Marchesi e la Seppia al Nero… il futuro ha un cuore antico !

 Appena comincia a parlare, dà  una sensazione di tranquilla  semplicità mischiata a una leggera ironia…  Ma  di quelle che non fanno male a nessuno… E  ci vuole un po’ di tempo per  scoprire  quanto invece sia   irrequieto.   Che se  poi  andiamo  a dare uno sguardo alla vita di questo arguto e vivacissimo signore di 80 anni, ci si accorge che non è stato fermo un attimo e  ha sempre ricominciato dai suoi punti di arrivo, quelli dove, la maggior parte delle persone, si  fermerebbe,  guardandosi  attorno soddisfatta. Di certo  non è da tutti nascere già con 40 camere d’albergo e un ristorante nel cuore di Milano… Ma  il sereno avvenire che vede davanti a sé  a Gualtiero Marchesi non basta …  La sua è una vocazione, un’ ansia di migliorare, una sfida  dove si mette continuamente in discussione … E fin dall’inizio   non è solo  cucina….  C’erano  la pittura, le letture,  la musica, l’opera..  Di pianoforte era proprio appassionato e prendeva lezioni, salvo  smettere quando si innamorò della pianista e la  sposò… Comunque a 18 anni  era già da parecchio fuori casa in un’alta scuola di cucina a Lucerna.   Quando tornò  nel ristorante di famiglia era bravissimo… Poteva raccogliere i suoi frutti  e infatti per qualche anno sembrò quietarsi… Ma appena il tempo di dare nuovo lustro al ristorante dove  negli anni ’60  si inventò  il “Pollo alla Kiev!”…  un piatto a cui Marchesi è stato sempre particolarmente affezionato… tanto che ha seguitato a modificarlo negli anni e oggi,  rivisitato per una volta ancora, è nel menù del Marchesino, il suo ultimo ristorante alla Scala di Milano.

Ma gli anni della sua vera formazione, quelli della sua particolare rivoluzione culturale, quelli che porteranno la cucina italiana a un punto di non ritorno,  sono senza alcun dubbio alcuno legati al ’68, che lui vive a Parigi, nel cuore più profondo del movimento ribelle. Tanto per Marchesi, la cucina è comunque un espressione culturale  e tutto ciò che di innovativo il ’68 si portava appresso nell’arte come nella letteratura o il viver sociale,  Marchesi l’ha   riversato  nella  cucina. Parafrasando l’Artusi ha sempre detto che la cucina è di per sé una scienza … che solo i più bravi riescono a trasformano in arte… E arte per lui  è stata … Arte e fantasia in uno sgorgare continuo di idee che l’ha portato, di ristorante in ristorante, di ricetta in ricetta, a rivisitare l’intera  cucina italiana lasciando stupito  il mondo intero, fino a quando  l’idea ha fatto strada  e si è imposta nelle sue infinite varietà… Cucina creativa è stato per Marchesi dare sfogo alle emozioni, giocare a un puzzle senza fine in cui le tessere sono state  scomposte e ricomposte  per dar vita  a nuove figure, nuovi oggetti,  e soprattutto nuovi  colori, dove ogni piatto vuole diventare un quadro d’autore..   Con  Marchesi,  il suo particolare Iperuranio, già perfetto e chiuso in sé,  è sceso in terra e si è posato sulle tavole, dando una linfa nuova a quelle ricche tradizioni  d’italia che rischiavano  ormai di morire   soffocate  nel formalismo ritualistico che da troppi anni  le avvolgeva. ..  Lui ha dato loro nuova vita utilizzando la sottrazione e il  minimalismo per arrivare un gusto più raffinato ed essenziale della vita… Che dire dello spettacolare  “Tripping di pesce” dove, per amor di  Pollock , le vongole e i calamaretti  della tradizione vanno a posarsi su una giallla  base di maionese in mezzo agli spruzzi  del nero di seppia ,della salsa al pomodoro e  della maionese verde alla “clorofilla?  E chi non  é quasi impazzito davanti alla  contraddizione in termini del ” Raviolo Aperto”,   dove  la pasta di copertura, impossibilitata ad avvolgersi al suo contenuto,  resta distesa a ostentare la sua verde e  incorporata foglia di prezzemolo ? E il nuovo risotto alla milanese, forse  dedicato ai nuovi Re Mida lombardi , dove lo zafferano non è stato più sufficiente e Marchesi ha decorato  il riso con una foglia d’oro a 24 carati  appoggiata a centro piatto…?

Ma a pensarci bene tutta la “Nouvelle cuisine” di Marchesi è stato un  lunghissimo atto d’amore per l’Italia, che lui ha orgogliosamente riproposto al mondo in una nuova forma, ma con gli stessi   ingredientti  che hanno fatto grande il territorio…  E il suo appassionato  rispetto all’Italia e alla sua supremazia ” culturale”  – uno dei pochi, in un mucchio di politici, industriali e ricchi, proni all’Europa  d’oltralpe – lo dimostrò con forza quando  con polemica e verità nel 2008,  fu il primo a restituire tutte le sue Stelle Michelin alla Francia… Nessuno si doveva più permettere di criticare e giudicare cuochi e ristoranti italiani,  se non il pubblico e i clienti… Loro, quelli delle stelle,  potevano al massimo indicare i luoghi  e raccontare  i piatti, ma non entrare con tutta l’albagia francese in terra d’Italia…  Per Marchesi,  infatti, il senso della stella era infranto convinto che,” ormai, si trattava  di un gioco al rialzo, dove si saliva e si scendeva  per tenere alto il buon umore e le fortune dei critici.” seppia-al-nero

Dal  mondo  innovativo di Gualtiero Marchesi una ricetta estiva che, nella forma argutamente ricreata, ricorda quasi una  satiro o un folletto della commedia dell’antica Roma.

