Non si sa di preciso quando arrivò in Giappone, nè chi lo portò. Fino a poco tempo fa si pensava a un’emigrazione Coreana che si era trascinata appresso le sue piantine, poi un recente esame del DNA ha escluso l’origine coreana in favore di una qualità che dovrebbe essere arrivata direttamente dall’estuario dello Yangtze, al Sud della Cina. Quanto all’epoca, i contorni di fanno ancora più incerti con un’oscillazione che va dal 300 a.C. al 250 d.C. Pare che proprio la sua introduzione abbia fatto la fortuna della cultura Yayoi, le cui genti, in quel periodo, divennero sedentarie, si arricchirono e finirono col dominare il Giappone. Non si trattava, però, di un alimento qualunque perché veniva chiamato anche “Il cibo degli Dei” e guai a chi non glielo offriva in dono! Poteva succedere di tutto all’uomo che perdeva la benevolenza Divina. Fu in questo modo, dicono le storie, che i Giapponesi conobbero il “riso” e impararono a coltivarelo con così tanto amore da renderlo ben presto il cibo nazionale. E non solo cibo! Un po’ come l’agave per i messicani o il maiale per gli italiani, del riso non si spreca nulla! Le spighe si seccano in paglia e con la paglia si fanno i tatami o gli intrecci per i tetti, le foglie diventano oggetti d’uso e con gli ultimi residui del risosi fa la carta, mentre il Sake, non a caso la bevanda nazionale, si ottiene dalla distillazione. E non fnisce qui. In età feudale, non con la geometria si misurava il campo, ma dalla produzione di riso si valutava la ricchezza della terra e dei signori che la possedevano.
L’unione poi del riso col pesce fresco, in Giappone avvenne più tardi, ma il rapporto durò a lungo, anzi non si è più interrotto! La pesca nei grandi mari dell’Est era sempre abbondante e la varietà eccezionale, ma il pesce non si mantiene a lungo e spesso quando la nave pescava lontano, il pesce, non ce la faceva ad arrivare fresco, nemmeno a riva. Un bel guaio per l’alimentazione e per i commerci, se non si riusciva a sfruttare una risorsa così importante. Ma ci pensò il riso, così versatile e dai mille usi che si prestò a dare il suo apporto, davvero importante. Si scoprì infatti, chissà se per caso o per l’aiuto di qualche Dio benevolo, che aveva mangiato ciotole di riso a sufficienza, che il pesce si poteva conservare perfettamente se, una volta pulito e salato, anzichè mangiarselo lo si avvolgeva in una strato di riso appena lessato. Certo ci voleva del tempo, da qualche mese sino a tre anni, ma intanto si poteva trasportare, stoccare,vendere e infine…mangiare. Popoli molto vicini al mare, tutta gente che il riso lo coltivava da tempo immemorabile, come gli indonesiani o addirittura i I cinesi, già si erano resi conto dello strano fenomeno. Sembra che furono proprio dei Monaci, che, nell’8° Secolo, dalla Cina tornavano, freschi d buddismo, in Giappone, a svelare, assieme al Nirvana, anche come utilizzare il riso per conservare il pesce… E se per gli altri popoli il pesce conservato era stata una tecnica, da allora, per i giapponesi, diventò un’arte.
Cosa succede al pesce,quando, a contatto con il riso lessato, fermenta e spinge il riso a produrre l’acido lattico, che poi serve proprio a marinare il pesce, allora non lo potevano sapere, ma il termine Sushi, che compare per la prima volta nell’8° Secolo, fa riferimento alla conservazione e questo, per i tempi, era sufficiente. Lo preparavano, in genere, con carpe salate e riso lessato, disposti a strati e chiusi dentro un contenitore su cui veniva posata una pietra per favorire l’uscita dell’aria e dell’acqua. A quello non avevano dato un nome preciso, ma non c’è dubbio, avevano inventato la tecnica del sottovuoto. In quel periodo lo chiamavano Nare Zushi e, poiché la moneta doveva scarseggiare un po,’ lo inviavano a Kyoto, la capitale, per pagarci le tasse. Quello che restava se lo mangiavano buttando però via il riso perché aveva un sapore troppo acido
Per far cambiare opinione ai Giapponesi sul riso acidulato, bisognerà aspettare il 15° Secolo e ciò avvenne in un modo molto semplice, stoppando prima, esattamente dopo un mese, il processo di fermentazione. Certo il Sushi, che, con quel trattamento, cambiò nome, per diventare il “Nama Nare Zushi, durava molto di meno, ma il riso restava più integro e, assorbendo meno acidità, si poteva pure mangiare.
