Qualunque atteggiamento, anche il più innocente… Qualunque frase detta, magari solo per scherzo, poteva diventare uno spaventoso equivoco una volta in pasto ai giornali, così a Hollywood si imparava presto a tenere la bocca chiusa, a ridere solo quando era permesso e dire soltanto ciò che autorizzavano le produzioni… Non parliamo poi della vita privata, fatta, disfatta e inventata secondo le aspettative dei fans e la morale corrente.. . Ma loro, oltre che divi erano anche due ragazzi, di 23 e 24 anni, spesso abbastanza soli, con la voglia di confessarsi, raccontare, discutere… Chissà cosa li indusse a fidarsi l’uno dell’altro, ma sta di fatto che, sul set di The Giant, Liz Talor e James Dean avevano cominciato a parlare … E lei, nonostante la difficile vita a venire, da alcolista, quando i freni spesso cadono, fu capace di mantenere il segreto… Fu solo perché lui voleva che alla fine tutto si sapesse, che più di 40 anni dopo, Liz la rivelò a un giornalista.”Adoravo Jimmy. Ti dirò una cosa ma in maniera ufficiosa finché non muoio, ok? La madre di Jimmy scomparve quando lui aveva 11 anni e Jimmy cominciò ad essere molestato dal suo sacerdote. Penso che sia una cosa che l’abbia perseguitato per il resto della sua vita. Ne abbiamo parlato. Durante ‘Il Gigante’ rimanevano le notti svegli a parlare e parlare, e quella è stata una delle cose che mi ha confessato“
Perseguitato forse è la parola giusta, perché da quell’esperienza James Dean non riuscì più a mettere a fuoco la propria identità sessuale… Gli Studios lo riempivano di belle ragazze, per lo più inventate di sana pianta, ma l’amore per Pier Angeli pare che fosse una cosa seria… Elia Kazan, ai tempi della Valle dell’Eden, racconta la notte di amore di Pier e Jimmy nel camerino dell’attore e, quando lei alla fine sposò un altro, lui – o qualcuno che gli somigliava, disse Jimmy, che non lo voleva ammettere – seguì il matrimonio a bordo della sua moto, dal ciglio della strada.
Ma anche l’amore per lo sceneggiatore William Bast fu una cosa vera e lunga… 5 anni. Bast, dopo la morte di Jimmy aveva l’ansia , la fretta di raccontare… Forse aveva paura di dimenticare qualcosa di importante o che ad altri potesse succedere… E così un anno dopo era diventato il primo biografo… Loro due erano stati compagni di stanza a UCLA, l’Università di Los Angeles, Blast era lì quando James lasciò gli studi di giurisprudenza per quelli teatrali e scoppiò l’ira del padre… Gli stava vicino quando Jimmy faceva il guardiano notturno, senza più università e i contratti di Hollywood che non arrivavano… Fu allora che decisero di andarsene via, insieme a New York in cerca di miglior fortuna a Broadway… Ma fu solo 50 anni dopo,quando capì che non avrebbe fatto più del male a Jimmy, che William Blast disse l’ntera verità… Che loro si erano amati …
Forse ora è più facile capire le immagini che James Dean ci ha lasciato… Quel suo muoversi irrequieto, il carattere ombroso, gli improvvisi sorrisi usciti dalla tristezza dei personaggi dei suoi 3 film cult… Quel ribellarsi di Jim-Dean alla quieta e appagata provincia americana, è lontana dalla rivolta intellettuale e ascetica di cui i Beatnik cominciavano a lasciare i segni , è distante dalla rivolta ‘politica’ delle grandi correnti del decennio avvenire e non è neanche la voglia di libertà di quegli adolescenti che la trovavano nelle sale da ballo del rock and roll … L’ impulsivo mal de vivre di Jim ha un carattere tutto interiore… Lui si ribella a una vita familiare ristretta al bigotto mondo della provincia, al padre debole, alla madre rattrappita nel suo ruolo, all’orrore del quotidiano senza battiti d’ali. E ancor di più ai coetanei, branco macho e ottuso, insensibile e pronto a emarginare chiunque sia diverso.. E Jim – Dean diverso lo era, lo sapeva e provava a nasconderlo…
43 canzoni, una ventina di film e tantissime biografie, ma la voglia che abbiamo di James Dean sembra non finisca mai… Adesso, che di lui si sa e si può dire di più, sembra che vogliano fare un nuovo film con Robert Pattinson e Dane DeHaan… James era anche un bravissimo attore, dietro quel viso, quel corpo e quei jeans indimenticabili… Se fosse vissuto sarebbe stato una celebrità… Invece quella morte improvvisa e assurda, ma in fondo così aderente al suo essere James Dean, ha deciso che lui diventasse un mito…
Mito che non conosce frontiere e che ciascuno ha interiorizzato e vissuto a modo suo… Come questo Ristorante nel cuore della città di Praga, che hanno voluto appunto chiamare “James Dean Restaurant”… Subito dopo l’ingresso si è colpiti da una monumentale colonna rivestita da 60 pezzi di lamine in ceramica, che ricompongono le immagini di James Dean e Marilyn Monroe. All’interno l’arredo è tutta una provocatoria rivisitazione dei miti americani degli anni ’50 con i colori violenti dominati dal rosso e le poltrone ispirate a quelle della Chevrolet Bel Air del 1952… Dal menu del ristorante abbiamo scelto qualcosa di molto americano , un pesce dei mari del nord che può raggiungere dimensioni davvero considerevoli, anche qualche metro, ma con un aspetto che lo fa somigliare u n po’ a una sogliola, col corpo piatto e la carne decisamente magra…
FILETTO DI ALIBUT GRIGLIATO CON LIMONI E CAPPERI
INGREDIENTI per 4 persone : 4 filetti di halibut fresco di circa 150 – 180 grammi ognuno, 2 spicchi di aglio tritati, il succo di un limone, 1 cucchiaio di capperi, 2 cucchiai di basilico o timo fresco tritato, 1 mazzetto di prezzemolo fresco tritato, 2 cucchiai di olio extra vergine d’oliva,1 scalogno tritato, 400 grammi di pomodori a cubetti, Sale, Pepe.
PREPARAZIONE: Porre i filetti di pesce, preferibilmente fatti preparare e pulire dal venditore, su un pezzo di pellicola trasparente per alimenti, cospargerli di sale, pepe, basilico o timo e metà dell’olio d’oliva. Avvolgere la pellicola e lasciarli marinare per 15 minuti. Mettere l’olio rimanente in una padella, aggiungere lo scalogno e far cuocere fino a quando sia ammorbidito. Aggiungere i pomodori, un pizzico di sale, una spruzzata di pepe, l’aglio schiacciato e i capperi. Cuocere il sugo per 5 minuti. A questo punto liberare il pesce dalla pellicola e porlo su una griglia o u una bistecchiera per circa 3 minuti per lato.Trasferirlo in un piatto, spruzzarlo di limone e coprirlo con il sugo ai pomodori. Cospargierlo infine con il prezzemolo e portarlo in tavola.
“Voglio una vita spericolata… Voglio una vita esagerata… ” E la vita di Gabriele D’Annunzio è davvero così … Non come quella del piccolo eroe di Vasco Rossi che al massimo arrivava a bere whisky al “Roxy Bar” per poi tornare a perdersi chissà dove … Invece lui il Vate, il Patriota, il Guerriero, della sua vita ha ne ha fatto un’avventura e uno spettacolo permanenti, esibiti dall’inizio alla fine… E senza perdersi mai… Sembrava solo un precocissimo ragazzo di lettere quando a 16 anni pubblica una raccolta di poesie dal romantico titolo “Primo Vere” che però, già nel titolo, a leggerlo bene, è un edonistico omaggio alla sua gioventù… Seguiterà poi tutta la vita a celebrare se stesso fra un’opera letteraria e una spericolata avventura di mare, di terra, di cielo… Senza parlare di quell’eccentrico modo di vivere fatto di lusso sfrenato e incontenibile desiderio di possedere … “Io sono un animale di lusso e il superfluo m’è necessario come il respiro” amava dire con quel suo sorriso appena ironico tutto rivolto a épater le bourgeois … E difatti se c’era qualcosa che D’annunzio detestava e che forse sinceramente lo immalinconiva era la vita del travet, di quel borghese piccolo piccolo che passava il tempo coltivando il suo orticello, il suo privato , il suo riserbo… Tutte “virtù civiche” impossibili per Gabriele… Quando c’è il lancio della seconda edizione di “Primo Vere” si inventa la storia che l’autore è morto cadendo da cavallo… La commozione è tanta e le vendite del libro vanno alle stelle…
La voglia sconfinata di imporsi lo porta a Roma appena finisce il liceo … Si iscrive alla facoltà di Lettere e filosofia, ma non prenderà mai la laurea.. A Roma ha troppo da fare ed è impossibile non notarlo … Francesco Paolo Michetti, il grande pittore abruzzese e il suo gruppo del Cenacolo lo introducono negli ambienti più esclusivi della Capitale… sono tutti in adorazione del vento di novità artistica e intellettuale che questo gruppo di provinciali sta portando nella smorta capitale addormentata… D’Annunzio è felice e realizzato, è l’animatore dei migliori salotti e le spregiudicate nobildonne sono ai suoi piedi… Ma il risveglio è brusco… Pena l’ostracismo deve affrontare un urgente matrimonio riparatore con la duchessa Maria Hardouin di Gallese e un affrettato impiego presso un giornale… di cui seguiterà a lamentarsi perché toglie tempo ai suoi interessi letterali. Gli era costato caro tradire il suo primo vero amore “Lalla” a cui aveva dedicato le belle poesie d’amore di “Canto Novo”… “Ma ancora ancor mi tentan le spire volubili tue…”
Naturalmente il matrimonio va a rotoli in breve tempo nonostante la nascita dei figli, ma è a Roma che D’Annunzio ha la sua consacrazione come letterato… “Il Piacere” viene pubblicato nel 1890 e così ne scriverà Benedetto Croce pur parlando di ” malati di nervi” a proposito dei nuovi autori, lui Fogazzaro e Pascoli “Risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente “… Ci doveva essere un’evidente stanchezza verso i grandi temi sociali o la narrazione della povertà contadina o della prima industria… Quello di D’annunzio è un mondo poetico di sentimenti individuali… tutto psicologia e introspezione, in cui si celebra il mito del bello e dei valori estetici che dall’arte devono arrivare alla vita .. Unico modo per dare dignità e senso a un’esistenza altrimenti povera di contenuti e di emozioni… Così D’Annunzio descrive il suo protagonista Andrea Sperelli che abita nel barocco Palazzo Zuccari, vicino a Piazza di Spagna: ” Egli era per così dire tutto impregnato d’arte … Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. Fin dal principio egli fu prodigo di sé… Ma l’espansione di quella forza era la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere … Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui. “
Roma ha il suo cantore che gli fa acquistare un posto di tutto rispetto nel mondo internazionale… Non a caso D’annunzio verrà sempre più strettamente unito all’estetica decadente di Oscar Wilde … Ma Roma non fruirà per molto del suo vate… Dopo una lunga relazione con la sofisticata Barbara Leoni, D’annunzio approda a Napoli perso dietro il suo ultimo amore… La nobildonna Maria Gravina… Sarà il periodo peggiore di tutta la vita immerso nella miseria, con la figlia Renata appena nata, denunciato per adulterio dal marito di Maria e condannato a 5 mesi di carcere… Lo salverà un ‘amnistia e poi il rifugio presso il fedele amico Michetti a Francavilla sul Mare… Ma sono anche gli anni in cui si accosta a Nietsche… e forse il sentirsi un “Superuomo l’avrà salvato dalla disperazione… E intanto scrive, scrive Giovanni Episcopo, L’innocente, Il trionfo della morte … tutte tematiche truci in cui si abbandona a una specie di razzismo aristocratico e biologico con tutta la sua insofferenza per l’uomo qualunque…
La sua vera salvezza però non sarà né un uomo né un superuomo ma un’attrice sensibile e e con una grande fama… Eleonora Duse lo accoglie in Toscana in una villa vicina alla sua e gli pagherà le rette del collegio per la figlia Renata… Lui completamente esaltato dal nuovo amore si infiammerà per il teatro e ripagherà la la Divina Eleonora “dalle bianche braccia” con qualche tragedia non eccezionale e un romanzo “Il Fuoco” in cui non si farà il minimo scrupolo di raccontare anche nei dettagli più erotici ed intimi la sua storia passionale con la Duse . Sono anche gli anni però in cui scrive alcune delle liriche più belle … Quelle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi ” che non completerà mai … In cui trovano spazio i suoi miti rivisitati…. dalla Grecia classica, al culto degli eroi, al sogno di una grande Italia imperialista e ai versi in cui l’amore si fonde con lo spirito panico della natura …. “La pioggia nel Pineto” in cui i due amanti si perdono nel bosco come in uno sconosciuto mondo antico e intatto è l’ultimo omaggio a Eleonora – Ermione, la compagna che lo segue nel mistero e nella musica della natura…
La sua nuova rovina finanziaria inizierà proprio abbandonando la Duse … Non c’era più nessuno che lo sostenesse nelle folli spese che aveva affrontato per arredare la sua villa “La Capponcina”, in cui il Vate – Superuomo doveva vivere “la vita del signore rinascimentale”. Fra Teatro e liriche aveva guadagnato somme enormi, ma niente per coprire le sue spese… Il superuomo per sfuggire i creditori, scappò letteralmente in Francia e ci rimase cinque anni, mentre la Capponcina e tutti i suoi tesori estetico – decadenti finivano all’asta.
In fondo lo salvò la Guerra… Quando scoppiò il conflitto, divenne uno fra i più sfrenati interventisti… Con le sue parole infiammò gli italiani per la riconquista delle terre irredente, quelle che non erano bastate tre guerre Risorgimentali per accoglierle nella nuova Italia… Lui aveva già 52 anni ma la guerra e l’avventura che vedeva in essa lo galvanizzò e lo fece ritornare quasi un adolescente.. Era già qualche anno che inneggiava , auspicava , si batteva per una nazione dominata dalla volontà di potenza, sentendosi umiliato dall’«Italietta meschina e pacifista».