SEPPIA AL NERO

INGREDIENTI per 4 persone: 4 seppie freschissime da 150 grammi ognuna, vino bianco secco tipo Inzolia 1 dl,20 rametti di cerfoglio, 10 grammi di burro, pepe bianco q.b, sale q.b.

PREPARAZIONE: Cominciate la ricetta   munendovi di guanti e facendo l’operazione di pulitura all’interno del lavandino. Servendovi di una forbice, incidete la seppia sul dorso dove si trova l’osso e con una leggera pressione estraetelo. Tagliate poi la testa e togliete tutte le interiora facendo attenzione alla sacca dell’inchiostro  che dovrete riporre in una ciotola senza romperla. Eliminate dalla testa gli occhi e il becco e private l’intera seppia della pelle che la ricopre. Lavate poi  accuratamente sotto l’acqua corrente. Iniziate la cottura riunendo in una piccola casseruola il vino bianco, un litro d’acqua , per poi salarlo e portarlo a ebollizione. Unitevi i tentacoli, il cappuccio delle seppie e cuocere a calore moderato per 20 minuti. Togliere dal fuoco. In un’altra  piccola casseruola versare l’inchiostro e diluitelo con altrettanta acqua, scaldatelo  a fuoco moderato senza portarle a ebollizione, aggiungete il burro a fiocchetti,  amalgamandolo al resto con una frusta, quindi salare e pepare. Coprire con la salsa nera il fondo dei piatti, adagiarvi sopra le seppie con la parte concava rivolta verso l’alto, ricomporle unendovi i tentacoli, quindi guarnire con il cerfoglio.

La Milano di Enzo Jannacci e gli ossibuchi col risotto giallo.

1950… Il nuovissimo grattacielo di Piazza  Repubblica è  alto 114,25 m… E’ la prima volta  che a un  edificio  viene  consentito di superare la Madonnina…  alta poco più di 108 m… Anche  altri  grattacieli stanno sorgendo, uno a  Piazza Diaz e un altro all’angolo tra Via Turati e Piazza Repubblica. La Casa Editrice Ricciardi  apre la sua nuova sede a Milano… Ha un obiettivo ambizioso…La pubblicazione  di tutta  “La letteratura Italiana”.  Antonioni sta girando  il suo primo film “Cronaca di un amore” con una giovane attrice che fino a poco tempo prima faceva la commessa di pasticceria  proprio a Milano La Callas canta per la prima volta alla Scala…  E Milano  sta cambiando, tutta presa dal suo miracolo economico.

Il quei dieci anni fra il ’50 e il ’60 quasi 300.000 persone  arrivano in cerca di fortuna… Vanno a riempire le periferie dai palazzoni tetri o i malsani scantinati del centro  e sembra che parlino altre lingue, che vanno a sovrapporsi e a mescolarsi con quella di casa… Magari le parole milanesi resistono, ma  in bocca  ai siciliani o ai  pugliesi c’è da farsi cadere le braccia.. La fabbrica però non ha occhi per il passato, non può neppure per un momento fermarsi e cercare di capire… Così  accoglie tutti nel suo disperato bisogno di mano d’opera..  Bisognerà aspettare il  1965 quando, Giovanni Pirelli,  scrivendo «A proposito di una macchina», entrerà nel cuore della Lombardia industriale, squarciando definitivamente il velo delle illusioni. Per ora è tutta baldanza  e il popolo di Milano, quello antico, sembra sopraffatto, quasi perso, pare non ci sia più,  in quel confuso crogiolo  aperto a tutte le esperienze…

C’è però qualcuno che quel popolo sa dove trovarlo…  Lui voleva fare il medico e invece  capì appena in tempo  che forse, senza di lui, nessuno avrebbe più conservato la memoria… Enzo Jannacci  aveva  un nonno pugliese arrivato con le prime migrazioni dell’inizio del ‘900, un padre, già di seconda generazione integrata, che era Ufficiale dell’Aeronautica… Forse qualche volta quando Enzo era piccolo, lo avrà portato con sè all ‘Aeroporto  di Linate che allora si chiamava Forlanini.  Enzo se lo ricorderà nella canzone del Barbone con  le scarpe da tennis… Al liceo  conosce Giorgio Gaber un amico, un fratello, quasi un’anima gemella, uno con cui  suonerà  e canterà a lungo  nei  duetti strampalati dell’assurdo… Erano i primi  a divertirsi da matti…   8 anni di pianoforte al conservatorio, diploma di armonia… e direzione  di orchestra, mentre seguita a studiare medicina…  Più in là lavorerà ai primi trapianti di cuore, in Sud Africa, nell’equipe di Barnard  e sarà  un jazzista capace di suonare con Chet Baker e Jerry Mulligan,  ma intanto è fra i tra i primi in Italia a suonare il rock’n’roll  e a spazzare via la musica melodica degli anni ’50 …

