Claudia Cardinale… Angelica e il timballo di anelletti!

Era accaduto  troppo in fretta e probabilmente non si rese ben conto di quello che  le stava capitando! Il concorso di bellezza fu proprio un caso. Si trovava al Consolato Italiano di Tunisi con la madre e la sorella per tutt’altri motivi quando, senza lasciarle troppe scelte, la iscrissero in un istante  al concorso  per ” La più bella italiana di Tunisia” Era un’iniziativa a margine  della “Settimana del Cinema italiano ”  e  lei era così “tipica” che non ci mise  molto  a vincere il primo premio … Un viaggio a Venezia durante la Mostra del Cinema. All’epoca Claudia Cardinale  una ragazza introversa e selvatica  sapeva poco l’italiano…    A  scuola aveva imparato l’arabo e il francese… e a casa, il siciliano  dai nonni… emigrati tanti anni prima.  Così a Venezia si sentì a disagio e fuori posto e non vedeva l’ora di tornarsene a casa sua. Invece anche lì non riuscì a passare inosservata e le proposero di andare a studiare a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia. Aveva ben poche esperienze nel cinema, un  cortometraggio scolastico e una parte secondaria nel film di Jacques Baratier,”  I giorni dell’amore” …  Non pensava che ci sarebbe stato  un seguito.  Ma suo padre accettò per lei … All’inizio era contenta … Si allontanava dalla Tunisia dove c’era l’ uomo di cui  voleva liberarsi…Ma a  Roma  durò poco…  Era sempre più a disagio, con l’italiano e la dizione che non le entravano in testa e dopo pochi mesi tornò a casa… A Tunisi  rimase incinta…Per lei quell’uomo di cui non ha mai voluto rivelare il nome era un’ossessione. Era cominciato con uno stupro… Lei era appena  adolescente… e poi non era riuscita più a  tirarsene fuori.  Adesso era veramente disperata, ma al bambino non volle rinunciare. L’unica soluzione fu  tornare a Roma e lavorare nel cinema… aveva l’offerta della Vides… la potente produzione di Franco Cristaldi…  Lavorò finché non fu evidente… Poi chiese la risoluzione del contratto…Franco Cristaldi invece la mandò a Londra dove nacque Patrick, che ….per contratto divenne il suo fratellino minore. Lo poteva crescere vicino, ma nessuno doveva sapere… nell’Italia ipocrita dell’epoca. La verità verrà fuori solo parecchi anni dopo!  Ma questa non fu l’unica condizione… Lei divenne proprietà di Cristaldi e della Vides. Lui si era innamorato di lei… A modo suo… E le  creò subito attorno una gabbia fatta di addetti stampa, autisti e segretarie che la sorvegliavano… E la  pagava anche poco per il lavoro che faceva… Probabilmente non voleva che diventasse troppo autonoma… Se no forse l’avrebbe lasciato. Un rapporto affettivo e un rapporto di lavoro paranormale…  Claudia  non sembrava troppo fortunata …Non si permise mai di chiamare il produttore per nome… per lei fu senpre Cristaldi … E non abitavano nemmeno assieme così lui era più libero di cercarsi anche altre donne … E tutto questo mentre  a tappe forzate lei diveniva un’attrice di grande successo… anche perchè  Cristaldi era una persona colta e intelligente e la Vides  stava sul mercato con prodotti di qualità nel panorama commerciale e arruffone del cinema italiano del dopo guerra … Così Claudia Cardinale ebbe subito a disposizione i migliori registi.  Monicelli la guida ne”I soliti ignoti”, lei è Carmelina la ragazza sotto chiave  col fratello siciliano…  E nonostante tutti quei big del cast il suo fu un successo personale.

Il primo film importante  è “Un maledetto imbroglio”. Cristaldi fa le cose in grande… Il romanzo di un autore come Gadda e un regista  fra i migliori come Pietro Germi. Per la prima volta Claudia  supera la timidezza. Germi è come lei taciturno e introverso, ma le trasmette la passione per il lavoro e la sicurezza davanti alla macchina da presa… Pasolini, stupito scriverà “Una Cardinale che io mi ricorderò per un pezzo. Quegli occhi che guardano solo con gli angoli accanto al naso, quei capelli neri spettinati… quel viso di umile, di gatta e così selvaggiamente perduta nella tragedia…”

Ormai è lanciata e nel 1960 gira cinque film… Nella visione calvinista della vita e del lavoro che le impone Cristaldi. In mezzo ci sono “Rocco e i suoi fratelli” e il primo incontro con Visconti e “Il Bell’Antonio” dove Mastroianni si innamorò perdutamente di lei. Anche molti anni dopo, quando la cosa non poteva più nuocere, lei smentì il flirt… Mastroianni  si innamorava di tutte le attrici e lei non riuscì  mai a credere al suo amore sincero.  Lo teneva così a distanza che Mauro Bolognini era lì a supplicarla di fargli qualche sorriso ogni tanto…Un grande rapporto quello con Bolognini e 5 film… fra cui  “La Viaccia” dove conosce Jean Paul Belmondo con cui riuscirà ad avere, e c’è da chiedersi come ci sia riuscita, una breve relazione, quando gireranno insieme Cartouche, il film che la renderà famosa in Francia…

Claudia Cardinale and Federico Fellini during the production of FEDERICO FELLINI'S 8 1/2, 1963.L’anno di grazia arriva nel 1963… Cristaldi la fa lavorare al top del top, in un momento in cui il cinema italiano girava al massimo…Sul set del Gattopardo c’è un clima di rara raffinatezza, con Visconti che fra tutti i principi di casa Salina,  si ricorda di essere anche lui un grande aristocratico, si rivolge a Claudia in un elegantissimo francese e la fa diventare ancora più bella e sensuale per il suo ingresso nell’antica nobiltà dell’isola. Angelica è un personaggio di rilevo nella storia del Gattopardo, ma  è  con Claudia che  diventa  la protagonista… Sul set di 8 e 1/2invece regna il caos, la confusione e  e il trash.  Pare la commedia dell’arte col copione che non c’è  e la sceneggiatura che va inventata giorno per giorno… E in tutta quell’anarchia il guizzo del genio di Fellini che alla fine riporta tutto a unità e capolavoro. Claudia non lo dimenticherà più. Lei la ragazza della fonte  per la prima volta parla con la sua voce rauca e dissonante che tutti avevano disprezzato, mentre Fellini la fa sentire giorno dopo giorno la più bella e la più speciale di tutte.

