leggerezza, di accettazione, di novità, perché ce la neghiamo sempre?
C’è da pensare che allora fece bene Andy Warhol a rifiutare in blocco ogni esperienza artistica creata in Europa… Con tutte le sue stratificazioni, le sue riflessioni o anche perchè no, le sue rivolte… E dire che l’arte europea dei primi del ‘900 era stata un’ assoluta novità… Ma se l’avesse presa in considerazione, mai e poi mai avrebbe osato… Se ci avesse pensato troppo sopra, non avrebbe avuto il coraggio di muoversi unicamente nell’universo delle immagini prodotte dall’industria e dalla cultura di massa americana. Il solo mondo dell’arte che lui conosce e riconosce è in fondo proprio quello che per gli europei, almeno allora, erano anatemi … I fumetti, il cinema, la pubblicit, e ci si avvicina senza selezione alcuna o scelta estetica… Le cose gli interessano solo perché hanno varcato la soglia di percezione , sono state registrate nella memoria e diventate patrimonio di tutti … Solo questo ha diritto ad essere rappresentato.. dalla Coca Cola , naturalmente la sua bottiglietta, ai detersivi nelle scatole colorate , fino alll’immagine di Marilyn Monroe, icona indiscussa non solo di tutti i camionisti americani ma anche del Presidente Kennedy… Sono tutti espressione di democrazia sociale per Andy Warhol, perchè una Coca Cola è sempre la stessa, per il ricco come per il povero… Basta averla interiorizzata…
E per dire che l’oggetto dell’arte era di tutti, la ripetizione fu il suo metodo di successo, riproducendo più volte la stesso oggetto o lo stesso personaggio su grandi tele , in cui alterava i colori vivaci e forti. Tutta la “way of live” americana divenne il suo mondo dell’ arte, dall’ immagine pubblicitaria di quando disegnava le copertine per i primi vinile fino ai temi più sgradevoli degli incidenti stradali e la sedia elettrica, immagini svuotate però – e questo fu il suo particolare approccio all’arte – di ogni significato originario usando la loro fredda, impassibile, implacabile ripetizione. Così sdrammatizzava le immagini e toglieva allo spettatore le armi della critica sociale… E in tutte c’era il manifesto nemmeno troppo velato, degli obiettivi della Pop Art, secondo cui l’arte doveva essere “consumata, ” come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Naturalmente la critica europea non poteva capire l’accettazione acritica della realtà, cardine primo del mondo di Andy Warhol e cominciò a coprire di senso delle cose, tutto europeo, quello che l’artista non aveva voluto esprimere…E dissero che quella di Warhol era una presa di coscienza del kitsch, della mediocrità, della perdita culturale che aveva invaso l’America e da essa si irradiava per l’occidente… Non c’è niente da fare… La vecchia Europa non ce la fece a capire – se non molto dopo – il troppo giovane Warhol, a cui era bastata la prima generazione da immigrato per dimenticarsi il vecchio mondo…
Fra i quadri più famosi di Andy warhol vi sono quelli delle zuppe, i “Campbell’s Soup Cans” . Nel più puro stile del multiplo, si tratta delle riproduzioni di più o meno numerosi barattoli delle varie specialità della Campbell e, se non fossimo al MoMa di New York, si potrebbe quasi credere di avere davanti i colorati scaffali del supermercato… E’ nel ricordo di Warhol, dunque, che presentiamo questa zuppa cremosa sperando che la ricetta riesca a unire vecchio e nuovo continenete.
Si tratta di una zuppa fresca, ridotta in crema, con limitate calorie e un gradevolissimo e delicato sapore.
CREMA DI SEDANO
INGREDIENTI per 4 persone : 3 cespi di sedano bianco, 1 scalogno, 200 g di patate, 40 g di burro,1,3 l di brodo vegetale 2 tuorli di uova, 1 dl di panna fresca, pecorino grattugiato 2 cucchiai, sale e pepe quanto basta, qualche foglia di prezzemolo, pane a dadini 100 grammi, eventuale.
PREPARAZIONE: sbucciate e tritate finemente lo scalogno. Sbucciate le patate dopo averle lavate bene sotto l’acqua corrente, poi tagliatele a dadini. Pulite il sedano dividendone le coste, lavatelo, asciugatelo e tagliatelo a piccoli pezzi, eliminando i filamenti duri. Fate sciogliere il burro in una casseruola, unite lo scalogno e fatelo appassire, quindi versate i dadini di patate, il sedano, lasciando a parte qualche pezzetto poi salate, mescolate e fate insaporire per 5 minuti.
Incorporate poco alla volta il brodo caldo, portate a ebollizione mescolando continuamente, poi abbassate la fiamma, regolate di sale e fate bollire a fiamma bassa per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto, quindi con il frullatore a immersione riducete a crema la preparazione; aggiungete i pezzetti di sedano tenuti da parte , rimettete sul fuoco e proseguite la cottura per altri 10 minuti.
In una ciotolina sbattete i tuorli con la panna e 2 cucchiai di pecorino grattugiato; salate, pepate e incorporate la crema di uova nella zuppa; mescolate bene per 1 minuto prima di spegnere la fiamma. Distribuite la crema nelle fondine individuali, decorate a piacere con qualche fogliolina di prezzemolo e servite. A piacere si può aggiungere qualche dadino di pane scaldato in forno.
Era stato malinconico in vita e forse fu per questo che quando morì i funerali diventarono tre. E dire che lui, col suo solito pessimismo, aveva detto pochi giorni prima “Chiudo in fallimento. Nessuno mi ricorderà”. A Roma, in effetti non era cominciata bene perchè il prete, venuto a benedirlo, subito dopo la morte, pretese che Franca Faldini, per lui solo una concubina, uscisse sul pianerottolo…Subito dopo però cominciò l’ondata di folla che si riversò in casa per 48 ore… Amici e conoscenti dello spettacolo, ma anche l’italia degli sconosciuti che arrivavano ininterrottamente, coi pullman organizzati all’ultimo momento. Due giorni dopo, a Sant’Eugenio, nella Chiesa chic del quartiere Parioli, si presentò con le sue migliori insegne… La bombetta e il garofano rosso sulla bara… Quelli degli anni dell’avanspettacolo… Ma non valse a nulla. Fu una cerimonia frettolosa, più che altro una benedizione, perché c’era la presenza imbarazzante di Franca Faldini … Al massimo, pensavano le autorità religiose, una moglie in senso biblico…
Fu il gran cuore di Napoli che non fece storie. Quasi 3000 persone all’interno della Basilica del Carmine… Più di 250.000 in strada, a piangere quella perdita senza ritorno, mentre la bara scortata dai motociclisti della polizia a sirene spiegate, raggiungeva il cimitero…Fu mentre stava per ritornare a Roma che la figlia Liliana fu fermata da una specie di apparizione…Un uomo tutto vestito a lutto, col cappello nero e qualcosa sotto il braccio. E mentre si presentava “Io sono Campoluongo, ” lei capì che era il famoso “guappo”, Nas’e cane,” quello che “proteggeva” il quartiere Sanità… Totò, tanti anni prima gli aveva regalato una sua foto con dedica, quella che aveva sotto il braccio…”Questa cosa non può andare – disse – Deve avere il funerale a casa sua.” E tre mesi dopo a Liliana arrivò l’invito scritto, la macchina con l’autista e l’albergo già prenotato a Napoli… Nella Chiesa della Sanità, proprio lì dove Totò era nato e aveva vissuto la sua irrequieta e povera giovinezza, ci fu il terzo funerale, con la bara, sia pur vuota, al centro della navata…
Sarà stato anche figlio di un marchese, sia pure squattrinato, ma soprattutto era figlio di una ragazza sedicenne e senza marito o, come si diceva allora figlio di N.N…. Povero, affidato alla nonna, perché sua madre si profumava, s’incipriava e usciva col marchese, spesso lo vestivano con i pantaloni ricavati dalle gonne smesse delle donne di famiglia, che qualche volta erano anche a fiori… Non ci vuole molto a emarginarlo e chiamarlo “Recchione”. Lui si ribella, si toglie i calzoncini a fiori e in mutande, improvvisa una serie di smorfie. I ragazzini ammutoliscono poi si divertono e poi l’accettano.. A lui piace anche fare il prete… Prepara così degli altarini con immagini di santi e lumini e si mette a officiare inventando filastrocche strampalate… Ma non è ancora la maschera di Totò…Questa arriverà più tardi quandpo la mamma per toglierlo dalla strada lo manderà a scuola dai preti… Qui non volendo, gli daranno un pugno… lì per lì sembra niente, ma poi il naso si torce e una parte del viso scande più dell’altra…
A 14 anni con la scuola chiude. Con quei pochi soldi che guadagna facendo l’imbianchino se ne va a teatro e nelle feste di famiglia fa l’imitazione del fantasista preferito… Si è accorto che la sua faccia deformata dal pugno può assumere qualunque espressione estrema e anche il suo corpo, le braccia, le gambe, il collo sembra che se ne vadano per conto suo. Quando comincia a presentarsi in pubblico lo fa, e non poteva essere diversamente, in posti infimi, pieni di fischi e di urli…E lui già così fragile comincia la serie delle crisi depressive, che periodicamente torneranno… Ma è noto! I più tristi sono sempre i comici. Poi la prima affermazione quando, cambiato il repertorio, imbocca la strada della parodia… Il primo successo arriverà a Roma all’Ambra Jovinelli, la consacrazione nei principali caffè-concerto italiani, dal Trianon al San Martino di Milano al Maffei di Torino… Il repertorio è quello ormai collaudato in cui si afferma il tipo della marionetta disarticolata, ormai nota come «l’uomo gomma»
Nel dopoguerra arriverà il successo travolgente del cinema … Lui offre tutta la sua mimica, lo sguardo obliquo , gli inesauribili movimenti del corpo e del collo che si allunga e si accorcia a suo piacimento… Una recitazione forte dell’esperienza teatrale con il ritmo dei tempi scenici e le entrate e le uscite a effetto… E poi l’invenzione di un nuovo linguaggio, le espressioni che sbeffeggiano il potere e la burocrazia, nel loro linguaggio paludato… E in più tante parodie a fare il verso a film famosi, il gusto di contraddire, la voglia di contaminare, tra un «eziandio» e un «tampoco», tra un «a prescindere» e un “è d’uopo.” I critici d’allora storcevano il naso su quei film frettolosi, a basso costo, di cassetta… Quasi 100 in venti anni…”Toto’ Le Mokò,” “Totò cerca moglie” ,”47 morto che parla” e perché no, anche “Totò terzo uomo” “È veramente doloroso, scrivevano, constatare come la comicità di certi film italiani sia ancora legata a sorpassati schemi appartenuti al più infimo teatro di avanspettacolo e Totò sfoggia come al solito i tipici atteggiamenti di quella comicità così banale.” E salutarono infine, come la liberazione del genio, la sua chiamata, già sul finale di vita, a partecipare a film come “La Mandragola” e “Uccellacci e Uccellini” di Pasolini. Ma al pubblico, per anni la qualità dei film sembrò non interessare… Correva a vedere lui, e dopo più di 40 anni dalla morte di Totò occorre avere un po’ di umiltà e riflettere… Perché il cinema di questo straordinario attore dell’eccesso spesso è ancora vivo, fresco, immediato, nonostante i limiti della farsa e le approssimazioni delle sceneggiature…
Nella vita seguitò a essere triste… Cercava strani equilibri nei titoli nobiliari che riscattassero la sua misera infanzia dei bassi napoletani… E non gli bastò il titolo di Marchese che gli lasciò il padre con un tardivo riconoscimento… Si fece adottare anche dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas. Forse era vero… forse no, ma al termine di una lunga battaglia legale decisero che il suo nome era “Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio” e che lui era Principe, Conte Palatino, Nobile, con trattamento di Altezza Imperiale… Qualcuno,come Oriana Fallaci durante un’intervista arrivò a dirgli che aveva un viso “bizantino”… Ma Oriana era una perfida toscanaccia…
Le donne … Anche quelle devono essere state lo strumento del suo riscatto… Le voleva bellissime e poi le abbandonava… La bella Liliana Castagnola si suicidò per lui… E a lui nel ricordo pieno di rimorsi, non restò altro che dare il suo nome all’unica figlia… Si sentiva anche un po’ vittima e da quei suoi stati d’animo amari e malinconici nacquero canzoni come “Malafemmina”o “Sulo”… “Sulo! Songo rimasto sulo, nun tengo cchiù a nisciuno, tenevo sulo a te” … o poesie come” A livella”, con l’amara consolazione della morte che rende tutti uguali…
Solo alla fine trovò un po’ di pace con la giovanissima Franca… Che seppe amarlo per 15 anni e fino alla morte nonostante lui fosse anziano e malandato… Ma lei aveva doti straordinarie di maturità e di equilibrio che in fondo erano sempre mancate a quel genio tormentato, grande e malinconico che era stato Totò o, come era più felice di essere chiamato… Il Principe De Curtis…
D’obbligo pensando a Totò pensare anche a tutta la cucina napoletna, a quella che nonostante tutto sopravvive, che arriva dai profumi dei vicoli ed è fatta di spaghetti fumanti, di pizze colorate, di collane di mtili e di molluschi… C’è un ristorante a Napoli che è soprannominato “Nas’e Cane, proprio come il guappo che ammirava Totò.. E’ dai menù di questo ristorante che ci siamo ispirati per la ricetta. In quella tradizionale si adoperano le vongole “veraci”, ma poiché negli ultimi anni sono quasi tutte di allevamento, hanno perso un po’ di sapore. E’ questo il motivo per cui abbiamo preferito i “lupini”, varietà di vongole più piccole e meno scenografiche, ma di maggior sapore.