Al Santa Tecla e al Derby, i locali delle nuove tendenze,  portò il suo stile singolarissimo. Non era un urlatore, non era un rockettaro,  ma faceva   un cabaret musicale  dove dentro ci poteva essere tutto …Stralunato  paradossale,  inimitabile… Proprio com’era lui, con il  corpo  che sembrava andarsene per i fatti suoi e quel viso   da bravo ragazzo un po’ triste… Cantava storie minime di gente minima, storie disperate venate di ironia, con punte di esilarante comicità e un fondo  d’amore  per i suoi eroi di strada…   Un po’ recitava, un po’ cantava, suonava… parlava in dialetto… E intanto celebrava Milano… Sapeva che era senza scampo… Se ne stava andando quella dei barconi sui Navigli che  ancora portavano la sabbia dalle cave fino alla darsena,  il quartiere dell’Ortica  in cui il “Palo” della Banda era guercio  e non si accorgeva  mai quando arrivava la polizia…La Bovisa, Viale Forlanini, le periferie prima che fossero distrutte dall’avanzare della citta Leviatano… E la minuscola stazione di Rogoredo  ( I s’era conossü visin a la Breda, leì l’era d’ Ruguréd e lü… su no). In quei quartieri, c’era la Milano di una malavita minore… Il ladro di “ruote di scorta di micromotori  ”, quel fratello cattivo che faceva piangere la mamma,  nell’ ironica dissacrazione  “di tutte le mamme del mondo ” che ancora imperversavano nel canto melodico dei  Festival di San Remo”   A chiedere  il personaggio più amato non si sa rispondere… Il barbone ammazzato mentre  “coltivava già da tempo il suo sogno d’amore”, il tassista che si ribalta con il suo taxi  senza una ruota, ridotto a un triciclo o  quel poveretto  che l’Armando gettava  giù dal ponte ” Ma per non bagnarmi tutto mi buttava dov’è asciutto”.

jQuando sul finire degli anni ’60 quel mondo stava davvero  scomparendo  Jannacci se ne andò a fare il medico…  Era bravissimo, pignolo sino all’esasperazione, ma  a  Cantù c’era  chi lo  ricordava entrare  correndo  nei reparti e gridare, rivolto ai malati: «Cià, che fèmm una cantàda», più o meno «Su che cantiamo insieme». Era il suo modo per tenere alto il morale  a tutti e dava se stesso senza esitazioni…

Naturalmente più tardi tornò a cantare…  Tematiche  diverse per tempi cambiati, ma l’ironia era sempre la stessa…  “Ho visto un re”,  insieme a Dario Fo.. Sembra un non sense e invece  è  una metafora  a sfondo politico.  Diventa uno dei brani simboli del ’68,   quando si capisce la  graffiante satira sociale e lo sconforto della politica…  “Vengo anch’io… no tu no”, forse il suo brano di maggior successo è in realtà  la denuncia di nuove esclusioni…   Quel “Tu no”  oltre un bullo alla Carlo Verdone, messo in disparte  può essere anche un extra comunitario… “Messico e Nuvole” è un amore per nuovi borghesi pieni di divorzi facili, ma la disperazione e l’amore sono  così autentici  che fanno venire  da piangere…

Poi teatro, televisione, cinema, con quel disancorato triste personaggio de “L’Udienza”… Colonne sonore   e tanti onori… Se ne è andato in punta di piedi qualche mese fa…  Il tre giugno sarebbe stato il suo compleanno e lui non è riuscito ad arrivarci… Ma il  Governatore della Lombardia che suona Jazz e il figlio Paolo lo stanno festeggiando  ugualmente… Con una Jam Session nella sede della Regione Lombardia…

Quando é morto c’era  anche un paio di scarpe da tennis nere, nella camera ardente. La ragazza che le aveva portate ha detto a bassa voce “Mi sembrava che mancasse qualcosa, e’ giusto cosi”

Pochi dubbi per la ricetta… C’è dentro tutta l’antica tradizione di Milano…

OSSIBUCHI ALLA MILANESE  CON RISOTTO GIALLO

INGREDIENTI  PER GLI OSSIBUCHI per 4 persone: 4 ossibuchi, farina q.b., 1 cipolla, 1 carota, 50 grammi di burro, 1 dl di vino bianco secco, 1 dl di brodo di carne, 1 spicchio di aglio,  1  manciata di prezzemolo, 1 limone biologico

 INGREDIENTI PER IL RISOTTO per 4 persone:  400 g di riso, 1/2 cipolla bianca, un bicchiere di vino bianco fermo, 2 bustine di zafferano, olio extra vergine di oliva q. b. ,240 grammi di burro, 6 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato, brodo di carne, sale e pepe.
PREPARAZIONE DEGLI OSSIBUCHI
Tagliate la pellicola esterna degli ossibuchi  per evitare che si arricci in cottura. Sciacquateli in acqua fredda corrente, asciugateli tamponando bene con carta assorbente da cucina e infarinateli.
Sbucciate  e tritate finemente la cipolla, versatela in un tegame con il burro e fatela appassire a fuoco basso  per circa 10 minuti, mescolando spesso. Mettete gli ossibuchi nel tegame, alzate il fuoco e lasciateli dorare bene da ogni lato, facendo attenzione che la cipolla non diventi troppo scura. Eventualmente toglietela dal tegame e rimettetela prima di  sfumare la carne con il vino.  Quando sarà evaporato, salatela e pepatela.
Unite il brodo, abbassate il fuoco, coprite e fate cuocere per circa 1 ora e 30 minuti, voltando la carne di tanto in tanto; il sugo dovrà restringersi pur rimanendo fluido.
Preparate la gremolata: sbucciate e tritate l’aglio; mondate e tritate il prezzemolo; lavate bene e grattugiate la buccia del limone. Mescolate il tutto, quindi versate il ricavato sulla carne e proseguite la cottura per 5 minuti. Servite gli ossibuchi nei piatti individuali, accompagnando con risotto alla milanese.
PREPARAZIONE DEL RISOTTO ALLA MILANESE
Preparare il soffritto con olio, poco burro e cipolla tritata . Quando tutto è ben  dorato buttare il riso, amalgamare bene e sfumare con il vino bianco. Aggiungere quindi il brodo. in cui si sono già sciolte le bustine di  zafferano)e continuare la cottura per circa 15 minuti. Mantecare fuori dal fuoco, con burro freddo e parmigiano.

Lawrence d’Arabia e il mansaf… Da mangiare nel deserto!