Più tardi,e siamo agli inizi del 17 secolo la Corte e il potere si traferirono a Tokio, che si chiamava Edo, e questo fu un periodo molto fiorente per l’agricoltura in genere e per il riso in modo particolare. Dal riso vennero prodotti e diffusi parecchi derivati, fra cui l’aceto di riso che portò a una seconda rivoluzione nella preparazione del Sushi. Anziché aspettare che il riso fermentasse naturalmente e cominciasse a marinare il pesce, lo si imbeveva di aceto e il processo di conservazione del pesce aveva immediatamente inizio. Bastava prepararlo la sera per cominciare a mangiarselo la mattina dopo. Nel 1700 i pesanti stampi vennero sostituiti da stampi più leggeri di legno e una volta immerso nello stampo il composto veniva tagliato a piccoli rettangoli e consumato così. Da quì alle preparazioni direttamente monodosi, che oggi conosciamo in forma di rettangoli, ovali o tandi il passo fu abbastanza breve e ai primi dell’800 se lo inventò un venditore ambulante di Sushi, Yohel Hanaya che, con il riso aromatizzato, preparava con le mani un unico bocconcino, sormontato da una fettina di pesce crudo. Era così nato il Nagiri Zushi , quello che oggi mangiamo al Kaiten Sushi o al Sushi bar e che cominciò la sua avventura nella modernità, sui banchi più vicini al mercato del pesce.
Nel 1923,Tokio fu colpita da un terribile terremoto e durante la fase di ricostruzione giunsero imprenditori e operai da tutto il paese e il “Nagiri Sushi” che era ancora poco conosciuto in giro,rapidamente divenne il piatto di tutta la nazione.
Dopo la seconda guerra mondiale, il Sushi era diventato un piatto di lusso, molto costoso, che si serviva esclusivamente nei ristoranti più raffinati. Erano ormai finiti da un mezzo i tempi in cui si mangiava per la strada e dopo ci si puliva coralmente le mani sull’unico strofinaccio che il venditore metteva a disposizione di tutta la sua onorata clientela. E più lo strofinaccio era sporco più stava lì a testimoniare il maggior numero di clienti che andava ad affollarsi dove bontà e freschezza era più evidente.
Fu allora, ed era il 1958, che un ristoratore, per abbattere i costi senza andare a incidere sulla qualità, si inventò il nastro che trasportava il sushi, appena preparato, attraverso il ristorante, senza il supporto o con un supporto minimo, di camerieri. Il nastro divenne un boom e il Sig Yoshiaki Shiraishi in breve aprì 250 ristoranti in tutto il Giappone. Poi negli anni ’80, il fenomeno opposto, quando, negli Stati Uniti lanciarono il Sushi Bar, locale per Yuppies rampanti dove l’ordinazione era d’obbligo e la cultura giapponese era nell’aria, spesso come una moda, qualche volta come stile di vita, elegante, essenziale, con qualche tocco zen nell’arredo ad aggiungere fascino e desiderio d’oriente. Negli anni ’90 il Sushi,all’apice della sua fama, divenne un fumetto manga “Shota no sushi” e poi una serie televisiva, in cui il protagonista ogni settimana si imbatte in una specialità della cucina giapponese. Forse fu l’inizio di una nuova era di democratizzazione, ma oggi il Sushi bar spesso nemmeno si riconosce, qualche volta si è banalizzato, spesso è addirittura un take away o un ristorante o tutte le cose mischiate un po’ assieme. Per fortuna il Sushi è sempre li con le sue infinite variazioni sul tema che hanno sempre il potere di incuriosire, chiedere, assaggiare e condividere… in qualunque parte del mondo ci si trovi.
Qualche tipo di Sushi :
MAKIZUSHI (sushi arrotolato): polpettina cilindrica,avvolta nell’alga Nori che racchiude all’interno riso e ripieno.
FUTOMAKI (rotoli larghi): polpetta cilindrica con l’alga Nori all’esterno,spessa due centimetri e larga due. due o tre ripieni è la regola.