E così allo scoppio della guerra- e non aspettava altro – in quelle”radiose giornate di maggio”, si arruolò volontario nei Lancieri di Novara, partecipando impaziente a tutto quello che la guerra gli poteva offrire. Era un ottimo pilota e si sfrenò letteralmente nelle incursioni aeree su Trento e sul fronte carsico. Lo fermò per un po’ di tempo una brutta ferita su una tempia e poiché il Superuomo non aveva molto tempo per curarsi finì per perdere la vista di un occhio… La sua esaltazione patriottica era sincera ma di gran lunga più esaltante fu per il Superuomo la passione per il rischio e il senso dell’avventura e così torno a combattere … Non gli mancava certo la fantasia e alcune delle sue imprese vanno ammirate e ricordate per l’audacia e l’originalità degli interventi… Famoso il volo dimostrativo su Vienna… 11 aerei partiti e 8 arrivati, percorsero 1000 chilometri per andare a lanciare su Vienna circa 300.000 manifesti di propaganda di guerra… L’ultimo aereo era un biposto pilotato dal Capitano Natale Palli…. Nell’abitacolo con D’Annunzio c’era anche un ragazzino di 9 anni figlio di un amico del Vate …Ancora più spettacolare fu l’incursione nella baia di Buccari dove tre Mas arrivarono indisturbati sino in fondo alla baia dove schierata c’ era una buona parte della flotta austriaca, lanciando siluri e colpendo tre navi per poi ritornarsene via sani e salvi… I danni furono limitati ,ma il morale delle truppe iraliane salì alle stelle…
L’avventura più esaltante il Vate Comandante la sperimentò alla fine della Guerra con l’impresa di Fiume… Visto che in base ai Trattati di pace la città non sarebbe tornata all’Italia, D’annunzio alla testa di un gruppo di 2500 ribelli la occupò militarmente instaurandovi una propria Repubblica e una Costituzione molto avanzata in cui erano riconosciuti diritti per i lavoratori, pensioni di invalidità, suffragio universale depenalizzazione dei reati diomosessualità, nudismo e uso di droga… Fu costretto a sgombrare un anno dopo sotto l’assalto dell’esercito regolare che non voleva compromettere i buoni rapporti di pace con le altre potenze… Ci pensò pochi anni dopo il fascismo con un colpo di mano a riportare Fiume all’Italia..
Dalle sue imprese di guerra ricavò un titolo nobiliare dal nome vagamente da operetta “Principe di Montenevoso” cosa di cui il Superuomo tutto preso di sé non si accorse… Per il resto al di là di tutto quanto ci si sarebbe potuto aspettare, si ritirò in volontario esilio in una villa di Gardone Riviera… che lui chiamò “Il Vittoriale degli Italiani ” Osannato e richiesto a gran voce da Mussolini e fascismo, rifiutò incarichi pubblici come pure di frequentare a fondo gli uomini “nuovi” anche se non ruppe i rapporti formali .. Non era tanto questione di ideologia … La rozzezza e la volgarità del Regime erano per la sua anima raffinata troppo difficili da sopportare.
A Gardone Riviera ormai libero dai debiti e dalle ristrettezze economiche potè dare spazio e realizzazione ai suoi sogni più pazzi. Arrivò al top del suo stile di vita e trasformò lla villa in una sorta di museo eclettico degli oggetti più strani e dell’arredamento più fantasioso… Nel parco aveva costituito il “quartiere degli artigiani ” un gruppo di specialisti che creava i suoi mobili e i suoi oggetti, in aggiunta a quelli che si faceva venire da tutto il mondo… A volte di gran gusto altre di un Kitch da far paura … Aveva 300 paia di scarpe negli armadi e decine e decine di eccentriche vestaglie con cui riceveva le sue belle e giovani amanti… In fondo fu felice.. Aveva raggiunto il lusso e il superfluo di cui la sua anima estetica non aveva mai potuto fare a meno…
Mangiava poco, ogni tanto a scopo curativo digiunava tre giorni alla volta, ma era attaccatissimo soprattutto alla cucina della sua terra d’Abruzzo … Una terra di pastori che per lui appartenevano ancora al mondo greco e una lingua che lui si rifiutava di chiamare dialetto e definiva latina… Del formaggio della sua terra diceva “…è tutto nel nostro cacio pecorino… È il cacio nerastro, rugoso, durissimo: quello che può rotolare su la strada maestra a guisa di ruzzola in gioco ” e ogni tanto si faceva preparare “I maccheroni alla chitarra”… Quelli che si preparano su un telaio rettangolare di legno di faggio, in cui sui lati lunghi sono tesi dei sottili fili metallici, che ricordano appunto le corde della chitarra… La sfoglia di pasta si stende sopra e poi pressata dal mattarello cade sul piano inferiore divisa in maccheroni di taglio quadrato … Ci sono diversi modi di preparare il condimento sia a base di carne che vegetariano come quella che abbiamo scelto noi…
MACCHERONI ALLA CHITARRA
INGREDIENTI per 4 persone: farina di semola di grano duro 400 grammi, 4 uova, sale q.b., pomodori pelati 400 grammi, 2 spicchi d’aglio, 4 cucchiai di pecorino abruzzese, 1 peperoncino essicato di media grandezza, un mazzetto di prezzemolo, olio extra vergine di oliva.
PREPARAZIONE: Disponete la farina a fontana , al centro rompete 4 uova e aggiungete un pizzico abbondante di sale . Impastate a lungo per circa mezz’ora e dopo fate riposare l’impasto almeno per due ore , in frigo,avvolto nella pellicola trasparente. Scaduto il tempo tirate una o più sfoglie di dimensioni inferiori, di spessore non inferiore ai 5 mm e ponetele sulla chitarra leggermente infarinate da ambo le parti. Passate il mattarello con forza su tutta la superficie della sfoglia in modo da tagliarla in un colpo solo formando i maccheroni che si andranno a deporre sul fondo dell’attrezzo. Ripetete l’operazione se avete preparato più sfoglie e mettetele aperte su un panno fino al momento dell’utilizzo.
Per realizzare il sugo, affettate finemente dopo averli sbucciati i due spicchi di aglio e metteteli a dorare nell’olio facendo attenzione che non si brucino. Se dovesse succedere è preferibile buttare il tutto e ricominciare perché rovinerebbero con il loro amaro la delicatezza del sugo. Una volta dorato l’aglio aggiungete il pomodoro, il sale e il peperoncino e fate sobbollire il sugo per 20 – 25 minuti. Qualche minuto prima di togliere dal fuoco aggiungete una parte del prezzemolo. Una volta cotta la pasta in acqua bollente e salata, scolatela molto al dente, conditela col il sugo,spolverizzatela di pecorino e il resto del prezzemolo tritato.
“Lui c’era dentro già da tempo, ma in pochi, oltre gli addetti ai lavori, se ne erano accorti! Estro, di sicuro ne aveva e anche spirito di iniziativa, se a 15 anni si era presentato con le sue vignette satiriche in mano, a riviste famose come “Il Travaso delle idee” e “Marc’ Aurelio”. Negli anni ’20 e ’30, dopo aver tentato invano un po’ di mordace satira al regime fascista, quelle popolarissime riviste avevano finito in realtà per esserne completamente asservite. Sarà stato forse perché, nell’immediato dopoguerra annaspavano un po’ in cerca di nuove formule e nuovi autori, non compromessi, che finirono per prendersi le vignette di quel ragazzino… Tanto che a 20 anni lui era diventare un collaboratore fisso del Marc’Aurelio, mentre terminava gli studi di Giurisprudenza…
Indubbiamente un modo un po’ tortuoso per arrivare al Cinema… Ma aveva un gran vantaggio.. Viveva a Roma e non era poi così distante da quei mitici studi di Cinecittà, che dopo il neorealismo duro alla Rossellini, i “Pepli” degli anni ’50 e il Neo – realismo rosa di “Poveri, ma belli”, stava aprendo alla sua più fantastica stagione artistica e commerciale…
“Commedia all’Italiana” è un termine un po’ generico, a ben vedere, un contenitore dove dentro ci si poteva trovare di tutto, ma una base in comune c’era … La satira di costume tutta aderente alla nuova realtà e, un’amarezza di fondo, che si intreccia ai tradizionali contenuti comici della commedia. In quel momento tutto stava cambiando in Italia… Dalle macerie del dopoguerra un agguerrito gruppo di grandi e piccole imprese aveva lanciato il “miracolo economico”… E gli italiani, nel benessere, assorbivano come spugne nuovi comportamenti…
Al cinema, che in Cinecittà trova la sua prima bandiera, avviene un miracolo nel “Miracolo”. Senza voler fare paragoni di poco rispetto, succede un po’ quello che, ad altro livello, era avvenuto per gli artisti del Rinascimento… In confronto il neorealismo era stato portato avanti solo da quattro geni e, per lo più, incompresi, ma per la “Commedia all’Italiana” è già pronta un’intera generazione di grandi interpreti, registi, sceneggiatori, attori, persino tecnici delle luci come Vittorio Storaro… In quel contenitore ci andranno a finire parecchi vizi e poche virtù… Emancipazione femminile e libertà sessuale di sicuro, ma anche corruzione e volgarità come stili diffusi di vita…
Difficile individuare la prima commedia all’italiana… Bagliori e presentimenti c’erano già da parecchio… Per lo più come capostipite si cita ” I Soliti Ignoti” anche se manca l’ambientazione borghese, così cara al genere. E’ una parodia dei “caper movie” con poveri disgraziati a far da comici … Ma sono comici assolutamente nuovi, ben lontani dalla marionetta appesa agli immaginari fili del circo o dell’avanspettacolo, mentre volteggia fra gag, giochi di parole, gesti buffi o nonsense… Ora l’attore ha i dialoghi certi delle sceneggiature fatti di quotidiano e di realtà con riferimenti sociali, chiari al pubblico che li conosce e li vive spesso in prima persona…
Dopo i “Soliti Ignoti” non ci saranno più freni e in poco più di un anno arrivano i grandi successi de “La grande guerra”e “Tutti a casa” dove i ricordi di guerra sono alleggeriti nell’ironia, mentre “Il Vedovo”, diventa il prototipo degli scadenti personaggi infiltrati nella nuova industria..
Lui, Ettore Scola, a Cinecittà c’era già arrivato da parecchi anni e tutta l’esperiena satirica accumulata nel Marc’Aurelio era la manna dal cielo per la novissima commedia, ma sono in pochi ad accorgersi che esiste… Non l’accreditano mai… “In realtà ho iniziato come negretto, scrivendo per altri senza apparire. Avevo dei grandi modelli: Fellini, Amidei, Zavattini, ma scrivevo anche sketch per Totò, Macario, Tino Scotti e Alberto Sordi”… Nel 1954 firma assieme a molti altri la sua prima sceneggiatura ufficiale, “Un americano a Roma” e poi altri film importanti come “Il Sorpasso”, ma alla regia arriva tardi, nel 1964, dopo una lunga gavetta e l’opera non è un successo… “Se permettete parliamo di donne” è un film a episodi dove il protagonista maschile è sempre Vittorio Gassman e le attrici cambiano… “Una serie di barzellette,” lo liquiderà in fretta Tullio Kesich…,
Ma nel 1968 le cose cambiano e travolgente arriva il successo… “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” si ispira a un fumetto di Topolino che assieme a Pippo va a cercare in Africa l’amico Pappo. La commedia punta il dito sul provincialismo arrogante del parvenu, che si muove in Africa col piglio del colonialista dell’800… Certo la recitazione sempre un po’ esasperata di Alberto Sordi lo butta più sul comico che sul satirico, allontanandolo un po’ dagli intenti moralizzatori di Scola contro una società fatua e superficiale, ma il personaggio di Titino – Manfredi, con i suoi imbrogli tutti italiani, l’arte di riciclarsi come stregone e lo struggente ritorno finale nella Tribù, lascia una nuova consapevolezza anche nel prepotente editore… Forse è solo un momento ma vorrebbe anche lui scappare dalla futile “civiltà”…
Dopo, Ettore Scola diventerà uno dei protagonisti assoluti … “Brutti, sporchi, cattivi” è un film pieno di personaggi anche fisicamente sgradevoli… un apologo di come la miseria renda squallidi e cattivi… Scola, fervente comunista aspetta chiaramente il “Sol dell’avvenire” e il riscatto sociale…
«Si – dirà Scola a proposito dei suoi anni ruggenti – io credo che… un certo cinema italiano, è stato molto vicino alla politica…. Ad esempio, quando per “Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca” dovevo girare la scena del comizio, ho preferito aspettare quello del Partito Comunista, e proprio quello di Pietro Ingrao in Piazza San Giovanni a Roma, non solo perché ho sempre percepito nel partito comunista una vicinanza ideale, ma perché ho sempre pensato a Pietro Ingrao, come al politico più vicino ai drammi della povera gente». Oreste ormai ridotto a una larva di disperazione dopo l’abbandono della sua donna, incontra in piazza il segretario della sezione del partito che all’apparizione di Ingrao sul palco, lo conforterà dicendo «Senti Pietro, adesso…dai» e Oreste, fiducioso come davanti a un taumaturgo, risponderà «Si, si, sento Pietro»… E poi, in un impegno senza mediazioni, Scola filmerà i Festival dell’Unità, quando era viva la saldatura fra popolo e politica… Più in là anche “I funerali di Berlinguer,” l’amatissimo capo del partito…
Ma era impietoso e acre verso i compiaciuti intellettuali della sinistra che utilizzavano la cultura per disprezzare e sentirsi superiori… “C’eravamo tanto amati” è del 1974… Forse è prima di tutto un’elegia a Roma, commossa e silenziosa, fra piazze notturne e luoghi poco noti, dove tornano a incontrarsi Gianni, Antonio e Nicola, tre partigiani amici che, che alla fine della guerra si erano divisi. Nicola era andato a insegnare, Antonio a fare il portantino in ospedale, Giann a laurearsi… Solo Antonio era rimasto fedele agli ideali di gioventù mentre Gianni aveva trovato, in vie disoneste, ricchezza e potere, sposando la figlia di un palazzinaro senza scrupoli… Ma gli strali più cattivi Ettore Scola li riserva a Nicola che fra una sconfitta e l’altra era diventato la caricatura dell’intellettuale presuntuoso ” di sinistra,” lontano da ogni visione critica della società, solo farsa retorica di se stesso con sterili e puntigliose polemiche…
In giro per il mondo forse il film di Scola più conosciuto è “Una giornata particolare”, la storia di due esclusioni… Un omosessuale destinato al confino dal regime fascista e una casalinga intristita dalla fatica di vivere… E’ il maggio del 1938, e nel condominio popolare quasi deserto, perché la gente, piena di allegra baldanza, è andata alla parata, echeggia a raffiche, sgradevole e trionfante, la voce della radio che descrive l’arrivo a Roma di Adolf Hitler. Per un momento brevissimo Antonietta e Gabriele si ameranno, in un disperato abbraccio di comprensione reciproca… Poi mentre Gabriele viene portato via dalle guardie che lo scorteranno al confino, Antonietta aspetterà il ritorno della sua famiglia fascista… Ma alla giornata particolare resta un filo di speranza… Antonietta che legge il libro che le ha regalato Gabriele… E’ un’ opera di Alexandre Dumas dove si parla di popolo che prende coscienza…
Era stato fra gli ultimi a partecipare alla Commedia all’Italiana… Sarà anche l’ultimo ad uscirne… ” La Terrazza” del 1982.. è considerato una firma di epilogo… Amara e senza speranze sul fallimento professionale, ma prima ancora morale, di cinque amici che attraversano la crisi di un mondo senza più ideali…
Anche Ettore Scola come gli altri cercherà vie diverse, molte ancora segnate dall’ispirazione e dal successo, come l’affresco corale e storico de “La famiglia” o l’intimissimo “Che ora è” sul difficile dialogo figli – genitori, con una scrittura affascinante che appartiene al miglior Scola sceneggiatore… poi comincerà a diradare il suo lavoro… C’è un commosso ritorno alla sua città nel documentario “Gente di Roma” e poi quasi dieci anni di silenzio…
Poco tempo fa Scola, con quel suo sorriso dagli occhi tristi confessava di non avere più idee, anzi precisava “le idee ci sarebbero, ma non hanno più niente a che fare con il cinema.” e invece non era vero niente! Al cinema sta tornando… S’intitolerà “Che strano chiamarsi Federico!” e sarà un cercare Fellini a 20 anni dalla sua morte… racconterà tutta la ricchezza del cinema felliniano e sarà un collage di immagini di repertorio, momenti e ricordi sparsi… Si erano conosciuti ai tempi del Marc’Aurelio, un’amicizia mantenuta intatta… Per anni si erano divertiti a farsi visita sui rispettivi set … In “C’eravamo tanto amati” Scola aveva voluto inserire nella sua Roma notturna, Federico mentre girava “La dolce vita” a Fontana di Trevi…
Ci possono essere tanti modi per portare avanti un’amicizia, ma Scola ha dovuto sciegliere l’unico che oggi gli è stato possibile…
Spesso si mangia nei film di Scola… Per esempio all’inizio de “La Terrazza,” la padrona di casa richiama gli amici sparsi… “In tavola è pronto”… Ma forse la scena più graffiante è quella di Elide,in “C’eravamo tanto amati,” abbligata dal marito a mangiare solo insalata scondita e un uovo sodo, di fronte agli altri che affondano la forchetta in un celebrato, ricco, piatto romano, che poi a benvedere proprio romano non è…
I “Bucatini alla Matriciana” come li chiamano a Roma o forse più correttamente “all’ Amatriciana,” nascono, come dice il nome, in quel di Amatrice, un paese del Lazio quasi di montagna, da cui già si scorgono le grandi montagne d’Abruzzo… La ricetta è antica ma la diatriba se si debba utilizzare aglio o cipolla seguita negli anni a schierare opposte fazioni… Però, trattandosi di un vecchio piatto, nato sui monti, siamo propensi a credere che la ricetta originaria impiegasse l’aglio, perché la cipolla richiede un territorio di pianura… Forse anche il pomodoro é un’ aggiunta posteriore… Quella che segue è la nostra scelta, con la possibilità ovviamente di qualche variante secondo i gusti… Qualcuno, per non far torto a nessuno, fa addirittura un mix fra aglio e cipolla!