LINGUINE AI “LUPINI” E AI GAMBERONI
INGREDIENTI per 4 persone: 330 grammi di linguine, 700 grammi di vongole “lupini”, 500 grammi di gamberoni, 1 mazzetto di prezzemolo, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 2 spicchi di aglio, sale grosso e fino
PREPARAZIONE: Mettete uno scolapasta posizionato all’interno di pentola, versate le vongole nello scolapasta, copritele con acqua fredda “a filo” e una manciata di sale grosso. Lasciatele così per 7 – 8 ore ore affinché perdano la sabbia, cambiando l’acqua 3 – 4 volte. Poi sollevatele con lo scolapasta in modo che l’eventuale sabbia rimanga sul fondo della pentola. Lavate il prezzemolo, tritate le foglie e buttate via i gambi che possono causare intolleranza o intossicazione. Scaldate in una larga padella l’olio extravergine, unite gli spicchi di aglio spellati e schiacciati e fate aprire le vongole a fuoco alto con il coperchio. Non appena aperte (ci vorranno 1-2 minuti), togliete la padella
dal fuoco e sgusciatene la metà. Sgusciate i gamberi, levando la testa e lasciando le codine, incideteli sul dorso ed eliminate il filamento scuro, poi scottateli per 3-4 minuti in una pentola con abbondante acqua salata e scolateli. Lessate nella stessa acqua le linguine e scolatele al dente. Saltate la pasta in padella pochi minuti con le vongole sgusciate e il loro liquido filtrato, aggiungete i gamberi e unite una parte del prezzemolo tritato. Impiattate e decorate ciascun piatto con le vongole col guscio, poste alla sommità assieme alla restante parte del prezzemolo tritato.
Erano due anni che non andava bene … Lui, lo sanno tutti, è sempre stato un tipo tranquillo, di poche parole e nessuna polemica, però l’atteggiamento di Capello lo sentiva come una grossa ingiustizia o forse un mal celato disprezzo… Eppure in quella stagione 2004 – 2005, era stato il migliore della squadra con 14 reti in campionato, un numero incredibile di assist e 3 gol in Champions League… Ma Capello sembrava come stregato da Zlatan Ibrahimović, l’ultimo arrivato… E che lui fosse il capitano della squadra, il mitico numero 10 non se lo ricordava nemmeno… Vinsero anche lo scudetto, quell’anno, ma l’atteggiamento di Capello verso Alex Del Piero non mutò… L’anno dopo fu anche peggiore… Eppure per Del Piero anche quello fu un anno di grazia… Segnò 20 gol … 3 in Champions League, 5 in Coppa Italia – arrivando a vincere anche la classifica marcatori – mentre 12 gol li fece in campionato …. Nonostante su 38 partite riuscisse a entrare da titolare soltanto 17 volte … Malgrado Capello, Marcello Lippi lo volle con sé ai Mondiali che, strepitosamente, quell’anno l’Italia vinse…
32 anni, una forma fisica perfetta, una carriera al top, a quel punto ad Alex Del Piero non sarebbero mancate le occasioni per andare in un altro club, italiano o straniero che fosse… Ed era quello che era fermamente intenzionato a fare… Ma proprio allora scoppiò l’incredibile bufera… Lo scandalo di calciopoli, in cui i dirigenti di alcune squadre, Juventus in testa, furono accusati di aver corrotto i designatori arbitrali per assicurarsi arbitri compiacenti nelle partite chiave… Le indiscrezioni di stampa divennero sempre più evidenti nella primavera del 2006 e lo scandalo, infine, scoppiò con la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche del 2 maggio 2006, pochi giorni prima che a Bari, nell’ultima partita di campionato, la Juve vinscesse di nuovo lo scudettto. I tifosi esultarono all’ingresso di Del Piero in campo e mentre lui puntualmente faceva gol, cantarono per tutto il secondo tempo il suo nome.
Le indagini della giustizia sportiva furono rapidissime e a metà luglio c’era già la sentenza… La Juve fu la più colpita con la perdita secca degli ultimi due scudetti e la retrocessione in Serie B… In cui sarebba partita con 17 punti di penalizzazione… E allora cominciò il fuggi fuggi generale mentre la Vecchia Signora del Calcio Italiano sembrava fosse diventata l’ultima delle prostitute… Capello se ne andò via scandalizzato e corse a rifugiarsi nel Real Madrid… Ne andava del suo buon nome…. Cannavaro lo seguì, Zlatan Ibrahimović, era già approdato all’Inter e Zambrotta si era sistemato al Barcellona…
Anche Del Piero se ne andò… Ma solo una settimana in vacanza e al suo ritorno annunciò che sarebbe rimasto alla Juve… “Dopo i fatti degli ultimi tre mesi, ho capito che la Juve adesso ha bisogno di giocatori importanti, rappresentativi, per risalire. Lo meritano la famiglia Agnelli che mi ha sempre voluto bene, la tradizione della società, i tifosi che mi amano e i nuovi dirigenti…” Una bella lezione di stile, data con umiltà, senza fanfare, anche giustificando chi se ne era andato “Capisco chi vuole inseguire una Champions che non ha mai vinto. O anche uno scudetto… E’ vero, io ho vinto tutto”… L’anno dopo la Juve era tornata in A con 28 vittorie e 10 pareggi su 42 incontri (pari a 85 punti al netto delle penalità).
Ma subito dopo per Del Piero arrivarono gli anni difficili e dopo il 2009 il contratto cominciarono a rinnovarglielo solo di anno in anno… Alex ormai aveva una certa età, almeno sulla carta, anche se questo in campo non si avvertiva…
Già, l’affetto della famiglia Agnelli.. Per l’ Avvocato, Del Piero era stato una specie di figlio o nipote che ,nei tempi buoni chiamava Pinturicchio, così come Baggio lo aveva chiamato Raffaello, perchè quei due i gol li dipingevano… Quando si fece male al ginocchio nel 1998 e non riuscì per un bel pezzo dopo a segnare, Gianni Agnelli prese a chiamarlo Godot e un po’ lo rimproverava, ma era tutto per finta, perché per Umberto suo fratello e il resto della famiglia, Alex era “il cocco di mamma”
Ma con Andrea Agnelli, il nuovo Presidente era diverso e non c’era quel rapporto… Nel 2012, al termine di un campionato, in cui la Juve vince lo scudetto, scade il suo contratto. Il 13 maggio 2012 disputa la sua ultima partita contro l’Atalanta segnando il 290º gol della sua carriera bianconera ed esce dal campo al 57′, coi tifosi che gridano il suo nome piangendo… Ma per l’Italia degli Agnelli, Del Piero ha ormai 38 anni… Che non sembrano affatto troppi al Sydney, una squadra australiana con cui, iI 5 settembre 2012 annuncia la firma di un contratto biennale da 1,5 milioni di euro a stagione. Se ne va dall’Italia senza polemiche, emozionatissimo, ma col sorriso sulle labbra, ringraziando tutti… Nella prima stagione australiana segna 14 gol, diventando il miglior capocannoniere stagionale di sempre del Sydney…
Nel cibo Alex è persona di grande disciplina, ma non è un segreto che in Italia, quando era lontano dalle partite e dagli allenamenti, la cosa che maggiormente apprezzava era una fetta di crostata alle mele. E’ da provare… magari vicino a un bicchiere di vino da meditazione…
CROSTATA ALLE MELE
INGREDIENTI per 6 persone: Per la Pasta Frolla (circa 1 kg e 100 grammi di pasta) occorrono: 500 grammi di farina, 200 grammi di zucchero a velo, 4 tuorli di uova, 250 grammi di burro, una punta di cucchiaino di essenza di vaniglia 1 pizzico di lievito o di bicarbonato, facoltativo. Per la farcia di Crema Pasticcera occorrono 500 ml di latte,1 baccello di vaniglia, 50 grammi di farina, 150 grammi di zucchero, 6 tuorli d’ uova, 1 scorza di 1/2 limone facoltativa . Per il ripieno occorrono 4 /5 mele renette.
PREPARAZIONE : cominciate a preparare la pasta frolla mettendo la farina, un pizzico di sale ed il burro appena tolto dal frigo, nel mixer . Frullate gli ingredienti fino ad ottenere un composto dall’aspetto grossolano Ora aggiungete lo zucchero, quindi, formate con il composto la classica fontana nel cui centro verserete l’essenza di vaniglia (se non trovate l’essenza o i semi di vaniglia usate una bustina di vanillina) e i tuorli. Per rendere la pasta più morbida alcuni aggiungono un pizzico di lievito o di bicarbonato Amalgamate velocemente il tutto fino ad ottenere un impasto compatto ed abbastanza elastico con cui formerete una palla. Avvolgetela con della pellicola trasparente e mettete il tutto a riposare il frigo per almeno mezz’ora prima di utilizzarla.
Preparate poi la crema pasticcera ponendo sul fuoco una casseruola capiente con il latte (tenendone da parte 1/2 bicchiere), quindi prendete il baccello di vaniglia, apritelo in due estraetene i semi e aggiungete i semi ed il baccello di vaniglia vuoto al latte. Portate a leggera ebollizione il tutto, quindi togliete la casseruola dal fuoco e lasciate riposare per 10 minuti. Intanto in una terrina a parte lavorate i tuorli con lo zucchero montandoli con le fruste elettriche sino ad ottenere una crema spumosa e biancastra. Continuando a sbattere unite a filo un terzo del latte tiepido contenuto nella casseruola poi incorporate la farina setacciata unendola poco alla volta. Eliminate ora il baccello di vaniglia, rimasto nel latte e versate il composto di uova, farina, zucchero e latte nella stessa casseruola. Rimettete il tutto sul fuoco e portate ad ebollizione, mescolando frequentemente. Per profumare la crema potete usare anche una scorza di limone, che toglierete quando viene tolto anche il baccello di vaniglia. Per addensare composto fate sobbollire a fuoco dolce per qualche minuto, continuando a sbattere con la frusta per evitare che si formino grumi Prendete ora il resto del latte freddo che avevate tenuto da parte e unitelo a filo alla crema pasticcera, mescolando di tanto in tanto. Spegnete il fuoco e lasciate raffreddare: . Per evitare che si formi una “pellicola” in superficie mentre la crema si raffredda, copritela con un disco di carta forno.
Stendete ora la pasta sul tavolo da lavoro e ricavatene due dischi, uno leggermente più grande dell’altro. (Il più grande dovrebbe avere circa 22 cm di diametro). Sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a fette di 1 cm circa di spessore. Adagiate il disco di pasta frolla più grande in una teglia circolare, spalmate la crema pasticcera sul fondo con l’aiuto di un cucchiaio. Se dovesse avanzare la potete conservare in frigo per due giorni ben coperta dalla pellicola trasparente e riportandola a temperatura ambiente prima di servirla). Aggiungete le mele distribuendole su tutta la superficie. Ricoprite col disco di pasta più piccolo, fate aderire bene i bordi e tagliate la parte in eccedenza.Con l’aiuto di un coltello, fate 4 o 5 tagli paralleli lungo la superficie della vostra crostata: serviranno a far uscire il vapore durante la cottura.Cuocete nel forno già caldo a 180° per circa 50 minuti: la crostata dovrà risultare dorata.
Placido e con ampi spazi vuoti , appena si riesce a svicolare dalle grandi vie di collegamento, il quartiere Ostiense con le sue inesauribili contraddizioni è una delle zone più strane in cui può capitare di imbattersi a Roma …
Non fece in tempo a diventare un’area industriale che era già archeologia… Il Gazometro lo progettò un ingegnere scozzese alla fine del 1800… Oggi é abbandonato , tra le sterpaglie, la polvere, i capannoni isolati, insieme ad altri due fratelli minori, ma resta il fascino triste di quell’enorme cilindro di ferro, vuoto e traforato contro il cielo… C’era all’inizio del ‘900, enorme e fastoso, il primo impianto pubblico per la produzione di energia elettrica. …
La Centrale Montemartini aveva la Sala Macchine tutta liberty e ospitava turbine, motori Diesel e la colossale caldaia a vapore. … Dopo l’abbandono le vernici dei macchinari cominciarono a scrostarsi… Oggi in un’atmosfera di surreale eleganza ospita una ricca collezione di statue e teste marmoree di epoca romana in mezzo agli squillanti colori blu e verdi dei macchinari e della struttura rimessi a nuovo.