“Entrò il cerimoniere e sussurrò qualcosa all’orecchio di Faisal che si girò verso di me e con gli occhi che gli brillavano disse: c’e’ Awda! In quel momento il lembo della tenda  fu tirato  indietro ed entrò una figura alta e forte… Aveva un viso magnifico, appassionato e tragico, solcato da rughe e ombre profonde…Feisal balzò in piedi. Awda gli prese la mano e la baciò ed essi si appartarono di un paio di passi e si guardarono: una coppia magnificamente disuguale, esempio di ciò che di meglio ci fosse in Arabia, Feisal il profeta e Awda il guerriero.” Così Lawrence descrive il suo amico principe e Awda  Abū Tāyih il capo della tribù  Howeytat, di sicuro un noto  predone, ma anche “il più grande guerriero dell’Arabia settentrionale” .  Thomas Edward Lawrence  era di sicuro un ufficiale e un  archeologo  di Sua Maestà Britannica, ma anche un agente segreto distaccato con funzioni di “consigliere militare” presso    Faisal … Figlio di  Al-Husayn ibn ‘Alī, emiro e sceriffo dell’impero ottomano, ma di sicuro  anche capo della rivolta araba proprio contro l’impero ottomano…  In effetti quella era  una guerra complicata dove amici e nemici  cambiavano  con rapidità vertiginosa, in quel grande impero turco che stava perdendo pezzi da tutte le parti…  Anche Awda  Abū Tāyih  nella sua spregiudicata veste di capo militare   era inizialmente al soldo dei Turchi ottomani, ma ora stava ascoltando con stupore e incredulità il  piano di battaglia che  quel  giovane inglese  eccitato gli stava proponendo…  Buona parte dell’esercito turco dopo le ultime sconfitte si era  chiuso ad Aqaba, la città sul Mar Rosso  completamente separata dall’entro terra da una catena montuosa e dal deserto.. Ed Aqaba era il punto strategico per comsentire agli inglesi l’accesso in Palestina. Attaccarla  dal mare era impossibile  tanto era forte lo schieramento dei cannoni… Lawrence quindi  stava proponendo di atrraversare il terribile deserto del Nefud, scavalcare le montagne e  prenderla alle spalle … … Faisal poteva mettere a disposizione una cinquantina di uomini… ” Al resto degli uomini ci penso io” tagliò corto Awda … E in effetti nella  difficile  strada per Aqaba accorsero da tutte le tribù, attratti dal carisma di Awda e in cerca della loro libertà… Lawrence non attaccò subito… aspettò un giorno d’eclissi  per aumentare la sorpresa..  Era il 6  luglio 1917, quando  una forza di  irregolari arabi,  raccolti all’ultimo momento,  sconfisse la grande potenza ottomana…  Prima di Natale il Generale Allenby e le forze regolari inglesi  erano a Gerusalemme…

La grande avventura di Lawrence era cominciata nel 1916. Ma lui, con  la laurea in archeologia e una tesi su “Le fortificazioni militari dei crociati”,  già dal 1910 era di casa, in Medio Oriente… Spinto anche dai suoi maestri che lo mandavano a  scavare,  ma intanto lo  usavano  come  punta avanzata dello spionaggio inglese, in quelle aree di grandi  scontenti…  All’inizio della guerra era al Cairo al Servizio Cartografico …Un modo poco appariscente per raccogliere informazioni… Due anni dopo, sarebbe passato ufficialmente   nelle schiere dell’Intelligence Militare di Sua Maestà… Era appena iniziata la rivolta delle tribù arabe contro gli ottomani.. L’Inghilterra  aveva un gran bisogno di questa sorta di resistenza armata all’interno e si era accordata con lo sceriffo al-Ḥusayn ibn ʿAlī… Al padre della rivolta, avevano promesso l’indipendenza  di tutti gli arabi e la formazione di un grande unico Stato che dalla Siria sarebbe disceso a comprendere  la penisola arabica. Adesso serviva  un inglese capace di farsi accettare, che aiutasse gli arabi e lavorasse con loro … Il governo britannico immediatamente distaccò il giovane ufficiale… Con Faisal fu subito grande amicizia e collaborazione… “All’improvviso Feisal mi chiese se avessi voluto indossare abiti arabi durante la mia permanenza nell’accampamento. Trovavo la cosa conveniente da parte mia, poichè era un abito comodo e adatto alla vita araba che conducevamo”  Lawrence  diventa beduino tra i beduini, vivendo, mangiando, combattendo come loro.  Ma era anche ufficiale di uno dei migliori eserciti del mondo e unì il modo   di combattere delle tribù, a cavallo e sui mehara, con gli esplosivi, le mitragliatrici, le autoblinde e gli aeroplani … E rapide azioni di guerriglia  contro la ferrovia del Hijaz… Quella che trasportava i soldati e le merci al fronte…  “Far saltare i treni era una scienza esatta che richiedeva una preparazione apposita, con un numero sufficiente di persone, con mitragliatrici in posizione”scriverà ne “I sette pilastri della saggezza”… Gli ottomani  erano costretti a inviare sempre maggiori scorte  e a riparare i danni…

Dopo Aqaba, Lawrence è ormai  per tutti Lawrence d’Arabia!   Arriva  anche l’attenzione della stampa mondiale  C’è il fascino dell’  eroe romantico alla guida di un popolo in lotta per la libertà… Il Chicago Tribune infatti da quel momento  lo fa  seguire  dal reporter  Jackson Bentley.  Un personaggio suggestivo  è utile per convincere gli Stati Uniti d’America, a scendere in guerra. A Londra organizzano su di lui uno spettacolo teatrale “multimediale” con le sue foto dal fronte… In pochi mesi lo vedrà più di un milione di persone compreso il Re di Inghilterra…

