“Poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi, fate questo in memoria di me” Per Gesù erano già iniziate le ore più drammatiche della sua vita, ma non volle manifestare la sua angoscia, anzi, cercò di passare in letizia quel tempo che ancora gli restava, con le persone a lui care, invitandole tutte a un grande banchetto conviviale, che sarebbe stato l’ultimo, anche se gli altri ancora non lo sapevano. Forse c’erano più pani su quella tavola, ma Gesù preferì che tutti mangiassero dallo stesso, per dare ad essi il senso della fratellanza e dell’amicizia, nella totale “condivisione” di un bene comune.
“Fate questo in memoria di me” era la seconda parte del messaggio e… dopo fu tutto più chiaro. Si sa, il banchetto serve per rafforzare i vincoli, rinnovare l’amicizia, trasmettere gioia e, nelle prime comunità cristiane, fu proprio questo lo strumento che tenne legate insieme persone spesso divise dalla razza, dalla lingua o dal ceto sociale e così “Agape” chiamarono il loro banchetto per indicare l’amore reciproco che erano tenute a darsi. Fra i primi cristiani, oltre gli schiavi in cerca di riscatto c’erano molti patrizi e nobili matrone in cerca di nuove esperienze e presto, i più ricchi, presero l’abitudine di portare piccoli doni per i più poveri. Ma il momento più solenne e unificante rimaneva sempre la “fractio panis,” di cui abbiamo immagini fin dai primi secoli, in tutto l’Impero romano, dalle catacombe di Priscilla a Roma alla tomba di Costanza sul Mar Nero.
I cristiani allora non lo sapevano, ma avevano già messo insieme tutti gli elementi per fare un “Buon Natale”
Ce lo conferma molti secoli dopo, Pietro Verri, l’illuminista che fu fra i fondatori del giornalismo italiano con la rivista “Il Caffè”. Lui, che di cronache se ne doveva intendere, ci racconta, nella sua “Storia di Milano”, di una tradizione già molto vecchia nel 9° secolo: “A Natale, la famiglia intera si riuniva attorno al focolare attendendo che il Pater Familias spezzasse un “pane grande” e ne porgesse un pezzo a tutti i presenti in segno di comunione…” I milanesi, dovevano già avere, a quell’epoca il loro Panettone, un “pane grande” appunto, anche se non se ne erano ancora resi conto.
Risalgono, infatti al Rinascimento le storie e le leggende che codificano la nascita e la ricetta di questo dolce, simbolo di Milano e del Natale insieme. Pare che fosse il “Pan de Ton”, cioè il pane riservato ai ricchi, che, tuttavia, una volta l’anno, nel giorno di Natale, i fornai distribuivano gratis anche ai poveri. Qualcun altro lo lega invece alla storia d’amore di un nobile giovane della Milano “da bere” del XV secolo. Ughetto degli Atellani faceva parte della cerchia del granduca Ludovico il Moro, di cui era il falconiere, ma di nascosto, poiché il rango non glielo consentiva, andava a trovare Algisa, la figlia di fornaio di cui si era follemente innamorato. Ora, poichè gli affari della panetteria andavano proprio male, Ughetto, per dare una mano, prima si fece assumere come garzone e poi si andò a vendere i preziosissimi falconi del Granduca per comprare burro, miele e uva sultanina con cui, a Natale, preparò un “pane – novità” per sbaragliare la concorrenza. Inutile dirlo, il successo fu grande, il Granduca assaggiò il Panettone e gli perdonò il furto dei falconi, così Ughetto e Algisa vissero, come in tutte le favole che si rispettano, felici e contenti.
Un’altra storia ancora fa nascere il Panettone sempre alla corte di Ludovico il Moro, ma come soluzione disperata, dopo che il dolce di gran gala, preparato dallo Chef di corte, fra una portata e l’altra del banchetto, s’era bruciato nel forno, dimenticato da tutti. Fu allora che lo sguattero di cucina offrì al cuoco un rustico dolce che aveva preparato per portarselo a casa sua. Nonostante fosse poco più di un grosso pane, farcito con l’ ultima manciata di canditi e zibibbo avanzati dal sontuoso banchetto di corte, il nuovo dolce piacque assai agli invitati di Ludovico e poiché il giovane sguattero si chiamava Toni, il dolce si chiamò “El Pan del Toni”.
Comunque fossero andate in origine le cose, il Panettone è entrato nella memoria collettiva, ormai da tantissimo tempo e non si contano più gli onori che gli hanno decretato. Nel 1800, quando il Lombardo Veneto era ancora dominio austriaco, il Governatore di Milano lo andava a offrire di persona al Principe di Metternich, uno dei più autorevoli personaggi della corte austriaca e, subito dopo la seconda guerra mondiale, quando Milano guidava la rinascita economica e sociale della nuova Italia, era tradizione farne dono alle più alte cariche dello Stato.