Il Porto Fluviale sul Tevere.. I Romani antichi ci trasportavano le merci a Ostia che poi andavano via per il Mediterraneo… Lo vollero riattivare al tempo del fascismo, ma fu poca cosa, poco più di un’idea… E dire che proprio lì vicino avevano creato la Garbatella, il quartiere per gli operai della nuova industria, che finì per essere un quartiere di immigrati e di povera gente… Perché l’industria a Ostiense non fiorì mai davvero…
il “Ponte dell’Industria” che ormai si chiama “Ponte di Ferro” ha un aspetto insolito per Roma, comune solo nelle grandi città del Nord.. . Tutto ferro e ghisa fu costruito in Inghilterra e portato in città a pezzi nel 1863. Per un po’ servì la linea ferroviaria di Civitavecchia – Roma, ma già nel 1910 venne abbandonato per un ponte più grande…
Vicino al Monte dei Cocci, a Testaccio, ma praticamente al confine con Ostiense, nel 1890 aprirono il Mattatoio,”l’ammazzatora” come si diceva a Roma… Sui tre fornici del grande ingresso dominava la scultura del genio alato che atterra il toro… All’epoca era uno dei più moderni d’Europa, ma fu chiuso nel 1975, cadde in degrado e faticò a lungo per ritrovare qualche vocazione culturale… Invece un silenzio quasi irreale, avvolge Piazzale delle Erbe negli ex Mercati Generali, infranto solo dalle disperate grida dei gabbiani che volteggiano a bassa quota.
Il cantore di Ostiense è stato uno straniero che ne ha saputo cogliere forse meglio di molti romani le angoscie e la solitudine ma anche l’inesauribile voglia di vivere e di volersi ancora bene…
Ferzan Özpetek nasce a Istanbul nel 1959, parente di due pascià. Gente bene, il padre lo voleva mandare in America a fare l’Università, ma lui invece arriva a Roma… Chissà, forse è la passione per l’arte.. Studia infatti Storia del Cinema e Regia ma anche Storia dell’arte e comincia una dura gavetta… Il primo incarico serio è come assistente sul film ” Scusate il ritardo”, dove però il suo compito più importante è quello di portare tè e biscotti a Massimo Troisi… Quando finalmente esordisce lo fa con due film che sono un richiamo nostalgico e diretto alla sua terra “Il bagno turco” e “Harem Suaré” … Il primo racconta di un architetto italiano che ritrova la sua perduta umanità nell ‘amore per un giovane di Istanbul e il secondo é la passione della favorita del Sultano per un eunuco, guardiano dell’ultimo harem… Sono già storie d’amore insolite ma c’è quella straordinaria poesia di Özpetek che ce le rende subito familiari.
Ostiense entra di prepotenza nel cinema di Özpetek con “Le fate ignoranti,” un successo internazionale … Una signora della buona società, vedova al colmo del dolore, scopre il tradimento del marito dopo che lui è morto… All’inizio pensa a una donna e poi invece scopre Massimo, un ragazzo che lavora ai Mercati Generali di Ostiense… E’ sarà il quartiere, corale e di antica solidarietà, filmato senza retorica, sul filo di un’intima dolcezza, che finirà per rendere naturali e accettabili le storie, solo all’apparenza assurde, di un gruppo di omosessuali che vivono nello stesso condominio e che vorranno bene all’estranea signora senza preconcetti… Fin quando anche lei riuscirà ad accettare Massimo, il tradimento del marito e l’amore…comunque esso sia…
Özpetek a Ostiense ci vive da anni e anni… Non ne può fare a meno, come fosse l’unico posto al mondo adatto a lui… Fra quei caseggiati spesso brutti e quegli scheletri di vecchie fabbriche, rimasti lì come occasioni perdute. E quando gira “Saturno Contro” pensa che il set più adatto sia la sua casa dove si ritroveranno, come ne “Le fate ignoranti,” i suoi eclettici protagonisti. Torna a parlare di amore omosessuale, senza innalzare difese e bandiere, come di un sentimento naturale, che vive delle stesse domande e degli stessi problemi degli altri amori. C’è un gruppo di amici nell’appartamento di Davide e Lorenzo e attorno al tavolo della cucina si mostrano e si susseguono problemi, paure, sogni, bisogni. fin quando la serenità e la vita “normale” del gruppo viene spezzata da un evento traumatico, l’improvviso malore di Lorenzo. E lì inizia il dolore, l’amore, la solidarietà di tutti, nei lunghi corridoi dell’ospedale dove Lorenzo morirà…
Sarà stato perché c’era lì vicino il Mattatoio e c’erano i Mercati Generali, ma Ostiense è stato sempre un quartiere di trattorie e “cucine tipiche”, prima degli operai e degli artigiani, poi di tutti… E la tavola è anche e inevitabilmente una delle costanti di tutti i film di Ferzan Özpetek a cui, anche nella vita privata, piace cucinare quei piatti della tradizione, che divennero le specialità del quartiere quando dal mattatoio i pezzi più pregiati delle carni andavano via e per la cucina di Testaccio e Ostiense rimanevano le parti allora considerate povere, che poi sono diventare un cult della cucina romana… Le animelle, la pajata, il pollo coi peperoni… e naturalmente i pesci che all’epoca arrivavano direttamente da Ostia e Fiumicino. Qualche volta Özpetek però non sa che scegliere perché Ostiense è anche quartiere di grande pasticceria, come quelle meravigliose torte che gli prepara il pasticciere sotto casa e che abbiamo visto ne “La finestra di fronte”,- un altro dei suoi più bei film che ha per protagonista un antico pasticcere…- e naturalmente, come quella che trionfa alla cena di “Saturno contro”
Ma poiché scegliere è sempre meglio che non scegliere, stavolta, in omaggio al romanissimo regista abbiamo puntato direttamente su una sua ricetta, un piatto estivo saporito e fresco e nello stesso tempo di gran classe. E’ un piatto a base di pollo… una carne che una volta era così pregiata che si mangiava solo nei giorni di festa… Poi, per molto tempo ha dato dispiaceri per l’impoverimento del sapore e della qualità, dovuti agli allevamenti in batteria , all’immobilismo delle bestie e ai mangimi incerti… Oggi con un po’ di pazienza e buona volontà si trova il pollo “ruspante”, quelle di razze ben selezionate, allevato a terra nell’aia, che cammina e si muove, non diventa mai troppo grasso, si nutre solo con i mangimi biologici e naturalmente è a lento accrescimento…Ovviamente deve essere certificato per la garanzia di chi l’acquista. Costa natutralmente di più però ne vale la pena, sia per la salute che per il buon gusto, quello tanto caro a Özpetek.
POLLO CROCCANTE
INGREDIENTI per 4 persone,: 1 pollo di 1 Kg , aglio 2 spicchi, rosmarino 1 rametto, sale grosso 10 grammi, 2 limoni,due arance.
PREPARAZIONE: spellare completamente il pollo e tagliatelo a pezzi, poi fate arroventare una padella antiaderente e metteteci i pezzi di pollo, unitamente ai due spicchi di aglio interi, il sale e il rosmarino. Mescolate continuamente per mezz’ora in modo che nessun ingrediente si attacchi alla padella e, se l’aglio dovesse imbrunirsi, toglietelo e sostituitelo con altri due spicchi. Al termine della cottura, aggiungere il succo di due arance e due limoni e farlo evaporare. Servitelo accompagnato da un’insalata mista.
Quando nel ’39 a. C. Livia Drusilla andò sposa a Gaio Ottavio, aveva 20 anni, aveva appena divorziato dal primo marito, aveva già un figlio di tre anni Tiberio ed era incinta. Lui di anni ne aveva 24 e per sposare Livia anche lui aveva appena divorziato, da soli 3 giorni, dalla moglie Scribonia proprio mentre nasceva la loro figlia Giulia. Tre mesi dopo il nuovo matrimonio nasceva Druso e nessuno ha mai saputo se quel figlio fosse del primo o del secondo marito. Comunque anche se di padre incerto il bambino fu subito amatissimo dal futuro Augusto… E poi lui e Livia erano così giovani e avrebbero di sicuro avuto altri figli.. L’anno successivo infatti nacque un altro bambino, ma morì subito e dopo Livia non ne poté più avere…
Mentre il suo potere cresceva sino a farne il primo imperatore della storia di Roma, Augusto seguitava a covare l’amarezza per quel figlio mai avuto, a cui avrebbe voluto lasciare il potere … La figlia Giulia non contava perché a Roma le donne non avevano incarichi pubblici… Dapprima pensò che Marcello, figlio di sua sorella Ottavia e primo marito di Giulia potesse essere l’erede, ma il ragazzo morì poco dopo, di tifo, a soli 21 anni… Augusto allora obbligò Giulia a sposare Agrippa il suo grande amico e comandante militare dell’Impero… anche se aveva il doppio degli anni della figlia… Stranamente fu un matrimonio abbastanza felice e in meno di dieci anni ebbero 5 figli… Augusto adottò i due ragazzi Lucio e Gaio e ricominciò a sperare… Anche quando morì Agrippa c’erano ormai Tiberio e e l’amatissimo Druso che proteggevano le frontiere… E la figlia Giulia la obbligò a sposare proprio Tiberio, nella speranza che il potere, anche in futuro rimanesse in famiglia… Ma i due si detestavano.. E cominciò la seconda ondata delle tragedie…Druso, abilissimo in guerra, bello, amato da tutti morì in Germania a 29 anni e qualche anno dopo a distanza di mesi morirono anche Gaio e Lucio… Dell’ultimo figlio di Agrippa e Giulia nemmeno a parlarne… Agrippa Postumo sembra che fosse pazzo e comunque Livia non lo voleva fra i piedi e riuscì a mandarlo via da Roma… In linea di successione faceva troppa concorrenza a Tiberio… Più tardi sembra che lo fece uccidere… Era rimasto solo Tiberio, il ragazzo sgraziato e antipatico di cui Augusto non aveva mai voluto riconoscere il valore… E fu lui alla fine che ereditò quell’immane impero mentre Giulia moriva in esilio confinata dal padre per troppi scandali e troppi amanti… Forse la verità era un’altra, sembra che Giulia stesse organizzando una congiura per uccidere il padre, ormai stanca di tutte le violenze che lui aveva imposto alla sua vita privata…
Stranamente quell’antica tragedia dinastica alla ricerca di un erede, torna alla mente quando si pensa agli Agnelli, la più potente famiglia italiana da quasi un secolo, sempre alla ricerca di un erede per quell’immenso impero industriale della Fiat… Eppure Gianni Agnelli veniva da una famiglia numerosa… Erano ben 7 figli di cui tre erano maschi… Ma avevano avuto una giovinezza difficile… Il padre Edoardo, l’erede dell’impero muore a 42 anni prima ancora di cominciare a condurre l’azienda… Il padre non si fida! Nel 1935 Edoardo era a bordo dell’ idrovolante di famiglia e durante un ammaraggio all’idroscalo i galleggianti del velivolo urtarono un tronco vagante sull’acqua… L’aereo si ribaltò ed Edoardo morì, decapitato dall’elica rimasta in movimento… Era venuto meno l’erede dell’ industria e il nonno col tempo si affidò a un amministratore… Gianni allora ha 14 anni e lui e i suoi fratelli si trovano in mezzo alle battaglie legali combattute dal nonno che li vuole sottrarre alla madre e dar loro un’educazione tutta Fiat… Alla fine vincerà la madre ma anche lei muore presto in uno scontro con un camion degli alleati sul finire della seconda guerra mondiale… Lui Gianni, il primogenito non potrà nemmeno mettere piede nell’azienda di famiglia che è dominata da un uomo di fiducia del nonno… Così disse Vittorio Valletta al Delfino nel 1946 “Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io», al che il giovane Agnelli rispose mondano e disinvolto: «Ma di certo voi, professore». E sparì per quasi 20 anni in giro per il mondo… Difatti l’erede Edoardo nasce a New York e la figlia Margherita in Svizzera…
Forse quando Gianni Agnelli, ormai per tutti l”Avvocato,” nel 1966 prende in mano le sorti della Fiat non ha nemmeno il tempo per accorgersi che Edoardo, quel bellissimo, esile ragazzino è pieno di fantasie, timidezze, introspezioni… Quando arriva all’Università di Princeton ci va per studiare Lettere Moderne… Sostanzialmente Storia delle Religioni … E il padre comincia a sobbalzare… In Fiat c’è bisogno di qualcuno che sappia di finanza o magari ingegneria o relazioni industriali… Si preoccupa davvero quando Edoardo comincia i viaggi in India… Ci andavano in molti all’epoca, in cerca di spiritualità… dai Beatles ai giovani hippies… E’ quasi una tappa d’obbligo… In seguito Edoardo diventerà di casa dall’Ayatollah Khomeini. E’ entusiasta della rivoluzione religiosa che ha cacciato il laico Sha Reza Pahlavi dall’Iran e si avvicina all’Islam sciita… Non è del tutto certo ma sembra che si converta col nome di Mahdi.