Ma nessuno sa che tutto sta cambiando attorno a Lawrence e arriva la parte più difficile e sofferta della sua avventura. Le azioni a un certo punto devono arrestarsi… Gli uomini delle  tribù,  stanchi, vogliono tornare  alle loro oasi… Lawrence con 30 uomini va in cerca di personale  da reclutare… Ma fa un’imprudenza quando entra a Deraa da solo… Viene catturato, percosso, frustato e alla fine violentato dai soldati turchi…Esce a pezzi dall’esperienza e va al Cairo chiedendo un altro incarico… Lo convincono a restare e mentre è li viene a sapere  inorridito  e incredulo di quegli strani accordi fra Inghilterra e Francia che hanno deciso di spartirsi il Medio Oriente a guerra finita…  Non ci pensano nemmeno a uno Stato unitario, quello cioè che avevano promesso a Al-Husayn ibn ‘Alī …Sarà invece una serie di Stati sottoposti a “protettorato”… Cominciavano a vergognarsi a chiamarle colonie, ma la sostanza più o meno era sempre la stessa.

L’ultima folgorante azione di Lawrence sarà la battaglia finale per la conquista di Damasco… Vuole che  gli arabi arrivino prima degli Inglesi… Spera che riescano in un  disperato tentativo  a costituirsi immediatamente come Stato Unitario e mettere le grandi potenze di fronte al fatto compiuto…. A Damasco infatti riuscirà ad arrivare primo  mandando avanti i suoi beduini…ma il gioco resta nelle mani del Generale inglese Edmund  Allenby, anche se arriva qualche giorno  dopo di lui… Il principe Faisal si siede al tavolo dei vincitori e  comincia le sue difficili trattative… Lawrence, si alza,  esce di scena, sale in macchina  ed entrà nella leggenda…

I suoi ultimi anni sono avvolti nel mistero… Al di là di tutto quello che hanno detto i suoi denigratori o supposto i suoi ammiratori,  si può essere sicuri che Lawrence rimase sino alla fine nei Servizi Segreti… Altrimenti non si potrebbero spiegare i numerosi cambiamenti di nome e di attività, il fatto che fosse la R.A.F a provvedere alle sue spese e a inviare il suo denaro a misteriose persone, fra cui anche,  sembra una  sconosciuta moglie… Poi ci fu l’incidente mortale  con  tutte le   supposizioni… La sua motocicletta nel fosso, un’ auto scomparsa  dalla scena del crimine… Mentre le strisce della sua vernice nera rimanevano  sulla moto di Lawrence…  Ma si sa,  le spie,  spesso restano segrete anche in morte… Forse un giorno, ma chissà quando, l’Inghilterra potrà rendergli tutti gli onori…

Noi, a questo cavaliere errante, all’ultimo  idealista del suo secolo appena iniziato, vogliamo dedicare, e ci sembra giusta cosa,un piatto della cucina beduina, Il “Mansaf, ” un piatto che si mangia in occasione di matrimoni, feste  religiose ed altre occasioni speciali. Si mangia anche nei ristoranti delle città,  ma se volete provare il vero mansaf, fate  rotta verso il deserto. I beduini generalmente lo mangiano  con la mano destra, tenendo la mano sinistra saldamente dietro la schiena e lo mangiano in piedi…

MANSAF

INGREDIENTI per 4/5 persone: 400 grammi di riso basmati, 3 bustine di zafferano, 4 uova, 1/2 kg di yogurt magro naturale, 500 grammi di carne di montone tenera (o in sostituzione agnello), 4 carciofi, 1 mazzetto di coriandolo in foglie fresco, burro 30 grammi,  100 grammi di pinoli e mandorle,  1 cipolla, olio extra vergine di oliva.

 PREPARAZIONE:  Mettete a bagno il riso in acqua calda per 15 minuti, per consentirgli di perdere l’amido. In una casseruola sufficientemente grande fate rosolare la cipolla nell’olio, poi aggiungete la carne tagliata a tocchi e dopo averla fatta rosolare uniformemente da tutti i lati ricopritela con 1/2 litro di acqua, una parte di coriandolo e fatela cuocere lentamente. Se l’acqua dovesse consumarsi completamente durante la cottura aggiuntetene altra un po’ per volta e già calda.A parte friggete nell’olio  i carciofi tagliati a fettine sottili e poi in una ciotola amalgamate lo yogurt con le uova, versate il composto sulla carne e mescolate nello stesso verso sino a riportare ad ebollizione. Aggiungete anche i carciofi e cominciate a impiattare disponendo il riso come base sul piatto da portata,  dopo averlo lessato, con aggiunta di sale e zafferano, per non più di 8 minuti. Su di esso spargete la carne.  Servite cospargendo di pinoli e  mandorle,  tostate velocemente nel burro e  il coriandolo tenuto a parte.

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Rigatoni di Primavera per le “Vacanze Romane” di Audrey Hepburn