Oggi, grazie soprattutto alla produzione industriale,- a cui, a cominciare dagli anni ’20 del XX Secolo, dette grande impulso Angelo Motta che ne salvò comunque la genuinità e ne rafforzò il gusto,- il Panettone lo conoscono in tutto il mondo e ha ben poco bisogno di presentazioni, Questo “pane comune”, che a fine pasto ancora si posa in centro tavola, durante il ciclo delle feste natalizie, è rimasto di grande qualità e, anzi, un po’ per volta si è conquistato un pubblico sempre più vasto, costruendosi le sue numerose varianti con le farciture di crema o le coperture di cioccolato.
Ma per chi se lo volesse confezionare in casa e la cosa è possibile, offriamo una ricetta autentica che richiede solo un pizzico di abilità e tanta pazienza.
Ingredienti e dosi per un panettone da 6/8 persone 30 grammi di lievito secco o compresso, 4 cucchiai di zucchero, 6 cucchiai di acqua, 6 tuorli d’uovo, 1/2 cucchiaino di sale, 300 grammi circa di farina, 200 grammi di burro, 6 cucchiai di scorsa di cedro candita, 6 cucchiai di uva sultanina.
Mescolate in una ciotola 6 cucchiai di acqua tiepida con 1 cucchiaino di zucchero e il lievito. Particolarmente importante è la temperatura dell’acqua che deve essere regolata fra i 40°e i 45°.
Lasciar riposare il composto per 2 o 3 minuti, poi rimestarlo per amalgamarlo uniformemente. Riporre la ciotola in un luogo tiepido e riparato, per esempio dentro il forno spento, ma chiuso e lasciarvela riposare per 3 -5 minuti per consentire all’impasto di aumentare il suo volume. Se questo non avviene gettare via la ciotola e ripetere l’operazione con nuovi ingredienti.
Quando il lievito ha fermentato, travasarlo in un’ampia ciotola unendovi i 6 tuorli, d’uovo, il sale e il resto dello zucchero. Si aggiungono anche 180 grammi di farina divi- dendola in tre volte e mescolando con grande delicatezza gli ingredienti, con la mano, affinché l’impasto diventi morbido e appiccicoso, ma abbastanza consistente da formare una palla. Se dovesse presentarsi troppo morbido aggiungere un po’ di farina.
Ammorbidite ora 120 grammi di burro divisi in tre parti, che si uniranno una alla volta lentamente all’impasto, che a questo punto dovrebbe essere diventato pesante e filaccioso. Unire adesso all’impasto stesso altra farina fra i 50 e i 100 grammi mescolandola con le mani finché esso non sia tornato compatto e omogeneo. Lavorarlo ora su una spianatoia infarinata per circa 10 minuti: deve diventare liscio e lucente e fare delle bollicine in superficie. Raccoglierlo nuovamente a palla e metterlo in una ciotola con un po’ di farina. Coprite con un piatto e riparatelo in un luogo tiepido (forno spento). Dopo 30 o 40 minuti, l’impasto dovrebbe aver raddoppiato il suo volume.
Appiatite la pasta con un pugno e incorporatevi delicatamente il cedro candito e l’uvetta sultanina ammorbidita in acqua tiepida e dopo, cercando di maneggiare l’impasto solo per lo stretto tempo necessario,perchè c’è il rischio che scurisca, rifate una palla da porre su una placca imburrata e fare un’incisione a forma di croce sulla parte superiore.
Imburrare abbondantemente un solo lato di una striscia di carta da pacchi pesante delle dimensioni di 62×12 cm e avvolgerla lentamente attorno alla base della pasta, con il lato imburrato all’interno in modo da calzarla perfettamente, creandole un diametro di 15 – 20 cm. Fissate l’estremità della carta con uno spillo o con una grappetta e mettetela nuovamente a lievitare. Dopo circa 15 minuti il volume della pasta dovrebbe essere quasi raddoppiato.
Spennellate la superficie con un po’ di burro fuso e cuocete nel ripiano centrale del forno per 10 minuti. Riducete il calore a 175°, spennellate la superficie del panettone con altro burro fuso e cuocete ancora per 30 o 40 minuti. Dopo circa 20 minuti che è in forno spennellate nuovamente con burro fuso. A cottura ultimata la parte superiore deve risultare croccante e molto dorata. Far freddare il panettone su una griglia e togliere la carta.
un interessante excursus storico culinario non solo a proposito di panettone.
kiriosomega
Grazie! A volte è bello scoprire la storia che si cela dentro un piatto! Buona giornata
Interessante, piacevole, scorrevole, delizioso… BELLO!
“Appetitoso” insomma! 🙂 Grazie di cuore!
Di più 🙂
😉