Ma nonostante le sue forme ascetiche o forse proprio per questo Edoardo comincia a interessarsi dell’azienda di famiglia… Naturalmente a modo suo… Non concepisce aziende basate esclusivamente sul profitto, approda al principio della solidarietà sociale e finisce in un ibrida posizione di marxismo mistico… Inoltre è sensibile ai temi dell’inquinamento e vorrebbe auto ecologiche. Ma quello che soprattutto colpisce la famiglia è l’accusa pubblica che fa all’azienda di sfruttare l’intera collettività… Il ricorso massiccio alla Cassa Integrazione e gli sconti con gli incentivi alle vendite, forse a qualcuno sfugge, ma vanno sempre a gravare sullo Stato, ormai sotto ricatto… Ne va della pace sociale… Forte è il timore che la Fiat faccia licenziamenti di massa a ogni minima crisi del mercato…
Molti così cominciano a pensare che Edoardo sia matto, ma proprio da quelle parti, a Ivrea, Adriano Olivetti ha costruito un diverso impero su quegli stessi principi che pronunciati da Edoardo sembrano follie… In sé l’esperimento era riuscito… A Ivrea c’erano case e cultura agli operai, partecipazione alla gestione e abbandono dell’alienante catena di montaggio… Solo per l’incapacità dei successori di Adriano andrà in rovina l’impero delle macchine da scrivere e tutto quello che di elettronico venne dopo…
La Fiat comincia a dubitare di avere l’erede… Degli altri due fratelli dell’Avvocato, Umberto già l’affianca in azienda, ma è già troppo in là negli anni per diventare un erede e l’altro Giorgio è morto giovane, senza figli, ricoverato a lungo in una clinica svizzera per schizofrenia… Margherita, è donna e alla Fiat entrano solo gli uomini… Come del resto succedeva negli antichi imperi…
La posizione di Edoardo diventerà insostenibile quando nel 1990 sarà arrestato in Kenia con l’accusa di possesso di eroina… Passerà anche due notti in prigione dritto in piedi perché nell’orribile cella manca anche lo spazio per sedersi. Poi l’accusa si smonta e lui torna in Italia ma dopo pochi mesi viene nuovamente accusato per un giro di droga … Anche stavolta Edoardo è innocente, ma deve ammettere la propria tossicodipendenza…
E’ il 1993 e Giovannino Agnelli il figlio di Umberto è diventato grande… E’ un ragazzo simpatico, allegro e preparato.. E’ ora che entri nel Consiglio di Amministrazione… l’anticamera dell’Impero… Lo zio Gianni esulta, ma è solo per poco… La tragedia irrompe di nuovo quasi senza preavviso … Nel 1997 a soli 33 anni Giovannino muore… una malattia che non gli da via di scampo…
L’avvocato ha il viso sempre più tribolato dalle rughe e una bocca amara dove è difficile rintracciare un sorriso… Però ci sono i figli di Margherita… Si chiamano Elkann , ma sostanzialmente John e Lapo sono cresciuti in Fiat dopo averli strappati alla madre… con la quale non parlano da anni..
Dopo la morte di Giovannino, a soli 22 anni John Elkann entra nel Consiglio di Amministrazione .
Edoardo è sempre più in ombra… Ci soffre molto… Vive in una villa di proprietà dei genitori, ma ne occupa solo la portineria… Fa ripensare a Giulia la figlia di Augusto costretta nel suo esilio, in un alloggio di una sola camera…Una fredda mattina di novembre del 2000 Edoardo viene ritrovato morto alla base di un cavalcavia alto più di 70 metri. Sembra si sia gettato dopo aver lasciato l’auto con il motore acceso… L’inchiesta è rapidissima e si chiude in un giorno… E’ suicidio!
Ma dopo qualche tempo cominciano i dubbi… Troppe incongruenze in quella morte… Perché era uscito senza scorta? Perché era vestito a metà con la giacca del pigiama sotto una normale giacca? A che ora è entrato in autostrada? Si dice alle nove del mattino, ma un pastore dice di aver visto il corpo sotto il viadotto alle 8… Come mai una persona che precipita per 70 metri ha ancora le scarpe addosso? Perchè il viso di Edoardo, trovato a faccia in giù non è devastato? A chi dava fastidio Edoardo Agnelli? Qualcuno dice che volevano che rinunciasse ai suoi diritti in Fiat in cambio di un po’ di soldi… E che lui testardamente non avesse accettato… Qualche giorno prima aveva detto a un amico di essere preoccupato… Nel 2008 la televisione manda in onda uno speciale elencando tutti i dubbi e raggruppando testimonianze. Esce anche un libro “Ottanta metri di mistero – La tragica morte di Edoardo Agnelli” Si chiede di riaprire l’inchiesta, ma sembra che nessuno lo voglia fare…
Oggi il potere della Fiat in buona parte è in mano all’ AD Sergio Marchionne… Lui lo nega ma forse porterà via la Fiat dall’Italia… Magari un po’ per volta ora che c’è il partner Chrysler… John Elkann è Presidente, ma sembra solo… Suo fratello Lapo un ragazzo estroverso e pieno di fantasia, che curava l’immagine dell’Azienda se ne è dovuto andare dopo essere finito all’ospedale, in coma, per un overdose… L’ambulanza è arrivata appena in tempo nella casa del trans, dove stava quasi per morire…
La figura gentile di Edoardo con la morte sembra aver acquistato spessore… Ne parlano tutti con rispetto… In qualche modo la morte lo ha ricongiunto alla famiglia…
Si dice che a casa dell’Avvocato si mangiasse sempre poco, ma prodotti di qualità vicino alla terra… Erano piemontesi e molto attaccati alle loro tradizioni… Sicuramente ” Il Camoscio alla Piemontese con la polenta” lo conoscevano bene…
CAMOSCIO ALLA PIEMONTESE CON POLENTA
INGREDIENTI PER IL CAMOSCIO per 6 persone: spalla o petto di camoscio kg 1, burro grammi 120, farina bianca 30 grammi, 1 bicchiere di aceto bianco di qualità, 1 carota, 2 coste di sedano, 2 cipolle, salvia e rosmarino, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva , 1 bicchiere di brodo di carne di manzo, 1 cucchiaino di zucchero, sale e pepe.
INGREDIENTI PER LA POLENTA per 6 persone: faina gialla bramata cioè a trama grossa grammi 500, acqua 1,750 litri, sale q. b.
PREPARAZIONE DEL CAMOSCIO: tagliate il camoscio in pezzi piuttosto grossi, poi adagiateli in un tegame di terracotta, unite la carota affettata, le coste di sedano a pezzetti, un po’ di salvia, un rametto di rosmarino e l’aceto. Lasciate la carne a macerarsi per 24 ore e anche di più, poi affettate le cipolle e fategli prendere colore in una casseruola sul fuoco in 50 grammi di burro,poi unite la farina impastata con 30 grammi di burro e lasciatela dorare, poi aggiungete il brodo e fate cuocere il tutto per 5 minuti. Mettete una padella sul fuoco con il restante burro e l’olio, poi aggiungete i pezzi di camoscio scolati dalla marinara, asciugati e infarinati. Quando il grasso del camoscio si sarà sciolto togliete la carne e mettetela nel tegame delle cipolle, salate e pepate. Terminate la cottura coprendo il tegame e a fuoco basso per circa due ore.
PREPARAZIONE DELLA POLENTA; in una pentola capoiente portate a ebollizione l’acqua e fatevi cadere un po’ per volta a pioggia la farina mescolando ogni con un cucchiaio di legno affinché non si formino grumi; seguitando a rimestarla fatela cuocere per 50 minuti e non meno perché la polenta poco cotta può far male. A fine cottura riversatela su una spianatora di legno e poi tagliatela a fette abbastanza spesse.
COMPOSIZIONE DEL PIATTO: Distribuite 1 o più fette di polenta sul piatto di ciascun commensale, sistemateci sopra il camoscio e poi dopo aver passato al setaccio il sugo di cottura versatelo sulla carne.
“Lui c’era dentro già da tempo, ma in pochi, oltre gli addetti ai lavori, se ne erano accorti! Estro, di sicuro ne aveva e anche spirito di iniziativa, se a 15 anni si era presentato con le sue vignette satiriche in mano, a riviste famose come “Il Travaso delle idee” e “Marc’ Aurelio”. Negli anni ’20 e ’30, dopo aver tentato invano un po’ di mordace satira al regime fascista, quelle popolarissime riviste avevano finito in realtà per esserne completamente asservite. Sarà stato forse perché, nell’immediato dopoguerra annaspavano un po’ in cerca di nuove formule e nuovi autori, non compromessi, che finirono per prendersi le vignette di quel ragazzino… Tanto che a 20 anni lui era diventare un collaboratore fisso del Marc’Aurelio, mentre terminava gli studi di Giurisprudenza…
Indubbiamente un modo un po’ tortuoso per arrivare al Cinema… Ma aveva un gran vantaggio.. Viveva a Roma e non era poi così distante da quei mitici studi di Cinecittà, che dopo il neorealismo duro alla Rossellini, i “Pepli” degli anni ’50 e il Neo – realismo rosa di “Poveri, ma belli”, stava aprendo alla sua più fantastica stagione artistica e commerciale…
“Commedia all’Italiana” è un termine un po’ generico, a ben vedere, un contenitore dove dentro ci si poteva trovare di tutto, ma una base in comune c’era … La satira di costume tutta aderente alla nuova realtà e, un’amarezza di fondo, che si intreccia ai tradizionali contenuti comici della commedia. In quel momento tutto stava cambiando in Italia… Dalle macerie del dopoguerra un agguerrito gruppo di grandi e piccole imprese aveva lanciato il “miracolo economico”… E gli italiani, nel benessere, assorbivano come spugne nuovi comportamenti…
Al cinema, che in Cinecittà trova la sua prima bandiera, avviene un miracolo nel “Miracolo”. Senza voler fare paragoni di poco rispetto, succede un po’ quello che, ad altro livello, era avvenuto per gli artisti del Rinascimento… In confronto il neorealismo era stato portato avanti solo da quattro geni e, per lo più, incompresi, ma per la “Commedia all’Italiana” è già pronta un’intera generazione di grandi interpreti, registi, sceneggiatori, attori, persino tecnici delle luci come Vittorio Storaro… In quel contenitore ci andranno a finire parecchi vizi e poche virtù… Emancipazione femminile e libertà sessuale di sicuro, ma anche corruzione e volgarità come stili diffusi di vita…
Difficile individuare la prima commedia all’italiana… Bagliori e presentimenti c’erano già da parecchio… Per lo più come capostipite si cita ” I Soliti Ignoti” anche se manca l’ambientazione borghese, così cara al genere. E’ una parodia dei “caper movie” con poveri disgraziati a far da comici … Ma sono comici assolutamente nuovi, ben lontani dalla marionetta appesa agli immaginari fili del circo o dell’avanspettacolo, mentre volteggia fra gag, giochi di parole, gesti buffi o nonsense… Ora l’attore ha i dialoghi certi delle sceneggiature fatti di quotidiano e di realtà con riferimenti sociali, chiari al pubblico che li conosce e li vive spesso in prima persona…
Dopo i “Soliti Ignoti” non ci saranno più freni e in poco più di un anno arrivano i grandi successi de “La grande guerra”e “Tutti a casa” dove i ricordi di guerra sono alleggeriti nell’ironia, mentre “Il Vedovo”, diventa il prototipo degli scadenti personaggi infiltrati nella nuova industria..