Lo raccontò anni dopo e mentre lo diceva gli occhi le brillavano  di fierezza.”Il miglior pubblico che abbia mai avuto non mi ha mai applaudito” … Né avrebbe potuto farlo perché sarebbe stato troppo pericoloso… Le recite avvenivano di nascosto, in uno scantinato  di Harnhem …e servivano a raccogliere fondi per la resistenza, nell’Olanda occupata  della seconda guerra mondiale. Audrey, ancora una ragazzina, in quegli spettacoli ballava… era brava e  e le piaceva tantissimo, così  appena  arrivata a Londra  nel 1948 cominciò subito a sognare il Royal Ballet, ma la sua insegnante, con una bella doccia fredda le disse che era troppo alta per fare la ballerina classica e anche troppo magra… non  si era più ripresa  dalla fame dell’ultimo anno  di guerra con la carestia e le requisizioni dei tedeschi…...  Aveva cominciato a fare l’attrice, quasi per ripiego, ma quando Colette la vide passare nella hall di un albergo a Montecarlo , con quegli occhi sgranati e il sorriso   disarmante  la spedì a fare Gigi, a Broadway.  William Wiler, appena fatto il provino  capì subito che aveva trovato l’interprete di “Vacanze Romane”, ma chi  si rese conto  immediatamente che quella ragazza  era una star di prima grandezza fu Gregory Peck…  Dopo pochi giorni che  giravano chiamò il suo agente ” Questa ragazza di sicuro vincerà l’Oscar e quando accadrà non voglio essere ridicolo col mio nome in grande nei titoli del film e il suo piccolo  piccolo. Fa in modo che abbiano lo stesso risalto…” Per molto tempo dissero anche che durante il film Gregory Peck si fosse innamorato di lei… Dopo, il clima affiatato, spensierato e amichevole del set  di “Vacanze Romane,” Audrey Hepburn non lo ritrovò più! “Sabrina” fu addirittura uno shoc… Hunphrey Bogart, troppo anziano nella parte del suo innamorato, arrivava sempre ubriaco sul set e se la prendeva con tutti… Lei poi si era innamorata di William Holden che era sposato… E la produzione proibiva le relazioni sentimentali sul set. Nonostante tutto Sabrina fu un enorme successo, anche se a rivederlo oggi si salva ben poco… Così smielato e scontato… ma lei era brava e i  vestiti che si era scelta da sola da Givency  sancirono per sempre  lo stile Hepburn…  Fatto di abiti semplici e di accessori unici, fantasiosi  e a volte dirompenti… Una classe che  poche volte si era vista… forse perché lei ce l’aveva nel sangue, ereditata dai suoi nobili antenati… Pare che fra essi ci fosse pure il Re d’Inghilterra Edoardo III…

Il matrimonio con Mel Ferrer durò a lungo ma non fu felice e le scelte professionali che lui le imponeva… Tutte sbagliate… Se non fosse stata così brava e così amata fra “Ondine”  e “Verdi Dimore” l’avrebbe rovinata. Per fortuna che l’aspettavano altri film di successo senza Ferrer… fino a  “Colazione da Tiffany,” una  pietra miliare per Hollywood, una consacrazione per lei. Ovviamente non è più la storia  forte e decisamente equivoca che aveva scritto Truman Capote… Hollywood all’epoca  non se lo poteva permettere,  ma c’è la magia  di Holly  Golightly,  un’icona di stile senza tempo, ragazza nevrotica e insicura, forse  datata, ma pur sempre contemporanea in tutti i decenni a venire, dove sempre più forte si avvertiva lo smarrimento e la ricerca di un’identità.

Anche Audrey con  il successo  intatto e qualche film buono come “Storia di una monaca” o “My fair Lady”, seguitava tuttavia a cercare la sua identità…  con i figli tanto desiderati che tardarono a venire  e quel matrimonio che non andava. Si disse che lui le aveva consentito anche di avere altri uomini, purché la cosa fosse discreta. La nascita di Sean nel 1960 non servì a rinsaldare il matrimonio … solo a trascinarlo finché nel  1967 ci fu la rottura definitiva… Lui non aveva tollerato  che si fosse risaputa in giro la relazione con Albert Finney.  Per lei si aprì un periodo durissimo e la sua salute cominciò a vacillare. Pesava 36 chili e fumava anche tre pacchetti di sigarette al giorno. Probabilmente si salvò venendo in Italia dove aveva conservato  tante amicizie e dove alla fine conobbe  Andrea Dotti, un medico. Lui veniva da un altro ambiente  e  per qualche anno riuscì a farle dimenticare i lati oscuri della sua vita. Lei si dimenticò il cinema e sembrava felice. Era orgogliosa della sua famiglia e dei suoi figli a cui si dedicava con tutta se stessa. Poi  lui cominciò a cercare altre donne mentre su di lei cominciavano ad apparire i primi segni dell’età. Se ne andò quando Luca, il secondo figlio, era già adolescente per non fargli provare il dolore della sua prima  infanzia, col padre sparito quando lei aveva appena 5  anni.

Alla fine quello che non le aveva  dato il successo planetario né la sua  eccezionale bellezza, di cui non si era mai resa  ben conto, quello che non erano riusciti a dargli gli uomini  lo trovò nella sua grande, profonda umanità. Fu l’amore per i bambini, gli ultimi, quelli abbandonati, quelli  che nascevano e crescevano in mezzo alle guerre e non avevano da mangiare… Spesso gli ricordavano la sua infanzia..  la sua terribile guerra e la mancanza di cibo…

E  finalmente, di tutta quella fama e di quell’immagine che resisteva al tempo, ora sapeva cosa farne… Lei era sempre Audrey Hepburn e riusciva a imporsi con i signori della Terra perché  donassero, perché non dimenticassero, perché finanziassero gli  aiuti  alle popolazioni più tragiche. Come ambasciatrice Unicef  aveva accesso all’Onu  e viaggiava senza mai stancarsi a portare aiuto, presenza, amore…Vietnam, Equador, Bangladesh, Sudan, Etiopia… in Somalia  vide il massimo dell’orrore… C’erano solo tombe e sepolture, non si vedeva altro dopo decenni di guerra civile… Lei non si lamentava e aveva sempre un sorriso per tutti e un bambino in braccio…

Nonostante il dolore per quello che vedeva  quegli anni nella vita di Audrey furono meravigliosi,  ma dopo cinque anni dovette interrompersi. Stava così male che non poté tornare a casa in Svizzera a Tolochenaz ,  con un aereo di linea. Il suo grande amico di tutta la vita Hubert de Givency la mandò a prendere con il suo aereo privato e lo riempì di fiori… Per lei…

I figli Luca e Sean, con gli occhi che brillano quando ne parlano, hanno voluto portare avanti il suo lavoro e hanno fondato oltre all'”Audrey Hepburn children’s Fund” , il “Club degli Amici di Audrey” che seguita ad aiutare i bambini  e l’Unicef e  mentre in tutto il mondo si festeggiavano i 50 anni di “Colazione da Tiffany”, Sean Hepburn Ferrer ha detto commosso  “Mia madre  ha avuto una maturità dorata”.