Comencini completa  l’anno splendidissimo con  Mara,”La ragazza di Bube”, per il quale anche stavolta Cristaldi non bada a spese andando a prendere uno dei maggiori successi della letteratura di quegli anni.

C’è da chiedersi perchè Cristaldi a questo punto spedisce la Cardinale in America. Era risaputo che Hollywood acquistava i talenti e poi li soffocava, li metteva da parte, insomma eliminava la concorrenza… Claudia nonostante tutto, negli anni americani ha qualche ottima occasione come “La Pantera Rosa, “I Professionisti” e  “C’era una volta il West,”quasi l’unica donna dei film di Sergio Leone… Ritrova il suo amico Burt Lancaster,  e  si va vedere in giro con Rock Hudson per aiutarlo a nascondere la sua omosessualità e ogni tanto torna per fortuna in Italia. Girerà ancora  con Luchino Visconti “Vaghe stelle dell’Orsa” un insuccesso commerciale, ma un Leone D’oro a Venezia e “Il giorno della Civetta” con Damiano Damiani, un coraggioso film sulla mafia.

Nel 1967 Cristaldi arriva in America e la sposa… un matrimonio che non verrà mai trascritto in Italia, affilia anche Patrick, ma Claudia non gli è grata. Sente tutto come un’ imposizione ,un modo per toglierle ancora più libertà, qualcosa che Cristaldi ha fatto da solo senza nemmeno chiederle se era d’accordo.

Alla fine di quel faticoso decennio Claudia torna in Italia, tutto sembra uguale a se stesso,  lei mantiene il successo e la sua dorata schiavitù…

Ma c’era una bomba a orologeria nel quieto vivere di Claudia  e scoppia fra il 973 e il 1974 quando lei gira un film con un giovane scatenato regista Pasquale Squitieri. Lui è uno che ha già ha avuto un buon successo e quindi può ardire di lavorare con quel mito vivente che è diventata la Cardinale. Squitieri  nasce con gli spaghetti western, ma poi si occupa di temi scottanti come droga e camorra  che è poi il tema del film  “I Guappi” dove scatterà l’amore. Claudia letteralmente scappa dalla sua gabbia  e raggiunge Squitieri in America. Un viaggio on the road  e sarà amore per sempre. Lei  conosce Cristaldi, sa che è freddo e pensa che non l’ha mai amata… solo al massimo usata e posseduta. Pensa che capirà, che la lascerà senza troppe storie… Invece si scatena l’inferno … Inizia la cupa, lunghissima vendetta di Cristaldi che taglierà per anni le gambe a tutti e due. Il primo ordine è per Visconti… Non la deve più chiamare per “L’Innocente.” Claudia quel gesto cattivo se lo ricorderà per sempre… Era l’ultimo film di Luchino e Cristaldi  le  impedì di stare vicino al suo grande maestro, negli ultimi mesi della sua vita. Per diversi anni Claudia non troverà più lavoro… nessuno vuole avere per nemico il potente Cristaldi e  intanto a lei  resta da pagare una cifra enorme al fisco… perché la Vides  non l’ aveva  fatto. Dopo  per fortuna  riuscirà un po’ per volta, con enorme fatica a venirne fuori… La chiamerà Zeffirelli, per una piccola parte e girerà “La Pelle” di Liliana Cavani e “Fitzcarraldo” di Herzog.   Dopo qualche anno  ricomincia  a lavorare con Squitieri… anche lui sta provando a  a riemergere e saranno  film audaci e impegnati come “Claretta” o “Il Prefetto di ferro,” ma saranno film contestati, spesso senza motivo,  dalla critica  che strapazza e distrugge.  Comunque nulla sarà più come prima e alla fine Claudia Cardinale ritroverà se stessa, una nuova casa  e una nuova carriera di attrice in Francia dove saranno felicissimi di averla. Lì farà  anche teatro, ormai libera dalla sua proverbiale timidezza  e girerà altri film, ma quasi nessuno  di essi arriverà in Italia.

Il 15 di aprile Claudia Cardinale compie 75 anni. E’ ancora molto bella e soprattutto molto impegnata. Lavora e gira il mondo come  Ambasciatrice Unesco e fa quello che sente più vicino alla sua storia  travagliata… Difendere in tutto il mondo i diritti delle donne, quei diritti che a lei troppo spesso sono stati negati..

Un piccolo omaggio a Claudia, in ricordo di uno dei suoi film più belli ?  Viene dal Gattopardo e  dal pranzo consumato la sera in cui  Angelica viene presentata  in casa del Principe di Salina…

TIMBALLO DI ANELLETTI

INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di anelletti siciliani, 350 grammi di carni miste macinate (manzo,vitello,maiale),  4 melanzane grandi a forma allungata e di colore viola scuro, 2 uova sode, 100 grammi di piselli  piccoli, 150 grammi di caciocavallo, 350 grammi di passata di pomodoro, 1 carota, una cipolla, 1 costa di sedano, 100 grammi di pangrattato, 100 grammi di parmigiano, olio extra vergine di oliva q.b., sale e pepe q. b.

PREPARAZIONE: Anche se le melanzane purtroppo non hanno più il sapore aspro di una volta,per maggior sicurezza è sempre meglio prima di cucinarle, tagliarle a fette, salarle e  metterle sotto un peso  per circa un’ora allo scopo di togliere l’eventuale amaro… Dopo lavatele sotto l’acqua corrente e asciugatele. Friggete le fette in abbondante olio extra vergine di oliva e scolate l’eccesso di unto su carta assorbente e mettetele,per il momento da parte. Preparate il sugo mettendo a soffriggere nell’olio cipolla,carota e sedano tritati finissimi. La fiamma non deve essere alta perché c’è il rischio di bruciare le verdure. Appena sono dorate, aggiungete la carne macinata, fatela rosolare e aggiungete vino rosso siciliano.Non appena il vino sarà evaporato aggiungete la passata di pomodori e i piselli. Fate cuocere lentamente per 15 minuti e aggiustate di sale e pepe. Seguitate a insaporire il sugo sulla fiamma aggiungendo ogni tanto acqua tiepida. Lessate gli anelletti in acqua salata scolandoli molto al dente.Conditeli col sugo preparato e  poi  cominciate a preparare il timballo in uno stampo dalle pareti alte ponendo sulla sua base e sulle pareti,  uno strato di melanzane  che poi coprirete con una parte degli anelletti.sui quali vanno poste  le fette di cacio cavallo e una spolverata di parmigiano e le uova sode tagliate a fettine sottili. Fate un secondo strato di anelletti e ricopritelo con le fette di melanzana e pan grattato.. Schiacciate delicatamente il timballo con una forchetta e infornare  per 30 minuti a forno scaldato a 160°C. Dopo averlo estratto dal forno ,fate riposare il timballo prima di rovesciarlo sul piatto di portata.