Lui, Ettore Scola, a Cinecittà c’era già arrivato da parecchi anni e tutta l’esperiena satirica accumulata nel Marc’Aurelio era la manna dal cielo per la novissima commedia, ma sono in pochi ad accorgersi che esiste… Non l’accreditano mai… “In realtà ho iniziato come negretto, scrivendo per altri senza apparire. Avevo dei grandi modelli: Fellini, Amidei, Zavattini, ma scrivevo anche sketch per Totò, Macario, Tino Scotti e Alberto Sordi”… Nel 1954 firma assieme a molti altri la sua prima sceneggiatura ufficiale, “Un americano a Roma” e poi altri film importanti come “Il Sorpasso”, ma alla regia arriva tardi, nel 1964, dopo una lunga gavetta e l’opera non è un successo… “Se permettete parliamo di donne” è un film a episodi dove il protagonista maschile è sempre Vittorio Gassman e le attrici cambiano… “Una serie di barzellette,” lo liquiderà in fretta Tullio Kesich…,
Ma nel 1968 le cose cambiano e travolgente arriva il successo… “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” si ispira a un fumetto di Topolino che assieme a Pippo va a cercare in Africa l’amico Pappo. La commedia punta il dito sul provincialismo arrogante del parvenu, che si muove in Africa col piglio del colonialista dell’800… Certo la recitazione sempre un po’ esasperata di Alberto Sordi lo butta più sul comico che sul satirico, allontanandolo un po’ dagli intenti moralizzatori di Scola contro una società fatua e superficiale, ma il personaggio di Titino – Manfredi, con i suoi imbrogli tutti italiani, l’arte di riciclarsi come stregone e lo struggente ritorno finale nella Tribù, lascia una nuova consapevolezza anche nel prepotente editore… Forse è solo un momento ma vorrebbe anche lui scappare dalla futile “civiltà”…
Dopo, Ettore Scola diventerà uno dei protagonisti assoluti … “Brutti, sporchi, cattivi” è un film pieno di personaggi anche fisicamente sgradevoli… un apologo di come la miseria renda squallidi e cattivi… Scola, fervente comunista aspetta chiaramente il “Sol dell’avvenire” e il riscatto sociale…
«Si – dirà Scola a proposito dei suoi anni ruggenti – io credo che… un certo cinema italiano, è stato molto vicino alla politica…. Ad esempio, quando per “Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca” dovevo girare la scena del comizio, ho preferito aspettare quello del Partito Comunista, e proprio quello di Pietro Ingrao in Piazza San Giovanni a Roma, non solo perché ho sempre percepito nel partito comunista una vicinanza ideale, ma perché ho sempre pensato a Pietro Ingrao, come al politico più vicino ai drammi della povera gente». Oreste ormai ridotto a una larva di disperazione dopo l’abbandono della sua donna, incontra in piazza il segretario della sezione del partito che all’apparizione di Ingrao sul palco, lo conforterà dicendo «Senti Pietro, adesso…dai» e Oreste, fiducioso come davanti a un taumaturgo, risponderà «Si, si, sento Pietro»… E poi, in un impegno senza mediazioni, Scola filmerà i Festival dell’Unità, quando era viva la saldatura fra popolo e politica… Più in là anche “I funerali di Berlinguer,” l’amatissimo capo del partito…
Ma era impietoso e acre verso i compiaciuti intellettuali della sinistra che utilizzavano la cultura per disprezzare e sentirsi superiori… “C’eravamo tanto amati” è del 1974… Forse è prima di tutto un’elegia a Roma, commossa e silenziosa, fra piazze notturne e luoghi poco noti, dove tornano a incontrarsi Gianni, Antonio e Nicola, tre partigiani amici che, che alla fine della guerra si erano divisi. Nicola era andato a insegnare, Antonio a fare il portantino in ospedale, Giann a laurearsi… Solo Antonio era rimasto fedele agli ideali di gioventù mentre Gianni aveva trovato, in vie disoneste, ricchezza e potere, sposando la figlia di un palazzinaro senza scrupoli… Ma gli strali più cattivi Ettore Scola li riserva a Nicola che fra una sconfitta e l’altra era diventato la caricatura dell’intellettuale presuntuoso ” di sinistra,” lontano da ogni visione critica della società, solo farsa retorica di se stesso con sterili e puntigliose polemiche…
In giro per il mondo forse il film di Scola più conosciuto è “Una giornata particolare”, la storia di due esclusioni… Un omosessuale destinato al confino dal regime fascista e una casalinga intristita dalla fatica di vivere… E’ il maggio del 1938, e nel condominio popolare quasi deserto, perché la gente, piena di allegra baldanza, è andata alla parata, echeggia a raffiche, sgradevole e trionfante, la voce della radio che descrive l’arrivo a Roma di Adolf Hitler. Per un momento brevissimo Antonietta e Gabriele si ameranno, in un disperato abbraccio di comprensione reciproca… Poi mentre Gabriele viene portato via dalle guardie che lo scorteranno al confino, Antonietta aspetterà il ritorno della sua famiglia fascista… Ma alla giornata particolare resta un filo di speranza… Antonietta che legge il libro che le ha regalato Gabriele… E’ un’ opera di Alexandre Dumas dove si parla di popolo che prende coscienza…
Era stato fra gli ultimi a partecipare alla Commedia all’Italiana… Sarà anche l’ultimo ad uscirne… ” La Terrazza” del 1982.. è considerato una firma di epilogo… Amara e senza speranze sul fallimento professionale, ma prima ancora morale, di cinque amici che attraversano la crisi di un mondo senza più ideali…
Anche Ettore Scola come gli altri cercherà vie diverse, molte ancora segnate dall’ispirazione e dal successo, come l’affresco corale e storico de “La famiglia” o l’intimissimo “Che ora è” sul difficile dialogo figli – genitori, con una scrittura affascinante che appartiene al miglior Scola sceneggiatore… poi comincerà a diradare il suo lavoro… C’è un commosso ritorno alla sua città nel documentario “Gente di Roma” e poi quasi dieci anni di silenzio…
Poco tempo fa Scola, con quel suo sorriso dagli occhi tristi confessava di non avere più idee, anzi precisava “le idee ci sarebbero, ma non hanno più niente a che fare con il cinema.” e invece non era vero niente! Al cinema sta tornando… S’intitolerà “Che strano chiamarsi Federico!” e sarà un cercare Fellini a 20 anni dalla sua morte… racconterà tutta la ricchezza del cinema felliniano e sarà un collage di immagini di repertorio, momenti e ricordi sparsi… Si erano conosciuti ai tempi del Marc’Aurelio, un’amicizia mantenuta intatta… Per anni si erano divertiti a farsi visita sui rispettivi set … In “C’eravamo tanto amati” Scola aveva voluto inserire nella sua Roma notturna, Federico mentre girava “La dolce vita” a Fontana di Trevi…
Ci possono essere tanti modi per portare avanti un’amicizia, ma Scola ha dovuto sciegliere l’unico che oggi gli è stato possibile…
Spesso si mangia nei film di Scola… Per esempio all’inizio de “La Terrazza,” la padrona di casa richiama gli amici sparsi… “In tavola è pronto”… Ma forse la scena più graffiante è quella di Elide,in “C’eravamo tanto amati,” abbligata dal marito a mangiare solo insalata scondita e un uovo sodo, di fronte agli altri che affondano la forchetta in un celebrato, ricco, piatto romano, che poi a benvedere proprio romano non è…
I “Bucatini alla Matriciana” come li chiamano a Roma o forse più correttamente “all’ Amatriciana,” nascono, come dice il nome, in quel di Amatrice, un paese del Lazio quasi di montagna, da cui già si scorgono le grandi montagne d’Abruzzo… La ricetta è antica ma la diatriba se si debba utilizzare aglio o cipolla seguita negli anni a schierare opposte fazioni… Però, trattandosi di un vecchio piatto, nato sui monti, siamo propensi a credere che la ricetta originaria impiegasse l’aglio, perché la cipolla richiede un territorio di pianura… Forse anche il pomodoro é un’ aggiunta posteriore… Quella che segue è la nostra scelta, con la possibilità ovviamente di qualche variante secondo i gusti… Qualcuno, per non far torto a nessuno, fa addirittura un mix fra aglio e cipolla!
BUCATINI ALLA MATRICIANA
INGREDIENTI per 4 persone: bucatini grammi 400, guanciale (senza cotenna, di montagna, poco salato e ben stagionato) grammi 160, pecorino romano grattugiato grammi 80, 2 spicchi di aglio, sale, pepe e 1 peperoncino secco sbriciolato, 400 grammi di pomodorini piccoli rossi, preferibilmente quelli che colti freschi vengono fatti appassire in un mazzo appeso a un gancio.
PREPARAZIONE: Ponete sul fuoco una pentola con 4 litri di acqua e 4 cucchiaini di sale fino. Tagliate a tocchetti il guanciale che poi metterete in una padella già calda e appena unta di olio. Quando il guanciale comincerà a rilasciare il suo grasso, aggiungete gli spicchi d’aglio tagliati a metà e il peperoncino. Rosolate il tutto molto dolcemente sino a quando il guanciale diventi croccante. Poi con un mestolo traforato togliete dalla padella guanciale e aglio e mettete i pomodorini lavati e spaccati. Fateli cuocere per un massimo di 7 o 8 minuti, perché va conservato il loro sapore fresco. Nel frattempo avrete lessato i bucatini in acqua bollente, scolandoli ancora al dente. Nel piatto di portata conditeli col sugo, aggiungete il guanciale e l’aglio, quest’ultimo se piace, altrimenti buttatelo via perché comunque ha già rilasciato il suo sapore nel sugo. Spolverizzateli di pecorino e pepe e serviteli caldi.
Stabilimenti Penali di Pianosa, 26 febbraio 1933 “Mamma… Con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me….Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede che è tutta la mia vita… Non ho mai chiesto pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché dunque propormi un così vergognoso mercato?…”
Stabilimenti Penali di Pianosa 23 febbraio 1933 – “A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale – La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico Sandro Pertini”
“Io lasciai l’Italia nel 1926.La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze,quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un paese di violenti, gli anni ’20 furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti… Questo non è stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il 1 maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale… Perché ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: Sotto il barbaro dominio fascista. Ho vissuto i miei 20 anni così e non me ne pento.”
Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge alla cattura scappando a Milano. Da lì organizza la fuga di Filippo Turati, il grande leader del socialismo in pericolo. Tornano assieme a Savona dove li aspettano Ferruccio Parri, Adriano Olivetti e Carlo Rosselli… Anche Pertini deve andarsene… Li porteranno con un motoscafo in Corsica…”Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino Verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino Verde c’era il ristorante “I pesci vivi”… Passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”…
Mentre gli amici che li hanno aiutati, a eccezione di Olivetti, finiscono tutti in carcere, Pertini in Francia resiste poco più di due anni. Duro e orgoglioso rifiuta l’aiuto di Turati e trova lavoro come muratore, lavavetri di taxi e comparsa cinematografica. Non ha la minima difficoltà a svolgere lavori umili, ma si sente troppo frustrato e inutile, anche se a Nizza mette su una radio clandestina per mantenersi in corrispondenza con i compagni…A marzo del 1929 torna in Italia con un passaporto falso, intestato allo svizzero Luigi Roncaglia. Ha grandi idee, prima fra tutte quella di ammazzare Mussolini, proprio mentre parla dal balcone di Piazza Venezia… Ma i sotterranei sono sorvegliati e bisogna cercare un’ alternativa…
A Pisa mentre sta ancora lavorando all’attentato viene arrestato… La sua libertà è durata meno di un mese… Al processo non si difende perché non riconosce l’autorità del Tribunale. A novembre del 1929 arriva la condanna a quasi 11 anni di carcere… Mentre il giudice legge la sentenza lui grida “Viva il Socialismo, abbasso il Fascismo”
Nel carcere di Santo Stefano, le condizioni sono durissime … Ci rimane quasi due anni e si ammala di tubercolosi.” … Improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l’inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne…”
Lo trasferiscono al carcere di Turi dove praticamente mandavano tutti quelli a cui avevano rovinato la salute… C’é anche Gramsci e nasce una grande amicizia. Pertini che per sè non chiede niente riuscirà, minacciando ricorsi, a non farlo più svegliare di notte dalle guardie che, sadicamente battono sulle sbarre appena vedono che chiude gli occhi… Poi otterrà che gli diano delle matite e dei block notes, una sedia, un tavolino… Ed è in questo modo che ci sono arrivati “I quaderni dal Carcere”. Quando tanti anni dopo uno dei ragazzi che lui tutti i giorni riceveva al Quirinale, gli chiederà il ricordo della persona a lui più cara in quegli anni di prigionia, risponderà senza esitazioni Antonio Gramsci.
Dopo circa un anno cambia di nuovo carcere… A Pianosa le sue condizioni di salute si aggravano ed è allora che sua madre firma la domanda di grazia che lui rifiuta sdegnosamente.. “E’ giusto dire che non fui il solo,” e ricordava diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte lo avevano permesso alle proprie famiglie. E poi aggiungeva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…”
Nel 1934 esce dal carcere per essere inviato al confino… dove inviavano i dissidenti con reati minori o anche senza reati… Sono liberi ma non possono uscire dalla località in cui appunto sono stati… “confinati.” Quando nel 1936 scopppia la Guerra di Spagna però le condizioni dei confinati peggiorano… Pertini protesta e viene denunciato… Avrà un altro processo, viene assolto ma resterà al confino a Ventotene fino al 1940, quando la sua pena scade e dovrebbe tornare a casa…
Ma interviene Mussolini… Ordinanza della prefettura di Littoria del 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.
Nel 1941 riesce a incontrare finalmente la madre a Savona… “Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente… Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Al mattino vennero a prendermi per ricondurmi a Ventotene. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto… Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
A Ventotene c’è un famigerato poliziotto come direttore, Marcello Guida… Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che ha come esito quello di rendere le condizioni dei confinati ancora più dure… Pertini è ritenuto un provocatore …
Nel 1969 dopo la strage di Piazza Fontana, il Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini si recò a Milano per rendere omaggio alle vittime dell’attentato e si incontrò faccia a faccia con Marcello Guida. Aveva fatto carriera ed era diventato Questore di Milano… Sandro Pertini si rifiutò di stringergli la mano e si girò dall’altra parte… Forse in cuor suo pensò ancora una volta che Togliatti aveva sbagliato a non consentire, dopo la guerra, l’epurazione dei funzionari fascisti dalla Pubblica Amministrazioni…
Quando il 26 lugglio 1943 cade il fascismo gli 8oo confinati di Ventotene non hanno nemmeno più la forza di esultare….Pertini va da Guida che siede terrorizzato dietro la scrivania… La foto del Duce è già stata rimossa… Pertini sarà liberato per primo e da Roma comincia la battaglia burocratica per liberare anche gli altri… Rivedrà anche sua madre… e sarà l’ultima volta mentre il sogno di libertà si infrange subito dopo… A settembre è a Roma, a Porta San Paolo a sparare contro i tedeschi che stanno occupando militarmente la città… Poi gli daranno la Medaglia d’oro, ma intanto i nazisti riescono a entrare in città. Due mesi di clandestinità e viene nuovamente arrestato assieme a Giuseppe Saragat… Sono due Presidenti della repubblica”in pectore”, ma per il momento finiscono in carcere a Regina Coeli… e ci vuol poco a condannarli a morte… Bisogna organizzare la loro fuga… Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli hanno ancora la carta intestata del Tribunale Militare di cui erano stati giudici fino all’8 settembre… Scriveranno un perfetto ordine di scarcerazione con tutti i timbri a posto… Ma Pertini riesce a complicare le cose… Non basta che facciano uscire lui e Saragat… Debbono liberare anche i loro compagni di cella… 4 ufficiali del breve governo di Badoglio… Alla richiesta si gettano tutti nel panico mentre Pietro Nenni, il Segretario del Partito Socialista si infuria… “Se è così allora fate uscire solo Peppino (Saragat)… Tanto Pertini a stare in carcere ci è abituato… ” Naturalmente l’ebbe vinta lui, ci rideva ancora, quando nel 1973, lo raccontò durante un’intervista a Oriana Fallaci..