BUCATINI ALLA MATRICIANA
INGREDIENTI per 4 persone: bucatini grammi 400, guanciale (senza cotenna, di montagna, poco salato e ben stagionato) grammi 160, pecorino romano grattugiato grammi 80, 2 spicchi di aglio, sale, pepe e 1 peperoncino secco sbriciolato, 400 grammi di pomodorini piccoli rossi, preferibilmente quelli che colti freschi vengono fatti appassire in un mazzo appeso a un gancio.
PREPARAZIONE: Ponete sul fuoco una pentola con 4 litri di acqua e 4 cucchiaini di sale fino. Tagliate a tocchetti il guanciale che poi metterete in una padella già calda e appena unta di olio. Quando il guanciale comincerà a rilasciare il suo grasso, aggiungete gli spicchi d’aglio tagliati a metà e il peperoncino. Rosolate il tutto molto dolcemente sino a quando il guanciale diventi croccante. Poi con un mestolo traforato togliete dalla padella guanciale e aglio e mettete i pomodorini lavati e spaccati. Fateli cuocere per un massimo di 7 o 8 minuti, perché va conservato il loro sapore fresco. Nel frattempo avrete lessato i bucatini in acqua bollente, scolandoli ancora al dente. Nel piatto di portata conditeli col sugo, aggiungete il guanciale e l’aglio, quest’ultimo se piace, altrimenti buttatelo via perché comunque ha già rilasciato il suo sapore nel sugo. Spolverizzateli di pecorino e pepe e serviteli caldi.
Stabilimenti Penali di Pianosa, 26 febbraio 1933 “Mamma… Con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me….Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede che è tutta la mia vita… Non ho mai chiesto pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché dunque propormi un così vergognoso mercato?…”
Stabilimenti Penali di Pianosa 23 febbraio 1933 – “A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale – La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico Sandro Pertini”
“Io lasciai l’Italia nel 1926.La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze,quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un paese di violenti, gli anni ’20 furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti… Questo non è stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il 1 maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale… Perché ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: Sotto il barbaro dominio fascista. Ho vissuto i miei 20 anni così e non me ne pento.”
Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge alla cattura scappando a Milano. Da lì organizza la fuga di Filippo Turati, il grande leader del socialismo in pericolo. Tornano assieme a Savona dove li aspettano Ferruccio Parri, Adriano Olivetti e Carlo Rosselli… Anche Pertini deve andarsene… Li porteranno con un motoscafo in Corsica…”Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino Verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino Verde c’era il ristorante “I pesci vivi”… Passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”…
Mentre gli amici che li hanno aiutati, a eccezione di Olivetti, finiscono tutti in carcere, Pertini in Francia resiste poco più di due anni. Duro e orgoglioso rifiuta l’aiuto di Turati e trova lavoro come muratore, lavavetri di taxi e comparsa cinematografica. Non ha la minima difficoltà a svolgere lavori umili, ma si sente troppo frustrato e inutile, anche se a Nizza mette su una radio clandestina per mantenersi in corrispondenza con i compagni…A marzo del 1929 torna in Italia con un passaporto falso, intestato allo svizzero Luigi Roncaglia. Ha grandi idee, prima fra tutte quella di ammazzare Mussolini, proprio mentre parla dal balcone di Piazza Venezia… Ma i sotterranei sono sorvegliati e bisogna cercare un’ alternativa…
A Pisa mentre sta ancora lavorando all’attentato viene arrestato… La sua libertà è durata meno di un mese… Al processo non si difende perché non riconosce l’autorità del Tribunale. A novembre del 1929 arriva la condanna a quasi 11 anni di carcere… Mentre il giudice legge la sentenza lui grida “Viva il Socialismo, abbasso il Fascismo”
Nel carcere di Santo Stefano, le condizioni sono durissime … Ci rimane quasi due anni e si ammala di tubercolosi.” … Improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l’inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne…”
Lo trasferiscono al carcere di Turi dove praticamente mandavano tutti quelli a cui avevano rovinato la salute… C’é anche Gramsci e nasce una grande amicizia. Pertini che per sè non chiede niente riuscirà, minacciando ricorsi, a non farlo più svegliare di notte dalle guardie che, sadicamente battono sulle sbarre appena vedono che chiude gli occhi… Poi otterrà che gli diano delle matite e dei block notes, una sedia, un tavolino… Ed è in questo modo che ci sono arrivati “I quaderni dal Carcere”. Quando tanti anni dopo uno dei ragazzi che lui tutti i giorni riceveva al Quirinale, gli chiederà il ricordo della persona a lui più cara in quegli anni di prigionia, risponderà senza esitazioni Antonio Gramsci.
Dopo circa un anno cambia di nuovo carcere… A Pianosa le sue condizioni di salute si aggravano ed è allora che sua madre firma la domanda di grazia che lui rifiuta sdegnosamente.. “E’ giusto dire che non fui il solo,” e ricordava diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte lo avevano permesso alle proprie famiglie. E poi aggiungeva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…”
Nel 1934 esce dal carcere per essere inviato al confino… dove inviavano i dissidenti con reati minori o anche senza reati… Sono liberi ma non possono uscire dalla località in cui appunto sono stati… “confinati.” Quando nel 1936 scopppia la Guerra di Spagna però le condizioni dei confinati peggiorano… Pertini protesta e viene denunciato… Avrà un altro processo, viene assolto ma resterà al confino a Ventotene fino al 1940, quando la sua pena scade e dovrebbe tornare a casa…
Ma interviene Mussolini… Ordinanza della prefettura di Littoria del 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.
Nel 1941 riesce a incontrare finalmente la madre a Savona… “Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente… Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Al mattino vennero a prendermi per ricondurmi a Ventotene. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto… Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
A Ventotene c’è un famigerato poliziotto come direttore, Marcello Guida… Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che ha come esito quello di rendere le condizioni dei confinati ancora più dure… Pertini è ritenuto un provocatore …
Nel 1969 dopo la strage di Piazza Fontana, il Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini si recò a Milano per rendere omaggio alle vittime dell’attentato e si incontrò faccia a faccia con Marcello Guida. Aveva fatto carriera ed era diventato Questore di Milano… Sandro Pertini si rifiutò di stringergli la mano e si girò dall’altra parte… Forse in cuor suo pensò ancora una volta che Togliatti aveva sbagliato a non consentire, dopo la guerra, l’epurazione dei funzionari fascisti dalla Pubblica Amministrazioni…
Quando il 26 lugglio 1943 cade il fascismo gli 8oo confinati di Ventotene non hanno nemmeno più la forza di esultare….Pertini va da Guida che siede terrorizzato dietro la scrivania… La foto del Duce è già stata rimossa… Pertini sarà liberato per primo e da Roma comincia la battaglia burocratica per liberare anche gli altri… Rivedrà anche sua madre… e sarà l’ultima volta mentre il sogno di libertà si infrange subito dopo… A settembre è a Roma, a Porta San Paolo a sparare contro i tedeschi che stanno occupando militarmente la città… Poi gli daranno la Medaglia d’oro, ma intanto i nazisti riescono a entrare in città. Due mesi di clandestinità e viene nuovamente arrestato assieme a Giuseppe Saragat… Sono due Presidenti della repubblica”in pectore”, ma per il momento finiscono in carcere a Regina Coeli… e ci vuol poco a condannarli a morte… Bisogna organizzare la loro fuga… Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli hanno ancora la carta intestata del Tribunale Militare di cui erano stati giudici fino all’8 settembre… Scriveranno un perfetto ordine di scarcerazione con tutti i timbri a posto… Ma Pertini riesce a complicare le cose… Non basta che facciano uscire lui e Saragat… Debbono liberare anche i loro compagni di cella… 4 ufficiali del breve governo di Badoglio… Alla richiesta si gettano tutti nel panico mentre Pietro Nenni, il Segretario del Partito Socialista si infuria… “Se è così allora fate uscire solo Peppino (Saragat)… Tanto Pertini a stare in carcere ci è abituato… ” Naturalmente l’ebbe vinta lui, ci rideva ancora, quando nel 1973, lo raccontò durante un’intervista a Oriana Fallaci..
Raggiunge Milano nel maggio del 1944 sull’auto di un amico. L’atmosfera è pesante e la pace lontana.. Milano è teatro degli attentati dei Gap e delle rappresaglie tedesche. Lui da clandestino viaggia in tutto il settentrione per organizzazione la stampa clandestina socialista …Ma appena Roma è liberata Pietro Nenni lo richiama… Lui non riuscirà a tornare tanto facilmente. Da Prato a Firenze le la farà a piedi appena in tempo per prendere parte all’ insurrezione della città, l’8 agosto… Da una tipografia fa uscire un numero dell’ “AVANTI !”.
Arrivato a Roma ci resta poco… Chiede di tornare a Milano come Segretario del Partito Socialista per tutta l’Italia occupata e come membro del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia
Alle 8 del mattino del 25 aprile, del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L’esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI ” I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. “(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)
Lo stesso giorno Mussolini tenta una mediazione per una resa onorevole tramite l’Arcivescovo di Milano, presso cui si recherà lo stesso Mussolini e i Membri del CNLAI. Sarà l’unica volta che Sandro Pertini vedrà il Duce… Ma non lo riconosce … Lui avvisato in ritardo sta salendo le scale dell’Arcivescovado quando vede un gruppo di persone che scende. In mezzo a loro c’è uno con la faccia emaciata, livida e distrutta. Quando entra e capisce chi era l’uomo Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini…” Il Duce si è preso qualche ora per riflettere gli risposero… Pertini dalla rabbia sembrava uscito pazzo.. e chiede subito che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, venga consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati come prevedeva l’armistizio firmato dal Re… Mussolini invece stava in quel momento già fuggendo e quando i partigiani lo ritrovarono l’ammazzarono senza consegnarlo, né agli alleati né al Tribunale del popolo, in uno di quei misteri italiani di cui poco si è capito… Pertini amaramente commentò “L’insurrezione è disonorata”.