Empanadas de Tango!

Tango Argentino… In realtà è platense perchè attorno al 1880 lo ballavano a Buenos Aires e a Montevideo, su tutte e due le sponde  del grande fiume, il Rio de la Plata… Il popolo di migranti  era lo stesso…  Le speranze perdute, una vita dura e la nostalgia della patria. Erano venuti da mezza Europa in quella terra spopolata  perché la fortuna sembrava facile… Ma per loro c’erano stati solo i lavori  umili, la difficoltà di comunicare… E quei quartieri desolati, “le orillas” venuti su dal niente e solo per loro. Strani migranti quasi tutti uomini… le donne erano rimaste  a casa aspettando il colpo di fortuna che non arrivava.

Ma i giorni di festa, nonostante tutto si ballava! Erano Polke, Mazurche, Valzer, Habanera portati da casa, che si mischiavano con il  Candombe,  danza dove la coppia non si toccava… E più che melodia erano percussioni. Quello lo ballavano i neri, da tanto sul territorio, ma soli come loro … e da secoli! Quando diventò Tango, di preciso non lo sa nessuno…   forse non si accorsero neanche loro, bianchi e neri,  che stavano creando il Tango, un universo nuovo.  Un ballo che si ballava solo fra gli uomini…Perché all’inizio di donne ce ne erano poche e in ogni caso era  immorale ballarlo con una donna… troppa, sfacciata l’allusione all’atto sessuale… Le donne  le trovavi solo se andavi nei bordelli di Buenos Aires  “a 10 centesimi il giro, compresa la dama” come racconta Borges… Dopo un po’ che la ballavano, quella strana  ibrida musica si riempì di canzoni. Molte si persero perchè nessuno sapeva scrivere la musica ma quelle che si salvarono come “El Choclo” erano allusive o direttamente oscene.. Per fortuna che spesso nemmeno le capivano perchè il linguaggio  era il Lunfardo, quell’idioma meticcio infarcito di tutte le lingue degli emigranti…

Anche tutto il resto tardarono un po’ a capirlo. Anche quando nei locali malfamati e nei bordelli il tango si aprì alle donne. C’era dentro tutto quello che non si può dire, c’era la nostalgia struggente e la tristezza…e la felicità, però più effimera  e illusoria…Soprattutto se era  felicità d’amore. E il Bandoneon lo strumento a mantice  che dopo un po’ arrivò col piano e il violino, aveva un suono denso  e frammentato  che sembrava fatto apposta per aumentare il disagio. Ma non c’era solo questo… Il tango sapeva di fantasia e di miracolo… Era l’improvvisazione. Bastava il passo base, la camminata … E poi i ballerini si scatenavano in tutte le figure possibili… l’uomo guidava e la sensibilità fisica e corporea di tutti e due costruiva quell’immediato fluido dialogo, fatto d’intesa, di movenze e di sesso … Ogni volta diverse …Perché non c’era limite… Il tango era libertà e liberazione. Quando i ricchi e i borghesi di  Buenos Aires cominciarono a  conoscerlo durante le loro incursioni  nei quartieri malfamati… Il tango se ne andò dall’Argentina.

Emigrò a Parigi portato da un talento  eclettico, Angel Villoldo. Parigi era all’epoca moda, glamour, allegria e  audacia. La cultura aveva accettato già tutto, cubismo e astrattismo genio e sregolatezza. E fra tutto questo adoravano il ballo… Lì la vita del tango fu più facile… Un terreno fertile fra curiosità e passione  che prese  l’Europa. Quando tornò in Argentina, appena un po’ depurato delle figure troppo  sensuali c’era ad aspettarlo un mito… Si chiamava  Carlos Gardel ed era nato… forse da quelle parti, ma in una data imprecisata.  Probabilmente non lo iscrissero mai in nessun registro comunale. Durante l’infanzia e l’adolescenza  stava a  Buenos Aires in mezzo alle bande  dei giovani di strada… Lo chiamavanio “El Morocho”  e fu anche arrestato dalla polizia, però all’epoca imparò il Lunfardo… e cantava per la strada. Gli studi  li interrompe, ma in teatro ci arriva presto, magari dietro le quinte a fare il macchinista, ma fra una cosa e l’altra impara a suonare la chitarra. Solo notizie  a frammenti… Gardel  arrivato al top   capì che non era il caso i dare in pasto al pubblico la storia della sua giovinezza esclusa… Dal 1912  si comincia a sapere di più …E’ in un trio …Canta con Josè Razzano e  Francisco Matino suona la chitarra.  Nel 1913 canta in un locale esclusivo di Buenos Aires l’Armenoville dove l’avevano invitato dopo averlo sentito cantare in un bordello. Comincia a incidere dischi  e sono milongas, cifras e tonado… Il tango è ancora lontano… e la sua vita ha ancora lati oscuri….Lo feriscono in una rissa e un proiettile gli rimarrà in un polmone…

Ma arriva il 1917 e al Teatro Empire di Buenos Aires stavolta è tango! “Mi noche triste” con i versi in lunfardo  è l’inizio.. .Dopo vorranno in tutto il mondo la sua voce incredibile di baritono, estensibile sino ai registri di tenore e di basso. Lui è il protagonista del primo film argentino “Flor de Durazno”, nonostante il cinema sia  ancora muto… Suppliranno con il cantante e  l’orchestra in sala e fingeranno che sia lui a cantare dallo schermo. Intanto comincia a incidere dischi e saranno  900  alla fine. A Madrid è al Teatro Apollo, a Barcellona al Goya e a Parigi si esibisce con Josephine Baker. Quando arriva il sonoro,il cinema lo porta in trionfo perchè ormai il mondo intero canta e balla il Tango e Gardel è il suo  Profeta più schietto, appassionato e nostalgico. Morirà in un disastro aereo sulla pista di Medellin nel 1935… Un incidente misterioso qualcuno disse che a bordo di uno dei due aerei ci fu uno sparo prima che si scontrassero. Quell’aura di mistero, di  oscuro che l’aveva accompagnato per buona parte della sua vita riapparve al momento della sua morte… Quasi un destino che andò ad a alimentare il suo mito  e il  legame  con il tango… entrambi  usciti dai bassifondi per conquistare il mondo. Molti anni dopo l’Unesco dichiarerà la sua  unica ineguagliabile voce, Patrimonio dell’umanità.