Raggiunge Milano nel maggio del 1944 sull’auto di un amico. L’atmosfera è pesante e la pace lontana.. Milano è teatro degli attentati dei Gap e delle rappresaglie tedesche. Lui da clandestino viaggia in tutto il settentrione per organizzazione la stampa clandestina socialista …Ma appena Roma è liberata Pietro Nenni lo richiama… Lui non riuscirà a tornare tanto facilmente. Da Prato a Firenze le la farà a piedi appena in tempo per prendere parte all’ insurrezione della città, l’8 agosto… Da una tipografia fa uscire un numero dell’ “AVANTI !”.
Arrivato a Roma ci resta poco… Chiede di tornare a Milano come Segretario del Partito Socialista per tutta l’Italia occupata e come membro del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia
Alle 8 del mattino del 25 aprile, del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L’esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI ” I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. “(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)
Lo stesso giorno Mussolini tenta una mediazione per una resa onorevole tramite l’Arcivescovo di Milano, presso cui si recherà lo stesso Mussolini e i Membri del CNLAI. Sarà l’unica volta che Sandro Pertini vedrà il Duce… Ma non lo riconosce … Lui avvisato in ritardo sta salendo le scale dell’Arcivescovado quando vede un gruppo di persone che scende. In mezzo a loro c’è uno con la faccia emaciata, livida e distrutta. Quando entra e capisce chi era l’uomo Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini…” Il Duce si è preso qualche ora per riflettere gli risposero… Pertini dalla rabbia sembrava uscito pazzo.. e chiede subito che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, venga consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati come prevedeva l’armistizio firmato dal Re… Mussolini invece stava in quel momento già fuggendo e quando i partigiani lo ritrovarono l’ammazzarono senza consegnarlo, né agli alleati né al Tribunale del popolo, in uno di quei misteri italiani di cui poco si è capito… Pertini amaramente commentò “L’insurrezione è disonorata”.
Da allora Pertini diventò uno dei Padri della Patria… Mentre trovò il tempo di sposarsi con Carla Voltolina,la fiera staffetta partigiana che aveva conosciuto al Nord, divenne Segretario del Partito Socialista e poi Membro dell’Assemblea Costituente, Senatore Deputato e poi Presidente della Camera per due Legislature … Andava sempre un po’ controcorrente e in parecchi lo criticarono come quando da presidente della Camera vietò ai parlamentari democristiani di mostrare il loro voto, che doveva essere segreto, ai notabili del loro partito… ” Non mi meraviglia niente… ( L’avevano accusato di essere un po’ squilibrato)- disse in un intervista – So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… Voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un’ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo… “
l’8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana. Furono anni durissimi e tuttavia riuscì a fare della figura del Presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano. I cittadini si riavvicinarono alle istituzioni, mentre imperversava il terrorismo degli anni di piombo…
Per un certo periodo Pertini diventò “Il presidente dei funerali di stato”: fu al funerale del sindacalista Guido Rossa, davanti a 250.000 persone, che sferrò il più duro attacco alle Brigate Rosse… Era stato avvisato che nell’ambiente del porto di Genova c’era chi simpatizzava con le BR … Lui entrò in un garage pieno di gente e disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.
Sensa parlare del terremoto dell’Irpina, in cui dopo due giorni lanciò il suo grido desolato agli inconcludenti poteri dello Stato “Fate presto.” Erano morte quasi tremila persone e le autorità erano allo sbando. Lui li denunciò pubblicamente in televisione e a reti unificate …. Sottolineò la scarsità e l’inadeguatezza delle norme in materia di protezione civile nella prevenzione e in emergenza, denunciò la mancanza di un organo di coordinamento nelle calamità e ancor prima che accadessero, i tentativi di quelli che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel terremoto del Belice. Dopo quell’appello disperato l’Italia ebbe una Protezione Civile che per parecchi anni fu riconosciuta come una delle migliori di tutto il Mondo…
I ragazzi li adorava… Lui si era sposato tardi … di figli suoi non ne aveva… ma in qualche modo fu il padre di tutti i ragazzi… Bisogna ogni tanto rivedere come si rivolgeva a loro… completamente alla pari senza far pesare né carica, né anzianità…
Lottò con tutte le sue forze contro la mafia difendendo l’estraneità delle popolazioni che la subivano, quando tutti in modo più o meno sottile volevano parlare di collusione dei cittadini…
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita del Paese fu una grossa novità, quasi al limite dei poteri costituzionali… E per capirlo bisognava entrare nella sua ottica : “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale,come non vi può essere giustizia sociale senza libertà” Se chi, di dovere, se ne dimenticava, interveniva il Presidente della Repubblica… Sicuramente ha dato fastidio a tanti, ma è stato il Presidente più amato dagli italiani..
Quando da Presidente riusciva ad andare a Savona, se ne andava sempre a mangiare il pesce, pretendendo, come al solito, di pagarlo di tasca sua anche agli uomini del seguito… Doveva compensare quella cena mancata, quando raccontò ai carabinieri che stava andando al ristorante “I pesci vivi” e invece stava scappando dall’Italia inseguito da un mandato di cattura…
Il Ciupin è una zuppa di pesce tipica della Riviera. Una volta era proprio il piatto dei poveri che si preparava con i pesci di scarto o avanzati… Ma ora invecealici e sardine sono considerati pesci di grande appeal, per tutte le proprietà di benessere che assicurano a chi ne mangia regolarmente…
CIUPIN
INGREDIENTI per 6 persone: 3 etti di alici,3 etti di sarde, 5 etti complessivamente di triglie di scoglio, 2 etti di pannocchie e/ o gamberi di media grandezza, 1 manciata di vongole e 1 di cozze 2 etti di seppie tagliate a striscioline, 6 pesci da scoglio,di proporzione riferita a una singola persona, tipo scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo a pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 cipolla tritata finemente, 2 spicchi di aglio, 4 pomodori maturi spellati e tagliati a pezzi,1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, sale e pepe e a chi piace anche un po’ di peperoncino, 12 fette di pane abbrustolito, 3 acciughe salate.
PREPARAZIONE: occorre 1 pentola e 1 ampio tegame,un passaverdure,un colino a maglie strette e uno schiacciapatate.
Mettete nella pentola un trito composto di metà dell’aglio e della cipolla e dell’olio, le due aggiughe salate tritate e fate imbiondire su fiamma media. Aggiungete le alici,le sarde e le triglie di scoglio a cui avrete tolto le lische e girate delicatamente per poi aggiungere 1 litro d’acqua e far bollire lentamente.
Nel tegame mettete un trito composto del restante aglio e cipolla, e fate colorire nell’olio di oliva, poi aggiungete i pomodori, le seppie e fate assorbire i liquidi. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino, fate evaporare e infine aggiungete i crostacei. Infine versate il resto del vino e fate evaporare. Infine aggiungete 1 litro di acqua e fate bollire per 15 minuti. pane,Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente di peperoncino. Le cozze e le vongole preventivamente pulite e fatte aprire sul fuoco, in un’altra padella con poca acqua, le terrete a parte.
Riprendete la pentola e con una frusta elettrica amalgamate l’intero contenuto riducendo il tutto a poltiglia, passatela nel passaverdure e poi filtratela nel colino, recuperate il contenuto residuo del passaverdura,inumiditelo con un po’ di brodo della pentola e ricavatene tutto ciò che è possibile con lo schiacciapatate. Aggiungete nel tegame il brodo ricavato dagli ingredienti della pentola e fate evaporare su fiamma media sino ad ottenere un brodetto consistente. Aggiungete i 6 da singola porzione, far bollire per 5 minuti e spolverate con il prezzemolo. Se fra i vari pesci c’è il grongo inseritelo nel tegame 5 minuti prima degli altri.
Per preparare i singoli piatti appoggiate sul fondo le fette di pane, aggiungete 1 pesce da singola porzione su ciascun piatto, decorate con qualche cozza o vongola ancora nel loro guscio tenute da parte, coprite con il brodetto e un filo di olio.
“Il fiume Missouri e gli indiani che lo abitano, non sono conosciuti abbastanza, come sarebbe invece richiesto dai rapporti che abbiamo con essi… Un ufficiale capace, con 10 o 12 uomini scelti, potrebbe esplorare l’intera regione… sino all’Oceano Pacifico “… Con un messaggio del tutto informale al Congresso degli Stati Uniti, il Presidente Thomas Jefferson cominciava a rendere pubblico il progetto sul quale stava lavorando da un anno e mezzo…. All’inizio erano state solo voci prive di conferma, poi il quadro si era fatto più chiaro…. La Spagna stava restituendo l’ immenso territorio della Louisiana alla Francia… Agli Stati Uniti, nelle dinamiche del passaggio, sarebbe bastato poter mettere le mani su New Orleans, per avere uno sbocco nel Golfo del Messico, tutto in mano agli spagnoli … Ma altro che New Orleans… Napoleone si voleva dar via l’intero territorio della Louisiana… Questo riferì da Parigi l’ambasciatore Americano…Di un territorio malsano, male occupato e contrastato Bonaparte non sapeva che farsene … Preferiva i soldi, per finanziarsi quelle spaventose guerre che avrebbero messo l’Europa in ginocchio… ai suoi piedi. E per Napoleone, poi, ampliare il nuovo Stato Americano significava indebolire gli odiatissimi inglesi, mettendo a dura prova la loro supremazia nel continente Nord Americano…
15 milioni di dollari e ad Aprile del 1803 il Trattato di Trasferimento della Louisiana agli Stati Uniti era cosa fatta… A giugno il Presidente Jefferson dava l’incarico al Capitano Meriwether Lewis di andare a esplorare quello sconosciuto territorio di cui l’ultima parte, l’Oregon sembrava ancora terra di nessuno… “L’obiettivo della vostra missione è quello di esplorare il fiume Missouri, le sue principali correnti, il suo corso e lo sbocco nell’Oceano Pacifico e verificare se il Columbia, l’Oregon o il Colorado o qualunque altro corso d’acqua possano offrire vie di comunicazione più dirette, attraverso l’intero continente, al fine di agevolare o rendere praticabili i commerci…”
Lewis era un “giovin signore”della Virginia, figlio di piantagioni, nell’esercito per un po’ di avventura e da un paio d’anni Segretario particolare del Presidente… Sapeva di botanica, astronomia e altre scienze naturali… Tutto ciò che l’Illuminismo chiedeva di conoscere ai suoi figli migliori… Era anche un pò depresso, ma fu capace di scegliere il suo compagno… Il Capitano William Clark era anch’egli un Virginiano D.O.C, buona istruzione, eccellente cartografo, un gran senso pratico e voglia di comunicare… Aveva simpatia per gli indiani che durante la spedizione lo chiamavano familiarmente “Il capo Testa Rossa” e lo rispettavano…
Si fa presto a dire Ovest, ma il viaggio andava preparato… “Acquistai le cose più disparate, racconta Lewis, dagli strumenti per la navigazione agli oggetti da regalare agli indiani, dai vestiti alle munizioni, dal cibo all’attrezzatura per gli accampamenti, dal tabacco alle medicine…” Clark lo aveva preceduto partendo da St Louis … a San Charles si riunirono. Alti quasi due metri, volti abbronzati, abiti di pelle, lunghe giacche sfrangiate e cappelli di castoro… Certo non lo potevano sapere, ma erano già entrati in un film western…. Anche degli indiani sapevano poco… Si diceva che fossero i discendenti di una qualche tribù di Israele e alcuni, forse, addirittura di origine gallese… Gli Americani erano persino disposti ad assimilarli… se appena si fossero un po’ civilizzati…
Non fu un ‘inizio entusiasmante quando finalmente salparono nel mese di maggio del 1804… Le rive del Missouri erano desolate…Le zanzare una tortura… Si sparsero di grasso dalla testa ai piedi… Enormi banchi di sabbia ostacolavano la navigazione, un po’ a vela, un po’ a remi, un po’ con le funi che dalla riva trascinavano il barcone “ammiraglio” lungo 17 metri e due piroghe… Poi arrivarono i bisonti… Attraversavano il fiume da una “grande prateria” all’altra ed erano talmente tanti che ogni mandria fermava la spedizione per più di un’ora…