Da allora Pertini diventò uno dei Padri della Patria… Mentre trovò il tempo di sposarsi con Carla Voltolina,la fiera staffetta partigiana che aveva conosciuto al Nord, divenne Segretario del Partito Socialista e poi Membro dell’Assemblea Costituente, Senatore Deputato e poi Presidente della Camera per due Legislature … Andava sempre un po’ controcorrente e in parecchi lo criticarono come quando da presidente della Camera vietò ai parlamentari democristiani di mostrare il loro voto, che doveva essere segreto, ai notabili del loro partito… ” Non mi meraviglia niente… ( L’avevano accusato di essere un po’ squilibrato)- disse in un intervista – So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… Voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un’ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo… “
l’8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana. Furono anni durissimi e tuttavia riuscì a fare della figura del Presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano. I cittadini si riavvicinarono alle istituzioni, mentre imperversava il terrorismo degli anni di piombo…
Per un certo periodo Pertini diventò “Il presidente dei funerali di stato”: fu al funerale del sindacalista Guido Rossa, davanti a 250.000 persone, che sferrò il più duro attacco alle Brigate Rosse… Era stato avvisato che nell’ambiente del porto di Genova c’era chi simpatizzava con le BR … Lui entrò in un garage pieno di gente e disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.
Sensa parlare del terremoto dell’Irpina, in cui dopo due giorni lanciò il suo grido desolato agli inconcludenti poteri dello Stato “Fate presto.” Erano morte quasi tremila persone e le autorità erano allo sbando. Lui li denunciò pubblicamente in televisione e a reti unificate …. Sottolineò la scarsità e l’inadeguatezza delle norme in materia di protezione civile nella prevenzione e in emergenza, denunciò la mancanza di un organo di coordinamento nelle calamità e ancor prima che accadessero, i tentativi di quelli che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel terremoto del Belice. Dopo quell’appello disperato l’Italia ebbe una Protezione Civile che per parecchi anni fu riconosciuta come una delle migliori di tutto il Mondo…
I ragazzi li adorava… Lui si era sposato tardi … di figli suoi non ne aveva… ma in qualche modo fu il padre di tutti i ragazzi… Bisogna ogni tanto rivedere come si rivolgeva a loro… completamente alla pari senza far pesare né carica, né anzianità…
Lottò con tutte le sue forze contro la mafia difendendo l’estraneità delle popolazioni che la subivano, quando tutti in modo più o meno sottile volevano parlare di collusione dei cittadini…
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita del Paese fu una grossa novità, quasi al limite dei poteri costituzionali… E per capirlo bisognava entrare nella sua ottica : “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale,come non vi può essere giustizia sociale senza libertà” Se chi, di dovere, se ne dimenticava, interveniva il Presidente della Repubblica… Sicuramente ha dato fastidio a tanti, ma è stato il Presidente più amato dagli italiani..
Quando da Presidente riusciva ad andare a Savona, se ne andava sempre a mangiare il pesce, pretendendo, come al solito, di pagarlo di tasca sua anche agli uomini del seguito… Doveva compensare quella cena mancata, quando raccontò ai carabinieri che stava andando al ristorante “I pesci vivi” e invece stava scappando dall’Italia inseguito da un mandato di cattura…
Il Ciupin è una zuppa di pesce tipica della Riviera. Una volta era proprio il piatto dei poveri che si preparava con i pesci di scarto o avanzati… Ma ora invecealici e sardine sono considerati pesci di grande appeal, per tutte le proprietà di benessere che assicurano a chi ne mangia regolarmente…
CIUPIN
INGREDIENTI per 6 persone: 3 etti di alici,3 etti di sarde, 5 etti complessivamente di triglie di scoglio, 2 etti di pannocchie e/ o gamberi di media grandezza, 1 manciata di vongole e 1 di cozze 2 etti di seppie tagliate a striscioline, 6 pesci da scoglio,di proporzione riferita a una singola persona, tipo scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo a pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 cipolla tritata finemente, 2 spicchi di aglio, 4 pomodori maturi spellati e tagliati a pezzi,1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, sale e pepe e a chi piace anche un po’ di peperoncino, 12 fette di pane abbrustolito, 3 acciughe salate.
PREPARAZIONE: occorre 1 pentola e 1 ampio tegame,un passaverdure,un colino a maglie strette e uno schiacciapatate.
Mettete nella pentola un trito composto di metà dell’aglio e della cipolla e dell’olio, le due aggiughe salate tritate e fate imbiondire su fiamma media. Aggiungete le alici,le sarde e le triglie di scoglio a cui avrete tolto le lische e girate delicatamente per poi aggiungere 1 litro d’acqua e far bollire lentamente.
Nel tegame mettete un trito composto del restante aglio e cipolla, e fate colorire nell’olio di oliva, poi aggiungete i pomodori, le seppie e fate assorbire i liquidi. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino, fate evaporare e infine aggiungete i crostacei. Infine versate il resto del vino e fate evaporare. Infine aggiungete 1 litro di acqua e fate bollire per 15 minuti. pane,Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente di peperoncino. Le cozze e le vongole preventivamente pulite e fatte aprire sul fuoco, in un’altra padella con poca acqua, le terrete a parte.
Riprendete la pentola e con una frusta elettrica amalgamate l’intero contenuto riducendo il tutto a poltiglia, passatela nel passaverdure e poi filtratela nel colino, recuperate il contenuto residuo del passaverdura,inumiditelo con un po’ di brodo della pentola e ricavatene tutto ciò che è possibile con lo schiacciapatate. Aggiungete nel tegame il brodo ricavato dagli ingredienti della pentola e fate evaporare su fiamma media sino ad ottenere un brodetto consistente. Aggiungete i 6 da singola porzione, far bollire per 5 minuti e spolverate con il prezzemolo. Se fra i vari pesci c’è il grongo inseritelo nel tegame 5 minuti prima degli altri.
Per preparare i singoli piatti appoggiate sul fondo le fette di pane, aggiungete 1 pesce da singola porzione su ciascun piatto, decorate con qualche cozza o vongola ancora nel loro guscio tenute da parte, coprite con il brodetto e un filo di olio.
“…Da parte nostra, abbiamo denunciato, vituperato, celebrato e mentito a proposito di aspetti e sfaccettature del nostro paese e dei nostri cittadini… Sotto l’impulso urgente di indagare sul mondo, al di là di innocui stereotipi e scortesie, per compiere una disamina accorata… Ispirata da curiosità, impazienza, un po’ di rabbia, e un amore appassionato per l’America, l’idea e il mistero”. Una confessione, quasi un testamento l’indagine con cui John Steinbeck conclude il suo ultimo lavoro… “L’America e gli americani”, iniziato come un reportage sull’ attualità degli anni 60 che finisce inevitabilmente in cerca dei solchi del passato… Comincia dal mare l’avventura americana di John Steinbeck, quando il pirata Morgan al soldo della Regina di Inghilterra, prende possesso della città di Panama… Ma non sarà una conquista…La Santa Rossa, la bellissima signora che Morgan non riuscirà a possedere, è il primo simbolo della complessa realtà americana che sfugge persino alla sua identificazione… “Un caleidoscopio non facile da accettare, ma terribilmente affascinante”.
Come Morgan il giovane Steinbeck era insoddisfatto e in cerca di qualcosa… Non solo ansia di conquista ma voglia di spingersi oltre… soddisfare e ricreare continuamente l’inquietudine in cui non ci poteva e non ci doveva essere posto per la pace. “… Una delle definizioni che più ricorrono a proposito di noi americani è che siamo gente sempre insoddisfatta, che non ama fermarsi, che è alla perenne ricerca di qualche cosa. In effetti dedichiamo la vita alla ricerca della sicurezza e la odiamo quando l’ abbiamo conquistata”…
I suoi genitori non erano ricchi, ma un avvenire tranquillo glielo volevano assicurare… Il padre era il tesoriere della Contea di Monterey e aveva il suo negozio di granaglie a Salinas… Una casa dignitosa ancora vittoriana con la torretta a “cappello di strega”.
Sua madre in quel figlio aveva riposto tutte le sue ambizioni frustrate, di insegnante ritirata per motivi di famiglia… C’erano altre sorelle oltre John… Ma quando quel ragazzino quattordicennne si chiudeva scontrosamente nella sua stanza per scrivere, la madre ne era felice… Non sapeva quanto difficile e sbandata sarebbe stata la via della letteratura per John…Inaspettatamente appena finita l’High Scool, sembrava che tutti i suoi interessi fossero diventati chimici, perché andò a fare analisi presso uno zuccherificio… Allora i genitori lo iscrissero a Stanford, l’Università più trendy di tutta la California, a studiare biologia… Si disinteressò presto… Anche Morgan una volta conquistata la favolosa e imprendibile Panama, sognata per anni, cominciò subito a correre dietro a un altro sogno…Di esami a Stanford nemmeno a parlarne, però scriveva molto senza che nessuno gli pubblicasse niente… Quando lasciò l’università aveva ventitre anni, niente laurea e e neanche un dollaro… Andò a fare il pescatore alla baia di Monterey… Gli piaceva andare per mare e forse sarebbe rimasto volentieri lì … Invece andò a New York… L’America è il paese di quelli che per un motivo o senza motivo, vanno… Come in un imperativo categorico. Fra i Carpetbaggers e Kerouac John Steinbeck stava quasi in mezzo… A New York ci provò seriamente a fare il giornalista e non ci riuscì… Tuttavia diventò sterratore … Proprio allora stavano costruendo il Madison Square Garden… E quando del sogno gli rimase veramente poco, si decise a tornare verso casa un anno dopo… Per sdrammatizzare il ricordo, ci scrisse sopra anche un racconto ironico… “Come si diventa Newyorkesi”
In mezzo ai monti che lo circondano da ogni lato, il lago Tahoe è famoso per la chiarezza delle sue acque… John Steinbeck riuscì a depositare qui la sua rabbia dopo l’insuccesso di New York… Trovò lavoro come custode di una residenza estiva… Lunghi mesi di tempo libero…Guardava il lago e scriveva… Nell’agosto del 1929 pubblicò il suo primo romanzo Cup of Gold, “La santa Rossa”, due mesi prima del “giovedì nero” di Wall Street .. Schiacciato dalla crisi il libro vendette solo 15 copie… Decisamente non fu un successo…
E non lo furono nemmeno i “Pascoli del Cielo” e “Al Dio Sconosciuto” … Sono storie troppo piene di dolore. La California di Steinbeck è luogo di bellezza misteriosa ma denso di sortilegi e di ataviche maledizioni… Nelle disperazione dei dannati della valle e nel panteismo di Joseph che si immola al Dio sconosciuto, il giovane Steinbeck comincia l’opera distruttiva del mito americano …
Il successo pieno e totale arriva con Pian della Tortilla . E’ un libro scanzonato, tenero e picaresco. Gli ultimi discendenti dei veri californiani, coloro che hanno nelle vene sangue spagnolo, messicano, indio e caucasico, i paisanos, vivono felici e allegri alle spalle di Danny che ha ereditato una vecchia casa assai malconcia. E’ un mondo di piccoli espedienti, piccoli reati, nessun lavoro e tanta baldoria. L’altra faccia dell’America ricca e operosa, posta ai margini e nel disprezzo della collettività. Invece una volta trascinati nel romanzo di Steinbeck diventano personaggi di fama e chi li evitava ora li esalta e ci si diverte… Steinbeck si arrabbia “Ho scritto queste storie perché sono storie vere e perché mi piacevano. Ma le sentine della letteratura hanno considerato i miei personaggi con la stupidità delle duchesse che si divertono con i contadini e li compiangono… Se ho causato loro dei torti raccontando qualcosa delle loro storie, me ne dispiace. Ciò non avverrà più. Addio Monte!”
Nei libri successivi non ci sarà più possibilità di equivoci… La denuncia e la rabbia di Steibenck esploderanno nel cuore della crisi americana. “La Battaglia” è uno sciopero agricolo e drammatico, guidato da un giovane Jim Nolan che vi perde la vita, l’ entusiasmo e i suoi ideali sociali. “Uomini e topi” è la denuncia schiacciante dell’intolleranza nei confronti del “diverso”, ma è anche una poetica storia di amicizia e di solidarietà fra George, giovane manovale di campagna, e Lennie, un gigante con un cervello da bambino. L’atto finale quando George uccide Lennie per sottrarlo al linciaggio e alla vendetta, ha la disperazione di una tragedia greca in un mondo cupo dove non c’è più speranza. Steinbeck verso la strada del successo con la sua prosa limpida ed elegiaca è la punta massima de i drammi sociali, colui che scopre l’amaro calice degli immigrati e degli sradicati, dei lavoratori sfruttati e senza voce. Nessuno si era mai permesso di parlare così della terra promessa degli emigranti del vecchio continente.
La Route 66 è la vera protagonista di “Furore”, questa strada che aveva attraversato tutta l’America piena di baldanza a seguire la frontiera che si spostava sempre più avanti, nella conquista del West… Adesso è diventata la strada di questa migrazione biblica, dei disgraziati che vanno ad ovest in cerca di una improbabile salvezza. La famiglia Joad e la sua dispersione, il linguaggio a tratti elevato che si alterna al dialetto degli agricoltori dell’Oklahoma, diventano per Steinbeck gli strumenti di una spietata analisi della società, delle ingiustizie e dello sfruttamento delle masse proletarie…
Molto tempo dopo fu lecito a tutti dimenticarsi di Steinbeck. Il suo sembrava un mondo irreale. .. Drammi che erano ignoti alle generazioni nate e cresciute dopo la seconda guerra mondiale, avvolte nel benessere e nell’ignaro consumo… Anche Steinbeck negli anni ’60 aveva perso la sua grinta rivoluzionaria quasi assopito nella nuova società opulenta… Il suo libro più famoso del dopoguerra, “La Valle dell’Eden” era un dramma familiare, intimista… Il Nobel arrivò tardi, quando lui nemmeno andava più di moda e, nonostante le lodi accademiche si finiva per pensare a Steinbeck con un certo distacco…
Fino al brusco risveglio di tutto il mondo occidentale, improvvisamente perso in una crisi senza limiti e quasi senza tempo… Suicidi e disperazioni di un’intera classe che precipita nella povertà…I visi amorfi dei giovani senza lavoro… Eppure nella sua disperazione Steinbeck la via d’uscita l’aveva trovata… L’aveva trovata nel valore della “solidarietà” fra gli uomini, come forza per traghettare verso la speranza … E’ ancora lì la soluzione, basta rileggere le ultime righe di “Furore” quando uno dei personaggi emerge con un gesto di generosità ingenua e sconfinata che fa riflettere… Non sempre le avversità riportano l’uomo allo stato selvaggio e alla cattiveria hobbesiana, a volte, al contrario, possono condurci a un diverso e più alto livello di salvezza.