Per tutta la vita Audrey Hepburn ha sempre mangiato poco, cereali e uova a colazione, insalata e formaggio a pranzo, proteine e verdura la sera. Detestava gli  sprechi  perché dopo la fame del tempo di guerra le era rimasta una  forma di religioso rispetto  per il cibo.  Ma tutti gli anni passati in Italia…  le avevano fatto apprezzare la  buona cucina e allora, quando, saltuariamente cedeva… era per un bel patto di pastasciutta! Ed è in ricordo delle sue  “Vacanze Romane” che  abbiamo  scelto questo  gioioso e colorato piatto primaverile..

RIGATONI CON LE ZUCCHINE

INGREDIENTI per 4 persone: 350 grammi di rigatoni, 8 zucchine medio grandi, 1/2 bustina di zafferano, 2 scalogni, sale e pepe a piacere,2 cucchiai di olio extra vergine di oliva, qualche foglia di menta.

PREPARAZIONE:  tagliate via la base dura delle zucchine e il fiore sulla sommità, poi  lavatele, asciugatele e tagliatele a listarelle. Pulite gli scalogni eliminando la parte piu dura e più verde del gambo, tritateli finemente e fateli dorare in padella con l’olio extra vergine di oliva, poi aggiungete le zucchine, le foglie di menta e  cuocetele per qualche minuto a fuoco medio, poi abbassate la fiamma, aggiungete sale e pepe e continuate la cottura per circa 20 minuti. Aggiungete lo zafferano sciolto in poca acqua e  mettete a cuocere i rigatoni in una pentola di  acqua bollente, scolandoli quando sono ancora al dente. Gettateli nella padella delle zucchine e fateli insaporire qualche minuto a fuoco medio, prima di servire.

Arancini di riso: Sicilia in bocca!

zafferanodef“Oltre la Persia dei Re, sui primi contrafforti calcarei delle montagne dell’Oxiana, cresce un piccolo bulbo, il Croco Sativo. Per tutta la ventosa primavera e per la secca estate non fa che vivacchiare…. Poi con le prime piogge d’autunno apre il suo fiore, a volte turchino, a volte violetto…E’ un fiore con cinque petali che si uniscono in un delicato calice; nel calice 4 lunghi stami, sottili come pagliuzze, maturano dal giallo acceso all’arancio…. Le ragazze dei villaggi   sparsi sull’altopiano intraprendono la raccolta dello zafferano, Zahfran, la chioma degli angeli.” (da “La Chioma Disadorna di Maurizio Maggiani,1999)

Head_PoetiCi pensavano poi i mercanti a smistare lo zafferano nei grandi centri commerciali del  Medio Oriente. Da lì finì per arrivare anche in  Sicilia dove, tutti i popoli che si sono succeduti, hanno contribuito ad arricchire la cucina di nuovi usi e di nuovi gusti. Quando arrivò lo zafferano, in Sicilia c’erano gli arabi che già avevano l’abitudine di accompagnare il loro pasto con il riso condito di verdure e carni. Gli Arabi erano veri cultori delle spezie che si procuravano soprattutto con i viaggi in India e in Cina e non tardarono quindi molto a a innamorarsi anche dello zafferano, che col suo colore dorato, riusciva a dare, al pallido riso, il senso della gioia e dell’allegria. C’è da dire che l’usanza si è mantenuta nei secoli perché anche oggi, in tutto il mondo  arabo, il riso è d’obbligo, soprattutto nel pasto di mezzogiorno.

Federico_II_di_SveviaQuando gli Arabi se ne andarono dalla Sicilia, cacciati dai Normanni, il riso arabo invece, che aveva già inventato gli “arancini,” quelle pallottoline allo zafferano ripiene di ogni ben di Dio, rimase in Sicilia, ben accolto da quei rudi mercenari Normanni estasiati dai colori e dalla varietà dei cibi. Col tempo  i Normanni si fecero più civili tanto che l’Imperatore Federico II, sotto il quale si erano riunificati i Regni di Germania, di Gerusalemme e di Sicilia, preferì di gran lunga rimanere nella raffinata Sicilia che andarsi a sprofondare nelle brume del Nord o negli aridi deserti. Tutto rifiorì sotto di lui, le arti, la poesia e…l’economia. Dopo quattro secoli si rivide  perfino in circolazione una vera moneta d’ oro!

E come svaghi di un tempo felice all’Imperatore piaceva andare in barca a recitare le sue poesie o cavalcare nei boschi per lunghe battute di caccia. Le assenze dalla corte potevano durare anche alcuni giorni e fu allora che i suoi cuochi progettarono un cibo da asporto, che si conservasse più a lungo e si potesse mangiare facilmente. Dato che all’imperatore piacevano tanto gli “Arancini”  si inventarono la panatura croccante, che impediva al riso di sgretolarsi e gli Arancini potevano quindi  essere mangiati anche senza piatti e posate.