Gli indiani per quasi due mesi non li videro e, alle prime tribù che incontrarono, Oto e Missouri, parlarono con enfasi e ingenuità del Grande Padre che stava a Washington tutto diverso da quei violenti e traditori inglesi e francesi…. Quindi offrirono loro medagliette e bandierine per farli sentire parte della grande nazione americana… Ma Little Thief e Big Horse, i capi tribù già smaliziati dal passaggio dei commercianti bianchi di pellicce , chiesero invece solo whiskey e fucili e se ne andarono via parecchio scontenti… Con i Sioux Teton del Nord a momenti arrivarono allo scontro… I Teton controllavano i commerci sul Missouri e c’era il timore che gli americani li soppiantassero e riempissero di fucili i loro nemici Mandan e Hidatsa… C ‘era già in questa prima spedizione, l’avvisaglia di guerra che tormentò tutto l’800. Indubbiamente i due capitani poco capirono dei nativi… Del resto non era facile… Era anche per gli indiani un tempo di rapida evoluzione e le epidemie di vaiolo portate dai bianchi avevano stravolto le antiche gerarchie, lasciando qua e là vuoti di potere riempiti da nuovi capi emergenti…Finalmente Lewis e Clark arrivarono nel territorio dei Mandan e lì svernarono… Al loro arrivo vi erano solo cinque villaggi, due Mandan e tre Hidatsa che si stavano proprio allora riprendendo dopo la catastrofe delle epidemie. In uno di questi villaggi,un miglio più a nord, sul grande fiume, viveva il commerciante francese della North West Company, Toussaint Charbonneau con le sue mogli indiane…
Charbonneau si era offerto come interprete… Conosceva la lingua hidatsa e il francese che un membro della spedizione poi traduceva in inglese ai due capitani… In quel territorio era stato sufficiente,… Ma ora bisognava attraversare le Montagne Roocciose e anche il percorso linguistico si complicava… Lì c’erano gli Shoshone e l’interprete principale diventava Sacagawea, una Shoshone rapita circa 5 anni prima dagli Hidatsa e poi comprata o guadagnata al gioco da Charbonneau, Lui ne aveva fatto una delle mogli… Lei avrebbe potuto tradurre in Hidatsa a suo marito che poi avrebbe tradotto in francese…
Quando lasciarono Fort Mandan era ormai il mese di Aprile del 1805… Avevano dovuto costruire sei piccole canoe perché da quel punto in poi il fiume era più stretto… Sacagawea invece aveva cucito uno zaino da mettersi sulle spalle per il suo bambino nato a febbraio… Il 4 di maggio la barca su cui era Sacagawea quasi si capovolse… Mentre il marito mostrava tutta la sua inettitudine lei da sola recuperò gli oggetti scaraventati fuori bordo…C’erano molte cose importanti, strumenti e i diari di bordo dei capitani… A giugno però si ammala … Clark e Lewis hanno ormai capito quanto lei sia importante e la curano con la massima attenzione, mentre il marito seguita, durante il giorno, a caricarla di pesi…
All’improvviso si trovarono di fronte le “Great Falls.” Per oltre 15 chilometri il Missouri precipitava… Caricarono le barche e i bagagli su carretti improvvisati e li portarono su per le colline.. Quasi un mese per trasportare tutto e comunque quando arrivarono in vista delle Montagne Rocciose avevano anche raggiunto le sorgenti del Missouri. Dovettero abbandonare le barche…Le informazioni ricevute prima di partire non corrispond evano … C’era ancora tanto da andare… E a piedi, senza cavalli le Montagne Rocciose non le avrebbero mai superate. Sembrava non ci fosse più acqua nel “Passaggio a Nord Ovest” … Sacagawea li tranquillizza… Si farà dare i cavalli dalla sua tribù e arriveranno al Pacifico…
28 luglio, dal Diario di Clark…”Il nostro campo è proprio sul posto dove gli indiani Shoshone erano accampati al momento in cui videro i Minnetares ( Hidatsa) cinque anni prima, che si dirigevano contro di loro… Si ritirarono in fretta per circa tre miglia fino al fiume Jefferson e si nascosero nei boschi, ma furono inseguiti e attaccati… Furono uccisi 4 uomini, 4 donne, un certo numero di ragazzi, poi presero prigionieri tutte le bambine e quattro maschi, Sacagawea era una delle prigioniere….” Clark annota nel suo diario il racconto di quella terribile giornata che gli va facendo Sacagawea e poi aggiunge “Lei non mostra alcuna emozione di dolore nel ricordare la cattura e neanche gioia nel tornare al suo paese natale… Io penso che se ha abbastanza da mangiare e qualche ornamento da mettere sul vestito sia perfettamente soddisfatta in qualunque posto …”
Ma il 17 agosto, mentre seguitano a viaggiare nel territorio degli Shoshone si deve ricredere. “Sacagawea, che era con il marito 100 metri più avanti, ha cominciato a ballare e a mostrare tutti i segni della gioia più straordinaria, girando intorno a lui e indicando diversi indiani, che ora si cominciavano a vedere mentre avanzavano a cavallo… Lei, col linguaggio dei gesti, si succhiava le dita per indicare che erano della sua tribù nativa.
“Lei entrò nella tenda, si sedette e cominciò a fare da interprete, quando nella persona di Cameahwai, il Capo degli Shoshone, riconobbe suo fratello.. Immediatamente balzò in piedi, corse e lo abbracciò, gettando su di lui la sua coperta e piangendo copiosamente.”
Ebbero i loro cavalli, ma dovettero dare i fucili agli Shoshone… Erano poveri e non sapevano come difendersi… Dopo le montagne rocciose ripresero a navigare… stavolta era il Columbia … Strada facendo Sacagawea sacrificò la sua bellissima cintura di cui si era invaghito un indiano… Era l’unico modo per avere le pellicce di foca che Lewis e Clark volevano portare in dono al Presidente Jefferson… Finalmente il 7 Novembre 1805, dopo circa 6000 km il Capitano Clark scrisse sul suo diario: “ Grande gioia nel campeggiare in prossimità dell’Oceano”…Sacagawea volle andare con il primo gruppo e per la prima volta rivelò se stessa “Ho fatto tutta questa strada per vedere le grandi acque, ora voglio andare subito… C’è la carcassa di una grande balena sulla riva… se tardo forse non riesco a vederla” Aveva diciassette anni e nessuno le aveva mai insegnato nulla, ma aveva gli stessi interessi e la stessa curiosità di uno scienziato…
Era ormai inverno e piantarono il campo a Fort Clatsop. A primavera cominciarono il viaggio di ritorno e i due capitani si divisero per un tratto…
15 luglio 1806… Dal Diario di Clark “Sacagawea ha riconosciuto un territorio che aveva attraversato da bambina con la sua tribù Shoshone…Mentre io sto valutando i sentieri più adatti per attraversare le montagne, la donna indiana che è è stata di grande aiuto come guida attraverso il paese, mi indica un valico più a sud … Passeremo di lì.” Più tardi quel valico fu chiamato Bozenam Pass e fu scelto come miglior luogo dove far passare la Northern Pacific Railway.
Non trovarono l’intera rotta fluviale, ma scoprirono cinque passaggi attraverso le Montagne Rocciose e fornirono un documento eccezionale sulla natura e le ricchezze dei nuovi territori… Mentre tornavano verso St Louis incrociarono i primi barconi in partenza che seguivano la rotta da loro individuata…
Clark visse a lungo pieno di onori e adottò il bambino di Sacagawea… Studi all’estero, incarichi… Ne fece quasi un Virginiano… Lewis non ce la fece nonostante l’incarico di Governatore della Luisiana… Era sempre più depresso e beveva… Si suicidò pochi anni dopo mentre stava andando a trovare il suo amico Presidente… Lei invece, trascurata dalla cronaca, entrò nel mito… Forse morì giovane o forse vecchissima… Qualcuno dice che lasciò il suo stupidissimo marito e si risposò… Forse ebbe una bambina Lisette, ma non è sicuro… Quasi certo che Clark se ne fosse innamorato… l’ammirava troppo… Oggi è la donna americana che ha più statue e più monumenti in tutta l’America, strade,montagne, passi di montagna si chiamano Sacagawea… Qualche anno fa il Presidente Clinton l’ha nominata Sergente degli Stati Uniti e le hanno dedicato una moneta da 1 dollaro dove è ritratta con il suo bambino sulle spalle… Peccato che fra tante immagini di Lewis e Clark non ce ne sia nemmeno una di lei… Almeno c’è da augurarsi che sia stata anche un po’ felice….
In alcuni tratti della spedizione la mancanza di cibo fu uno dei problemi principali… Quando si ridussero a mangiare del vecchio mais, Sacagawea trovò per loro dei carciofi… Insegnò a Lewis il valore nutritivo di certe radici e della liquerizia. Difficile sapere come li cucinò quei carciofi… Per questo abbiamo scelto una ricetta semplice… Con qualche erba e molto sapore… Non saranno quelli di Sacagawea, ma di sicuro sono buoni.
CARCIOFI ALLA MENTA
INGREDIENTI per 4 persone: 8 carciofi, 4 spicchi di aglio, menta fresca, olio extra vergine di oliva, 2 limoni, sale.
PREPARAZIONE: Lasciate attaccato un pezzo di gambo ai carciofi, poi iniziate a pulirli togliendo loro le prime foglie più dure, poi tagliate di netto la cima con un coltello affilato e rigirate subito dopo il coltello attorno alla sommità, come si fa quando si sbuccia un’arancia, in modo da portar via la parte superiore delle foglie, che è sempre la più dura. Sbucciate anche il gambo e passate su tutta la superficie dei carciofi la metà di un limone tagliato in modo da evitare l’annerimento. Poi aprite delicatamente il carciofo, asportate l’eventuale peluria che si può formare all’interno e inserite in ciascun carciofo 1/2 spicchio di aglio, qualche foglia di menta, salate e richiudete la sommità. Poi fate scaldare in un tegame l’olio, aggiungete i carciofi a testa in giù e copriteli a metà con l’acqua, inserite nel tegame qualche spicchio di limone e qualche foglia di menta, incoperchiate e fate cuocere per circa 25 minuti, finché l’acqua non sia completamente assorbita.
Nel 1920 c’era già clima di restaurazione. Una monarchia delegittimata tornava a sedere sul trono d’Ungheria e il Governo provvisorio era guidato dal conservatoreo Horthy… E poichè spesso niente è più duraturo del provvisorio, lui ebbe molto tempo per imprimere il pugno della reazione contro tutti quelli che si impegnavano per un’ impossibile democrazia. Rischiò di cadere nella trappola un giovane di sinistra, di origini ebree che trovò opportuno rifugiarsi in in fretta a Berlino. Sperava di poter scrivere, ma trovò da fare solo il fattorino per un’agenzia fotografica… Qualcuno si accorse che era dotato e cominciarono ad affidargli qualche servizio… Una volta lo mandarono anche all’estero… Ma mentre Endre Ernő Friedmann affrontava il suo noviziato, l’ascesa di Hitler era diventata irresistibile…
Iniziato così male quel funesto anno 1933, Il giovane Friedmann scappò a Parigi… La vita degli esuli e dei fuggitivi raramente è facile, per lui fu difficile fare il lavoro free lance… Ma Parigi almeno un pò di magia, in fondo non la fa mancare a nessuno, e a lui fece incontrare l’amore… Una giovane fotoreporter anche lei in fuga dalla Germania… Una vampata d’amore, giovane, allegra e spensierata..Ma un sentimento così forte che, quando lui morì, più di20 anni dopo nel portafogli aveva ancora la foto di quella scatenata, bellissima ragazza che era passata nella sua vita come una meteora. Visto che il lavoro non arrivava fu lei, Gerda Taro a convincerlo a inviare ai giornali, le foto di Friedmann, facendole passare per quelle di un fantomatico e famoso fotografo… Robert Capa, nome un pò esotico e un po’più comprensibile, che provocò una favorevole assonanza con il nome del famoso regista Frank Capra…
Quando scoppiò la guerra di Spagna partirono insieme con la voglia di documentare il riscatto della Repubblica…E un modo nuovo di rappresentare la guerra… Raramente una guerra era stata prima documentata nelle sue mille sfaccettature e così dal centro della linea di fuoco. Lavoravano fianco a fianco, insoliti reporter di guerra che prendevano immagini doppie, dai loro rispettivi punti di vista, con l’occhio sempre più attento e partecipe alla disperazione del popolo, al pianto di un bambino, alle madri in fuga.. Nel 1936, Capa diviene famoso in tutto il mondo per la foto del soldato colpito a morte da un proiettile franchista. . . Fu pubblicata, sulla rivista VU, poi su Life, sulPicture Post e poi migliaia di altre volte. Il soldato in primo piano che cade col le braccia spalancate e il fucile ancora in mano, fa capire a quale distanza ravvicinata dalla battaglia fosse Robert Capa mentre scattava… Provarono a contestargli la foto, parlarono di scena preparata ad arte e lui rispose amaramente “Per scattare foto in Spagna non servono trucchi, non occorre mettere in posa. Le immagini sono lì, basta scattarle. La miglior foto, la miglior propaganda, è la verità.”