Alla California di Steinbeck, una delle prime che sta allontanando coraggiosamente da sé il fantasma della crisi, vogliamo dedicare un piatto semplice e ricco assieme, ricordo del grande mare su cui andava a pescare il suo figlio più irrequieto e sensibile…
ARAGOSTA ALLA CALIFORNIANA
INGREDIENTI per 4 persone: 2 aragoste da circa 700 grammi ciascuna, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1/2 bicchiere di cognac o brandy, 1 cipolla, 2 pomodori rossi, sale e pepe a piacere, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 20 grammi di burro,1 spicchio d’aglio.
PREPARAZIONE: lavate le aragoste sotto l’acqua corrente, poi staccate la testa e tagliate il corpo a medaglioni seguendo le linee della corazza. Mettete una pirofila sul fuoco con l’olio in cui farete rosolare l’aglio intero e appena dorato aggiungete i medaglioni di aragosta facendoli rosolare fin quando il guscio diventa rosso. Bagnate col cognac e poi lasciate evaporare. Subito dopo aggiungete la cipolla affettata e i pomodori a pezzi, privati dei semi. Aggiustate di sale e pepe, bagnate col vino bianco e spolverizzate con una parte del prezzemolo. Mettete nel forno già scaldato a 180°C per circa 20 minuti, estraete dal fuoco le aragoste ed eliminate i gusci. Raccogliete in una casseruolina il sugo rimasto nella pirofila, unitevi il burro, mettetelo sul fuoco per pochi minuti, quindi versate la salsa sui medaglioni, spolverizzate con il restante prezzemolo e servite.
Ha 20 milioni di anni, e francamente non li dimostra! Era successo nel Terziario … Ci fu a quel tempo un susseguirsi di violenti terremoti … E fra spaventosi boati e cieli lampeggianti si sconvolse tutta la superficie terrestre… Fu uno di questi, in uno scenario di tremenda apocalisse, che riuscì a spostare una Montagna di roccia, la trascinò via per 80 chilometri e la fece scivolare tutta intera nell’ Adriatico …Il mare fu costretto a ritirarsi per 15 chilometri… Ed è per questo che oggi, se vi capitasse di scavare sulle pendici del Monte Titano potreste trovare qualche pesce fossilizzato ché non fece in tempo a fuggire via col mare. Sono per lo più squali e peccato che il pezzo più bello, il cranio e le vertebre di una balenottera se lo sono portato via … Per fortuna, il Museo di Bologna, dove l’hanno esposta, con tutti gli onori, è lì vicino…
Gli uomini arrivarono molto dopo e trovarono tutto sistemato… Da un lato la montagna era rimasta ripida, scabra rocciosa, ma nella parte opposta scendeva in un leggero declivio ricoperto di alberi, ricco di fiori e di uccelli… Se si saliva in cima si vedeva da lontano il mare… Ed era tutto talmente bello che non se ne sono più andati… Ognuno ha lasciato qualcosa …Forse per non essere dimenticato… Dall’ascia di pietra all’ascia di bronzo, dalle urne cinerarie ai resti della spendente civiltà romana… Ma è dal passaggio di quei semi barbari Goti che è arrivata la testimonianza più curiosa…Accadde alla fine del 19° secolo… A Domegnano, nel territorio di San Marino, un contadino trovò un tesoro nel campo … Un mucchietto di gioielli tutti d’oro che portò subito al suo padrone… Erano oggetti da favola… Forse il corredo funebre di una principessa o forse li aveva sepolti la principessa stessa mentre sfuggiva dalle armate bizantine, durante la lunga “Guerra Gotica”… L’avido padrone smembrò il tesoretto e lo vendette a pezzi… fra i vari musei del mondo quello di Norinberga si è aggiudicato il pezzo più interessante… la “Fibula ad aquila” che è divenuta poi il simbolo dei Goti in Europa…
E’ uno degli Stati più piccoli di Europa con i suoi 61 Kmq, ma è anche, dopo quella romana, la più antica Repubblica d’Europa perché esisteva già, incastrata in chissà quale contesto giuridico e amministrativo, all’epoca dell’Impero Romano. Sembra infatti che, dal mare di fronte, attorno al 257 fossero arrivati due operai tagliatori e incisori di pietra… Dicono che ci fosse urgenza di ricostruire le mura di Rimini… L’Impero all’epoca era un po’ nei guai perché i barbari alle frontiere premevano per entrare a godersi la società del benessere… Forse i due profughi, invece, erano scappati da qualche persecuzione locale contro i cristiani… La storia si fa un po’ confusa ed è meglio non approfondire troppo… Si da per certo che si chiamassero Leo e Marino e li mandarono a estrarre pietre sul Monte Titano … Dopo tre anni si dividono … Leo va a fondare San Leo…, la Rocca da dove scapperà Cagliostro e Marino si fa una grotta sul Monte Titano… Quando poi il figlio della matrona del luogo proverà a scacciarlo… per punizione divina resterà paralizzato… Inutile dirlo… all’atto della donazione del Monte Titano a Marino, il ragazzo guarirà e Marino dopo questo miracolo è già diventato S. Marino. Risale ufficialmente… ma non del tutto, al 3 settembre 301, la fondazione di questa Serenissima Repubblica…
Se ne sa poco durante tutto il Medioevo… Ma è sicuro che la democrazia fosse diretta… L ‘avevano copiata ai greci, e, nella loro versione della Città – Stato, tutti i padri di famiglia partecipavano all’Arengo, la grande Assemblea che radunava tutti i poteri , legislativo, politico, giudiziario… Durerà fino al 13° secolo poi saranno costretti a farsi rappresentare.. Lo Stato era sempre piccolo, ma la popolazione aumentava…E ‘ certo però che i due Capitani Reggenti, i loro capi di Stato, discendono direttamente dai Consoli romani, solo che nella durata della carica erano stati ancora più drastici… 6 mesi invece di un anno… Lo dovevano aver capito subito che il potere corrompe…
La parola “Libertà ” l’hanno scritta dappertutto, perché non ci fossero dubbi da parte di nessuno… Nella bandiera, nello stemma e nella Piazza del Governo dove c’è una bella statua proprio al centro a testimoniarla… “Reliquo vos liberos ab utroque homini”… Forse non l’ha detto proprio San Marino come hanno voluto far credere per non pagare le tasse, ne’ all’Imperatore né allo Stato della Chiesa, ma di fronte al nome del Santo fondatore persino il processo del 1296 riconobbe la loro indipendenza ” Non dipendono da nessuno” proclama un antico documento ritrovato in un Convento da quelle parti…”Non pagano perché non hanno mai pagato. E’ stato il loro Santo a lasciarli liberi”. Il Papa del resto si era già arreso qualche anno prima… Aveva riconosciuto la Repubblica nel 1291… Sessanta anni dopo San Marino era anche libero Comune…
Solo una volta ha aumentato il territorio… quando il Papa nel 1463 per gratitudine gli cedette Fiorentino, Montegiardino e Serravalle… poi non ne ha più voluto sapere. C’era sempre il rischio di perdere qualche libertà a farsi beneficare dai potenti… Un paio di volte San Marino se l’é vista brutta come quando Cesare Borgia, il duca Valentino l’occupò con le sue truppe per quasi un anno… Figurarsi il Duca s’era messo in testa di prendersi tutta L’Italia… Come avrebbero fatto a cacciarlo da San Marino? Ci volle la morte del Papa per costringerlo a levare le tende con armi e bagagli… Ormai non aveva più la protezione della Chiesa… Chiesa che tuttavia ci riprovò a mettere le mani su San Marino anche nel ‘700, ma insorse mezza Europa a difendere il piccolo Stato … Faceva comunque barriera al dilagante imperialismo dello Stato pontificio.
Per lo scampato pericolo arrivò anche a rifiutare le profferte amiche di Napoleone che gli voleva allungare il territorio sino al mare “la Repubblica di San Marino – disse l’allora Capitano Reggente – contenta della sua piccolezza non ardisce accettare l’offerta generosa che le viene fatta, né entrare in viste di ambizioso ingrandimento che potrebbero col tempo compromettere la sua libertà”
Fu meno prudente durante il Risorgimento e i moti di liberazione… Considerò l’Italia la sua Patria più grande, in cerca della libertà e aprì le porte. Troppo dura sarebbe stata altrimenti la sorte dei carbonari e dei patrioti in fuga… E un’altra volta San Marino rischiò l’occupazione dell’Austria e dello Stato Pontificio… Nel 1849 Garibaldi in fuga da Roma dopo la Caduta della Repubblica Romana procedeva a marce forzate, con la moglie incinta e 1500 uomini, per tentare di raggiungere Venezia… Ma nelle Marche era ormai accerchiato da quattro eserciti nemici… Però era un grande condottiero e nella via di fuga aveva puntato su San Marino… A cui chiese asilo… Solo un momento il Capitano Reggente provò a rifiutare, terrorizzato per le conseguenze, ma Garibaldi era già davanti a lui e la richiesta d’asilo fu accolta… Dopo l’Unità d’Italia San Marico ricominciò a sentirsi sicura…
Oggi vive di eccellenze… Il turismo, la finanza, le monete e i francobolli… Spesso con un annullamento nel giorno indovinato ci si fanno i soldi… Il piccolo territorio ha una grinta estremamente moderna ed efficiente e nonostante la crisi ha il tasso di disoccupazione più basso d’Europa… Ma non ditegli di rinunciare alla cerimonia di investitura dei Capitani Reggenti o di cambiare la date del suo calendario… Per San Marino l’anno comincia il 3 settembre e l’anno in corso e’ 1l 1713 d.F.R., cioè dalla Fondazione della Repubblica… Perché tutto cominciò il giorno che San Marino dette loro la libertà…
Dal 2008 San Marino e il Monte Titano sono diventati Patrimonio dell’Unesco… “… Sono eccezionali testimoni della costruzione di una Democrazia rappresentativa basata sull’ autonomia civica e sull’auto-Governo con un’unica, ininterrotta continuità nell’essere Capitale di una Repubblica indipendente sin dal 13° secolo. …”
La cucina… Molto è in comune con le Marche e la Romagna, le sue confinanti, alcune cose però sono tipiche di San Marino, come i fagioli con le cotiche di maiale o la polenta servita sul tagliere magari con un sugo di salvia e uccelletti… Oppure la pasta e ceci della tradizione natalizia e la minestra Bobolotti, quella dei poveri fatta con pasta fresca, fagioli scuri e lardo…Alcuni dolci sono ecccezionali come la Pagnotta, tipica di Pasqua o la Torta Titano o la Torta Tre Monti… Ma di alcuni di essi non si conosce nemmero la rcetta precisa…Segreto della Repubblica!
Noi abbiamo scelto un piatto che nel nome ripete una certa dose di ironica insofferenza per quello Stato pontificio che per molti secoli è stato lo scomodo vicino di casa della Serenissima Repubblica
STROZAPRET AL SUGO DI CARNE E FORMAGGIO DI FOSSA
INGREDIENTI PER IL SUGO per 4 persone: pomodori maturi 400 grammi, fegatini di pollo grammi 200, lombata di vitello grammi 100, burro grammi 80, besciamella grammi 100, prosciutto crudo grammi 50, 1 cipolla, 1 carota, 1 manciata di prezzemolo, marsala secco 5 cucchiai, 1/2 litro di brodo di carne, noce moscata 1 pizzico, cannella 1 pizzico, sale e pepe a piacere.
INGREDIENTI PER LA PASTA per 4 persone: farina bianca 620 grammi, acqua, sale, formaggio di Fossa di san Marino 60 grammi (è una specialità del posto che si ottiene mescolando latte vaccino e latte di pecora)
PREPARAZIONE: per quanto attiene al sugo, sbucciate, lavate e tritate la cipolla, la carota e il prezzemolo, metteteli in un tegame di terracotta insieme a 50 grammi di burro e fateli rosolare sul fuoco a fiamma media. Tagliate a pezzi piccoli sia la carne che i fegatini e uniteli al soffritto, mescolando il tutto con un cucchiaio di legno, aggiustate di sale e pepe e bagnate con il marsala. Lavate i pomodori, togliendo loro i semi (si possono usare anche i pelati in scatola, preferibili ai pomodori freschi nei mesi invernali, dato che i pomodori freschi fuori stagione si rivelano con poco sapore e troppa acqua), tagliateli a pezzi e uniteli alla carne, poi aggiungete al sugo la besciamella, la noce moscata e la cannella e bagnate infine con il brodo versandolo poco per volta.. Cuocete per mezz’ora,poi tritate il prosciutto e fatelo rosolare con il restante burro in un tegamino a parte e unitelo al ragù solo negli ultimi minuti della cottura.
Per preparare la pasta versate 600 grammi di farina sulla spianatora distribuendola a “fontana”,versate al centro dell’acqua bollente e mescolate rapidamente con un cucchiaio di legno. Lavorate la pasta con le mani per 15 minuti e poi ricavatene dei bastoncini della grandezza di un dito tagliandoli a pezzi di due centimetri e 1/2. Utilizzate la restante farina per distribuirla sulla spianatora e con le dita rotolarvi sopra premendo i pezzetti di pasta in modo che restino vuoti all’interno oppure prendendo ogni bastoncino, arrotolarlo, facendolo scorrere tra i palmi aperti delle mani (imitando il classico gesto di sfregamento che si fa per scaldarsi le mani.) Lessateli in acqua bollente salata. Quando vanno a posarsi sul fondo della pentola scolateli subito e conditeli con il sugo preparato. Dopo averli ben mescolati spolverateli con il formaggio di Fossa.
All’inizio del ‘900, nessuno avrebbe potuto immaginare che la seconda metà del secolo avrebbe trovato in America la patria di tutte le avanguardie artistiche…Del fermento che si agitava in Europa niente sembrava allora scalfire le serene scuole d’arte americane e la maggior parte dell’opinione pubblica. Dopo la pittura degli impressionisti la realtà non era più stata la stessa, ma neppure le grandi navi che andavano e venivano, riuscivano a trasportare qualcosa di nuovo fino al… “Mondo Nuovo”… Solo nel 1913 fu finalmente organizzata a New York la storica mostra dell’ Armory Show… 1200 dipinti, sculture e opere decorative di tutte le correnti dell’avanguardia europea… cubismo, fauvismo. impressionismo… Ma non fu un successo, solo rabbia e sconcerto. Le cronache riportano recensioni piene zeppe di parole come “pazzia”, “immoralità” e “anarchia”. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt si affrettò a dichiarare stizzito: “…Non è men vero, tuttavia, che cambiamento può significare morte e non vita e regressione anzichè progresso…Questa non è arte!