Morì appena in tempo per non accorgersi che il Tango stava passando di moda… Ci vorranno molti anni e un musicista di eccezione per  riportarlo ai livelli di Gardel… E sarà un tango nuovo… Nonostante in Argentina si dicesse che tutto poteva cambiare meno il Tango. E all’inizio suonerà  come un delitto perchè il tango ormai è un classico. Ma Astor Piazzolla infrange la tradizione e mischia  senza paura il tango con il Jazz… usa le dissonanze e introduce altri strumenti  l’organo Hammond, il flauto, la marimba il basso elettrico… Tutto quello che sembrava proibito… E compone con un estro e una fantasia senza fine opere come il “Concerto para Bandoneon, orquesta, cuerdas y percusion” e” Adios Nonino”  solo per citarne qualcuna, perché hanno calcolato che in tutto abbia scritto 3000 brani…  Adesso anche lui è un mito… E il tango è in tutto il mondo più nuovo e più amato di prima….Carlos Gardel era stato il cantore della prima metà del secolo, Astor Piazzolla della seconda metà.Tutto insieme è stato il secolo del tango.

Qualche anno fa hanno intitolato ad Astor Piazzolla l’Aeroporto di Buenos Aires e il Papa argentino appena eletto  ha subito manifestato la sua passione per il tango… Almeno finora, è sempre stato un assiduo a tutti gli spettacoli… Ne ha fatta di strada la musica triste degli emigranti.

All’Argentina e al suo mitico Tango dedichiamo un piatto di grande tradizioni “Las Empanadas” che venivano un tempo preparate dalle donne per festeggiare il ritorno degli uomini dalle Pampas.

20081116122346EMPANADAS ARGENTINAS

INGREDIENTI  per 10 empanadas del diametro di circa 10 – 12 centimetri: farina 250 grammi, olio extra vergine di oliva 4 cucchiai  di olio extra vergine di oliva più abbondante olio extra vergine di oliva per friggere, sale q.b., acqua tiepida 120 ml,  olive verdi o nere 5, carne bovina tritata 250  grammi, 2 uova, 250 grammi di cipolle, grammi 30 di uvetta, peperoncino piccante in polvere 1 cucchiaino, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato,  1 cucchiaio di maggiorana fresca.

PREPARAZIONE: Mettete in una ciotola 2 cucchiai di olio e la farina. Sciogliete il sale nell’acqua tiepida e versate nella ciotola, mescolatelo e poi lavorate il composto sulla spianatore sino a quando diventa liscio e omogeneo: Avvolgetelo nella  pellicola trasparente e fate riposare in luogo fresco per un’ora. Nel frattempo preparate il ripieno mettendo in ammollo l’uvetta in acqua calda per circa 10 minuti  e comunque sino a quando diventi morbida e allora strizzatela. Tritate la cipolla e fatela soffriggere a fuoco basso nell’olio di oliva per circa 10 minuti. Attenzione a non farla bruciare! Unite alla cipolla la carne di manzo e fate cuocere a fuoco medio per 10 minuti, aggiungete il peperoncino e mescolate il tutto. Spegnete il fuoco e aggiungete l’uvetta, il prezzemolo, la maggiorana e il sale.Trasferite la carne in una ciotola e fatela freddare. Fare rassodare due uova, sbucciatele e tagliatele a fettine. Dividete in due ciascuna oliva. Togliete la pellicola alla pasta e stendetela sulla spianatora sino ad uno spessore di 2 millimetri, quindi ricavate dei cerchi del diametro di 10 – 12 centimetri servendovi di una coppetta appoggiata sopra la sfoglia e della rotella tagliapasta. Ponete su ogni cerchio un cucchiaio di impasto quindi aggiungete mezza oliva e una fettina di uovo. Spennellate con acqua i bordi di ciascun cerchio e richiudeteli su se stessi, formando intorno un cordoncino. Friggete le impanadas in abbondante olio e scolatele su carta assorbente prima di servirle.

Charlotte alla Corte d’Inghilterra!

1z1dz86Un’educazione come poche ragazze all’epoca! Parlava in diverse lingue, sapeva di botanica, di arte, di musica…Ma anche di economia domestica. Non c’era nessuno, in tutto il Ducato di Meclemburgo Strelitz che sapesse cucire e ricamare così bene come Charlotte e sua sorella Cristiana, le figlie del Duca. Ma soprattutto questa educazione così ricca ma anche molto severa le aveva rafforzato il carattere  e sotto un aspetto vivace e allegro Charlotte aveva rigido il senso del dovere. Sulla nave che appena disiassettenne la stava portando in Inghilterra per sposare il re Giorgio III si scatenò per giorni e giorni una terribile tempesta. Da Cuxhaven la flottiglia reale che la scortava impiegò  ben 10 giorni per arrivare ad Harwick sulle coste inglesi. Tutti i suoi accompagnatori caddero vittime del mal di mare e uno dopo l’altro si ritiravano nelle loro cabine, mentre Charlotte serena e imperturbabile seguitava a suonare sul suo clavicembalo “God Save the King”, l’inno  nazionale inglese. Nessuno la doveva trovare impreparata al suo arrivo a Corte!223px-George_III_by_A.Ramsay_(Williamsburg,_Virginia)

Ciononostante Re Giorgio III ne rimase profondamente deluso. Era abituato a donne bellissime come la quacchera Anna Lightfod, da cui sembra avesse avuto più di un figlio o Sara Lennox, la figlia del Duca di Richmond e invece doveva sposare  quella ragazza che ora si trovava di fronte, piccolina, dal viso scialbo  e senza alcuna espressione. Di sicuro tutte le meraviglie che gli avevano raccontato sulla sua intelligenza e la sua cultura dovettero, sul momento, lasciarlo abbastanza indifferente mentre, alla suocera, Charlotte risultò subito   antipatica, ma questo era da considerare normale, perché era gelosissima di tutte le donne che si avvicinavano al figlio.