Lei era nota fra i soldati … aveva una bellezza e una simpatia che non passavano inosservate… E se la ritrovavano sempre in prima linea … Quello della battaglia di Brunette fu per lei un reportage eccezionale… Fotografò tutto dal principio alla fine. Pareva che i repubblicani potessero vincere …E poi invece dovettero scappare sotto il fuoco di un bombardamento eccezionale…. Gerda era sul predellino di un ‘auto, un carro armato nel fare retromarcia la fece a pezzi… Capa quei giorni era a Parigi a portare foto alle Agenzie…
Nel 1938 alcuni tra i loro scatti più commoventi furono riuniti nel volume “Death in the Making”… Lui l ‘avrebbe voluta sposare e questa fu invece l’unica cosa…
Da quel momento fu senza pace e prese a rincorrere le guerre… Che allora non mancavano… Andò a cercare il conflitto Cino Giapponese… Quel preludio di seconda guerra mondiale… Ma tornò in Spagna per fotografare la disperazione della resa di Barcellona… Poi, quando arrivò il 1939 scappo’ dall’Europa… Hitler avanzava e lui non aveva più spazi per sfuggirlo. Molte foto della Guerra civile spagnola forse le lasciò a Parigi,comunque sembravano perse per sempre e invece riemersero come nella soluzione di un intrigo internazionale a Città del Messico in quella che é diventata la leggendaria “Valigia Messicana” nello stesso ordine in cui le aveva riposte Capa.
La seconda guerra mondiale … Niente sembrava fermarlo. Veniva dalla Tunisia e sulla Sicilia discese in paracadute, ma finì su un albero e ci restò una notte e un giorno… Ma il reportage dello sbarco Anglo – Americano i fu eccezionale Dalla Sicilia comincerà ascrivere “Slightly out of focus” il suo diario di guerra dal 1942 al 1945…Una soggettiva incisiva per raccontare il vuoto e l’angoscia dei combattimenti… Non amava la guerra, ma non poteva nemmeno a starne lontano…«Eravamo alla periferia di Palermo… La jeep che mi ospitava, seguiva i primi carri della seconda divisione corazzata… La strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a “Brook-a-leen” … A Troina, nell’interno dell’isola scatterà una delle foto più famose della guerra… Il vecchio contadino che indica col bastone la strada al soldato americano accovacciato. Lui sa che sta facendo buone, semplici foto, ma il dolore non gli dà tregua.. “Ci eravamo distesi per terra nella piccola piazza del paese, di fronte alla chiesa, stanchi e disgustati. Pensavo che non avesse alcun senso questo combattere, morire e fare foto”… Ma seguiterà lo stesso a risalire l’Europa sino allo sbarco in Normandia, uno dei più sanguinari e martoriati episodi della guerra dove i soldati per ore vennero falcidiati appena arrivavano sulla spiaggia… Lui scende dal mezzo anfibio con l’acqua alle ginocchia traballando squilibrato sotto il peso delle macchine fotografiche e in quell’inferno riesce a scattare più di 100 foto che poi corre a consegnarle a un motociclista già pronto che le porterà a stampare… Se ne salveranno solo 11 di quello che fu uno dei momenti più drammatici e cruenti del secolo… Sbagliano l’essicatura dei negativi e le poche salvate, sono fuori fuoco… Cercheranno di difendersi … Al fotografo tremavano le mani per la paura… Anche se la verità venne subito fuori avevano distrutto uno dei più importanti documenti della storia.
Parigi nel primo dopoguerra sembra, nonostante tutto, il ritorno al Paradiso. All’hotel Ritz c’è quella bellissima attrice che è venuta a portare conforto alle truppe … Quando torna in America, Ingrid Bergman si trascina dietro Robert Capa… Ha una piccola bambina, ma è pronta a lasciare il marito… e sul set di Notorius cerca di convincere Capa a fermarsi, lavorare in un Agenzia a Hollywood, sposarsi… Hitchcock osserva divertito e sornione quello strano “dietro le quinte…” Li riproporrà entrambi come interpreti de “La finestra sul cortile”… Ma se il finale del film rimane un po’ dubbioso, la scelta di Capa è chiarissima…La bella attrice non ha niente del fascino scapigliato e generoso di Gerda e la vita in un’ Agenzia lo fa solo ridere… Piuttosto se ne andrà in Turchia… e poi col suo amico John Steinbeck in Russia… faranno un bellissimo lavoro su quel pianeta contadino ancora sconosciuto ai più…
Temerario e senza paura lo era sempre stato… In Indocina nel 1954, di ritorno ad Hanoi, dopo una missione riuscita al seguito delle truppe francesi, si allontanò dal gruppo e salì su un terrapieno… Voleva fotografare una colonna in avanzamento sulla radura. Non poteva sapere che stava poggiando i piedi sopra una mina… Si salvò poco a parte quella foto di Gerda…
Girò tutto il mondo e non si fermò a lungo da nessuna parte…In fondo l’unica patria che ebbe fu l’Ungheria da dove forse non si sarebbe mai mosso senza quell’opprimente regime… Buon ritornoa casa Robert Capa, con la rorta più famosa di Budaperst che faceva impazzire anche l la principessa Sissi che ne era così ghiotta che spesso lasciava in gran segreto il Palazzo Reale di Buda ed entrava tutta trafelata al Caffè Ruszwurm..
TORTA DOBOS
INGREDIENTI per circa 12 persone:
Per i dischi di pasta:
350 gr. tuorli d’uovo 235 gr. di zucchero 10 ml estratto di vaniglia 350 gr. farina 00 525 gr. albumi d’uovo 7 gr. sale 175 gr. zucchero semolato
Per lo sciroppo :
500 gr. di zucchero 500 gr. di acqua la buccia di un’arancia ed un limone 100 gr. di rum scuro
Per la crema di burro al cioccolato:
500 gr. zucchero 250 gr. albumi 750 gr. burro in pezzi, ammorbidito 10 ml. estratto di vaniglia 300 gr. di cioccolato fondente
Decorazioni in caramello e altro
500 gr. zucchero 190 gr. acqua 1 pizzico di cremore di tartaro, 30 grammi di mandorle tritate
PREPARAZIONE DELLE TEGLIE:
Dovrete ricavare,secondo le modalità appresso specificate 9 dischi di pasta. Ogni disco sara’ cotto direttamente su placche da forno del diametro di circa 20 cm, rivestiti di fogli di carta da forno ricavati da un rotolo, di un diametro leggermente inferiore della placca Ungete leggermente la parte centrale di ogni placca, poggiarci sopra uno dei fogli preparati, Ungere leggermente anche l’interno del cerchio Preparare tante teglie quante il forno puo’ accoglierne e ripetete l’operazione per quante volte è necessario.
PREPARAZIONE DELLO SCIROPPO Unire lo zucchero, l’acqua e le bucce di arancia e limone e portare ad ebollizione. Far bollire per qualche minuto. Lasciar raffreddare ed aggiungere il rum
PREPARAZIONE DEI DISCHI DI PASTA Pre-riscaldare il fondo a 190º Misurare accuratamente gli ingredienti. Unite i tuorli d’uovo e lo zucchero in una ciotola di metallo, posta al di sopra di una pentola contente acqua in ebollizione. Mescolare velocemente con una frusta fino a quando la temperatura del composto raggiunge 43ºC. Trasferire la pentola e la ciotola sul piano di lavoro, battete il composto con una frusta elettrica fino diventi soffice e di colore giallo pallido. Si consiglia il procedimento a caldo, per ottenere un composto più spumoso. Aggiungete alle uova l’estratto di vaniglia, amalgamandolo al composto con un cucchiaio di legno. Incorporate la farina setacciata, mescolando delicatamente con un cucchiaio di legno senza “sgonfiare” la spuma. In una ciotola di metallo montate gli albumi col sale a neve ferma e aggiungete lo zucchero poco alla volta, continuando a montare per ottenere un compostolucida e compatta. Incorporate ¼ dell’albume al composto precedente, utilizzando preferibilmente un cucchiaio di legno, con un movimento circolare dal fondo della ciotola verso l’alto. Il composto risultera’ notevolmente ammorbidito. Incorporate gradualmente tutt o l’albume, con lo stessa tecnica e con molta delicatezza.
FORMAZIONE DEI DISCHI Servendosi di un porzionatore per gelati, depositare 4 porzioni (rase) di impasto al centro di ogni cerchio di carta forno. Con il dorso del porzionatore, ed un movimento circolare, distribuire l’impasto uniformente fino ad un centimetro dal perimetro tracciato. Spingete l’impasto fino ai bordi aiutandosi con una spatola. Livellate delicataente l’impasto con la spatola ed infornare immediatamente sul ripiano centrale del forno. Formate il secondo disco di pasta Spostate il primo disco di pasta al ripiano inferiore del forno Infornate il secondo disco sul ripiano centrale Formae il terzo disco di pasta Spostate il primo disco di pasta sul ripiano superiore del forno e il secondo disco sul ripiano inferiore del forno. Infornate il terzo disco sul ripiano centrale del forno. Ripetete la sequenza di cottura per tutti i dischi di pasta ottenuti. Considerata la temperatura del forno e lo spessore dei dischi, la cottura e’ piuttosto veloce (6 minuti circa) ed e’ necessario controllare con attenzione. Mano mano che i dischi son pronti poggiateli l’uno sull’altro e farli raffreddare.
PREPARAZIONE DELLA CREMA DI BURRO AL CIOCCOLATO Versate gli albumi e lo zucchero nella ciotola di metallo del mixer e ponrtela su una pentola con acqua in ebollizione a fiamma media. Mescolate continuamente con una frusta fino a che il composto raggiunga 70ºC Rimuovete la ciotola dal fuoco e posizionatela nel mixer Battete a velocita’ media con l’accessorio frusta, montando a neve ferma ma non asciutta Gradualmente aggiungete lo zucchero, continuando a montare, fino a completo raffreddamento del composto. La meringa, dovra’ risultare gonfia, lucida e mantenere la forma se lasciata cadere da un cucchiaio. Se necessario porre per alcuni minuti in frigo. Aggiungete il burro, qualche pezzetto per volta, fino ad incorporarlo tutto. Aggiungete il cioccolato fuso e la vaniglia ed incorporarlo alla crema. Se dovesse passare molto tempo dalla preparazione della crema alla composizione del dolce, e’ opportuno porrre in frigo la crema e riportarla a temperatura ambiente prima di usarla. COMPOSIZIONE
Spalmate un po’ di crema su una base di cartone per dolci dello stesso diametro dei dischi di pasta ed adagiarvi il primo disco. Con un pennello da cucina, intinto nello sciroppo, inumidite il disco di pasta soprattutto lungo il bordo che risulta piu’ asciutto. Con la tasca da pasticciere ed una punta tonda media, spremete la crema lungo il perimetro del disco Mettere un paio di cucchiaiate di crema al centro del disco e livellate con un a spatolaSovrapporre il secondo disco e farcire come spiegato prima. Ripetete il procedimento di farcitura, sovrapponendo 9 dischi di pasta. Coprite la superfice del dolce con la stessa crema di burro, livellandola con la spatola e lasciando che scenda fuori dal bordo della torta. Sempre con la spatola, spalmare un po’ di crema sui lati della torta, facendo pressione per riempire eventuali spazi fra gli strati
Se si desidera, si possono rigare i lati utilizzando l’apposito “pettine” Decorate tutt’attornola base della torta con un nastro di mandorle in scaglie o nocciole tritate. Trasferire sul piatto di portata e decorare con le formine di caramello
DECORAZIONI DI CARAMELLO
Versate il caramello preparato come di seguito sul migliore dei dischi di pasta savoiarda posto su una graticola o in qualche modo rialzato. Lavorando velocemente, il caramello va spalmato con una spatola coprendo anche i bordi del disco. Prima che si raffreddi completamente, con un coltello a lama lunga bagnato, incidere la superfice caramellata come per dividere la torta in spicchi. Cuocere lo zucchero con l’acqua a fuoco medio, in un pentolino dal fondo spesso, mescolando continuamente fino a che lo zucchero si sciolga. A quel punto, inserire un termometro e lasciar cuocere senza mai mescolare. Di tanto in tanto “pulire” le pareti del pentolino con un pennello bagnato ma non grondante d’acqua. Appena lo sciroppo raggiunge 150ºC spegnere la fiamma. Lo sciroppo continuera’ a cuocere per un po’. Trasferire sul piatto di portata e decorare con le formine di caramello Per i triangoli che compongono la decorazione della parte superiore, tracciare su un pezzo di cartone, un cerchio delle stesse dimensioni dei dischi di pan di spagna, ritagliarlo e poi dividerlo in 8 spicchi. Rivestire ogni spicchio con foglio d’alluminio. Per i mezzi anelli laterali, rivestire di foglio di alluminio delle forme concave (in questo caso mezzi tubi di plastica, normalmente usati per tenere in forma fiori di glassa reale fatti con la tasca da pasticciere) Bagnate un pezzo di carta da cucina con un po’ d’olio ed ungere tutte le forme. Con un pezzo di carta da cucina pulito, ripassare ogni pezzo per eliminare eccessi d’unto. Preparate il caramello come indicato Prelevando il caramello a cucchiaiate direttamente dalla pentola, farlo scendere in fili sulle forme preparate, con veloci movimenti di polso. Piu’ distante e’ il cucchiaio dalle forme, piu’ sottili saranno i fili. Lasciar indurire e poi rimuovetele gentilmente dalle forme, sono piuttosto fragili.