In questo clima ostico a tutti i cambiamenti erano anni che Giorgia O’Keeffe, giovane pittrice americana controcorrente,originaria di Sun Prairie, nel Wisconsin, stava cercando una strada lontana dalla pittura storicista e di imitazione… Nel 1908 a New York sembrava aver trovato quello che cercava nella Galleria di un poco conosciuto e criticato espositore, il fotografo Alfred Stieglitz,… Ma poi deve abbandonare gli studi… Fa la grafica pubblicitaria, insegna, segue solo qualche corso di pittura qua e là, finchè le capita di leggere Kandinsky… “Forme e colori non devono rispecchiare il modello naturale, bensì i sentimenti, il mondo interiore dell’artista”…
E’ già il 1915 , quando inizia … “Ho delle cose in testa che nulla hanno a che fare con quello che mi hanno insegnato…sono giunta alla conclusione di considerare vere le mie concezioni… ” I suoi disegni a carboncino, li spedisce a New York un’amica di Georgia e solo per un caso finiscono nelle mani di Stieglitz… Sembrano forme organiche di una natura primordiale, superfici piatte che fanno pensare alla pittura giapponese … Stieglitz ne è colpito e li espone nella sua Galleria il ” 291″ diventata con gli anni un forte punto di richiamo dei nuovi artisti americani… Dopo lei gli manda i suoi acquerelli … Nudi femminili dai contorni indefiniti, dove il diverso spessore del colore dà un vivace senso di movimento… C’è tutto lo spirito di Rodin, che lei aveva visto tanti anni prima … Proprio lì, in quella galleria di Steiglitz, con il quale, ormai, è amore … Difatti Georgia lascia il Texas… E’ il 1917 e torna a New York … Lui è affascinato da questa donna così autonoma, indipendente lontana da tutti gli stereotipi di famiglia e di vita borghese… Presa solo di passione e urgenza per i colori e le forme che le agitano la mente…. Attorno a Stieglitz ci sono i nuovi artisti… Fotografi e pittori da cui lei assorbe l’incanto per i fiori e la pittura dilatata sui primi piani, che può alterare l ‘aspetto degli oggetti, dando vita a forme di astrazione prima inesistenti o non visibili…
Ma prima ancora di essere conosciuta per i suoi quadri, Georgia, a New York, è lanciata dalle fotografie di Stieglitz, di cui diviene modella e Musa… Nelle mostre del 1921 e del 1923 metà delle foto sono ritratti e nudi di Georgia… Subito dopo arrivano i fotografi famosi della cerchia di Stieglitz e con il viso dagli alti zigomi, le bellissime mani “danzanti” e il corpo morbido e allungato come una Venere di Cranach, Georgia diviene la donna più fotografata del mondo.
Nel 1924 vengono esposti i suoi grandi immensi fiori, alcuni luminosi, altri vortici di buio… L’ingrandimento è voluto, i dettagli dominano il primo piano… Anche il “velluto” dei petali e’ palpabile…..” E’ il fiore visto dal punto di vista dell’ape”… Così lo aveva teorizzato Georgia prima di dipingerlo… Ma, strappato alla sua correlazione naturale, l’effetto finale diventa autonomo… e fortemente erotico… Sono eleganti simboli sessuali che lei ha liberato dal suo incoscio, afferma Stieglitz e un noto critico d’arte scrive un saggio sui reconditi significati… Quegli strani oggetti pieni di voluttà, hanno un successo incredibile… Fra le foto di nudo e i quadri dei fiori, Georgia diventa famosa… E’ un’immagine inconsueta, per la sensibilità dell’epoca, un ‘artista libera e disinibita… Fuori dagli schemi… non corrisponde a nessun cliché …
A parte la donna, oggi più identificabile, resta difficile definire l’arte di Georgia O’Keeffe… Questi fiori che si impossessano dell’intera tela, sicuramente esistono, ma in una realtà che è diversa, individuale, tutta impregnata della personale “magia” dell’artista, degli occhi con cui lei guarda il mondo… La stessa cosa accadrà quando si vorrà confrontare con la realtà a lei più vicina… Mentre comincia a dipingere New York nel 1925 , lo sky line della città non è ancora del tutto definito, ma lei ne coglie lo stesso l’aspetto essenziale … La sua Verticalità… Per il resto non c’è una netta definizione… Forme di edifici a torre, ridotte a geometrie semplificate dove nella notte splende la ripetitività delle finestre …Il “Radiator Building” fa venire in sogno la magia di un castello antico, abitato da fate o forse da vampiri… Da “City Night” o da “l’Hotel Sheldon con riflessi di sole”si aspetta invece che balzino fuori i nuovi cavalieri della fantascienza…
E’ sul finire degli anni ’20 che Georgia O’Keffe comincia a lasciare un po’ per volta New York … Stieglitz la opprime… E la tradisce… Anni di lotta continua per affermare piccole parti di se stessa l’hanno lasciata esausta…E mentre avverte la presenza di altre donne si ritrae… E finisce per trovare la sua verità definitiva nella vastità del New Mexico… L’affascina il nudo paesaggio desertico e le colline di sabbia rossastre con le scure mesas alle spalle… Scrive ” Qui fuori, nelle Badlands, che si estendono per molte miglia si possono vedere tutti i colori di terra della tavolozza di un pittore, dal giallo Napoli chiaro attraverso i toni ocra – arancione,rosso e porpora – sino ai morbidi toni del verde. ” … E ancora “Ho colto fiori dove li ho trovati, ho raccolto conchiglie e pietre e pezzi di legni…Quando ho trovato le belle ossa bianche nel deserto, le ho raccolte e le ho portate a casa… Ho dipinto questi oggetti per esprimere ciò che significavano per me la vastità e il miracolo del mondo in cui vivo.”
Se per i critici d’arte le ossa sono segni di morte lei, di ossa aride ormai non potrà più fare a meno e ci cospargerà i suoi quadri… I protagonisti del suo rinnovato universo… “Le ossa – scriverà – sembrano portare proprio al centro di ciò che nel deserto è più vivo, benché esso sia ampio,vuoto e intangibile e benché, nonostante tutta la sua bellezza, non conosca l’amicizia…” Tornerà ogni tanto a New York, il legame con il marito non si interromperà mai del tutto, tanto forte era lo spirito che li teneva assieme, ma per questa dona affamata di realtà, che ha bisogno di soggiogare e trasformare, il deserto diventerà la sua casa… E la mirabile architettura delle ossa del bucranio, saranno il suo nuovo mondo, Diventeranno immensi, evocati fantasmi a protezione del deserto, in opere come “Dal lontano vicino” o saranno delicati intagli di bianchi e neri nei surreali accostamenti ai fiori artificiali delle sepolture spagnole…
Dopo che suo marito era morto prese a girare il mondo, lasciando nuovamente dietro di sé quell’immagine di donna eccentrica, avventurosa e non classificabile… Ne ritornò con liquide immagini azzurre e bianche viste dall’alto… i suoi fiumi che correvano in pianure vuote e desolate sotto la coltre delle nuvole “…Le nubi sotto di noi erano straordinariamente belle, spesse e bianche… Tutto appariva così solido che io pensai che avrei potuto camminarvi sopra, fino all’orizzonte, se qualcuno avesse aperto la porta… Non vedevo l’ora di arrivare a casa e di dipingere… ” Lo farà fino quasi alla fine quando ormai non ci vedeva … Ma in quel deserto volle restare, fiera e orgogliosa della sua solitudine, nella vastità che non aveva neanche più bisogno di vedere, tanto era dentro di lei… Ma forse era vero il contrario …Era stata lei a entrare nel deserto e a diventare parte di quel Dio, sconosciuto ai più…
Molti oggi considerano Georgia O’Keeffe la più grande pittrice americana del 20° secolo… Nel New Mexico, che lei scelse come patria di elezione, la cucina di tipo messicano è un mix di cucina spagnola e india, oggi spesso rivisitata dalle influenze che arrivano dal Nord degli Stati uniti. Ma le Huevos Rancheros sono un cibo ancora nel solco della più tipica e tradizionale cucina messicana. Venivano servite nella colazione di metà mattinata agli agricoltori che usavano fare una pausa con un pasto molto sostanzioso dopo la frugale colazione di prima mattina.
HUEVOS RANCHEROS
INGREDIENTI PER 4 PERSONE: olio extra vergine di oliva q.b., 250 grammi di cipolle, 500 grammi di peperoni, rossi, gialli o verdi, 1 cucchiaino di cumino, 1/2 cucchiaino di sale , 1/2 cucchiaino di pepe di cayenna, 1/2 cucchiaio di jalapeno, 1 spicchio di aglio, 250 grammi di pomodori freschi o pomodori a pezzi in scatola, 200 grammi di brodo di pollo, 3 cucchiai di cilantro, 4 tortillas di mais, 2 cucchiai di burro, 350 grammi di cheddar, 8 uova grandi,
PREPARAZIONE: per prima cosa si prepara la salsa detta appunto Ranchero che verrà versata sulle uova. Scaldate in un tegame l’olio e poi aggiungete i peperoni e la cipolla tagliati a pezzi facendoli cuocere per 5 minuti circa a fiamma media, rigirando di tanto in tanto per evitare che si brucino.Aggiungete il cumino,il sale, il pepe di cayenna, il jalapeno sminuzzato e l’aglio tagliato a fettine sottili mescolando. Versateci sopra il brodo di pollo e i pomodori e fate cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio,per restringere la salsa.Togliete la pentola dal fuoco,aggiungete il cilantro sminuzzato e tenere da parte.
In una padella ampia fate scaldare poco olio di oliva che avrete spalmato su tutto il fondo, aggiungete una tortilla alla volta girandola da entrambe le parti per 1 minuto complessivo di cottura e ripetendo il procedimento per tutte e 4 le tortillas.
In un altra padella di medie dimensioni fate scaldare 1 cucchiaio di burro, rompeteci dentro due uova mantenendo il tuorlo intatto, salatele e dopo cotte mettetele a parte in un piatto dopo avervi spolverato sopra la metà del cheddar grattugiato o spezzettato finemente. Aggiungete un altro cucchiaio di burro e seguendo lo stesso procedimento fate cuocere le restanti uova. Mettete una tortilla in ogni piatto, poggiatevi sopra due uova ciascuno e ricoprite con la salsa Ranchero.
“Spesso il male di vivere ho incontrato…” Era già successo al Poeta ma ancor più spesso capiterà a Michel Piccoli … Attirato, avvolto, coinvolto… Forse l’attore preferito da tutti i registi del malessere, diabolicamente attratti da quella figura così elegante e un po’ distaccata, da quel sorriso mite e lontano un miglio dalle banalità di tutti i giorni… Invidia, voglia di distruggerlo, impossibilità di farne a meno? Lui all’inizio non lo poteva proprio sapere e forse neanche se ne rese conto. Nato in una famiglia di musicisti già immersi nello spettacolo, fu quasi normale per Michel fare l’attore e, sia pure con una lunga gavetta, entrò nella porta principale.. La compagnia di Jean Louis Barrault…
Mentre recitava in teatro gli affidò una particina di villico Christian Jacques in “Sortileges” ed era già un film oscuro quello in cui era capitato l’inconsapevole ragazzo… Un cupo assassinio in mezzo alle montagne… Poi, piccole parti in tanti film eterogenei che non gli dettero nessuna fama ma non sfuggirono al terribile occhio indagatore di Bunuel … Chissà cosa avevano in comune…Forse, in un mondo imbarbarito, nel tratto signorile di Michel, Bunuel ci vide lo spirito surreale di cui nutriva i suoi film… Comunque fu subito amicizia e per Michel la parte del missionario in un film freddo e cinico con 5 personaggi in fuga nella giungla..”Un avventuriero, una prostituta, un missionario e un vecchio minatore con la figlia muta… Ne “La Selva dei Dannati” in una natura, avvolgente e ridondante, Bunuel perfidamente si diverte a osservare i comportamenti dei personaggi quando la coesione scompare davanti a un mucchietto di diamanti…
Faranno 5 film insieme uno più cattivo dell’altro e a Michel negli intervalli non mancarono altri drammi, un film dalle atmosfere pervase di stregoneria come “Le Vergini di Salem” o parti ingrate come quella del marito irriso e forse tradito ne “Il Disprezzo,” il film di Godard girato in parte a Capri nella bellissima villa Malaparte!
Il “Diario di una Cameriera” incentrato su una “femme de chambre”, arrivista e ricattatrice è del ’64 e Michel – Monteuil, sposato con un alchemica donna frigida, è una sorta di satiro, che molesta, oltre Celestine , tutto il personale femminile della casa… Ovviamente resta coinvolto nella condanna di Bunuel per il mondo borghese e clericale, condanna che finisce per estendersi anche a tutti i servi di casa contaminati anch’essi dal male della borghesia … Poi, nel testardo attacco di Bunuel al bigottismo cattolico sarà prima Husson l’ambiguo amico del marito di Severine, la “Bella di Giorno”, la donna dagli inconfessabili desideri sessuali, che lui spinge nella prostituzione a ore e, poi, rimarrà coinvolto ne “La Via Lattea” il film denuncia di tutte le eresie . Come se non bastasse Bunuel lo farà divenire il Ministro corrotto ne “Il Fascino Discreto della Borghesia” dove l’orgia sarcastica del pranzo che non c’è, affonda in un surrealismo sereno e sorridente e sarà l’esplosivo onirico a far saltare in aria la borghesia e i suoi feticci… la polizia, la chiesa e l’ esercito.