Le premesse non erano delle migliori, ma poi le cose  fra i due giovani si aggiustarono. Ebbero quindici figli e Re Giorgio, nonostante le sue scapestrate abitudini giovanili, sembra che non abbia mai tradito la moglie. Avevano uno stile di vita semplice, tanto che il re affettuosamente lo chiamavano il “re contadino” e per far giocare e crescere all’aria aperta tutti quei ragazzini, non si fecero problemi perchè li portarono ai Kew Gardens, lo splendido orto botanico sulle rive del Tamigi, oggi protetto dall’Unesco e di cui Charlotte era appassionata. Lì fecero costruire  la “Dutch House” come Nursery reale, una semplice struttura di mattoni, nota come Kew Palace  che, assieme al Queen Charlotte Cottage  è tuttora di proprietà della famiglia reale. Così noto era, ai suoi tempi, l’amore della Regina per la botanica, che le vollero dedicare anche uno splendido fiore  appena arrivato dal Sud Africa, la “Strelitzia Regina”, nota anche come Uccello del Paradiso.

Thomas_Lawrence_-_The_Prince_RegentAmava la musica di Mozart, che le dedicò un’opera quando aveva appena 8 anni  e volle Bach come suo insegnante di musica, protesse le arti e si batté per l’educazione femminile, ma fu  nella vita pubblica che Charlotte mostrò  le sue grandi doti di carattere e il senso della misura, mentre  acquistava sempre  maggior potere e influenza ..A mano a mano che le cose, nel Regno di Inghilterra, diventavano sempre più drammatiche. In quei terribili anni, prima ci fu il sollevamento delle Colonie americane  e  l’inghilterra, che ne uscì disfatta, ci rimise metà del suo impero coloniale. Poi i turbolenti anni dalla rivoluzione francese  che misero a rischio tutte le teste coronate d’Europa e dove Charlotte perse la sua migliore amica, Maria Antonietta. Dopo, gli anni di Napoleone, in cui non solo i re, ma le stesse Nazioni, rischiarono di scomparire. E in tutto questo  la salute di Re Giorgio declinava e gli attacchi di follia si facevano sempre più pressanti. Alla fine dovettero togliergli il potere e Charlotte fu nominata sua tutrice.Strelitzia-reginae-Flower

Non furono lieti gli ultimi anni della Regina. La perdita della figlia Amelia e la malattia del marito erano degli enormi dolori, sia pure attenuati dalla pace che l’Inghilterra stava ritrovando, ma c’era anche l’amarezza per quel figlio Reggente, il futuro Giorgio IV che sembrava aver rinnegato tutti gli insegnamenti  di sobrietà ed etica che, per i suoi genitori, erano stati lo stile di vita. Stravagante, mondano, amico di tutti i “dandy” di Londra, amava l’arte e i divertimenti, spendeva in modo eccessivo ed era sempre pieno di debiti… Eppure fu proprio questo “ragazzaccio” che riuscì a rendere più dolci gli ultimi anni di  Charlotte… Tutto successe perché dopo la caduta di Napoleone molti politici e aristocratici al seguito, furono costretti o preferirono andarsene dalla Francia… E non solo loro. Capitò anche ai grandi cuochi … come Babette o Marie-Antoine  Careme! Aveva lavorato per Talleyrand e per Napoleone, per i quali curava i pranzi degli incontri internazionali…Aveva inventato quelle elaboratissime preparazioni di pasticceria alte più di un metro che usava come centri tavola coloratissimi e  poi aveva  capovolto tutto e si era r riciclato su una cucina più raffinata e  genuina, alla svolta del secolo. Un personaggio così non poteva sfuggire a quell’ esasperato esteta che era il Principe Reggente di Inghilterra che lo volle con sé.

Ma fu per la Regina dai gusti modesti e dal cuore addolorato che Careme volle dare il meglio. Sapeva che la pianta preferita da Charlotte era quella del melo e allora rielaborò un dolce contadino, probabilmente un pudding fatto di pane raffermo farcito di   frutta e dedicò  alla Regina una torta che, nella sua semplicità e nella sua raffinatezza, ha sfidato i secoli!

DSC04486CHARLOTTE ALLE MELE (per 6 persone)Marie-Antoine Careme

INGREDIENTI: Burro 70 grammi, latte fresco 150 ml, brandy o cognac 50 ml, zucchero semolato 50 grammi, scorza grattugiata di 1 limone, i bustina di vanillina, confettura di albicocche 200 grammi, mele renette 1 Kg, cannella in polvere 1 cucchiaino, savoiardi 250 grammi.

PREPARAZIONE: Sbucciate le mele, privatele del torsolo e tagliatele a fettine dello spessore di 3 millimetri. In una padella grande fate sciogliere 50 grammi di burro a fuoco moderato, aggiungete le mele e sfumatele con il brandy.

In una ciotolina mettete lo zucchero, la vanillina e la cannella poi uniteli alle mele mescolando per amalgamare. Grattugiate la scorza del limone e continuate la cottura mescolando di tanto in tanto fino a quando le mele si sfaldino, aggiungendo se necessario un poco di acqua. A cottura ultimata mettere la padella da parte.

Imburrate e ricoprite con carta da forno una tortiera dai bordi alti e del diametro di circa 18 centimetri. Prendete i savoiardi e tagliate una delle estremità affinché, una volta messi ritti sul bordo della tortiera, arrivino a 3 centimetri circa del bordo superiore. Bagnateli leggermente nel latte e disponeteli lungo il perimetro della tortiera, riempite il fondo con i pezzetti di savoiardi avanzati, senza buttare quelli che avanzano.

Riprendete ora il composto di mele e uniteci 150 grammi di confettura di albicocche, mescolate e versate il tutto nella tortiera.Livellate la superficie della charlotte con un coltello, cospargete con i savoiardi rimasti e sbriciolati, quindi fate sciogliere il restante burro e versatelo in modo uniforme sulla torta.

Infornate in forno pre – riscaldato a 180°C per circa 35 minuti. Estraetela torta dal forno e  rovesciatela su una gratella poi capovolgetela su un piatto da portata. Rimuovete la carta da forno e rivestite il dolce con la confettura di albicocche residua passandola prima al setaccio. Servite il dolce tiepido.