HOSOMAKI (rotoli sottili): polpettina cilindrica con l’alga Nori all’esterno,spessa due centimetri e larga due.Ha un solo tipo di ripieno.
TEMAKI (rotoli a mano):polpetta a forma di cono,con l’alga Nori all’esterno e gli ingredienti che sporgono dall’estremità più larga. Lungo dieci centimetri si deve mangiare con le mani. troppo lungo per le bacchette.
URAMAKI (rotoli interno/esterno): polpetta cilindrica di medie dimensioni con uno o due ripieni.Il riso è all’esterno e il Nori all’interno. Il ripieno centrale è contornato di Nori, poi uno strato di riso e una guarnizione esterna di pesce o sesamo.
OSHIZUSHI (sushi pressato): in una forma di legno si preme una guarnizione che si copre poi di riso sushi, poi si preme il coperchio dello stampo per dargli una forma compatta. Si toglie infine dallo stampo e si taglia in piccoli pezzi.
NIGIRIZUSHI (sushi modellato a mano): piccola polpetta preparata usando un makisu. Nella sua forma più semplice è un blocchetto di riso sushi con una punta di Wasabi e una fettina avvolta sopra come guarnizione,di alga Nori.
GUNZANGUSHI (sushi nave da battaglia): polpettina di forma ovale in cui un pugnetto di riso viene avvolto a mano in una striscia di Nori,ma invece di avere all’interno un ripieno ha uova di pesce.
INARI (sushi ripieno): una tasca riempita con riso sushi o altri ingredienti. La tasca è ricavata da un pezzo di Tofu fritto o da una sottile frittata.
CHIRASHIZUSHI (sushi sparpagliato): è una ciotola di riso sushi con altri ingredienti mischiati.
NAREZUSHI : come noto,una delle forme più antiche di sushi.Si rimuovono gli organi interni e le squame dei pesci, si riempiono di sale e si mettono in un barile miscelati con sale e pressati con una pietra. Si lasciano fermentare per un periodo che va da dieci giorni a un mese, quindi vengono tolti dal barile e posti sotto l’acqua corrente per circa un’ora. Infine vengono sistemati in un altro barile a strati alternati di riso lessato freddi e sigillati. Con il passare dei giorni l’acqua filtra all’esterno e viene rimossa. Dopo sei mesi sono pronti.
FUNAZUSHI: è un piatto tradizionale della Prefettura di Shiga ottenuto dalla fermentazione lattica anaerobica di un pesce d’acqua dolce, il Funa.
RIPIENI E GUARNIZIONI: Fra i pesci in genere si utilizzano tonno,salmone, snapper, sarde e sugarello.Ccostacei, molluschi e frutti di mare, polpi, gamberetti e anguilla, uova di pesce, riccio di mare e vari tipi di conchiglia. verdura, frutta e ortaggi come rafano, semi di soia, avocado, cetrioli e,tofu e prugne sottaceto. Carne rossa, uova e uova di quaglia. Alga Nori, frittata, riso sushi.
CONDIMENTI: salsa di soia, wasabi, gari, shiso, mirin.
UNA RICETTA DI SUSHI: per 20 pezzetti e per chi non ha completato l’intero corso di Sushi della durata di 6 anni!
Ingredienti: 500 grammi di riso semifino, mezzo litro di aceto di riso, 2 cucchiaini di sale, 4 cucchiaini di zucchero, salsa di soia, filetti di tonno o salmone,contenitore d’acqua per bagnarsi le mani, pentola a pressione, un pentolino.
PREPARAZIONE DEL RISO SUSHI: Si sciacqua parecchie volte il riso per togliere l’amido ,poi si scola e si mette in pentola coprendolo con 5 dl di acqua fredda.Si pone sul fornello a fiamma alta e si abbasserà quando ha raggiunto l’ebollizione e si lascia cuocere il riso per circa 20 minuti. Nel frattempo mettere nel pentolino l’aceto, il sale, lo zucchero e qualche goccia di soia. Poi porre sul fuoco facendo sciogliere gli ingredienti.Questa salsa va versata sul riso quando sarà cotto.
PREPARAZIONE DEL SUSHI: stendere i filetti di pesce su una superficie piana e tagliarne delle striscioline delle dimensioni scelte per le polpettine di riso. Portare il riso e il contenitore dell’acqua vicino al pesce. Prepariamo con le mani bagnate le polpettine di riso a forma allungata e copriamole con il pesce.