Al destino non si sfugge e, se Michel Piccoli sperava di diventare qualcosa di diverso nei film del brillante Maestro della “Commedia all’italiana”, Marco Ferreri, dovrà presto ricredersi. In “Dillinger è Morto” soccomberà alla nausea esistenzialista di un’annoiata vita di marito borghese, ne”L’Udienza” sarà coinvolto nella triste storia del giovane morto assiderato, senza riuscire a parlare con il Papa e dopo aver assistito impotente alla fuga dalla civiltà del suo misantropo amico Giorgio ne “La Cagna”, finalmente, un esasperato Michel Piccoli, accoglie con gioia la parte di uno dei quattro suicidi de “La Grande Abbuffata”… “Stavolta è fatta,” avrà pensato, “Morirò e mi sarò liberato di questi assurdi e perfidi personaggi…” Così si ingurgitava di cibo fino a scoppiare e moriva piegato in due, in bilico sulla balaustra della bella terrazza dell”800… Una fine neanche tanto ingloriosa, dopo tutte le grottesche disavventure di quelle enormi “Bouffes”…
Ma ahime, alla sua morte, anche così plateale, non credettero ne’ Bunuel né Ferreri… I più sarcarstici e surreali fra i tutti i cattivi che aveva incontrato sino a quel momento sul suo cammino… E lui che era un buono e un gran signore … Non riuscì a tirarsi più indietro… Ma in fondo alla fine fu contento … perchè il “Fantasma della Libertà” fu l’ultimo dei film di Bunuel. Se non avesse partecipato chissà che rimorsi avrebbe avuto dopo…
Sono passate le mode, i registi, le opere e i giorni, ma Michel Piccoli no! Sembra che abbia partecipato a 170 film nella sua vita, adesso ha 87 anni, ma lo seguitano a cercare… Per il film più recente l’ha chiamato… e come poteva essere altrimenti… l’ultimo “ragazzo” veramente cattivo e graffiante del cinema italiano… Quel profetico Nanni Moretti, che, con la sua sensibilità, diciamocelo pure, un po’ malata, si è immaginato un “surreale”, dissacratorio e del tutto improbabile film, in cui il Papa dava le dimissioni, circa due anni prima che ciò avvenisse veramente… E chi ha voluto l’ultimo cattivo di turno, per il suo “Habemus Papam”? Michel Piccoli, naturalmente, l’attore “buono” semplice e generoso, che tutta la vita ha attirato come una grande e risplendente stella i più cattivi, grandi e perfidi maestri del Cinema… Lui Moretti ha persino preteso prima di affidargli la parte che Michel Piccoli si sottomettesse a un provino… E lui, il grande attore, con la sua aria gentile da gran signore, ha acconsentito ai capricci del Regista … E ha detto che si è persino divertito… Era qualche decennio che nessuno glielo chiedeva… Alla fine, del Papa vecchio, stanco e rinunciatario ha donato al cinema un’interpretazione grandiosa nella massima semplicità dei mezzi di espressione ed è riuscito a toccare le corde della più vibrata e umana commozione…
Per la ricetta di cucina però abbiamo fatto un salto indietro nel tempo e siamo andati a saccheggiare “La Grande Abbuffata”, l’opera d’arte di Ferreri che ci ha lasciato una grande, patetica interpretazione di Michel Piccoli e dove si trovano le più fantastiche ricette, perché è il film dove forse si mangia di più in assoluto, in tutta la storia del cinema. Direttamente da “La grande abbuffata”:
CAVIAR D’AUBERGINE
INGREDIENTI per 4 persone: 1 spicchio di aglio, 2 kg di melanzane di forma allungata e di colore viola scuro, 1 cipolla rossa di Tropea di medie dimensioni, un cucciaino di prezzemolo tritato, 5 pomodori secchi sott’olio, 2 filetti d’acciuga sott’olio, 5 grammi di capperi sotto sale, 20 ml di aceto rosso di vino Barolo, olio extra vergine di oliva q.b., sale e pepe a piacere.
PREPARAZIONE: Lavate le melanzane, asciugatele,tagliatele in due nel senso della lunghezza, incidete la superficie con parecchie diagonali in modo da formare un disegno a rombi e mettetele a scolare su un piano inclinato e coperte da un peso per circa mezz’ora. In realtà le specie le melanzane oggi in commercio hanno perso molto dell’amaro di quelle del bel tempo che fu, ma è meglio non correre rischi e per precauzione non evitate la scolatura… In una tazzina con un po’ d’acqua mettete per circa mezz’ora i capperi a dissalarsi e intanto accendete il forno che dovrà raggiungere la temperatura di 180°C. Infornate poi le melanzane per un’ora e una volta estratte, fatele freddare,poi estraete la polpa dalla buccia, tritatela finemente e ponetela in una ciotola. Pulite l’aglio e la cipolla privandoli della pellicola esterna, tagliateli sottilmente così come i pomodori secchi e le acciughe scolati del loro olio e uniteli alle melanzane. Regolate di sale e pepe,aggiungete l’olio e l’aceto, frullate l’impasto per meno di un minuto, aggiungete i capperi e il prezzemolo tritato e servite su crostini di pane abbrustolito e insaporito all’aglio oppure a piacere su pane carasau o crackers.
Era quasi un anno che lavorava alla Keystone. La paga che gli avevano offerto, 150 dollari a settimana per lui era da capogiro, peccato che non riuscisse ad adattarsi a quei ritmi di lavoro infernali… Due cortometraggi la settimana… Impossibile ripetere anche una sola scena perché non c’era tempo… Era tutto affidato alla bravura dell’attore e alla sua improvvisazione. Quel giorno si sentiva più disperato del solito … la sua fantasia gli sembrava agli sgoccioli..”Non sapevo più che trucco farmi…Mentre puntavo al guardaroba pensai di mettermi un paio di calzoni sformati, due scarpe troppo grandi, senza dimenticare il bastone e la bombetta. Volevo che fosse tutto in contrasto con la giacca attillata e il cappello troppo piccolo…. Poi aggiunsi i baffi che mi avrebbero invecchiato… senza nascondere la mia espressione. Non avevo la minima idea del personaggio. Ma come fui vestito, il costume e la truccatura mi fecero capire che tipo era. Cominciai a conoscerlo e quando mi incamminai verso l’enorme pedana di legno, esso era già venuto al mondo. Invenzioni comiche e trovate spiritose mi giravano incessantemente nel cervello…. Cominciai a passeggiare su e giù dondolando il bastoncino, passando e ripassando davanti a lui… IL mio era un personaggio originale e poco familiare agli americani, poco familiare persino a me. Ma una volta nei suoi panni io mi immedesimavo in esso, per me era una realtà e un essere umano. Anzi mi infiammava di idee folli di tutti i generi che non avrei mai avuto se non mi fossi messo il costume e la truccatura”. Il buffo omino che cerca di darsi una nota di distinzione con la bombetta e il bastoncino, nacque nel 1914 e venne subito inaugurato con due film: “La strana avventura di Mabel” e “Charlot si distingue.” Charlot è un vagabondo, un essere libero,…umano e un po’ anarchico… inevitabile per lui il conflitto con la società. Romantico e patetico, comico e tragico farà la fortuna del suo inventore per più di venti anni…Lui, Charlie Chaplin ne aveva veramente bisogno, dopo una vita disperata a Londra! Il padre e la madre lavoravano nel varietà, ma si separarono … Il padre aveva trovato la moglie a letto con un altro uomo…La madre finì presto negli ospedali psichiatrici e lui e Sidney, il fratello più grande in un orfanatrofio… Eppure Charlie Chaplin di sua madre avrà sempre un ricordo tenerissimo…lei gli aveva insegnato a cantare, e poi a a guardare la gente, a studiarla, coglierne i tic…Gli atteggiamenti… Insomma tutti i ferri del mestiere … Quando avrà fatto fortuna in America la sistemerà in una bella casa amorevolmente assistita sino alla fine… L’altro suo grande affetto fu Sidney il fratello che già lavorava in teatro e riuscì a procurargli piccole parti che non aveva ancora 13 anni…Qualche anno dopo lavoravano tutte i e due nella compagnia di Fred Karno! Sid inventava le gags e Charlie le portava in palcoscenico…una grande scuola per imparare a esprimersi con il corpo.
Quella di Karno era una compagnia itinerante… Così in America Charlie attirò l’attenzione di Mark Sennet e cominciò la sua lunga avventura nel cinema americano che si concluse solo quaranta anni dopo…Una strada tutta in discesa con quel fantastico personaggio che presto divenne internazionale… Il nome Charlot l’hanno inventato i francesi…
Nel 1915 Chaplin è a Chicago con 14 corti in un anno, nel 1916 realizza 12 film e guadagna 600.000 dollari l’anno … Mentre Charlot diventa di volta in volta cameriere, milionario, muratore…Nel 1919 Chaplin fonda una sua casa di produzione, la United Artists, una delle glorie di Hollywood, mentre cominciano ad arrivare i suoi capolavori…”Il Monello” forse il capolavoro in assoluto e tutta la fantasia di Charlot, padre tramp per caso, che trasforma un’amaca in culla e una caffettiera in biberon… e poi a seguire un film dopo l’altro, uno più bello, più spassoso, più tenero dell’altro… “La febbre dell’oro”… Con la grande illusione dei cercatori, la denuncia sociale, la girandola di gag che stempera il dramma mentre le montagne ricostruite in studio divennero un attrattiva turistica…”Il Circo”, a livello personale, fu l’esperienza in assoluto più disastrosa, con la prima attrice minorenne e incinta, da sposare immediatamente per evitare a Chaplin l’accusa di violenza carnale e il carcere… Il tendone distrutto dal vento, Il set incendiato, la fuga di Chaplin con la pellicola perché la moglie, già in fase di divorzio, ne aveva chiesto il sequestro… La depressione e i capelli improvvisamente bianchi di Chaplin… Non è rimasta traccia di nulla in un film sublimato dalla poesia, dalle invenzioni comiche e dal sentimento…e l’Oscar fu ben meritato… Chaplin invece per almeno trent’anni non ne volle più sentir parlare… Quando girò “Luci della Città” invece furono gli altri a disperarsi…una scena la fece ripetere 342 volte, battendo il Guiness dei primati, la prima attrice la licenziò provvisoriamente perché non riusciva a fare una scena… Neanche i musicisti si salvarono perché gli avevano proposto qualche nota più comica… Ma all’intransigenza maniacale del genio dobbiamo alla fine questo gioiello di grazia e di commozione.
Praticamente era rimasto solo Chaplin a non cedere alle lusinghe del sonoro, ma ancora una volta ebbe ragione lui … “Tempi moderni” del 1936 è perfetto così… Esplicito, comprensibilissimo, fra le nevrosi delle macchine e la depressione che già corrode le fragili conquiste del capitalismo. Un tripudio di gag ma la storia del vagabondo e della monella è triste anche se l’ultima scena, con l’inguaribile fiducia di Chaplin, si chiude sugli spazi sconfinati della speranza…
E finalmente suo fratello Sid riesce a convincerlo … “Il grande Dittatore” è la prova del fuoco di Chaplin davanti al mondo nuovo… Per il sonoro deve abbandonare anche il suo mitico Vagabondo per fare spazio a un rispettabile barbiere ebreo e a un folle dittatore. Ma siamo ancora nella più alta poesia e nell’accorato grido alla pace e all’amore, mentre sul mondo si accumulano i venti di guerra. Tragico e satirico Chaplin umilia i grandi e li sbeffeggia nei loro folli sogni di potere. Hitler gioca col mappamondo che si trasforma in un etereo palloncino… Chi mai più inventerà una scena con tanta surreale ironia?…
Dopo di allora i film di Chaplin però si fanno più rari e non tutti sono dei capolavori. Senza Charlot la vita è dura anche per un poeta come Chaplin. Il più lirico e sicuramente il più bello di quelli che vennero dopo è “Luci della ribalta” con la storia del vecchio clown in cui Chaplin scopre se stesso, al tramonto di un percorso eccezionale. E sembrò veramente un livido tramonto… Mentre era a Londra lo dichiararono indesiderabile e non rientrò più negli Stati Uniti … Le accuse di comunismo da parte della Commissione McCarthy l’avevano trasformato nel nemico pubblico numero uno della democrazia … E questo avveniva dopo l’onta di tutti quei processi per violenza carnale e crudeltà mentale. La prima moglie, Mildred Harris, aveva cominciato a fare l’ attrice a 9 anni e sposò Chaplin a 17, costringendolo con una falsa gravidanza. Il figlio che in seguito ebbero morì dopo pochi giorni e per la ragazza quella fu l’occasione per fare soldi col divorzio… Analoga la storia con la seconda moglie Lita Grey. Una brutta storia… Con i parenti di lei tutti pronti a testimoniare le nefandezze sessuali di Chaplin. Anche Lita l’aveva sposata incinta e minorenne, sotto la pressione dello scandalo e la solita minaccia di violenza carnale….Al momento del divorzio forse chissà avrebbero tentato anche la carta della pedofilia visto che Chaplin l’aveva conosciuta quando aveva appena 8 anni. Alla fine anche l’America si rese conto che dietro c’era un’abile trappola e si schierò con Chaplin… ma il dubbio rimase e Nabokov si ispirò alla vicenda di Chaplin e di Lita per raccontare la sua Lolita…Dopo un divorzio “tranquillo” da Paulette Godard, Chaplin aveva incontrato la giovanissima, bellissima Oona O’Neil, la figlia del commediografo… ma alla vigilia del matrimonio saltò fuori un’altra ragazza… Joan Barry annunciò di aspettare un bambino da Chaplin. Il processo fu lungo e penoso e anche se tutte le prove del sangue dimostrarono che Chaplin non c’ entrava con la bambina, il tribunale decise che il padre era lui, che avrebbe dovuto darle il suo nome e mantenerla. Il rappresentante della pubblica accusa lo chiamò cane libidinoso, vecchia poiana dai capelli grigi, spudorato imbroglione … A quel punto nessuno avrebbe più scommesso un sol dollaro sul matrimonio di Chaplin con Oona che al contrario si rivelò un unione felicissima che durò sino alla morte di Chaplin. Dopo l’espulsione dall’America andarono a vivere in Svizzera e in tutto ebbero 8 figli… Chi se lo sarebbe mai aspettato Chaplin nella parte del pacificato patriarca?