E’ giusto aggiungere che, con l’andar del tempo, la Charlotte ha avuto molte varianti, sia nella farcitura che nella rivestitura. Molte di loro sono ottime e vale la pena di provarle anche se abbiamo preferito darvi la ricetta più vicina all’originale.

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Zeppole di San Giuseppe

PRIMAVERCarnevale e Primavera, qualcosa che nasce e il vecchio che muore, un legame  che sorge tanto tempo fa e attraversa i secoli, si rinnova, si modifica ed è  sempre vitale e pieno di passione. Ma che brutta fine quella di Carnevale!  E’ un giorno  in cui si balla, si canta e si beve e, all’improvviso, proprio lui, il Re della festa, cade in disgrazia. Per tutti  è il grande colpevole. E’ lui  il responsabile dei mali dell’anno passato. E lui  che deve pagare! Così, di botto, la scena diventa concitata, il Re viene con violenza strappato alla festa, processato e subito condannato. Al Bosa-le-anime-bianche-del-carnevale-intorno-al-rogo-del-fantoccio-di-Gioldzi-e1329060450930rogo!  E poi, se rimane tempo gli faranno il funerale! Per fortuna il suo sacrificio non sarà stato invano.In tutti i riti di carnevale c’è sempre  l’elemento del fuoco che  tutto purifica e in questo modo si riesce a ottenere la benevolenza degli  dei. Così la natura può rinnovarsi, fecondarsi e il raccolto sarà di sicuro abbondante.

E finalmente arriva Primavera! A Roma, la prima festa di Primavera erano i “Liberalia”. Liber Pater e la sua sposa Libera proteggevano la vite,  il grano, le sementi e tutta la natura che proprio allora comincia a crescere. Allo stesso modo proteggevano e assistevano i giovani che si affacciavano all’età adulta, affinché il loro cammino, attraverso la vita, fosse felice. Così il 17  di marzo i ragazzi che compivano 16 anni deponevano la collanina e la “toga praetexta” per indossare la toga virile, con la benedizione  di Liber Pater e Libera, che diventavano i loro genitori nel rito di passaggio.

Poi tutti scendevano in strada a festeggiare e, le Sacerdotesse, vestite a festa e con l’edera fra i capelli, vendevano  frittelle di frumento al miele, simbolo dei prodotti genuini della terra.

Dopo si formava una processione, preceduta da un fallo, ben visibile, posto in cima a una pertica per inneggiare alla natura che si riproduceva e prometteva un buon raccolto. Dato che Liber Pater era anche il Dio del vino, era fatale che si bevesse un po’ troppo e, come a volte succede anche oggi, qualche canto diventava un po’ licenzioso e i benpensanti dicevano addirittura osceno. Ma appena la processione giungeva al termine, la più rispettabile delle matrone presenti alla festa, aveva il compito di ricoprire subito il fallo con una corona di fiori… e tutto tornava alla normalità.

Poi quando il Cristianesimo divenne religione di Stato le feste pagane furono soppresse… .

liber_paterMa intanto Primavera seguitava a venire tutti gli anni e sarebbe stato un vero peccato non festeggiarla più! Carnevale poi, cacciato dalla porta un pò per volta, era rientrato dalla finestra! Le tessere del puzzle cominciavano a ricombaciare anche perché, un Padre spirituale e di grande levatura, i Cristiani ce l’avevano anche loro ed era S. Giuseppe, la cui festa cade il 19 marzo. Guarda che 450px-Dartmouth_bonfirencombinazione, quasi lo stesso giorno in cui i Romani festeggiavano il loro Liber Pater!

Il quadro ormai si è ricomposto e  Carnevale  oggi non è più il simbolo del peccato e dei cattivi costumi, ma anzi è tenuto in grande considerazione  perchè ha valore storico e bellezza estetica tanto che, l’Unesco, ne ha presi diversi sotto la sua protezione.

E fra Carnevale e Primavera c’è sempre il fuoco, gioioso, purificatore, divertente. Quasi sempre a bruciare è il povero Carnevale, a cui spesso si aggiunge lo scoppiettio dei fuochi artificiali. Ma anche nelle notti in cui si avvicina Primavera, si dà fuoco alle sterpaglie, alle fascine, ad altri pupazzi sacrificali e in mezza Europa corrono i Vigili del Fuoco a sorvegliare le Fallas di Valencia in Spagna o le “Vampe ” di Misilmeri in Sicilia. I falò della Val di Trebbia,in  Liguria, anch’essi legati all’Equinozio di Primavera e che già esistevano in epoca pre -romana, pare che siano stati reintrodotti  dai Monaci irlandesi di San Colombano. Arrivati nel VII secolo, nel loro misticismo così legato alla natura, i Monaci vedevano nel fuoco la luce che sconfigge le tenebre del peccato.

E San Giuseppe? Lui come Padre  di Gesù è anche il Padre di tutti, ma soprattutto dei più poveri, in memoria di quando Lui e Maria, in attesa del Bimbo, si videro rifiutare da tutti l’ospitalità di una notte. Oggi in riparazione del male di allora in molte località si offre un banchetto ai più poveri e sono i ricchi del paese a servire in tavola.

A  Roma poi sanno con assoluta  certezza che San Giuseppe, quando riparò in Egitto con Maria, non  trovando lavoro come ebanista si mise a vendere frittelle, cosicché  oltre a chiamarlo S. Giuseppe Falegname, spesso lo chiamano anche San Giuseppe Frittellaro. E’ per questo motivo che in suo onore, in molte località d’Italia si preparano tanti deliziosi dolci fritti. Fra esse ci sono anche anche  quelle famose, colorate  frittelle sicuramente eredi delle feste Romane e della Fuga in Egitto, che sono le “Zeppole di San Giuseppe” e di cui Napoli, in particolare, vanta la prima ricetta scritta nei primi decenni del XIX Secolo.

ZEPPOLE DI SAN GIUSEPPEvarie_0113n

INGREDIENTI (per 6 – 8 persone):  Per laPasta: 6 uova, 300 grammi di farina, 50 grammi di burro, 1/2 litro di acqua, zucchero a velo. Per la Crema Pasticcera: 50 cl di latte, 2 uova,100 grammi di zucchero,80 grammi di farina, 1 limone. Inoltre occorrono  amarene sciroppate per decorare al top le zeppole e olio per friggere extra vergine di oliva, sale q.b.