Andrea Cammilleri  2Poi come tutte le cose belle, finì l’età dell’oro anche per la Sicilia, che seguitò a passare per lunghe e diverse dominazioni straniere senza trovare più pace, nemmeno, sembra, dopo la riconquistata Unità d’Italia! La cucina invece è sempre splendida e ha superato indenne tutte le tragedie che si sono abbattute sull’Isola. Quanto agli Arancini poi… Il Commissario Montalbano, l’investigatore di Vigata, creato dall’inesauribile fantasia di Camilleri, ha restituito loro, ammesso che ce ne fosse stato bisogno, una seconda vita, elevandoli a fama nazionale e internazionale. Montalbano è uno che sa mangiare e preferisce farlo preferibilmente da solo o per lo meno in silenzio, per non togliere nulla al piacere del cibo. Gli Arancini sono una delle sue più folli passioni e nel racconto “Gli arancini di Montalbano”  per essi rinuncia a un viaggio in Francia per andarli a mangiare, nel posto migliore della città, la casa della sua “cammarera” Adelina. Un’altra volta, ne “Il gioco degli specchi” si trascina, nella  piccola casa di Adelina, una signora della buona borghesia, per una memorabile abbuffata di arancini. “Ogni arancino era grosso quanto ‘n’arancia grossa. Per una pirsona  normale dù arancini avribbiro costituito ‘na cena perigliosamente abbundanti. Montalbano sinni sbafò quattro e mzzo…Le paroli che si scangiaro foro arridotte all’essenziale. Non era possibili ‘nfatti parlari. I sapori e l’odori dell’arancini erano tali che ognuno sinni stava a mangiari sopraffatto dall’estasi, l’occhi mezzi chiusi, un sorriseddro biato sopra alle fauci…”

montalbanoA un certo punto di una storia, Montalbano  che è un purista e un terribile esigente, denigrando quelli della nave, che traversa lo Stretto, esclama “Mica ti crederai  che sono gli arancini del traghetto !” Eppure lui non sa cosa può provare lo “straniero” che viene  fatto scendere  dal treno a Villa S. Giovanni. Assiste al povero treno fatto a pezzi, scomposto  in tanti vagoni  che a fatica, lentamente e sferragliando, vengono fatti salire sulla nave in tempi che, sembra, non  debbano mai  finire e intanto sta lì a chiedersi se riuscirà mai a sbarcare in terra di Sicilia. Poi all’improvviso e quasi per miracolo qualcuno ordina ai passeggeri di salire a bordo. E mentre la nave esce lentamente dal porto  si corre al bar e…ci sono gli arancini. Beh non saranno quelli di Montalbano, ma ti scaldano veramente il cuore mentre li assaggi e  non ti senti più straniero mentre stai finalmente per arrivare in uno dei più bei luoghi che lo spirito umano potesse inventare. Speriamo che non facciano mai il  Ponte sullo Stretto perché, in quel caso, addio arancini del traghetto!

Di Arancini ce ne sono tanti tipi, con la carne e senza la carne, col  prosciutto e la mozzarella, qualche volta con la besciamella, col sugo  e/o con lo zafferano …e non finisce quì. Quelli che mangia Montalbano sono della Sicilia Meridionale e chissà in quali varianti… Ma per andare sul sicuro e non fare un torto agli Arabi e Federico II,  la ricetta è quella più vicina a Palermo!

Piatto-pronto-forchetta-arance-piatto-calici_dettaglio_ricette_slider_grande3ARANCINI DI RISO

INGREDIENTI  PER IL RISO (per circa 15 arancini): 1 bustina di zafferano, 500 grammi di riso, 3 tuorli d’uovo, sale q.b., pecorino o parmigiano grattugiato 100 grammi,30 grammi di burro.

INGREDIENTI PER IL RIPIENO: sale q. b., pepe nero macinato q.b., 1/2 cipolla, 100 ml di vino rosso, 80 grammi di piselli freschi o pisellini “Primavera” surgelati, 40 grammi di concentrato di pomodoro, 100 grammi di scamorza fresca o mozzarella a dadini, 25 grammi di burro, 150 grammi di carne bovina tritata, 1 cucchiaio di olio extra vergine di oliva.

INGREDIENTI PER IMPANARE: pan grattato q.b.,2 uova.

INGREDIENTI PER FRIGGERE: olio extra vergine do oliva.

PREPARAZIONE: lessare il riso, lasciandolo al dente, in circa 1 litro di acqua, in modo che venga completamente assorbita e l’amido resti in pentola. Nel frattempo sciogliere lo zafferano nei tre tuorli d’uovo sbattuti. Unire il riso quando è cotto unitamente al formaggio grattugiato e al burro. Mescolare bene per amalgamare, poi stendere il riso su una superficie piana e farlo raffreddare.

In un tegame far soffriggere la cipolla tritata con 2 cucchiai d’olio e il burro,poi unire la carne macinata e farla rosolare a fiamma alta.quindi aggiungere il vino e sfumare.Versare sulla carne il concentrato di pomodoro diluito in un bicchiere d’acqua,aggiungere sale e pepe e far cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio.

In un altro tegame porre  i piselli con poca acqua e 1 cucchiaio di olio. Mentre i piselli cuociono accertarsi che l’acqua sia sufficiente e in caso contrario aggiungerla. Nel frattempo tagliare a cubetti la scamorza (o mozzarella).Quando i piselli sono cotti aggiungerli al ragù.

Dopo circa due ore,nelle quali il riso siè completamente freddato ,chiacciarne un po sulla mano un po’ concava in modo da poter appoggiare sul riso un cucchiaio circa di ragù e piselli, un po’di formaggio a tocchetti, poi richiudere con un altro strato di riso. L’arancino può essere modellato sia in forma completamente rotonda o a forma di pera. Proseguire allo stesso modo sino a esaurimento degli ingredienti.

Passare tutti gli arancini nelle uova sbattute e poi nel pan grattato.Friggerli in abbondante olio e in un  pentolino stretto dai bordi alti in modo che siano completamente coperti durante  la frittura. Scolarli su carta assorbente, quando appaiono dorati e servirli caldi.

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