Il piatto che presentiamo era uno dei preferiti di Chaplin… Onestamente dichiarò che aveva tentato più volte di diventare vegetariano, soprattutto dopo l’incontro con Gandhi, ma non c’era riuscito … Troppo forte era sempre la tentazione … di questo delizioso e un pò esotico:
STUFATO DI AGNELLO AL CURRY
INGREDIENTI per 6 persone: 1,5 Kg di agnello disossato,1 cucchiaio di semi di coriandoli, 2 cucchiaini di pepe nero in grani, 2 cucchiaini di cardamomo, 2 cucchiaini di semi di cumino, 6 chiodi di garofano, mezza stecca di cannella sbriciolata, 2 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 1 cipolla, 2 spicchi di aglio, 2 cucchiaini di zenzero fresco grattugiato, 1 stelo di citronella lungo 10 centimetri, 400 grammi di pomodori pelati in scatola, 300 ml di acqua circa, 200 ml di latte di cocco, 2 cucchiai di curry, sale q.b.
PREPARAZIONE: tagliate l’agnello a cubetti di circa 2,5 cm di lato. Pestate in un mortaio il coriandolo,il cardamomo, il cumino,i grani di pepe, i chiodi di garofano e la cannella. Riscaldate l’olio in una larga padella e rosolatevi l’agnello in modo uniforme e mettendolo per il momento da parte su un piatto. Nella padella utilizzata per l’agnello soffriggete la cipolla, l’aglio, lo zenzero e la citronella, fin quando la cipolla non sarà appassita. Fate attenzione a non bruciarla!. Unite le spezie pestate nel mortaio e fate insaporire tutti gli ingredienti per qualche minuto. Rimettete l’agnello in padella insieme al curry diluito nell’acqua, il latte di cocco e i pelati. Salate, portate ad ebollizione, poi riducete la fiamma e fate cuocere per circa un’ora e mezza. Se il sugo durante la cottura dovesse restringersi troppo,aggiungete altra acqua calda.
Era accaduto troppo in fretta e probabilmente non si rese ben conto di quello che le stava capitando! Il concorso di bellezza fu proprio un caso. Si trovava al Consolato Italiano di Tunisi con la madre e la sorella per tutt’altri motivi quando, senza lasciarle troppe scelte, la iscrissero in un istante al concorso per ” La più bella italiana di Tunisia” Era un’iniziativa a margine della “Settimana del Cinema italiano ” e lei era così “tipica” che non ci mise molto a vincere il primo premio … Un viaggio a Venezia durante la Mostra del Cinema. All’epoca Claudia Cardinale una ragazza introversa e selvatica sapeva poco l’italiano… A scuola aveva imparato l’arabo e il francese… e a casa, il siciliano dai nonni… emigrati tanti anni prima. Così a Venezia si sentì a disagio e fuori posto e non vedeva l’ora di tornarsene a casa sua. Invece anche lì non riuscì a passare inosservata e le proposero di andare a studiare a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia. Aveva ben poche esperienze nel cinema, un cortometraggio scolastico e una parte secondaria nel film di Jacques Baratier,” I giorni dell’amore” … Non pensava che ci sarebbe stato un seguito. Ma suo padre accettò per lei … All’inizio era contenta … Si allontanava dalla Tunisia dove c’era l’ uomo di cui voleva liberarsi…Ma a Roma durò poco… Era sempre più a disagio, con l’italiano e la dizione che non le entravano in testa e dopo pochi mesi tornò a casa… A Tunisi rimase incinta…Per lei quell’uomo di cui non ha mai voluto rivelare il nome era un’ossessione. Era cominciato con uno stupro… Lei era appena adolescente… e poi non era riuscita più a tirarsene fuori. Adesso era veramente disperata, ma al bambino non volle rinunciare. L’unica soluzione fu tornare a Roma e lavorare nel cinema… aveva l’offerta della Vides… la potente produzione di Franco Cristaldi… Lavorò finché non fu evidente… Poi chiese la risoluzione del contratto…Franco Cristaldi invece la mandò a Londra dove nacque Patrick, che ….per contratto divenne il suo fratellino minore. Lo poteva crescere vicino, ma nessuno doveva sapere… nell’Italia ipocrita dell’epoca. La verità verrà fuori solo parecchi anni dopo! Ma questa non fu l’unica condizione… Lei divenne proprietà di Cristaldi e della Vides. Lui si era innamorato di lei… A modo suo… E le creò subito attorno una gabbia fatta di addetti stampa, autisti e segretarie che la sorvegliavano… E la pagava anche poco per il lavoro che faceva… Probabilmente non voleva che diventasse troppo autonoma… Se no forse l’avrebbe lasciato. Un rapporto affettivo e un rapporto di lavoro paranormale… Claudia non sembrava troppo fortunata …Non si permise mai di chiamare il produttore per nome… per lei fu senpre Cristaldi … E non abitavano nemmeno assieme così lui era più libero di cercarsi anche altre donne … E tutto questo mentre a tappe forzate lei diveniva un’attrice di grande successo… anche perchè Cristaldi era una persona colta e intelligente e la Vides stava sul mercato con prodotti di qualità nel panorama commerciale e arruffone del cinema italiano del dopo guerra … Così Claudia Cardinale ebbe subito a disposizione i migliori registi. Monicelli la guida ne”I soliti ignoti”, lei è Carmelina la ragazza sotto chiave col fratello siciliano… E nonostante tutti quei big del cast il suo fu un successo personale.
Il primo film importante è “Un maledetto imbroglio”. Cristaldi fa le cose in grande… Il romanzo di un autore come Gadda e un regista fra i migliori come Pietro Germi. Per la prima volta Claudia supera la timidezza. Germi è come lei taciturno e introverso, ma le trasmette la passione per il lavoro e la sicurezza davanti alla macchina da presa… Pasolini, stupito scriverà “Una Cardinale che io mi ricorderò per un pezzo. Quegli occhi che guardano solo con gli angoli accanto al naso, quei capelli neri spettinati… quel viso di umile, di gatta e così selvaggiamente perduta nella tragedia…”
Ormai è lanciata e nel 1960 gira cinque film… Nella visione calvinista della vita e del lavoro che le impone Cristaldi. In mezzo ci sono “Rocco e i suoi fratelli” e il primo incontro con Visconti e “Il Bell’Antonio” dove Mastroianni si innamorò perdutamente di lei. Anche molti anni dopo, quando la cosa non poteva più nuocere, lei smentì il flirt… Mastroianni si innamorava di tutte le attrici e lei non riuscì mai a credere al suo amore sincero. Lo teneva così a distanza che Mauro Bolognini era lì a supplicarla di fargli qualche sorriso ogni tanto…Un grande rapporto quello con Bolognini e 5 film… fra cui “La Viaccia” dove conosce Jean Paul Belmondo con cui riuscirà ad avere, e c’è da chiedersi come ci sia riuscita, una breve relazione, quando gireranno insieme Cartouche, il film che la renderà famosa in Francia…
L’anno di grazia arriva nel 1963… Cristaldi la fa lavorare al top del top, in un momento in cui il cinema italiano girava al massimo…Sul set del Gattopardo c’è un clima di rara raffinatezza, con Visconti che fra tutti i principi di casa Salina, si ricorda di essere anche lui un grande aristocratico, si rivolge a Claudia in un elegantissimo francese e la fa diventare ancora più bella e sensuale per il suo ingresso nell’antica nobiltà dell’isola. Angelica è un personaggio di rilevo nella storia del Gattopardo, ma è con Claudia che diventa la protagonista… Sul set di 8 e 1/2invece regna il caos, la confusione e e il trash. Pare la commedia dell’arte col copione che non c’è e la sceneggiatura che va inventata giorno per giorno… E in tutta quell’anarchia il guizzo del genio di Fellini che alla fine riporta tutto a unità e capolavoro. Claudia non lo dimenticherà più. Lei la ragazza della fonte per la prima volta parla con la sua voce rauca e dissonante che tutti avevano disprezzato, mentre Fellini la fa sentire giorno dopo giorno la più bella e la più speciale di tutte.
Comencini completa l’anno splendidissimo con Mara,”La ragazza di Bube”, per il quale anche stavolta Cristaldi non bada a spese andando a prendere uno dei maggiori successi della letteratura di quegli anni.
C’è da chiedersi perchè Cristaldi a questo punto spedisce la Cardinale in America. Era risaputo che Hollywood acquistava i talenti e poi li soffocava, li metteva da parte, insomma eliminava la concorrenza… Claudia nonostante tutto, negli anni americani ha qualche ottima occasione come “La Pantera Rosa, “I Professionisti” e “C’era una volta il West,”quasi l’unica donna dei film di Sergio Leone… Ritrova il suo amico Burt Lancaster, e si va vedere in giro con Rock Hudson per aiutarlo a nascondere la sua omosessualità e ogni tanto torna per fortuna in Italia. Girerà ancora con Luchino Visconti “Vaghe stelle dell’Orsa” un insuccesso commerciale, ma un Leone D’oro a Venezia e “Il giorno della Civetta” con Damiano Damiani, un coraggioso film sulla mafia.
Nel 1967 Cristaldi arriva in America e la sposa… un matrimonio che non verrà mai trascritto in Italia, affilia anche Patrick, ma Claudia non gli è grata. Sente tutto come un’ imposizione ,un modo per toglierle ancora più libertà, qualcosa che Cristaldi ha fatto da solo senza nemmeno chiederle se era d’accordo.
Alla fine di quel faticoso decennio Claudia torna in Italia, tutto sembra uguale a se stesso, lei mantiene il successo e la sua dorata schiavitù…
Ma c’era una bomba a orologeria nel quieto vivere di Claudia e scoppia fra il 973 e il 1974 quando lei gira un film con un giovane scatenato regista Pasquale Squitieri. Lui è uno che ha già ha avuto un buon successo e quindi può ardire di lavorare con quel mito vivente che è diventata la Cardinale. Squitieri nasce con gli spaghetti western, ma poi si occupa di temi scottanti come droga e camorra che è poi il tema del film “I Guappi” dove scatterà l’amore. Claudia letteralmente scappa dalla sua gabbia e raggiunge Squitieri in America. Un viaggio on the road e sarà amore per sempre. Lei conosce Cristaldi, sa che è freddo e pensa che non l’ha mai amata… solo al massimo usata e posseduta. Pensa che capirà, che la lascerà senza troppe storie… Invece si scatena l’inferno … Inizia la cupa, lunghissima vendetta di Cristaldi che taglierà per anni le gambe a tutti e due. Il primo ordine è per Visconti… Non la deve più chiamare per “L’Innocente.” Claudia quel gesto cattivo se lo ricorderà per sempre… Era l’ultimo film di Luchino e Cristaldi le impedì di stare vicino al suo grande maestro, negli ultimi mesi della sua vita. Per diversi anni Claudia non troverà più lavoro… nessuno vuole avere per nemico il potente Cristaldi e intanto a lei resta da pagare una cifra enorme al fisco… perché la Vides non l’ aveva fatto. Dopo per fortuna riuscirà un po’ per volta, con enorme fatica a venirne fuori… La chiamerà Zeffirelli, per una piccola parte e girerà “La Pelle” di Liliana Cavani e “Fitzcarraldo” di Herzog. Dopo qualche anno ricomincia a lavorare con Squitieri… anche lui sta provando a a riemergere e saranno film audaci e impegnati come “Claretta” o “Il Prefetto di ferro,” ma saranno film contestati, spesso senza motivo, dalla critica che strapazza e distrugge. Comunque nulla sarà più come prima e alla fine Claudia Cardinale ritroverà se stessa, una nuova casa e una nuova carriera di attrice in Francia dove saranno felicissimi di averla. Lì farà anche teatro, ormai libera dalla sua proverbiale timidezza e girerà altri film, ma quasi nessuno di essi arriverà in Italia.
Il 15 di aprile Claudia Cardinale compie 75 anni. E’ ancora molto bella e soprattutto molto impegnata. Lavora e gira il mondo come Ambasciatrice Unesco e fa quello che sente più vicino alla sua storia travagliata… Difendere in tutto il mondo i diritti delle donne, quei diritti che a lei troppo spesso sono stati negati..
Un piccolo omaggio a Claudia, in ricordo di uno dei suoi film più belli ? Viene dal Gattopardo e dal pranzo consumato la sera in cui Angelica viene presentata in casa del Principe di Salina…
TIMBALLO DI ANELLETTI
INGREDIENTI per 4 persone: 400 grammi di anelletti siciliani, 350 grammi di carni miste macinate (manzo,vitello,maiale), 4 melanzane grandi a forma allungata e di colore viola scuro, 2 uova sode, 100 grammi di piselli piccoli, 150 grammi di caciocavallo, 350 grammi di passata di pomodoro, 1 carota, una cipolla, 1 costa di sedano, 100 grammi di pangrattato, 100 grammi di parmigiano, olio extra vergine di oliva q.b., sale e pepe q. b.
PREPARAZIONE: Anche se le melanzane purtroppo non hanno più il sapore aspro di una volta,per maggior sicurezza è sempre meglio prima di cucinarle, tagliarle a fette, salarle e metterle sotto un peso per circa un’ora allo scopo di togliere l’eventuale amaro… Dopo lavatele sotto l’acqua corrente e asciugatele. Friggete le fette in abbondante olio extra vergine di oliva e scolate l’eccesso di unto su carta assorbente e mettetele,per il momento da parte. Preparate il sugo mettendo a soffriggere nell’olio cipolla,carota e sedano tritati finissimi. La fiamma non deve essere alta perché c’è il rischio di bruciare le verdure. Appena sono dorate, aggiungete la carne macinata, fatela rosolare e aggiungete vino rosso siciliano.Non appena il vino sarà evaporato aggiungete la passata di pomodori e i piselli. Fate cuocere lentamente per 15 minuti e aggiustate di sale e pepe. Seguitate a insaporire il sugo sulla fiamma aggiungendo ogni tanto acqua tiepida. Lessate gli anelletti in acqua salata scolandoli molto al dente.Conditeli col sugo preparato e poi cominciate a preparare il timballo in uno stampo dalle pareti alte ponendo sulla sua base e sulle pareti, uno strato di melanzane che poi coprirete con una parte degli anelletti.sui quali vanno poste le fette di cacio cavallo e una spolverata di parmigiano e le uova sode tagliate a fettine sottili. Fate un secondo strato di anelletti e ricopritelo con le fette di melanzana e pan grattato.. Schiacciate delicatamente il timballo con una forchetta e infornare per 30 minuti a forno scaldato a 160°C. Dopo averlo estratto dal forno ,fate riposare il timballo prima di rovesciarlo sul piatto di portata.