PREPARAZIONE della Pasta:  versare in una pentola l’acqua unitamente al burro e a un pizzico di sale e porre sul fuoco a fiamma media. Quando l’acqua comincerà a fare le prime bollicine, senza bollire completamente, versare la farina passata al setaccio tutta assieme e mescolare con la frusta per circa 10 minuti o fino a quando il composto non si storiastaccherà dalle pareti della pentola.

Spegnere il fuoco e aggiungere 6 uova, uno alla volta, seguitando a girare l’impasto con una frusta elettrica, finchè non sia perfettamente amalgamato. Lasciar riposare per 30 minuti circa.

PREPARAZIONE della Crema Pasticcera: lavorare in un recipiente con la frusta elettrica lo zucchero con i tuorli di 2 uova fino ad ottenere  un composto  quasi bianco e spumoso. Aggiungere la farina, setacciandola con un colino, per non formare grumi, aggiungere poi il latte e  e due pezzi di buccia di limone.

Porre il recipiente sul fuoco a fiamma media e addensare la crema senza far bollire, mescolando con un cucchiaio di legno. Togliere le bucce di limone e far raffreddare.

FRITTURA DELLE ZEPPOLE: riempire di olio una casseruola dai bordi alti, tenendo presente che le zeppole devono friggere completamente ricoperte di olio, altrimenti non si gonfiano. Mettere la  casseruola sul fuoco a fiamma media.

Riempire di pasta una siringa da pasticciere con la bocca larga e premere il composto in un piattino da caffè unto di olio, dandogli la forma arrotondata di una ciambella. Far scivolare una zeppola per volta  nella casseruola, nell’olio ben caldo, ma non fumante e cuocerla sino a quando si gonfi. Alzare leggermente la fiamma per farla colorire, toglierla dalla padella con il mestolo forato e metterla a scolare su carta assorbente. Proseguire la cottura,una per volta delle restanti zeppole, facendo attenzione che l’olio non sia troppo caldo.

COMPLETAMENTO delle Zeppole: quando le zeppole si saranno raffreddate, cospargerle di zucchero a velo, porre nel mezzo un ciuffo di crema, utilizzando la siringa da pasticciere e  al centro della crema porre un’amarena sciroppata.

037 b Giuseppe Carelli - Scorci di paesaggio

Lasagne alla Messisbugo

Da più di un secolo e mezzo gli Estensi erano diventati i signori  assoluti di Ferrara, portati al potere da una rivolta popolare che, nel 1317, aveva spazzato via le pretese di tutti gli altri nobili che se  la contendevano. In un periodo di grande floridezza economica, la città si era ingrandita già due volte, spostando sempre più a nord la cinta muraria, una prima volta per fare spazio alla popolazione in aumento e la seconda per creare un quartiere dedicato esclusivamente ai commercianti, segno evidente della ricchezza e del benessere che si propagava per tutte le classi sociali. Alla fine del 1300, poi, la famiglia estense si era fatta costruire il Castello di San  Michele, una vera e propria struttura fortificata con le sue 4 torri angolari e il grande fossato, che, unico fra i castelli di città in  tutta Europa, si  è conservato a tutt’oggi  con l’acqua e viene tutelato dall’Unesco. Ma tutto ciò nel 1492 era già considerato superato e così, fra le esigenze della 1547 popolazione e le ambizioni di Ercole I il duca, vennero chiamati  i migliori architetti del tempo perché facessero di Ferrara la città più moderna di tutta l’Italia. Per la terza volta le mura furono spostate a nord e, nella riscoperta tutta rinascimentale dell’antica città greca, lo spazio libero fu occupato da un rigido tessuto di strade di tipo ortogonale, che  fecero di Ferrara una città  prototipo cui si sarebbero ispirate, molto più tardi  le grandi metropoli, soprattutto americane del XX secolo. Ma non fu solo questo a fare  di Ferrara l’antesignana della moderna urbanistica  perché, per la prima volta,  Biagio Rossetti, uno degli architetti chiamati dal duca, riuscì  ad applicare  nel nuovo  tessuto urbano, i concetti di piano regolatore  e di  sviluppo programmato, prevedendo il luogo e le dimensioni in cui costruire gli edifici pubblici e privati, le chiese, i giardini e gli  spazi collettivi, senza lasciare nulla all’edilizia spontanea. Era esattamente il contrario del concetto della città tradizionale, in cui il nuovo si era strettamente  aggrappato al  primitivo nucleo centrale, spesso soffocandolo e rendendone difficile l’approccio.

Questa era la base che ospitava e faceva da cornice  alle grandi, principesche dimore come il Palazzo dei Diamanti, Casa Romei, il Palazzo di Ludovico il Moro e Schifanoia, la residenza sede principale  delle feste e dei ricevimenti del Ducato, in cui Pellegrino Prisciani, uno degli artisti chiamati da Ercole I, ideò gli incantevoli affreschi dei “Mesi.”

cossa_francesco_del_-_allegory_of_april-_triumph_of_venus_detail_-_1476-84La città del  rinascimento era così diventata il simbolo stesso degli Estensi, in qualche modo il biglietto da visita per una dinastia imparentata con i re di Francia e con i Papi, in una corte splendida e raffinata dove si ospitavano pittori e architetti, musici e scrittori, in una parola  i migliori artisti dell’epoca, che spesso giravano di corte in corte, fra cui uno per tutti,  Ludovico Ariosto che a Ferrara era di casa e dedicò il suo Orlando Furioso proprio a a Ippolito II D’Este, cardinale e Duca.

In questo  mondo ricco, spensierato e sicuramente pagano il banchetto era il simbolo in cui si riassumeva, ai più alti livelli. l’attività di tutta la corte, l’occasione in cui si preparavano  i matrimoni e si stringevano le alleanze o più semplicemente si gareggiava con le altre corti in sfarzo ed eleganza.

Uno dei maggiori artefici dell’arte del banchetto di tutto il Rinascimento, nacque proprio qui a Ferrara, sul finire del ‘400, da genitori che probabilmente venivano dalle Fiandre. Si chiamava Cristoforo da Messisbugo  e lavorò per la famiglia estense dal 1524 fino alla sua morte, avvenuta nel 1548. Scarne le notizie della sua vita personale, si sa soltanto che sposò una nobildonna e fu fatto Conte Palatino da Carlo V, mentre molto si sa della sua arte, che lui stesso ci ha raccontato in una originale opera intitolata “Banchetti, composizione di vivande  e apparecchio generale.” Nella prima parte, Messisbugo illustra tutta l’organizzazione del banchetto, dal modo di apparecchiare la tavola  agli eventi artistici che  lo devono accompagnare, mentre, nella seconda, descrive le ricette, sempre complesse, ricche, adatte quindi alle grandi occasioni e spesso influenzate dalla cucina francese e tedesca, proprio a dimostrazione del cosmopolitismo della corte estense. Egli non fu certo un cuoco o uno Chef come lo intendiamo oggi ma, piuttosto, e a ciò corrisponde il titolo di “Scalco,” qualcosa di paragonabile a un maitre o un direttore di grande albergo, capace di predisporre un menu e organizzare una serata di gala. E che serate dovevano essere quelle! I banchetti, in genere, avevano inizio verso le 9 di sera  per terminare alle 5 di mattina, ma in particolari occasioni si poteva anche capovolgerne l’andamento iniziando la mattina, interrompendo verso sera con la rappresentazione di un’opera teatrale, per poi riprendere sino a notte fonda. In qualche caso il banchetto  ha come preludio l’opera teatrale e ogni tanto si interrompe per un ballo alternato a tornei e giochi vari.

Famoso il convito preparato da Messisbugo nel 1529  per 104 invitati che così ha inizio: “Al suono delle trombe gli invitati entrarono nella sala del banchetto e, dopo i lavacri con acqua profumata, presero posto alla mensa. Ebbe inizio la cena vera e propria, composta da 8 vivande multiple (Attenzione, ogni vivanda può oggi essere considerata un banchetto e se stante, per la ricchezza e la varietà delle vivande). Per ogni vivanda cambiava il genere di intrattenimento, musiche con vari strumenti, canti solisti, dialoghi a più voci accompagnati dal flauto, dalla viola e dal trombone.

Certo oggi è tutto cambiato, le grandi Corti del Rinascimento sono finite da tanto tempo, ma Ferrara è sempre lì bellissima e intatta, pronta ad accogliere i suoi visitatori con lo stesso garbo  e la raffinatezza di un tempo e… poichè si avvicina il Natale perchè per un attimo non far rivivere l’estro di Messisbugo, preparando per la sera della vigilia uno dei suoi favolosi piatti, rigorosamente di magro,come vuole la tradizione?

Quello che proponiamo per tutti coloro, che per una sera almeno, si volessero sentire un po’ di casa, alla Corte degli Estensi, è frutto di  una rielaborazione “Doc” fatta nel 1973  da  Franco Danieli, primo Chef sulla turbonave Raffaello, che la propose agli ospiti  durante la traversata Genova – New York. Si chiama “Lasagne alla Messisbugo”
1522186935_95faed7af3Si inizia preparando un court – bouillon con circa 1/2 litro d’acqua, sale, pepe in grani, 2 foglie di alloro, 1 cipolla piccola e 1/4 di vino bianco secco. Dopo un quarto d’ora  di bollitura si spegne il fuoco e  quando è tiepido si  aggiungono 500 grammi di gamberetti e si riporta a ebollizione fino a cottura completa. Dopo, i gamberi vanno sgusciati e mentre le code vengono appoggiate su un piatto di servizio,  si frullano le bucce e le teste dei gamberi fino a ridurle a una polvere fina. Poi dopo aver riunito polvere di bucce e court bouillon si filtra tutto e si mette da parte. Servirà più tardi.

Adesso occorre invece sciogliere 50 grammi di burro in un tegamino, in cui si dispongono, un po’ per volta, se non entrano tutti insieme, avendo l’accortezza in questo caso di cambiare ogni volta il burro, 12 filetti di sogliola che, dopo essersi rosolati verranno salati, impepati e sfumati con 1/4 di vino bianco secco. Il fondo di cottura non dovrà rapprendersi molto.

In un secondo padellino si fanno soffriggere altri 50 grammi di burro in cui versare le code dei gamberi, saltandole solo pochi minuti e aggiungendovi alla fine 1 bicchierino di cognac. Poi si preleva  1/2 bicchiere dal frullato di bucce di gamberi e court – bouillon e ci si scioglie  1 cucchiaino di curry, 1 cucchiaino raso di farina e si rimette sul fuoco assieme ai gamberi, formando una salsa abbastanza fluida

E avanti con un terzo tegamino in cui si mescolano 25 grammi di farina con 70 grammi di burro senza farli colorire, aggiungendo un po’ per volta il frullato di bucce di gamberi e court – bouillon. Una volta tolta dal fuoco a questa salsa vanno aggiunti 100 grammi di parmigiano grattuggiati. E’ importante tenerla in un luogo tiepido, mescolandola ogni tanto, per evitare che sopra si formi una pellicola.

E adesso cominciamo ad arrivare al clou della preparazione, facendo cuocere in acqua bollente, a due o tre per volta  i quadrati di pasta ricavati da una sfoglia formata da 500 grammi di farina e 5 uova, La cottura di queste lasagne deve essere tenuta al dente e dopo vanno disposte allineate su un telo, in  attesa dell’impiego definitivo.

A questo punto si può cominciare a preparare il timballo, imburrando un tegame da forno e disponendo un primo strato di lasagne da cospargere con la salsa del terzo tegamino. Poi si fa un altro strato su cui si appoggiano i filetti di sogliola e appena un poco del loro fondo di cottura (1° tegamino). Si procede con un altro strato  sul quale si appoggiano nuovamente filetti di sogliola e  stesso fondo di cottura. Ancora una base di lasagne con salsa del terzo padellino e poi nuovamente strati conditi con filetti di sogliola e il loro fondo di cottura sino a esaurimento degli ingredienti. Attenzione a  finire con la copertura del solo strato di pasta. Poi tutto in forno per 10 minuti a 160°. In tavola si porta la salsiera con i gamberi (2° tegamino) che ogni commensale verserà sulla propria porzione di lasagne.

Qualcuno  naturalmente si sarà già chiesto che cosa c’entra il curry. E’ un ‘aggiunta moderna, frutto della rielaborazione del 1973, che serve a smorzare il sapore un po’ dolce del pesce. Volete, per finire, anche una piccola variante? Al posto delle sogliole si può usare il pesce persico. E Buon Natale, di cuore!

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